Elia Viviani, Vuelta 2025

Viviani: «La Vuelta mi ha dato tanto, ora punto a un gran finale»

19.09.2025
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Quando lo intercettiamo, Elia Viviani è appena sceso dall’ennesimo aereo. Sta facendo la spola tra casa e il Belgio, dove correrà molte gare di un giorno, come il Memorial Schotte di qualche giorno fa e come sarà oggi per il Kampioenschap van Vlaanderen.

Il corridore della Lotto sta vivendo un buon momento, nonostante il futuro non sia così ben definito. Quel che invece non sembra intaccarsi minimamente, e lo si percepisce nel corso dell’intervista, è la sua testa. Viviani, classe 1989, è ancora uno schiacciasassi, corridore al 101 per cento. Dopo questo blocco di gare in Belgio, avrà due settimane in cui conta di andare in pista a Montichiari, prima del finale di stagione in Veneto.

Viviani vince il Memorial Schotte e mette a segno la sua 90ª vittoria da pro’ (foto Bart Vandenbroucke)
Viviani vince il Memorial Schotte e mette a segno la sua 90ª vittoria da pro’ (foto Bart Vandenbroucke)
Elia, partiamo un po’ dalla fine, dalla Spagna al Belgio, al Memorial Schotte che hai vinto. Come ci sei arrivato? E’ stata una sorta di rivincita?

Sicuramente. Ho sofferto tanto la Vuelta, che era una corsa dura. So che esco sempre bene dai Grandi Giri perché il volume di lavoro che si mette insieme mi dà tanto. La gara di martedì era molto vicina, però con la domenica senza gara e il lunedì di riposo già avevo buone sensazioni.

Quindi l’obiettivo adesso è?

Correre e vincere il più possibile da qua a fine stagione con la Vuelta nelle gambe, sapendo che un Grande Giro mi dà sempre tanto. Sono felice di essere tornato a farne uno, nonostante la sofferenza e le poche occasioni, però un Grande Giro è sempre bello. Era dal 2021 che non ne disputavo uno.

Non poco, in effetti…

Infatti, un po’ di timore iniziale ce l’avevo. Sapevo di essermi preparato bene, però alla fine non era semplice. Sono contento. Le occasioni sono state poche: un quarto posto iniziale, poi il secondo (nella tappa di Saragozza, Elia è stato retrocesso per una deviazione, ndr). Peccato non aver sprintato a Madrid. Lì avevo bei ricordi: nel 2018 ho colto una delle mie vittorie più belle, l’ultima tappa in una città come Madrid è stata fantastica. Per questo non aver sprintato è stato brutto.

Com’è stato tenere duro sulle montagne… pensando a Madrid?

Sapere che c’era l’opportunità di Madrid ha aiutato non poco. Certo, la tappa è stata eliminata. Si sapeva già da Novara che le occasioni sarebbero state poche, ma la prima e l’ultima frazione erano ghiotte. La Maglia Rossa a Torino, in Italia, e l’ultima a Madrid: so cosa vuol dire vincerla, è qualcosa di grande. Per noi velocisti non aver potuto disputare l’ultima frazione è stata una grande mancanza.

Quanta fatica per Viviani sulle salite della Vuelta. Una grande motivazione per tenere duro è stata la tappa finale di Madrid. Poi annullata per le manifestazioni pro Palestina
Quanta fatica per Viviani sulle salite della Vuelta. Una grande motivazione per tenere duro è stata la tappa finale di Madrid. Poi annullata per le manifestazioni pro Palestina
Perché?

Soffri per venti giorni sapendo di avere quell’ultima occasione. Arrivare a Madrid e non sprintare non è stato bello. Ma non solo per noi velocisti: penso anche a Pidcock, al suo primo podio, o ai giovani in squadra al primo Grande Giro. Ti svegli la mattina con la soddisfazione di aver finito e invece ti ritrovi a pensare se i tuoi familiari all’arrivo sono al sicuro o se sono finiti nel caos dei manifestanti. E’ stato brutto, umore sotto i piedi. Rientrato in hotel, mi sono cercato immediatamente un volo e sono tornato a casa la sera stessa. Umore sotto i tacchi.

Umore sotto i tacchi: però sei stato bravo a switchare subito. Una reazione da campione…

Quella è la reazione che devi avere quando sai di aver fatto tanti sacrifici, di aver sofferto tanto, e dici: «Datemi qualche gara, datemi uno sprint!».

Raccontaci della tua vittoria al Memorial Schotte. Che corsa è stata?

Era una corsa in circuito, 145-150 chilometri. Non lunghissima, però le gare nazionali qui in Belgio, le chiamano Kermess Course, hanno sempre grande intensità. Noi eravamo in cinque, altri persino solo in due. C’erano corridori importanti, alcuni reduci dalla Vuelta come me. La prima selezione ci ha lasciati in una trentina, poi sul circuito, tra vento e curve, si è fatto il resto. Alla fine siamo arrivati in tre, io, Jonas Rickaert e Dries De Bondt. C’è stato un attacco di De Bondt, che quel giorno era indemoniato, e siamo arrivati allo sprint ridotto.

Uno sprint ridotto?

Sì, prima eravamo io e De Bondt, poi è rientrato Rickaert e l’ho battuto in volata. Mi ricordava un po’ la gara dell’Europeo che ho vinto: selezione dal vento e dalle curve, finché rimani in pochi. In pianura me la cavo ancora bene!

Per Viviani il feeling con la squadra è stato subito buono. Elia ha sentito la fiducia e ha ripagato la Lotto con un buon treno
Per Viviani il feeling con la squadra è stato subito buono. Elia ha sentito la fiducia e ha ripagato la Lotto con un buon treno
Sentirti parlare con entusiasmo fa piacere. Che dire: questi vecchietti vanno ancora forte. Okay l’esperienza, ma servono anche le gambe, no?

Sì, servono le gambe e l’energia. E’ stato bello vedere anche Alaphilippe vincere in Canada, è un bel segnale. Ho ricevuto tanti complimenti anche dai corridori che venivano come me dalla Vuelta e mi dicevano: «Non sappiamo come hai fatto». In effetti dopo solo due giorni dalla fine della Vuelta, la stanchezza si sente ancora. Ma ho sempre pensato che dopo un Grande Giro, se recuperi bene, riesci a far buone cose.

Questa è testa, Elia…

Alla fine di un Grande Giro puoi buttarti sul divano per due settimane e basta, ma perdi tutto. Se sei affamato, invece, aspetti qualche giorno e poi vuoi correre… E vincere.

Com’è correre in questa Lotto? All’inizio, quando è uscita la notizia “Viviani alla Lotto”, non sembrava la tua squadra. Invece?

Invece bene. E’ una squadra organizzata con tanti giovani. Anche alla Vuelta non è mai mancato niente, staff al completo: massaggiatori, fisioterapisti, nutrizionista, lo chef, i materassi portati ogni mattina, le vasche del ghiaccio dopo l’arrivo. Non ci è mancato nulla. Ho fatto i complimenti alla squadra. A tutti gli effetti è una WorldTour e io sono stato in squadre grandi come Quick Step o Ineos Grenadiers, squadre super organizzate. E poi la fiducia che mi hanno dato: era qualche anno che non trovavo qualcuno che credesse in me.

Cosa intendi?

Ho trovato uomini in grado di fare quel lavoro lì. Da Jasper De Buyst, una garanzia, a Milan Fretin, giovane motivato, passando per Segaert che in testa al gruppo tirava per chilometri. Gente che ti rende orgoglioso e ti permette di fare risultati.

Nella testa di Elia ci sono già i mondiali su pista
Nella testa di Elia ci sono già i mondiali su pista
Immaginiamo faccia piacere vedere che, pur arrivando in ritardo a stagione iniziata, ti hanno dato le chiavi del team…

Vero! La Lotto è una super squadra. Credono nel devo team e hanno tanti giovani talenti. Widar, Van Eetvelt, Segaert… tra qualche anno sarà un gruppo ancora più competitivo.

Visto come sta andando, ci puoi dire qualcosa sul futuro?

