Tour de France 2024, Pascal Ackermann

Firma con la Jayco e Ackermann cambia (finalmente) vita

05.11.2025
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E’ l’ultimo arrivato in casa Jayco-AlUla. Dopo un 2024 da dimenticare con un solo successo e troppe cadute, Pascal Ackermann va a caccia di una seconda giovinezza nel team australiano. Per raccogliere qualche successo negli sprint, Brent Copeland e il suo staff hanno deciso di puntare sull’esperto trentunenne tedesco, già campione nazionale e capace di conquistare la maglia ciclamino al Giro 2019. 

Pascal ringrazia e, mentre si prepara a diventare papà, comincia a pensare come sarà la nuova avventura che l’aspetta. E sta volutamente alla larga dagli ultimi mesi difficili alla Israel per la situazione extra ciclismo che ha costretto la vecchia proprietà del team a fare un passo indietro e spinto molti corridori a cercare fortuna altrove.

Tirreno Adriatico 2025, Pascal Ackermann
La firma con la Jayco-AlUla solleva Ackermann da problemi di ordine sportivo ed extra sportivo
Tirreno Adriatico 2025, Pascal Ackermann
La firma con la Jayco-AlUla solleva Ackermann da problemi di ordine sportivo ed extra sportivo
Cosa ti aspetti da questa nuova sfida?

Sono super, super felice di essere qui. Quando in estate ho saputo che avrei potuto entrare a far parte di questa squadra, ci sono stati altri incontri e mi sono incuriosito sempre di più. Quando ero ragazzino, infatti, la Mitchelton-Scott era uno squadrone e un grande progetto, che ho sempre seguito. Per cui, non vedo l’ora di cominciare.

Che cosa ti ha colpito al primo impatto?

Penso di essere nella squadra giusta per me e sono convinto di avere grandi compagni di squadra. Siamo un bel mix di corridori, tra esperti e giovani e combatteremo insieme. Sono davvero su di giri e abbiamo un sogno comune che ci piacerebbe centrare: vincere una tappa al Tour de France per completare la mia personale tripla corona, così da regalare una gioia al team.

Ritroverai Michael Matthews: come sarà?

Quando ero giovane, Michael era un avversario ostico per me, ma poi lui ha puntato corse un po’ più dure, mentre io ho optato per quelle pianeggianti. Formiamo una bella coppia e credo che correndo insieme possiamo essere competitivi su tutti i terreni. Spero di imparare qualcosa da lui, perché è davvero un modello da seguire

Che ne pensi dei tuoi nuovi compagni?

Essendo l’ultimo arrivato, non ho parlato molto coi miei nuovi compagni, anche se conosco qualcuno di loro. Ad esempio, Covi era con me alla UAE. Il ciclismo alla fine è un po’ come una grande famiglia ed è sempre bello ritrovare qualcuno con cui hai già corso.

Quanto è stato duro per te il 2025?

Non voglio parlare della parte non sportiva, ma potete immaginare quanto sia stato difficile anche quell’aspetto. In generale, la mia stagione non è stata un granché perché sono caduto male subito ad inizio stagione in Provenza. Ci sono voluti due mesi per tornare in forma, poi mi sono fatto male, sono rientrato e sono caduto di nuovo: insomma, un calvario. Sono riuscito ad essere al via del Tour, ma le tre cadute nelle otto settimane di preparazione diciamo che non sono state il massimo, per cui non sono riuscito a ritornare a un buon livello. A quel punto, ho rallentato il ritmo e ho cominciato a pensare al 2026.

Obiettivi?

Con la squadra non abbiamo ancora fatto programmi specifici, anche se abbiamo parlato di quali potrebbero essere gli obiettivi plausibili e le corse che mi piacerebbe fare. Mi auguro di essere al via del Tour e poi chissà. Sinceramente, mi sento più da Grandi Giri, anche perché oramai nelle classiche ci sono anche gli scalatori o fenomeni alla Pogacar, che rendono la corsa difficilissima. Al massimo potrei puntare a qualche corsa di un giorno in Belgio, come la Gent-Wevelgem.