Come ho sempre detto, ero arrivato qui per restare. Adesso c’è questa situazione della fusione (con Intermarché-Wanty, ndr) e sto aspettando notizie sui nuovi incastri fra le due squadre.

Da come parli hai ancora fame. E’ così?

Al 100 per cento. Altrimenti mi sarei già fermato. Aspettiamo notizie, ma intanto voglio aggiungere vittorie e corse. Poi c’è il mondiale su pista, dove punto all’eliminazione e alla corsa a punti. Ho parlato con Dino Salvoldi e vedremo in base alla condizione dopo Montichiari. Ma vorrei fare quelle specialità che non faccio alle Olimpiadi o che non ho potuto fare in questi anni dovendo preparare l’omnium.

Prima parlavi della Ineos: Geraint Thomas ha smesso. Che ricordi hai di lui e del team?

Geraint Thomas è un grande amico oltre che una leggenda. Lo guardavo con ammirazione già nei velodromi, quando giravo le piste per il mondo da solo insieme a Marco Villa. Allenarsi insieme, vivere entrambi a Monaco, essere in squadra: è stato speciale vederlo crescere e vincere. Per lui massimo rispetto, anche per come ha affrontato gli ultimi anni di carriera e il Giro d’Italia in particolare: ci è andato molto vicino, ha indossato la maglia rosa…

Viviani è stato in Ineos per tre stagioni: 2022-2024 e in precedenza per altre tre al Team Sky (2015-2016-2017)
Viviani è stato in Ineos per tre stagioni: 2022-2024 e in precedenza per altre tre al Team Sky (2015-2016-2017)
Però ora questo squadrone è in transizione…

Devono ricostruire un’identità. Per i Grandi Giri servono quei tre o quattro corridori speciali, e ora non li hanno. Probabilmente devono concentrarsi più sulle tappe che sulla generale. Ma con atleti come Ganna, Tarling, Turner e un Bernal ritrovato, almeno per le tappe non credo per la generale, possono vincere tanto. E poi il ritorno di Brailsford e magari l’ingresso di Thomas nello staff potrebbero essere la chiave giusta.

Perché?

Perché Geraint è sempre in stato in quel team. Conosce ogni piccola cosa, lo staff ed è fresco di gruppo, cosa che conta moltissimo in questo ciclismo. Lui sa come prepararsi e come arrivare pronti agli appuntamenti

Torniamo a te, Elia. C’è qualche gara in Belgio o in Veneto che ti piacerebbe vincere?

In Belgio sono tutte piatte e non ho una corsa preferita. L’importante è che possa disputare lo sprint. Poi cosa dire: correre in Veneto ha un sapore speciale. Mi piacerebbe il Giro del Veneto. Correre in casa, con i tifosi, sarebbe bello. Pippo Pozzato le fa dure per i velocisti, ma è il Giro del Veneto e soprattutto è una corsa in cui vorrei fare bene.

EDITORIALE / Due parole a chi vorrebbe cancellare i velocisti

01.09.2025
4 min
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Tre volate entro l’ottava tappa. La quarta (forse, perché il percorso proprio veloce non è) nella diciannovesima, la quinta a Madrid l’ultimo giorno. I velocisti alla Vuelta potrebbero sentirsi ospiti indesiderati. Dopo aver letto le parole di Thierry Gouvenou, direttore di percorso del Tour de France, ci si chiede se a disegnare le corse siano persone di ciclismo o piuttosto autori di videogame.

«Penso che le squadre dei velocisti – ha detto a luglio il francese, parlando delle tappe monotone con il finale destinato allo sprint – non si stiano facendo alcun favore. In futuro non potremo più avere questo tipo di spettacolo, non ci saranno più tappe veloci in futuro. L’anno scorso ne abbiamo avute otto o nove, alcune molto monotone. Quest’anno ne abbiamo avute circa cinque o sei. E questa sarà la consuetudine futura».

Pogacar è un’eccezione: giusto lottare, ma con la giusta prospettiva. In sua assenza, il ciclismo torna uno sport più aperto
Pogacar è un’eccezione: giusto lottare, ma con la giusta prospettiva. In sua assenza, il ciclismo torna uno sport più aperto

L’eccezione Pogacar

Il ciclismo che piace è quello degli scontri in salita. Pogacar e i suoi sfidanti sono stati capaci di confezionare duelli magnifici. Tuttavia, come ripete spesso Moreno Moser durante le cronache di Eurosport: quello di Tadej non è ciclismo normale. Godiamocelo, ma siamo consapevoli del fatto che sia uneccezione. Proprio la Vuelta sta infatti evidenziando che, tolti l’arrivo di Limone Piemonte e quello di ieri, possono essere soporifere anche le tappe di montagna in cui i leader non si danno battaglia. E non hanno neppure l’adrenalina della volata.

Si sta lavorando in maniera così estrema per spingere i corridori alle prestazioni più elevate che a breve potremmo accorgerci di aver esagerato. Altura a febbraio, altura ad aprile, altura a luglio e poi ancora altura ad agosto. Prima però i ritiri di dicembre e gennaio. Sei ritiri all’anno, quattro in quota, alcuni anche cinque: un carico notevole. Non serve essere dei fisiologi per capire che a un certo punto anche l’altura smetta di dare frutti e che, per contro, dal punto di vista psicologico, le conseguenze rischiano di essere pesanti. Vogliamo scommettere che in tante crisi inattese ci sia il rifiuto della fatica?

Smagrito, meno potente e meno vincente: fa bene Evenepoel a snaturarsi per rincorrere Pogacar?
Smagrito, meno potente e meno vincente: fa bene Evenepoel a snaturarsi per rincorrere Pogacar?

La ricchezza del menù

Chi disegna le corse dovrebbe inserire nel menù ogni specialità possibile. Come dovrebbero fare i giornali che per abitudine raccontano le imprese di un solo campione o di un solo sport. E poi, quando quello sparisce, scoprono di non avere altre cose da dire. A chi risponde che il pubblico vuole leggere soltanto di certi argomenti, rispondiamo che il pubblico va abituato alla varietà.

Come al ristorante. Se anche il piatto forte è quello che ti fa vendere di più, è sbagliato non prevedere altro nel menù. Perché il piatto forte può venire male. Perché gli ingredienti di colpo possono venire meno. Perché il gusto del pubblico potrebbe cambiare.

Così con gli scalatori e i velocisti. Ha senso ed è sostenibile in termini di sicurezza e salute pretendere ogni giorno uno show sovrannaturale? Se per arrivare allo sprint i corridori preferiscono un atteggiamento meno scoppiettante, il rimedio è non portare i velocisti oppure considerare che in certi giorni è utile che tirino il fiato?

Sabato il confronto fra Viviani e Philipsen ha offerto spunti tecnici a non finire: altro che noia…
Sabato il confronto fra Viviani e Philipsen ha offerto spunti tecnici a non finire: altro che noia…

La miopia e le conseguenze

Abbiamo ragionato sabato sulle dinamiche della volata tra Viviani e Philipsen. In quegli ultimi due chilometri ci sarebbe da raccontare il mondo. Invece chi organizza la corsa si lamenta per la mancanza di attacchi nei chilometri precedenti e banalizza lo sprint, quasi che in quei secondi di potenza, adrenalina, tecnica e tattica non ci sia nulla da raccontare.

L’effetto Pogacar fra qualche anno svanirà. C’è da augurarsi che nel frattempo i vari tentativi di replicarlo non producano guasti irreparabili. Costringendo ragazzi giovani a innalzare l’asticella senza mai arrivare al livello necessario, ma sfinendosi nel farlo. Cercando di intercettare talenti precoci che si ritrovano di colpo a fare i conti con l’inadeguatezza e la depressione. Il ciclismo è un mondo dalle mille sfumature. L’appiattimento è miope e non conduce lontano. Può anche andare bene che lo chieda il pubblico, non va bene che si renda complice chi ha il compito di gestirlo.

Giuria severa, Viviani declassato, ma lo spirito è quello giusto

30.08.2025
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Un’ora circa dopo l’arrivo di Saragozza, la giuria della Vuelta riapre l’ordine d’arrivo e ne toglie Viviani e Coquard, retrocedendoli in 105ª e 106ª posizione. Elia aveva sprintato in testa, fino a cogliere il secondo posto. Il suo spostamento dal centro strada verso il lato sinistro della strada è evidente, ma non è una manovra assassina. Tanto che quando il veronese si accorge di avere accanto Philipsen in rimonta, si raddrizza e il belga riesce a passare. Nelle stesse interviste del vincitore dopo l’arrivo non c’è alcun riferimento alla deviazione di Viviani.

«Abbiamo vinto – racconta Philipsen – quindi non posso lamentarmi. Ho perso i miei compagni di squadra nel finale, ho provato a richiamarli ma nell’ultimo chilometro ormai c’era poco da fare. Così ho dovuto fare da solo. Ho preso la ruota di Bryan Coquard. Mi sentivo le gambe durissime come il cemento, ma sono comunque riuscito a vincere».

Quella di Saragozza è stata l’ultima volata prima della 19ª tappa. Impossibile che la fuga arrivasse
Quella di Saragozza è stata l’ultima volata prima della 19ª tappa. Impossibile che la fuga arrivasse

Uno sprinter corretto

Nel vecchio ordinamento del ciclismo, la cosa si sarebbe fermata lì, anche perché il terzo sul traguardo – Ethan Vernon – aveva scelto di fare la volata dall’altro lato della strada. Dopo l’arrivo il solo sentimento di Viviani era la grande tristezza per l’occasione mancata e il grande lavoro dei compagni.

«Fa male – ha detto Elia – guardi la linea davanti. Senti che è più vicina, sempre più vicina, ma quando c’è in giro un corridore come Philipsen, la corsa non è mai finita sino alla riga. Con lui è molto probabile perdere. Ed è ancora più doloroso con il grande lavoro della squadra, che avete visto. Mi hanno messo nella posizione perfetta, anche se nel finale c’è stata un po’ di confusione. Ho preferito spostarmi su un lato, ma se riguardi questo sprint dopo, puoi affrontarlo in 100 modi diversi e magari vincere. Quando sei lì, devi scegliere e così ho fatto io. Fino a quando ho sentito urlare Philipsen dal lato delle transenne. Non volevo chiuderlo, non è così che vinco le gare. Ci sono andato vicino, quindi spero che nell’ultima settimana si possa fare qualche altra volata».

Viviani ha lasciato spazio a Philipsen, ma la giuria ha ritenuto la deviazione volontaria e l’ha retrocesso
Viviani ha lasciato spazio a Philipsen, ma la giuria ha ritenuto la deviazione volontaria e l’ha retrocesso

La voglia di dimostrare

Dopo lo sprint di esordio di Novara, scambiando qualche messaggio, Viviani aveva detto che quel giorno non ci fosse la possibilità di battere Philipsen e che un secondo posto sarebbe stato un bel risultato. C’era e c’è ancora la voglia di dimostrare che averlo portato alla Vuelta sia stata la scelta giusta.

«Dobbiamo solo essere positivi – dice – e guardare cosa ha fatto la squadra, perché non posso chiedere di più da loro. Sono davvero felice di essere qui, anche se in questi primi giorni ho faticato molto, non c’è da nascondersi, perché è la verità. Ma quando ti avvicini a un obiettivo così importante, significa che sei un atleta serio e che a 36 anni provi ancora a battere il miglior velocista del mondo. Sono sicuramente felice di essere lì e mi dispiace non aver vinto oggi, ma il ciclismo è così».

In un post su Instagram dopo l’arrivo, Viviani è tornato sulla sua manovra nel finale. «Ho cambiato la mia linea? Sì. Perché? Perché come ogni sprinter, quando sei davanti cerchi un lato della strada. Perché non ho scelto il lato sinistro quando ho iniziato lo sprint? Perché davanti a me avevo il mio compagno De Buyst e so che mi avrebbe lasciato spazio. Però non posso prevedere cosa farà il leadout della Alpecin. Per questo ho deciso di spostarmi verso il centro della strada.

«Alla fine ho lasciato che la porta si aprisse a sinistra? Sì, quando ho sentito Philipsen urlare, sapevo che non potevo chiudere questa porta, così mi ha superato nettamente. Hai parlato con la giuria? Sì, ho parlato con il presidente della giuria e mi ha mostrato nel video cosa ho fatto e mi ha spiegato che non posso cambiare la mia traiettoria, anche se alla fine gli ho lasciato lo spazio per passare. Ti dispiace? Sì, mi dispiace per la mia squadra e per i miei compagni di squadra perché meritano un risultato migliore, oggi sono stati incredibili! Ovviamente, congratulazioni a Jasper Philipsen».

Quella di Saragozza era forse l’ultima vera possibilità per i velocisti. Per rivedere un arrivo adatto agli uomini veloci bisognerà aspettare probabilmente la 19ª tappa e poi quella finale di Madrid. Prevedibile quindi che la fuga non sarebbe arrivata e che nel finale ci sarebbe stata alta tensione. Per le prossime dieci tappe, la lotta dei velocisti sarà con il tempo massimo. L’appuntamento sarà forse a Guijuelo.

Mirino sul traguardo di Novara: Viviani prenota i fuochi d’artificio

21.08.2025
6 min
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La sua immagine del profilo su whatsapp è una delle foto più belle che siamo mai state fatte di Elia Viviani. Ne conviene anche lui, guidando verso Torino dopo gli ultimi giorni a casa prima della Vuelta. E’ una delle tante scattate in galleria del vento nel 2016, ma nessun’altra è riuscita come quella, con il body blu e senza le scritte. Al Politecnico di Milano ne hanno messo una gigantografia all’ingresso. Fu l’anno dell’oro di Rio, non solo un fatto estetico: quel lavoro valse un bel pezzetto di medaglia.

E adesso la Vuelta, con quale spirito?

Ho lottato per esserci. Era una delle cose su cui ho chiesto subito chiarezza alla squadra. Se ci credete, mi portate, oppure lasciamo perdere tutto e vado alle gare che ci sono in giro per l’Europa. Invece ho trovato pieno supporto, per cui dopo l’italiano ho fatto una settimana tranquillo di semi vacanza a casa, ma senza bici. E da lì poi sono salito per tre settimane con sette compagni di squadra a Livigno. Sono tornato a casa per andare al Polonia, scelto come gara di avvicinamento.

Questa la foto profilo su Whatsapp di Viviani, scattata al Politecnico di Milano nel 2016, preparando l’oro di Rio
Questa la foto profilo su Whatsapp di Viviani, scattata al Politecnico di Milano nel 2016, preparando l’oro di Rio
Piuttosto impegnativo quest’anno…

C’era una sola occasione per arrivare in volata. Altrove avrei avuto più possibilità, però sapevamo che il Tour de Pologne poteva essere importante per approcciarsi alla Vuelta. Infatti alla fine ho sofferto come un cane, però sapevo che mi faceva bene. Già ad Amburgo stavo benone e sono rimasto indietro solo per la foratura al momento sbagliato, però ho avuto buone sensazioni. Per cui arrivo alla Vuelta sapendo che ci saranno poche occasioni, come sono state poche al Giro e al Tour. Alla fine non ci saranno tantissimi velocisti, quindi presuppongo che arrivando in volata potrò avere delle chance. Ci sarà un Pedersen infuocato (Mads ha vinto 3 tappe, la classifica generale e quella a punti al Giro di Danimarca, ndr) e anche Philipsen. Soprattutto Pedersen che sarà anche il riferimento per la maglia verde e gli sprint.

Hai già individuato le tappe a disposizione?

Vi dico una cosa: sabato sarà il giorno clou. Lo prenderò come una classica. Voglio arrivarci fresco, perché per me sabato sarà la Vuelta, poi giorno per giorno arriverà quello che arriverà. Ma la prima tappa in Italia con l’arrivo in volata è un’occasione. E poi comunque sarà il mio ritorno a un Grande Giro, un’occasione da non mancare o comunque per cui fare tutto bene.