Giro d'Italia 2019, Pascal Ackermann
Al Giro 2019, Ackermann vince a Fucecchio e Terracina e porta a casa la maglia ciclamino
Giro d'Italia 2019, Pascal Ackermann
Al Giro 2019, Ackermann vince a Fucecchio e Terracina e porta a casa la maglia ciclamino
Il tuo augurio?

Già non avere infortuni e non cadere tutte le volte come quest’anno sarebbe un buon inizio. Voglio tornare ad alzare le braccia al cielo. Aver conquistato la maglia ciclamino al Giro d’Italia rimane il ricordo più bello della mia carriera, insieme alle singole vittorie di tappa nei Grandi Giri. Così come essere stato campione nazionale. Ogni vittoria però è speciale di per sé perché ha dietro una storia.

Il programma per le prossime settimane?

Starò a casa in Austria, dove vivo da 7 anni. Lì è bello perché mi trovo ai piedi delle montagne, per cui ogni giorno posso decidere se fare pianura o cimentarmi in qualche salita. Poi, quando non pedalo, adoro pescare. Viviamo molto vicino a un lago e quando riesco vado. Quest’autunno però mi sa che sarà un po’ più difficile, perché sta per nascere nostra figlia, dunque, preferisco stare vicino a mia moglie. 

Tour of Guangxi, Paul Double, Jasha Sutterlin

Copeland a piene mani nella rifondazione della Jayco-AlUla

21.10.2025
6 min
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Guai ad accontentarsi nel ciclismo moderno. Lo sa bene Brent Copeland, che gira nell’ambiente oramai da più di 26 anni dopo essere sceso di sella nel 1999. Gli sponsor vogliono risultati. Le squadre si fondono e non sempre gli investimenti fatti a tavolino portano agli obiettivi sperati una volta che si è su strada.  Il general manager della Jayco-AlUla non si nasconde dietro a un dito. Nei giorni scorsi ha applaudito il successo nella classifica generale al Tour of Guangxi di Paul Double (in apertura), ma rimane coi piedi per terra.

«E’ stata una stagione decente – ammette Copeland, prima di riavvolgere il nastro – ma potevamo fare meglio. Abbiamo vinto la tappa regina del Giro d’Italia con Chris Harper e poi fatto altrettanto con Ben (O’Connor, ndr) al Tour de France. A fine stagione però, ti viene sempre da pensare che forse avresti potuto fare qualcosa in più. Anche perché le aspettative all’inizio dell’anno sono sempre molto più alte di quello che si riesce a ottenere. Forse, gli unici casi che rappresentano l’eccezione dell’equazione sono la UAE di quest’anno (96 sigilli, ndr) o la Visma del 2023 che ha vinto quasi 70 corse (69 le affermazioni dei calabroni due anni fa, ndr) più tutti e tre i Grandi Giri».

Al timone del team australiano dall’estate 2020, Copeland si aspettava qualche fiammata in più dai suoi ragazzi e lo dice senza remore. «Vedendo la squadra di quest’anno con O’Connor, Matthews, Dunbar, Zana, Schmid – aggiunge Copeland – avevamo almeno 7-8 corridori capaci di vincere, ma non tutti loro hanno lasciato il segno. Guardando la classifica a squadre, siamo al 18° posto: non è la posizione che ci compete. Dovremmo essere quantomeno in top 10 per quello che abbiamo investito e per le energie che ci abbiamo messo». 