Sapendo che la prima tappa arriva in volata e poi sarà una corsa dura, la preparazione è stata inquadrata diversamente?

A Livigno mi sono concentrato molto di più sulle salite, perché sappiamo che sarà una Vuelta dura da passare. Si continua a dire che le corse sono sempre più dure, però fino a un certo punto. Ci sono 11 arrivi in salita e secondo me è anche giusto, perché la gente vuole vedere gli scalatori che si scattano in faccia e questo succede solo se il traguardo è sulla cima. Quindi diciamo che la preparazione è stata incentrata molto più sulle salite che non sulle volate, ho mantenuto i classici blocchi per la preparazione degli sprint e ho ridotto di molto la palestra. Ma l’approccio al primo giorno non terrà conto delle tre settimane, sarà come una gara secca. Perciò venerdì sarà una giornata clou per trovare il colpo di pedale giusto. Quindi non farò la classica oretta, ma probabilmente tre ore con dei lavori, anche dietro moto o dietro macchina, per partire con la sensazione di avere la gamba pronta.

Ad Amburgo, una settimana dopo il Polonia, solo una foratura ha impedito a Viviani di restare nel gruppo dei primi
Ad Amburgo, una settimana dopo il Polonia, solo una foratura ha impedito a Viviani di restare nel gruppo dei primi
Quanto ti è mancato non aver fatto un Grande Giro negli ultimi quattro anni?

E’ mancato tanto, a diversi livelli. Certamente sul piano affettivo e poi comunque di obiettivo, perché per ogni ciclista la stagione viene improntata sui tre Grandi Giri. Perciò non è facile affrontare delle annate senza farne uno. Fisicamente mi è mancato tantissimo, anche se alla fine le motivazioni comunque le trovi. L’anno scorso c’erano le Olimpiadi, ad esempio. Non fare le tre settimane mi ha dato qualcosa di meno sul piano atletico.

A livello di prestazioni?

Se guardiamo, i miei migliori risultati sono sempre arrivati dopo un Grande Giro, oltre che essere arrivati durante la corsa stessa. Il campionato italiano non lo avrei mai vinto senza il Giro. Le classiche come Amburgo, Plouay o London Classic e l’europeo non sarebbero mai arrivate senza il Tour. Quindi, secondo me, nella conta di tutte le vittorie mancate negli ultimi anni, sicuramente l’assenza del Grande Giro ha inciso.

Quindi in qualche modo la Vuelta sarà funzionale al mondiale pista di ottobre?

Sono obiettivi totalmente distinti. Ho tanta voglia di fare la Vuelta, amo l’idea che si concluda a Madrid, dove ho vinto e che è stata una delle vittorie più belle della mia carriera. So benissimo che se la finisco, poi mi divertirei sino a fine stagione, perché è sempre stato così. Di conseguenza ai mondiali avrei ancora più chance, perché potrei arrivarci con una condizione super. Quindi almeno per questo sono due obiettivi collegati.

E’ il 3 maggio, il Turchia arriva a Cesme e Viviani torna alla vittoria battendo Kristoff e Persico
E’ il 3 maggio, il Turchia arriva a Cesme e Viviani torna alla vittoria battendo Kristoff e Persico
Hai parlato con Salvoldi di quale potrebbe essere il tuo impiego a Santiago del Cile?

No, devo ancora farlo. Non sarò in specialità olimpiche, perché è iniziata una rifondazione della nazionale ed è giusto che sia così. Non credo che la madison sia un’opzione, perché è nello stesso giorno dell’eliminazione in cui per il quinto anno consecutivo vorrei centrare una medaglia. Magari, parlando con Dino e per non fare solo l’eliminazione, che dura solo quei 10 minuti, mi piacerebbe tornare a fare una corsa a punti, ma è tutto da vedere e da parlare.

Hai firmato il contratto a stagione iniziata, perché volevi dimostrare qualcosa. Ci sei riuscito?

Quello che volevo era tornare a correre e vincere e ci sono riuscito al Turchia. Volevo vincere di più? Sì, sicuramente. Però guardando indietro, le occasioni che posso aver mancato sono venute subito dopo il Turchia, perché quando ne vinco una, cerco sempre di aggiungerne altre. Quindi Dunkerque oppure la Copenhagen Sprint, che era la prima edizione e in cui arrivavo dal terzo posto di Brugge. Mi è mancato un paio di vittorie, ma l’asticella deve essere tenuta necessariamente alta.

Che tipo di sfida sarà alla Vuelta?

Una grande sfida. Anche se ho 36 anni, ho i miei dubbi e le mie paure. Arrivo alla Vuelta dopo quattro anni senza un Grande Giro, però l’ho voluto a tutti i costi e quindi vado e me la godo. Pensiamo alla tappa di sabato e alle altre volate, Madrid compresa. Ma se nel mezzo ci saranno delle giornate in cui andare in fuga, potrei provarci. Non mi va di passare 17 giorni a ruota, sperando nelle quattro volate.

La lunga fuga di Viviani alle Olimpiadi di Parigi potrebbe ispirare qualche attacco nelle tappe della Vuelta non proprio per velocisti?
La lunga fuga di Viviani alle Olimpiadi di Parigi potrebbe ispirare qualche attacco nelle tappe della Vuelta non proprio per velocisti?
E adesso una domanda che non si fa mai, come chiedere gli anni a una donna. Hai già deciso se questa sarà l’ultima stagione?

Diciamo che le idee sono più chiare e tranquille rispetto all’anno scorso (sorride, ndr). La verità è che con Lotto abbiamo parlato tranquillamente di un anno e semmai di un altro se tutti fossimo stati contenti. La cosa in questo momento è complicata dalla fusione della squadra con l’Intermarché e quindi è tutto in stand by, attendendo cosa succede nel finale di stagione. Se dovesse essere un finale di stagione come vorrei, con i fuochi d’artificio, perché non correre ancora? E’ una situazione totalmente diversa dall’anno scorso. Ho voluto correre a tutti i costi, ho trovato un accordo a fine febbraio e ho anche vinto. Ma per ora non vorrei dire di più. Ora si pensa alla Vuelta e ci si pensa con la massima concentrazione.

Galfer Shark Road: il disco leggero e performante nato dai pro’

04.08.2025
4 min
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Innovare, in maniera costante e continua, con lo scopo di ottenere le migliori prestazioni possibili sia in gara che in allenamento. La ricerca nel ciclismo è in ogni ambito, particolare, dettaglio, e coinvolge tutte le parti del mezzo. Galfer, azienda che produce dischi per i freni, ha presentato il nuovo disco freno Shark Road con sistema Centerlock che può essere utilizzato sia sulle bici da strada che gravel. Si tratta del componente più performante sviluppato dal marchio fino ad adesso. 

Nato grazie anche al contributo tecnico degli atleti del Lotto Cycling Team, formazione professional belga nella quale militano corridori del calibro di Arnaud De Lie e il nostro Elia Viviani. Dal gruppo alla strada, così Galfer ha voluto evidenziare un processo importante capace di elevare ancora di più la tecnica e lo sviluppo dei propri prodotti.

Nato dai professionisti

Gli ingegneri e i tecnici di Galfer hanno lavorato sui feedback e prendendo spunto dalle corse del massimo livello mondiale, quelle WorldTour, per realizzare un prodotto valido e che possa essere utile a tutti i ciclisti. Per un’azienda questi passaggi permettono di migliorare ancora di più i propri prodotti che andranno poi sul mercato. 

La caratteristica principale che il nuovo disco Shark Road offre all’utente è una frenata più sicura e un minore spazio di arresto, ma per fare ciò sono stati tanti gli aspetti sui quali si è lavorato. In primo luogo c’è la rigidità laterale che in una gara WorldTour è un fattore che arriva ad essere estremamente sollecitato. Allo stesso modo c’è da considerare la dissipazione termica, altro elemento sul quale Galfer ha lavorato così da non avere accumuli di calore.

Questi studi e sviluppi sono stati fondamentali per creare un disco capace di rispondere alle esigenze di tutti i ciclisti alla ricerca di prestazioni, leggerezza e affidabilità in ogni frenata.