Brent Copeland, visite mediche Jayco-AlUla, Torino 2025
Brent Copeland ha preso il comando del Team Jayco-AlUla nell’estate del 2020, in pieno Covid
Brent Copeland, visite mediche Jayco-AlUla, Torino 2025
Brent Copeland ha preso il comando del Team Jayco-AlUla nell’estate del 2020, in pieno Covid

Un tetto per i budget

La filosofia per il 2026 cambia. L’obiettivo è che qualche promessa diventi realtà con la speranza più allargata che si trovi un equilibrio. Il 2025 è stato dominato dal UAE Team Emirates-XRG, forte del budget e un vero e proprio Dream Team attorno al fenomeno Tadej Pogacar. Da presidente dell’AIGCP (Associazione Internazionale Gruppo Ciclisti Professionisti), Copeland rincara la dose. «Bisognerebbe parlarne di più di questa tendenza. Potrebbe portare all’esplosione della bolla se non si istituisce, ad esempio, per un tetto per il budget di ciascuna squadra. Se non si interviene, il gap crescerà ancora, ci sarà meno incertezza e il rischio è che ne vada della spettacolarità del nostro sport». 

Copeland se ne intende . Oltre a gestire anche il team femminile della Liv AlUla-Jayco, in passato ha seguito il centauro Ben Spies in MotoGp. «In questo momento, i migliori team hanno un budget del 100 o del 200 per cento superiore rispetto alle squadre intermedie. E queste a loro volta hanno molta più disponibilità di quelle più piccole. Questo sistema non funziona e andrà sempre peggio se non lo regoliamo in qualche modo. Tetti salariali, limiti al budget complessivo delle squadre, altri interventi: qualcosa dev’essere fatto. Se il nostro sport diventa meno combattuto, perderemo tv, sponsor e pubblico. Formula 1 e MotoGp hanno cambiato moltissimo negli ultimi dieci anni per restare al passo. Noi dobbiamo evitare di restare indietro, sia nel ciclismo maschile sia in quello femminile. In quest’ultimo, ad esempio, si è fatta la scelta saggia di evitare sovrapposizioni in calendario tra le grandi corse. Una cosa che, invece, avviene in campo maschile con contemporaneità come quelle tra Parigi-Nizza e Tirreno-Adriatico». 

Il Lombardia 2025, Tadej Pogacar incorona Rafal Majka alla sua ultima corsa da pro', UAE Team Emirates-XRG
Lo strapotere della UAE Emirates è innegabile, ma può trasformarsi in un boomerang per il ciclismo mondiale
Il Lombardia 2025, Tadej Pogacar incorona Rafal Majka alla sua ultima corsa da pro', UAE Team Emirates-XRG
Lo strapotere della UAE Emirates è innegabile, ma può trasformarsi in un boomerang per il ciclismo mondiale

Il ruolo di O’Connor

Poi torna sulla Jayco-AlUla per il 2026. «Per quanto ci riguarda – dice Copeland – abbiamo ridotto gli investimenti per comporre il nuovo roster, anche se è sempre più difficile trovare un equilibrio tra il budget ed essere competitivi ad alto livello. Noi vogliamo puntare sui giovani, ma senza abbassare il livello della squadra. Abbiamo fatto una scelta coraggiosa, ma sono sicuro che, se la gestiamo bene con i direttori sportivi e col nostro performance group, possa essere sostenibile e funzionale».

Sicuramente, gran parte delle aspettative pesa sulle spalle di Ben O’Connor. I pugni sferrati al cielo per celebrare il trionfo sul Col de la Loze sono l’istantanea di quest’annata per il team australiano. Eppure per quanto mostrato nel 2024, Copeland chiede di più alla sua stella.

«Il nostro sogno, così come quello di qualunque squadra – dice – è di salire sul podio al Tour de France. Per farlo, ci vogliono tanti investimenti e non è detto che bastino perché, davanti al tuo cammino, ti trovi ad affrontare tanti ostacoli. Se tutto fila liscio e i pianeti si allineano, diventa possibile. Noi abbiamo questa possibilità con Ben e, al giorno d’oggi, è ancora meglio un podio in un Grande Giro rispetto a vincere una Monumento. Certo, sappiamo di non avere un organico ai livelli delle supersquadre di Pogacar e Vingegaard, ma se il percorso che sveleranno in questi giorni sarà adatto alle sue caratteristiche, ci proveremo».