Caratteristiche tecniche

La tecnologia dei nuovi dischi Shark si trasporta anche nel fuoristrada ed entra nel mondo gravel. A giocare un ruolo chiave in questa polivalenza del disco Shark c’è la grande facilità nella dissipazione del calore che permette al ciclista di avere una frenata stabile, controllata e garantisce anche una durata maggiore dei componenti.

Il design Wave che caratterizza tutti i dischi Galfer consente un controllo progressivo e stabile della frenata anche in condizioni difficili. Sono state inserite delle alette, una scelta tecnica innovativa, che porta a un abbassamento più rapido della temperatura del disco. 

Per quanto riguarda la scelta del materiale Galfer ha scelto di costruire il disco Shark Road in alluminio 7075-T6, materiale che fornisce grande resistenza strutturale anche con un peso davvero contenuto. 

Prezzo: per il disco con diametro 140 millimetri è di 69 euro (IVA esclusa). Mentre per il modello con diametro da 160 millimetri 72 euro (IVA esclusa).

Galfer

Tour, cade il tabù. Un Milan gigante nell’analisi dello “zio” Elia

12.07.2025
7 min
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Sono le 17,16 quando Jonathan Milan taglia il traguardo di Laval e fa l’inchino per celebrare la vittoria. Nello stesso istante, sul suo letto di Livigno Elia Viviani fa un salto come se avesse vinto lui. La terza volata del Tour parla italiano e arresta il conto dell’astinenza. Dopo Nibali a Val Thorens nel 2019, ecco il Toro di Buja in questa città anche carina ma in mezzo al nulla, fra Rennes e Le Mans.

«Secondo me – dice Elia – oggi tutto il gruppo aveva bisogno di una calmata. C’è stata la fuga dei due TotalEnergies, ma non era una volata semplice. Comunque la strada tirava in su, ho visto un bel po’ di gambe “craccare”. Ne servivano tante per vincere, non era uno sprint di posizione. E Johnny ha fatto vedere che le gambe le aveva perché ha fatto un bellissimo lavoro. Consonni e Stuyven lo hanno aiutato, però negli ultimi 700 metri si è destreggiato da solo. Non è stata la volata servita su un vassoio, non l’hanno portato ai 100 metri. Ho visto un Johnny che l’ha voluta, se l’è cercata, anche dando una spallata al corridore della Israel. Un segnale di maturità. Nel momento in cui si è alzato in piedi per partire, s’è riseduto perché ha visto che era lungo ed è ripartito al momento giusto. E’ una volata che incorona Johnny come sprinter».

Dopo i campionati italiani, Viviani è salito a Livigno, lavorando per Polonia e Vuelta
Dopo i campionati italiani, Viviani è salito a Livigno, lavorando per Polonia e Vuelta

Lo sprint ritardato

Sono le 17,35 quando Jonathan Milan arriva nella zona delle flash interviews. E’ frastornato e felice, fatica quasi a trovare le parole, ma quando parla appare maturo come un condottiero navigato. Se ci pensi, pur avendo appena 24 anni, è un campione olimpico e mondiale su pista, ha vinto volate da tutte le parti. Milan sulla bici ha smesso di essere ragazzino già da un pezzo.

«Penso di non aver ancora capito – dice – che cosa abbiamo fatto. Arrivare con alcune aspettative e sogni da portare a casa e riuscirci sono due cose diverse. Ero fiducioso perché nella volata precedente ci siamo arrivati vicini (secondo dietro Merlier nella terza tappa, ndr). Sapevamo di essere partiti troppo presto, ma oggi eravamo davvero concentrati. I miei ragazzi hanno fatto un lavoro straordinario. E’ stato un finale davvero stressante, non me l’aspettavo. Abbiamo rimontato nell’ultimo chilometro e mezzo, poi ho dovuto aspettare il più a lungo possibile. Ce lo meritiamo, il livello è alto. Vincere con questa maglia verde sulle spalle significa molto per me e penso anche per tutto il mio Paese».

Milan ha atteso prima di lanciarsi, quando ha capito di essere ancora lungo. Poi non ha concesso scampo
Milan ha atteso prima di lanciarsi, quando ha capito di essere ancora lungo. Poi non ha concesso scampo

La fiducia in Milan

Sono le 17,45 e Viviani va avanti. Oggi si è goduto il giorno di riposo. Prima ha seguito il Giro Women in cui sta correndo sua moglie Elena Cecchini, nel giorno dell’impresa di Elisa Longo Borghini. Poi è passato al Tour e all’osservazione tecnica di un finale che tanto lineare non è stato.

«Non erano in tanti come al solito – osserva – mancava anche Theuns. Probabilmente, come pure la Alpecin, hanno speso gli uomini nella parte precedente che era parecchio caotica. Consonni è stato bravo a tornare e dare un ultimo aiuto, visto era già indietro di 2-3 posizioni. Hanno lavorato bene perché non hanno mai perso fiducia nelle capacità di Johnny. Non si sono chiesti nulla, hanno continuato nel loro cammino. Non sarebbe stato giusto avere mancanza di fiducia, ma è ovvio che ci fosse rammarico per la prima tappa con la maglia gialla in palio. Ho avuto anch’io l’occasione di fare un Tour che si apriva con una volata e ha vinto quello che nessuno si aspettava. La squadra è tra le due migliori al mondo, Guercilena ha fatto un lavoro super. Mi ricorda lo spirito della Quick Step quando c’ero io. Jonny sente la pressione di dover fare bene perché Pedersen ha dominato il Giro e lo rifarà alla Vuelta. E’ un sistema che sta girando bene».

Milan è benvoluto da tutti i compagni: merito anche e soprattutto della sua educazione
Milan è benvoluto da tutti i compagni: merito anche e soprattutto della sua educazione

La commozione di Consonni

Sono le 17,50 e Consonni ha lo sguardo commosso e stralunato. Il suo lavoro, come quello di Lamon nel quartetto, è spesso oscuro. Ma se qualcosa non va, spesso si punta il dito. Perché lo ha lanciato male, perché non c’era, perché la gente punta il dito soprattutto quando non capisce.

«Quando metti tanto lavoro in quello che fai e poi arriva – dice – anche se si tratta solo di una corsa di bici, è veramente una soddisfazione incredibile. Avevamo un po’ di amaro in bocca dopo il primo sprint, però oggi abbiamo tirato fuori gli attributi. Nella terza tappa mi sono fatto prendere dall’emozione, oggi siamo stati davvero una squadra. Mi sembra di tornare nel mio quartetto, che se uno non riesce a fare il suo lavoro, c’è sempre un altro pronto a rimpiazzarlo affinché da fuori non si veda nulla. Oggi è stato un finale incredibilmente caotico, ma sapevamo che Johnny su certe volate di gamba è davvero imbattibile».

Il ruolo di Consonni rischia di essere sottovalutato, per questo Viviani ha acceso i riflettori
Il ruolo di Consonni rischia di essere sottovalutato, per questo Viviani ha acceso i riflettori

Lo “zio” Elia e i suoi nipoti

Intano sono le 18. Lo “zio” Elia vede i nipotini vincere ed ha il tono partecipe e orgoglioso. La sua analisi continua e si attacca proprio alle parole di Consonni, perché è facile esaltare Milan senza vedere ciò che accade nella sua ombra gigantesca.

«Cerco sempre anche di valorizzare quello che fa “Simo” – dice – è facile dire che Johnny è stato grande, perché è così. Ma Simone è uno che poteva fare risultato, invece ha deciso di sacrificarsi per gli altri e si è rimboccato le maniche. Ero qua in altura con lui prima dell’italiano, perché è venuto a fare una settimana in più rispetto al ritiro della squadra. Era concentrato come e più di un leader, quindi è ovvio che mi piaccia valorizzare il lavoro che fa. E’ bello vederli amalgamati. Come ho detto il giorno dopo che hanno vinto l’oro olimpico a Tokyo, quella medaglia li legherà per sempre. Sono come fratelli, quindi è normale che vederli vincere mi faccia felice. Oltre al fatto che l’Italia ne aveva davvero bisogno. E poi motiva anche me. Spengo la tivù e dico che voglio farlo anche io. E mentre parliamo sento le notifiche dei mille messaggi sulle nostre chat e scommetto che i primi a scrivere sono i ragazzi dello staff, perché la famiglia è composta anche da loro».

La Lidl-Trek oggi era tutta per Milan: Quinn Simmons ha fatto la sua parte in testa al gruppo
La Lidl-Trek oggi era tutta per Milan: Quinn Simmons ha fatto la sua parte in testa al gruppo

Pogacar e la verde

Sono le 18,09, la conferenza stampa serve a ripetere quel che ha detto alle flash e poi nella zona mista. Gli chiedono se il treno abbia lavorato bene o male e lui ripete quel che ci aveva detto prima che il Tour partisse, sulla capacità di scambiare i ruoli. Ma per il resto, niente di nuovo: forse ha davvero ragione Quinn Simmons sulla ripetitività delle domande dopo gli arrivi.

«Abbiamo imparato dagli errori – dice Milan – e aspettavamo con ansia la tappa, non vedevamo l’ora. Ci siamo meritati la vittoria, per cui ora ce la godremo, ma pensando che domani potremmo rifarlo ancora.  E poi c’è la maglia verde. Pogacar può essere un vero rivale, ma penso che avrò altre occasioni per fare punti. Cercherò di farne più possibili, e poi vedremo a Parigi come andrà a finire. La maglia verde è un obiettivo per la mia squadra, ma vivrò tappa per tappa». 

La classifica a punti resta un obiettivo da vivere molto alla giornata
La classifica a punti resta un obiettivo da vivere molto alla giornata

Un leader che sa dire grazie

Sono le 18,15 quando salutiamo Viviani. Il tempo di farci spiegare il rientro al Polonia e poi alla Vuelta e la chiusura la dedichiamo a Milan, che nello stesso tempo sarà stato portato all’antidoping e poi finalmente riprenderà la via del pullman.

«Uno così – dice Viviani – non spacca le squadre, non se la tira. E’ giovane, ma con dei sani principi ed è… cazzuto su quello che vuole. Mi immagino che anche quando hanno sbagliato le prime due volate, avrà avuto il suo sfogo, ma poi si è concentrato sull’occasione successiva. Ha carattere. A volte sbotta, però è un giovane di sani principi, è educato e sa benissimo che per vincere gli sprint ha bisogno degli altri. E’ un leader che gratifica chi lavora per lui. Alla fine, la Lidl-Trek che mette a tirare Quinn Simmons già dà un segnale di che qualità ci sia in squadra. E al Tour sono tutti per Milan».

Tricolori donne a Boario Terme. Viviani, che cosa ricordi?

24.06.2025
5 min
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Boario Terme, 2018. Si corrono i campionati italiani per professionisti e Elia Viviani conquista una delle vittorie principali della sua carriera. Sono passati sette anni da allora, fatti di grandi gioie e qualche delusione, ma il ricordo di quella giornata è ancora vivido, come se fossero passate sole 7 ore. Ora su quello stesso percorso toccherà alle donne gareggiare.

La gara lombarda fa anche parte della Coppa Italia delle Regioni 2025, il nuovo progetto voluto dalla Lega del Ciclismo Professionistico e promosso con la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome. Sulla prova tricolore femminile è stato fatto un forte investimento che passa anche per la diffusione in diretta su Rai 2 delle sue immagini, con costi sostenuti direttamente dalla Lega, per dare ulteriore visibilità a un evento che quest’anno assume una particolare rilevanza, esattamente come la gara maschile del giorno dopo da Trieste a Gorizia.

Elia sarà fra i protagonisti in terra giuliana, ma la sua conoscenza del percorso riservato alle donne può rivelarsi preziosa anche perché sua moglie Elena Cecchini, che a Darfo Boario Terme vinse nel 2016, sarà fra le protagoniste. Quindi i supi consigli sono davvero bene accetti.

Lo sprint finale di Viviani a Darfo Boario Terme, dove mette in fila Visconti e Pozzovivo
Lo sprint finale di Viviani a Darfo Boario Terme, dove mette in fila Visconti e Pozzovivo

La scelta di tempo

«Sicuramente è un percorso d’attacco – esordisce l’olimpionico di Isola della Scala – nel senso che io quella volta ero riuscito a muovermi dal gruppo e ad entrare in un’azione corposa e importante, essendo di 7-8 corridori che poi si sono aggiunti a quelli che erano in fuga dall’inizio. Si era formato così un gruppo corposo difficile da raggiungere e io ero lì.

«Mi ricordo di aver avuto un tempismo giusto nel muovermi in pianura prima dello strappo duro, prevenendo così l’azione di chi andava più forte in salita. Poi c’è stato l’ultimo giro, molto tattico, dove in pianura aveva provato Pozzovivo ad anticipare tutti, io mi sono mosso con Oss e Visconti che sullo strappo era il più forte e infatti ci ha ripreso a me e Pozzo. Diciamo che il mio è stato un campionato vinto tatticamente, scegliendo con cura il momento dell’attacco. Se fossi arrivato con quel gruppetto ai piedi dello strappo, probabilmente Visconti sarebbe arrivato da solo e avrebbe vinto il suo terzo titolo italiano. Arrivando con loro due ero il più veloce».

Per Viviani su quel percorso è importante la scelta di tempo per portare l’attacco decisivo
Per Viviani su quel percorso è importante la scelta di tempo per portare l’attacco decisivo

Un percorso per puncheur

Qual è il punto che ricordi particolarmente, a parte l’arrivo? «Proprio il momento che ho attaccato. Non avevo più compagni che potessero aiutarmi nel tenere la corsa, così ho deciso di scattare. Sembrava un po’ un’azione folle, ma invece si è rivelata vincente».

E’ un percorso dove è difficile dire se sia per velocisti, per scattisti, per scalatori…: «E’ facile dire è un percorso per scattisti, per i famosi puncheur, atleti che in salite corte possono attaccare, sono esplosivi, perché comunque serve un po’ di sprint anche lungo il tracciato. Io dico che è un percorso per coraggiosi, perché Elena aveva vinto sullo stesso percorso, andando via da sola e alla fine arrivando a braccia alzate. Quindi diciamo che per vincere devi osare, devi muoverti, quindi non me la sento di dire che è un percorso velocissimo, è difficile che arrivo un gruppo folto, devi essere in grado di stare con 10-15 corridori».

Sul percorso dei tricolori di sabato, Elena Cecchini ha vinto il suo terzo titolo nel 2016
Sul percorso dei tricolori di sabato, Elena Cecchini ha vinto il suo terzo titolo nel 2016

Tutte contro la Longo Borghini?

Spostando un attimo l’attenzione sulla gara femminile, la maggior parte delle atlete sono di squadre WorldTour ma per questo hanno poche possibilità di collaborazione. A Elena che cosa consiglieresti? «Sicuramente di essere furba, di muoversi nelle azioni giuste. Sappiamo tutti chi è la favorita, la Longo Borghini. E’ quella più competitiva a livello mondiale, quindi è anche quella che ha vinto più italiani negli ultimi anni. Direi di essere coraggiosa e di entrare in un’azione per farsi trovare già avanti nel momento in cui probabilmente la Longo attaccherà. Per caratteristiche su quel percorso vedo bene la Persico, ma essendo compagna di team di Elisa bisognerà vedere come si gestiranno».

«E’ una gara aperta, sicuramente. Tornando a Elena, le consiglierei di ricordare come ha vinto i suoi tre titoli italiani consecutivi, con azioni lontane dall’arrivo per poi gestirle tatticamente e cercare di farsi trovare già davanti».