La vittoria al Col de la Loze è stata l’emblema del 2025 di Ben O’Connor, ma Copeland si aspetta di più
La vittoria al Col de la Loze è stata l’emblema del 2025 di Ben O’Connor, ma Copeland si aspetta di più

Il percorso del Tour

La presentazione della Grande Boucle si svolgerà il 23 ottobre e quello sarà un crocevia per i piani in casa Jayco-AlUla e per la stagione di O’Connor. D’altronde, il ventinovenne di Subiaco ha già dimostrato ai mondiali di Zurigo 2024 di poter dire la sua anche nelle corse di un giorno, terminando secondo nella corsa iridata alle spalle soltanto dell’imprendibile Pogacar.

«Una volta delineato il profilo del Tour– spiega ancora Copeland – decideremo se puntare a un possibile podio o comunque a una top 5, oppure se concentrarci sulle classiche. Non dimentichiamoci che è arrivato nella nostra squadra dopo aver terminato al 4° posto il WorldTour 2024. Quest’anno è fisiologico che abbia dovuto prendere le misure con il nuovo ambiente, i nuovi compagni. È giusto dargli tempo perché sono sicuro che nel 2026 ci farà divertire. 

Giro di Lombardia 2025, Michale Matthews nella stessa fuga di Filippo Ganna
Michael Matthews è il corridore più rappresentativo della squadra: i suoi risultati hanno tenuto in alto i destini del team
Giro di Lombardia 2025, Michale Matthews nella stessa fuga di Filippo Ganna
Michael Matthews è il corridore più rappresentativo della squadra: i suoi risultati hanno tenuto in alto i destini del team

La centralità di Matthews

E per le gare di un giorno, torna a splendere la stella di Bling. Il sorriso di Copeland si illumina: «Matthews è il più grande “asset” della squadra. Forse non vince molto quanto meriterebbe, ma soltanto perché ci sono corridori con le sue caratteristiche che sono leggermente più forti, un po’ come accade a Remco quando si scontra con Pogacar. Michael, infatti, oggi affronta titani del calibro di Van der Poel o Van Aert». 

Visto quanto mostrato al Lombardia, chissà che non possa proprio essere il veterano della squadra, il grande acquisto per il 2026. «Quando i dottori ci hanno detto che lui era guarito – replica Brent, che poi ricorda – non avevo dubbi che sarebbe tornato ancora più forte, vista la sua convinzione. Nel 2022, eravamo in piena lotta per non retrocedere. Invece Matthews fece terzo ai mondiali e salvò la nostra licenza per altri 3 anni. Ha fatto qualcosa di speciale, così come anche lo scorso anno, quando ha vinto in Canada il Grand Prix de Québec. Michael può dire la sua nella Milano-Sanremo o all’Amstel Gold Race. Per supportarlo, abbiamo scelto corridori come Capiot, De Bondt, Vendrame e Covi: lavorando insieme, sono certo che si creerà un gruppo affiatato».

E nei prossimi giorni, per provare a portare punti importanti, verrà annunciato anche Pascal Ackermann. In uscita dalla Israel, lo sprinter tedesco che vinse la maglia ciclamino al Giro d’Italia 2019 ha già svolto le visite mediche torinesi col resto dei compagni all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torino due domeniche fa.

Jayco-AlUla più italiana, arriva anche Vendrame

02.09.2025
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NOVARA – Tra Vuelta e classiche d’autunno con una nuova spinta italiana per il 2026. Approfittando dell’ultimo Grande Giro stagionale abbiamo incontrato Brent Copeland, general manager del team Jayco-AlUla che, oltre a parlarci delle ambizioni di classifica di Ben O’Connor, ci ha raccontato dei piani per il futuro e dei nuovi innesti.

Conca c’è già, Covi arriverà

Come annunciato, Alessandro De Marchi lascerà il ciclismo professionistico, mentre Filippo Zana ha concluso la sua avventura col team australiano, firmando con la Soudal Quick-Step. Eppure, in casa Jayco-AlUla si continua a parlare italiano. Agosto, infatti, ha portato in dote i due che si sono contesi la maglia tricolore fino all’ultimo respiro: Filippo Conca e Alessandro Covi, messi sotto contratto fino al 2027. Entrambi sono accomunati da una gran voglia di riscatto, per confermare quanto di buono visto a Gorizia.

«Come qualsiasi altra squadra – comincia a spiegare Copeland – cerchiamo dei talenti che si integrino nell’organico, non soltanto in corsa, e che rientrino nel nostro budget. Non scegliamo un corridore piuttosto che un altro per la sua nazionalità o per altri dettagli specifici. Cerchiamo ragazzi che a livello di mentalità si avvicinino il più possibile alla nostra e che possano rappresentare un valore aggiunto. Penso proprio che sia Conca sia Covi siano due ottime aggiunte e che rappresentino perfettamente quello che cerchiamo in un corridore».

Conca ha già debuttato in maglia Jayco-AlUla. Qui è a Plouay, domenica scorsa
Conca ha già debuttato in maglia Jayco-AlUla. Qui è a Plouay, domenica scorsa

Ragazzi in cerca di spazio

Rilanciato nel ciclismo che conta dallo Swatt Club, Conca ha già cominciato a far sfoggio della nuova e fiammante maglia tricolore. Ha infatti esordito a Ferragosto col nuovo team in Belgio e supportando lo scorso weekend a Plouay Michael Mattews (poi 8° al traguardo della Bretagne Classic).

«Noi volevamo gente – prosegue Copeland – che pensasse alla squadra più che ai propri risultati personali. Dopo alcuni colloqui con Filippo, abbiamo pensato che sarebbe stato l’inserimento perfetto. Siamo felici che sia salito a bordo.

Covi, invece, chiuderà la stagione con il Uae Team Emirates e poi scatterà il suo biennale con la nuova maglia, convinto di ritrovare nuove motivazioni e di tornare a crescere. Soprattutto sperando di avere maggior spazio rispetto a quello avuto nella corazzata degli Emirati. 

Covi lascia il UAE Team Emirates per avere più spazio alla Jayco-AlUla
Covi lascia il UAE Team Emirates per avere più spazio alla Jayco-AlUla

Sorpresa Vendrame

Ma il general manager della Jayco-Alula non si ferma qui ed è pronto a calare il Joker per fare tris di italiani, anzi poker contando Davide De Pretto già presente in rosa. Nelle prossime ore, infatti, verrà ufficializzato l’ingaggio di Andrea Vendrame. Dopo sei anni con la Decathlon AG2R, il trentunenne di Santa Lucia di Piave aveva bisogno di stimoli e spera di ritrovare quella gamba che nel maggio 2024 gli permise di vincere la diciannovesima frazione del Giro con arrivo a Sappada. In apertura, il veneto vince la quarta tappa del Tour du Limousin.

«Stiamo cercando di formare il miglior team possibile per il 2026 – ci aveva detto Copeland al via della Vuelta – ma ogni anno è necessario uno sforzo economico maggiore. Diventa difficile riuscire a mettere su una squadra che possa essere sempre competitiva o votata all’attacco. Ci sarà ancora qualche annuncio, nessun grosso nome da scuotere il mondo del ciclismo, ma innesti mirati che possono integrarsi al meglio nel nostro organico». Ed ecco dunque un altro tassello a comporre il mosaico degli aussie.

La Jayco-AlUla, anche quella di domani, sarà incentrata attorno a O’Connor
La Jayco-AlUla, anche quella di domani, sarà incentrata attorno a O’Connor

Tutti per O’Connor

Una squadra che, giocoforza, sarà costruita attorno a Ben O’Connor, ricaricato da questa nuova avventura finalmente con un team australiano dopo una lunga percorrenza in AG2R.  «Ben sta bene – spiega Copeland – ha fatto una bella preparazione e ha disputato un ottimo Tour de France. Quando vinci la tappa regina alla Grande Boucle, superando campioni del calibro di Tadej Pogacar e Jonas Vingegaard, è qualcosa di fantastico».