A Darfo Boario Terme la Longo Borghini andrà a caccia della sesta maglia tricolore in linea
A Darfo Boario Terme la Longo Borghini andrà a caccia della sesta maglia tricolore in linea

Si vince soprattutto di testa

In campo femminile c’è qualche squadra appunto a livello Continental, ma diciamo i nomi principali sono tutti in squadre estere. E’ una corsa diversa dalle altre da questo punto di vista? «Sì, è sempre un campionato italiano, è una gara dove è sempre difficile dire a degli atleti di sacrificarsi per i propri compagni, perché tutto può succedere e comunque ognuno può giocare le sue carte, soprattutto se il percorso è così. Sicuramente una corsa diversa, è una corsa dove è facile perdere il controllo perché non è detto che ci sia una squadra che gestisce la corsa fino al momento clou. Secondo me l’italiano è una gara dove si vede anche la qualità di un corridore, di gambe ma soprattutto di testa».

E si cercano anche alleanze? «E’ ovvio che dopo c’è il gioco delle amicizie, delle conoscenze, proprio per supplire a una situazione anomala. Le alleanze probabilmente si cercano nelle situazioni di gara, nel senso che un attacco lontano dall’arrivo viene condiviso, pensato anche da corridori di team diversi perché c’è un’idea che collima. Vedo un attacco da 10-12 corridori dove ci si guarda un po’ in faccia, si fa la conta di chi manca, “dai che andiamo, che ce la giochiamo noi” perché non ci sono ordini di squadra.

E’ una cosa secondo me che viene con la corsa, nel senso che in base a come si evolve la gara ci possono essere degli atleti che comunque hanno un interesse comune. E questo vale anche per le ragazze, ancor di più su quel percorso così intrigante…».

Gran finale a Roma e Viviani ci porta nel fascino dell’ultima volata

01.06.2025
5 min
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Per il terzo anno consecutivo, Roma aspetta il Giro d’Italia. L’ultima tappa di un Grande Giro ha sempre un fascino particolare. Se guardiamo il tutto dalla prospettiva del ciclista, soprattutto del velocista, vincere le altre frazioni conta tantissimo, ma l’ultima è speciale. Ha qualcosa in più e per arrivarci, tanti stringono i denti. Pensate a coloro che stanno affrontando l’ultima settimana del Giro d’Italia fra salite lunghissime e pendenze da incubo, senza prospettive di classifica e di vittoria in queste frazioni riservate a scalatori e a chi punta alla classifica (Pedersen e Groves, per esempio) pensando solo all’ultima volata, quella di Roma: quella odierna.

Viviani svetta al traguardo finale di Madrid alla Vuelta 2018, battuti Sagan e Nizzolo
Viviani svetta al traguardo finale di Madrid alla Vuelta 2018, battuti Sagan e Nizzolo

Perché c’è sempre tanta attesa per l’ultimo traguardo? Elia Viviani ne ha vissuti ben 11 (6 al Giro, 3 al Tour, 2 alla Vuelta) e proprio nella corsa spagnola si è anche aggiudicato la frazione finale, quella di Madrid nel 2018. «Ma il mio grande rammarico – ammette – è stato non esserci riuscito a Roma, lo stesso anno, battuto da Sam Bennett. Quello è stato il mio anno speciale, al di là dei risultati olimpici. E vincere a Roma è stata l’unica cosa che mi è realmente mancata».

Perché l’ultimo traguardo è così speciale?

E’ l’obiettivo di tutti, ha qualcosa in più perché ha realmente il sapore della conquista. E’ l’ultimo giorno, significa che ci sei arrivato, che hai superato indenne le durissime tre settimane. Arrivare alla fine è l’obiettivo che unisce tutti, il primo come l’ultimo della classifica. Poi, per il velocista, ha qualcosa in più, perché se vinci sei parte della festa finale, di quel podio dove ci sono tutti i migliori, in un’atmosfera unica, in uno scenario clamoroso, che sia a Roma, a Parigi, a Madrid.

Lo sprint di Roma al Giro 2018, Elia è tutto sulla destra, al centro strada Bennett mette la ruota davanti
Lo sprint di Roma al Giro 2018, Elia è tutto sulla destra, al centro strada Bennett mette la ruota davanti
La volata finale in che cosa cambia rispetto alle altre?

E’ profondamente diversa da quelle d’inizio Giro. Innanzitutto perché molti velocisti te li sei persi per strada, è sempre così e già per questo sai di essere stato bravo ad arrivarci. Ma fisicamente non sei più quello di tre settimane prima, hai perso molta esplosività, hai meno chilogrammi di peso e anche i muscoli si sono consumati. Diciamo che agli inizi si parte davvero tutti alla pari, alla fine bisogna supplire con altro, con il mestiere.

Tecnicamente la costruzione dello sprint cambia?

Non tanto, si lavora sempre con il treno che ti porta fino alle battute finali. Cambiano i componenti, però in effetti c’è qualche cosa di diverso. L’importanza di quel traguardo stravolge un po’ le gerarchie in squadra, ecco quindi che magari vedi la maglia gialla del Tour che si mette a tirare per lo sprinter. Un po’ come come successe a Cavendish con Thomas, suo grande amico che due anni fa gli ha fatto da ultimo uomo.

Il passaggio di Montmartre (qui ai Giochi 2024) cambia l’ultima tappa del Tour 2025: volata addio?
Il passaggio di Montmartre (qui ai Giochi 2024) cambia l’ultima tappa del Tour 2025: volata addio?
Che cosa ricordi della volata vittoriosa di Madrid?

Non tutto funzionò alla perfezione. Il treno si era sfaldato anzitempo e mi ritrovai a dover lanciare la volata da lontano. Riuscii in una grande rimonta e ricordo che il primo pensiero fu alla scommessa che avevo fatto con Lefevere: il giorno del secondo riposo mi aveva promesso che se avessi vinto a Madrid mi avrebbe lasciato libero per il resto della stagione, significa che potevo chiudere anzitempo. Era stata una stagione tanto bella quanto stressante, quella vittoria fu la ciliegina sulla torta. Poi fu emozionante salire sul podio, io insieme a coloro che aveva conquistato le maglie, con i fuochi d’artificio tutti intorno. Fu davvero magico.

Ora nell’ambiente si discute sulla scelta degli organizzatori del Tour d’inserire per tre volte la salita di Montmartre nella tappa finale, si dice che la corsa perde fascino…

E’ vero, a me l’idea non piace e spero che sia solo per quest’anno, per celebrare le Olimpiadi della scorsa stagione. Potevo essere d’accordo nel prevedere un passaggio prima dell’ingresso nel circuito finale, ma così il significato della corsa viene svilito. So che i corridori non sono contenti, in gruppo se ne parla. Così si cerca di far emergere i corridori da classiche, ma la tappa finale era altro. Inoltre, pochi hanno evidenziato il fatto che così la frazione diventa più pericolosa, tutti vorranno stare davanti e aumenta il rischio di cadute. Figurarsi poi se malauguratamente dovesse piovere…

Per Viviani si profila un’intensa estate, con il ritorno alla Vuelta Espana all’orizzonte
Per Viviani si profila un’intensa estate, con il ritorno alla Vuelta Espana all’orizzonte
Ora dove ti vedremo?

Ho finito il mio primo blocco di gare a Dunkerque. Ora sto rifiatando e preparando il secondo blocco con una corsa il 15 giugno in Olanda e il 22 la nuova classica del WorldTour a Copenaghen, città dove sono stato spesso per i mondiali su pista e che amo particolarmente. Ci tengo a esserci e a fare la mia figura su quelle strade. Poi c’è il campionato italiano e una serie di gare che dovrebbero portarmi nelle condizioni migliori alla Vuelta, dove chissà che non possa replicare la gioia di Madrid…

L’urlo di Viviani fa tremare Cesme. E adesso si riparte

03.05.2025
6 min
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CESME (Turchia) – Le linee che demarcano le postazioni di fotografi, massaggiatori e giornalisti sono abbastanza vicine all’arrivo: per questo l’urlo che lancia Elia Viviani fa quasi spavento. E’ forte, potente. Uno sfogo… se vogliamo. E forse lo è.

Il corridore della Lotto torna alla vittoria. E’ la sua prima del 2025, nonostante abbia appena pochi giorni di corsa nelle gambe.