Dopo i successi di maggio al Giro con Plapp (Castelraimondo) e Harper (Sestriere), la fiammata al Tour dello stesso O’Connor nel tappone di Courchevel, ora Copeland sogna il triplete alla Vuelta. Soltanto nel 2022, il team australiano era riuscito a imporsi in tutti i tre Grandi Giri. Nella Corsa Rosa arrivarono le due stoccate di Yates e quella di Sobrero nella crono finale di Verona, alla Grande Boucle gli acuti di Groenewegen e Matthews, ora manca la ciliegina nella corsa a tappe spagnola. Di qui a fine stagione, le occasioni per continuare nella striscia positiva non mancano, anche se O’Connor ha scelto di non disputare il mondiale, che vedrà Jai Hindley come punta dell’Australia, facendo rotta invece in modo deciso sul Lombardia.

Il rock della Jayco. Il chitarrista Maceroni “suona” le Giant

27.08.2025
6 min
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Nel popolare vocabolario ciclistico si è pensato tante volte che la bici fosse uno strumento per “suonare” gli avversari, ma mai ci si è immaginati che potesse essere suonata e messa in musica. Mai prima di quest’anno quando Giulio Maceroni, chitarrista e compositore professionista tra rock e sport, ha prodotto una sorta di colonna sonora della Jayco-AlUla attraverso le bici Giant ed i relativi materiali.

Non è una novità per il team WorldTour australiano un’operazione del genere che già in passato aveva creato clip musicali originali coinvolgendo i propri corridori e il proprio staff. Nel 2012 l’allora Orica-GreenEdge fece un video sulle note di “Call me maybe” di Carly Rae Jepsen, il singolo più venduto di quell’anno con oltre 12 milioni di copie. La stagione successiva registrò un altro docu-video musicale durante il Tour de France (per dirvi quanto più tempo e meno pressione c’erano rispetto ad oggi per alcune cose) interpretando la celeberrima “You Shook Me All Night Long“ degli AC/DC come tributo alla rock band australiana.

Certo, quella che stiamo per raccontarvi è una chicca, qualcosa di nicchia se volete, che probabilmente esce dai binari classici sui quali viaggiamo. Però può valerne la pena conoscerla perché è una storia che potrebbe aiutare il ciclismo a diventare più trasversale anche per chi non ne mastica abitualmente.

Al Tour 2013 Gerrans in maglia gialla fu uno dei protagonisti del video-tributo agli AC/DC (fotogramma YouTube)
Al Tour 2013 Gerrans in maglia gialla fu uno dei protagonisti del video-tributo agli AC/DC (fotogramma YouTube)

Con Copeland sui Campi Elisi

L’amicizia nata qualche anno fa tra Maceroni e Brent Copeland attraverso un evento del Como Calcio ha portato i suoi frutti. Il performer comasco compone musiche e sigle per Sky Sport, videogiochi, Superbike e tanto altro nel mondo sportivo. Ci voleva qualcosa anche nel ciclismo e col general manager della Jayco-AlUla c’è stata subito intesa.

«Sapete – racconta Copeland – che cerchiamo sempre di fare qualcosa di diverso a livello di marketing e comunicazione. Vi ricordate quando al Tour avevamo portato le nostre chitarre elettriche gonfiabili da far suonare a corridori e tifosi? Alcune immagini sono rimaste famose (alludendo a Gerrans in maglia gialla che finge di suonarla, ndr).

«Considerate che queste – va avanti – sono il genere di cose per cui impazzisce Gerry Ryan, il nostro proprietario (e facoltoso uomo d’affari, ndr). E’ appassionato di arte, di teatro e soprattutto suona il pianoforte elettrico in un gruppo locale come hobby. Non appena gli ho accennato di questo progetto, ha detto di sì ed ha voluto restare aggiornato».

«Giulio poi ha fatto un capolavoro con la testa dell’artista – conclude Copeland – Così abbiamo pensato di portarlo in Francia anche perché c’era anche Ryan. Giulio si è esibito nella nostra hospitality che avevamo sui Campi Elisi. C’erano anche alcuni dirigenti di Giant che hanno apprezzato tantissimo e che vogliono fare qualcos’altro di così originale anche prossimamente. Ci ritroveremo presto per decidere cosa fare».

Giulio le esibizioni ciclistiche sono poi proseguite, giusto?

Esatto. Il video della musica della Jayco-AlUla ha avuto molte visualizzazioni e gli organizzatori della ION CUP a Cervinia, una gara di downhill che si disputa nel loro bike park, mi hanno chiamato per aprire la manifestazione. Daniele Herin, il responsabile operativo di Cervino Spa, la società che allestisce tutti gli avvenimenti della località, ha voluto che mi esibissi portando una bici Giant della squadra sul palco. E’ stata davvero una forte emozione suonare con il Cervino sullo sfondo.

Arriviamo quindi alla realizzazione della musica e del video con la Jayco-AlUla. Raccontaci com’è andata?

Tutto è stato possibile grazie alla visione di Brent che ha interceduto con la squadra e a gennaio mi hanno chiamato per andare in Spagna nel ritiro della Jayco-AlUla. Mi hanno messo a disposizione il camion-officina su cui ci sono bici, materiale e attrezzi. Lo abbiamo trasformato in una sorta di studio di registrazione, mettendo anche delle luci particolari per realizzare video di backstage.

Nel 2024 Maceroni ha dato il via della 13ª tappa del Giro d’Italia con un assolo di chitarra (foto Dario Belingheri)
E’ stato un lavoro complesso?

Assolutamente sì. E’ stato un lavoro di equipe vero e proprio. Non avrei potuto farlo senza il supporto fondamentale di NAM (acronimo di Nuova Audio Musicmedia con sede a Milano, ndr), l’accademia in cui mi sono diplomato in chitarra moderna e con cui collaboro da tempo. Ci sono due persone, fra le tante, che ci tengo a ringraziare tantissimo che si sono rese subito disponibili per questo progetto.

Prego…

Uno è Claudio Flaminio, il direttore di NAM, l’altro è Davide Pantaleo, docente e music producer dell’accademia. Lui in particolare è stato il meccanico della musica della bici, se così lo vogliamo vedere. Davide è venuto con me nel camion officina per riprendere i suoni. Il loro coordinamento e lavoro sono stati preziosissimi.

Come avete trasformato bici e materiali in strumenti?

Li abbiamo fatti “suonare” picchiettandoli con unghia e dita. Abbiamo ascoltato che suoni emetteva il cambio elettronico, il mozzo delle ruote, il movimento centrale e la catena. O ancora l’aggancio e lo stacco del pedale oppure lo sfiato della valvola del copertoncino. E tanti altri suoni che legati alla bici, come la pistola con cui avviti e sviti le ruote. Abbiamo campionato ogni singolo suono con microfoni estremamente sensibili per poi processarlo su un programma audio. Ma non è finita qua.

Cosa avete fatto ancora?

Innanzitutto questi suoni li abbiamo riprodotti più volte affinché uscissero puliti. A quel punto li abbiamo messi su un controller, una sorta di grande mixer, dove ogni suono della bici era stato assegnato ad un tasto. Mi piace definire questo lavoro degno della ingegneria del suono. Ai profani può sembrare semplice, ma ci sono ore di lavoro prima di arrivare al passaggio successivo. Ovvero sovraincidere il basso e gli assoli di chitarra su un loop ritmico dei suoni delle bici.

Per Giulio Maceroni cosa rappresenta questo progetto?

Naturalmente sono contento che sia piaciuto a Brent, alla Jayco-AlUla e allo stesso Gerry Ryan, che mi ha chiesto dei particolari da vero intenditore di musica. Sono felice anche di aver realizzato qualcosa che mi frullava già in testa da tempo, ma che volevo fare solo se ben assecondato. La vera soddisfazione però è un’altra. Il fulcro della performance non è la musica in sé, quanto aver dato voce alle bici Giant. Essere riuscito a rendere un’anima ad un mezzo, o strumento se preferite, che ci rende liberi e che ci fa stare bene.