Era un arrivo tecnico: mentre aspettavamo la corsa, tra di noi pensavamo: «Vedrai che in un arrivo così, Viviani lascia il segno. Sicuramente se lo sarà studiato bene». Una lunga semicurva verso destra, ultimi 100 metri al 2 per cento, vento contrario leggermente di traverso. Sprint da gambe, ovvio, ma anche da testa. E la testa il campione olimpico di Rio 2016 su pista ce l’ha. L’ha sempre avuta.

Anche oggi strade di incredibile bellezza. E che vento… Da segnalare nella fuga di giornata la presenza di Valerio Conti
Anche oggi strade di incredibile bellezza. E che vento… Da segnalare nella fuga di giornata la presenza di Valerio Conti

Una corsa a tappe per Elia

E così quell’urlo ha messo tutto a posto. I nostri pensieri e soprattutto quelli di Viviani. Giusto ieri ci aveva detto che aspettava le ultime due frazioni per fare qualcosa. Che il giorno di riposo forzato, dovuto all’annullamento della tappa per pioggia in questo “blocco di lavoro”, non lo aveva gradito tantissimo.

«Sono qui per fare volume e magari è stata un’occasione in meno. Avevo proprio bisogno di questi sette-otto giorni di gara. Conto di buttarmi nella mischia sabato e domenica. Che poi sia per il quarto, quinto, sesto o primo posto lo vediamo: sappiamo che le volate sono caotiche, però voglio sprintare, voglio esserci, farle».

Per Viviani una grande intesa con De Buyst ma anche con gli altri ragazzi. Abbiamo visto come lo hanno cercato dopo il traguardo
Per Viviani una grande intesa con De Buyst ma anche con gli altri ragazzi. Abbiamo visto come lo hanno cercato dopo il traguardo

E le ha fatte: novantesima vittoria. L’89ª risaliva addirittura all’ottobre 2023. Troppo per un campione del suo calibro. Dopo l’arrivo, l’abbraccio con i nuovi compagni è sincero, forte… Viviani si è accasato bene.

E che sia davvero un grande del ciclismo, lo si capisce anche dal fatto che prima di salire sul podio, nel dietro le quinte, persino i giudici dell’UCI vanno a congratularsi con lui. Un grosso signore turco, al via in un inglese stentato, gli aveva detto che era una leggenda. Insomma, questo Viviani è davvero internazionale.

Una foto particolare della volata. Gli ultimi 100 metri tiravano molto. Azzeccare il rapporto era vitale (foto Instagram – Frontset)
Una foto particolare della volata. Gli ultimi 100 metri tiravano molto. Azzeccare il rapporto era vitale (foto Instagram – Frontset)
Elia, che urlo! Ma soprattutto che vittoria…

Sono felice, ci voleva…

Che sprint è stato?

Con Jasper De Buyst, uno dei migliori apripista al mondo, sapevamo che c’era vento contro e anche che l’arrivo tirava un po’ in su. Quando lui è partito ai 500-600 metri ho pensato: «Ecco, siamo lunghi». Quando mi hanno anticipato, mi sono impanicato un attimo e ho pensato che fossero andati via. Però appena ho preso velocità in scia ho capito che ancora potevo saltarli sulla sinistra.

Anche perché c’era un po’ di vento contro e stare coperti fino alla fine non era male, forse?

Diciamo che mi sono reso conto proprio negli ultimi 100 metri che ancora era fattibile, perché all’inizio sembrava che loro avessero più gambe. Ma poi ho visto che la velocità non scendeva.

Abbiamo dato una sbirciata alla tua bici: era un setup apposito per questa tappa?

No, uso spesso la corona piena da crono, che è più aero, da 55 denti. Da quest’anno uso sempre il 55 perché comunque le velocità sono sempre più alte e mi piace andare un po’ agile. Dietro ho sempre la cassetta 11-34. Le ruote di oggi sono le Zipp 454, giuste per ogni terreno: non troppo veloci ma neanche troppo leggere. Un buon compromesso.

Cosa ti è passato per la testa quando hai tagliato per primo quella linea?

Quello che avevo in testa era ciò che ho detto qualche giorno fa: dovevo fare una corsa a tappe per riuscire ad elevare la mia condizione. Ieri ho detto che vorrei finire in crescendo qui per poi continuare a fare bene a Dunkerque. Ci sono tante occasioni nei prossimi dieci giorni per me. Rompere il ghiaccio sembra sempre la parte più difficile, quindi bisogna continuare ad essere forti con la testa, crederci… ma con la consapevolezza che ci sono degli step da rispettare.

La Orbea Orca di Viviani: ruote alte ma non altisisme (da 454 mm), pedivelle da 172,5 mm, tubeless da 28 mm, manubrio con attacco da 140 mm e largo 38 cm. Massimo rapporto 55×11
La Orbea Orca di Viviani: ruote alte ma non altisisme (da 454 mm), pedivelle da 172,5 mm, tubeless da 28 mm, manubrio con attacco da 140 mm e largo 38 cm. Massimo rapporto 55×11
Ci hai detto di De Buyst, ma nel finale vi abbiamo visti lavorare compatti…

E’ ovvio che i meccanismi di un lead-outing perfetto sono sempre da oliare. Abbiamo Joshua Giddings, che è un ragazzo giovane, davanti a De Buyst. Jasper può fare due tipi di lead-out: uno da solo, quindi mettermi in una posizione migliore, oppure un lead-out perfetto seguendo i nostri compagni. Ci stiamo lavorando, ma visto che il tempo non è molto, ci buttiamo negli sprint in due, senza articolare un vero treno.

Perché?

Per essere sicuri di fare la volata, che è quello che voglio in questo momento. Non abbiamo tempo per provare meccanismi e aspettare che vadano bene.

Ecco, provare meccanismi… però tu sei Viviani: sei arrivato qui in questa squadra e, in qualche modo, l’hai presa in mano. Come sta andando con la Lotto?

Sicuramente la squadra, se mi ha preso in quel momento, aveva bisogno di ragazzi di esperienza. E’ un gruppo giovanissimo, tantissimi arrivano dal devo team della Lotto e devono fare esperienza. A ogni gara abbiamo uno della continental, quindi è segnale che vogliono integrare i giovani nel gruppo professional. E’ vero, siamo in un anno in cui Lotto sta soffrendo un po’. Negli anni scorsi hanno messo al sicuro la licenza WorldTour e adesso stanno un po’ rifondando la squadra. Ma sono sicuro che si troverà la via giusta. Van Eetvelt è il faro che sta tenendo bene il gruppo. Ho vissuto situazioni simili anche in altre squadre: quando arrivano le vittorie e si rompe il ghiaccio, poi tutta la squadra va dietro.

Viviani ha preceduto Kristoff e Davide Persico. Nella generale guida sempre Poels con 16″ sul compagno Lopez
Viviani ha preceduto Kristoff e Davide Persico. Nella generale guida sempre Poels con 16″ sul compagno Lopez
Ieri parlavamo del ritmo gara che ti mancava. Quanto è difficile trovarlo?

Molto, per questo volevo fare una corsa a tappe. Allenarsi e poi fare una corsa ogni dieci giorni non poteva essere sufficiente specie dopo un inverno così particolare. A me serve correre e questa gara spero mi farà bene. Per me è impensabile fare come i giovani di oggi che non gareggiano per mesi, arrivano e vanno forte. Non lo è mai stato, figuriamoci ora a 36 anni.

Elia, quali sono i tuoi programmi da qui in avanti?

Dopo questo Presidential Tour of Turkey andrò a Dunkerque. Sia io che la squadra vogliamo vedermi davanti. Vogliamo vedere qualche bell’ordine d’arrivo, quindi andare vicino alla vittoria nei prossimi dieci giorni sarà importante. A Dunkerque ci sono molti sprinter, è importante mandare qualche segnale. Poi seguiranno altre gare. Per il resto della stagione vedremo. Farò delle corse di un giorno in vista del campionato italiano. Arnaud De Lie è l’atleta di riferimento della Lotto per il Tour, quindi al momento è più Vuelta che Tour.

Possiamo dire che il peggio è alle spalle?

Sì, assolutamente.

E per il 2026?

State guardando troppo avanti!