Visconti talent scout, l’occhio dell’ex per scoprire il talento

05.03.2025
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Giovanni Visconti torna in carovana. Il popolare ex corridore, che aveva appeso la bici al chiodo 3 anni fa, non è rimasto a lungo lontano dall’ambiente che ama, trovando un incarico che più di altri solletica la sua fantasia e il suo interesse. Visconti è stato infatti assunto dal Team Jayco AlUla in qualità di talent scout, chiamato a scoprire i giovani più in vista da mettere sotto contratto. Sembra una definizione semplice, scarna, ma dietro c’è una grande complessità, che responsabilizza e intriga il 42enne di Palermo.

Palermitano (anche se nato a Torino), Visconti è stato professionista per 17 anni, con 34 vittorie tra cui 3 titoli italiani
Palermitano (anche se nato a Torino), Visconti è stato professionista per 17 anni, con 34 vittorie tra cui 3 titoli italiani

La scelta di Copeland

Visconti lavorerà a stretto contatto con Fabio Baronti e con l’ex diesse della Grenke Auto Eder Christian Schrot sotto la supervisione di Alex Miles, Lead Data Scientist del team australiano. Il tutto fortemente voluto da Brent Copeland per dare al team un futuro a lungo termine.

«Con Brent ci conosciamo da tempo, da quand’ero alla Bahrain – racconta l’ex campione italiano – due mesi fa mi ha prospettato l’idea e chiesto se mi andasse di rimettermi in gioco e io ho risposto con entusiasmo. Mi ha spiegato nei particolari che cosa si aspetta e mi ha parlato di questa figura che nel team ancora non c’era, proprio perché avendo smesso da relativamente poco ho ancora la sensibilità utile per cogliere aspetti sui giovani che altrimenti sfuggirebbero».

E’ una figura che esiste in altri team?

Sì, anzi è in rapida diffusione perché il ciclismo attuale va velocissimo, ma ha bisogno di figure che vadano oltre i semplici numeri che non dicono tutto su un atleta. Le indicazioni che arrivano dai tecnici, preparatori, ma anche dagli stessi strumenti sono importanti, ma noi dobbiamo metterci del nostro, conoscere questi ragazzi dal punto di vista personale, familiare, ambientale perché tutto influisce. Questo significa che bisogna girare per le gare, guardando con attenzione.

Ritiratosi 3 anni fa, l’ex campione italiano è pronto per una nuova avventura sfruttando la sua sensibilità ciclistica
Ritiratosi 3 anni fa, l’ex campione italiano è pronto per una nuova avventura sfruttando la sua sensibilità ciclistica
Il tuo lavoro riguarderà solamente l’Italia?

Decisamente no, infatti a fine marzo andrò in Belgio a seguire due classiche internazionali degli juniores, tra cui quella di Harelbeke. Il Team Jayco AlUla è internazionale e quindi aperto a corridori di tutto il mondo. Sarei felicissimo di poter consigliare qualche ragazzo italiano e qualche nome l’ho già segnato sul mio taccuino, ma andrò tanto all’estero proprio per questo, per conoscere ragazzi di ogni parte e verificare quali sono appetibili per il nostro team.

Quando tu eri junior, i talent scout non c’erano…

Era un ciclismo completamente diverso, nel quale ci si muoveva in autonomia e si seguivano strade diverse per approdare al professionismo. A me non piace fare paragoni, siamo in epoche diverse e oggi i ragazzi non sono minimamente paragonabili ai pari età di un quarto di secolo fa. Mi accorgo sempre di più che ci troviamo di fronte a giovanissimi che magari non sono ancora maggiorenni eppure hanno già la testa da professionisti, perché hanno dietro staff efficienti, anche a livello juniores, che li instradano verso preparazione, nutrizione, riposo, insomma tutto quel che serve.

Il Team Jayco-AlUla ha potenziato la struttura del devo team: Visconti si inserisce nel progetto sviluppo del team australiano
Il Team Jayco-AlUla ha potenziato la struttura del devo team: Visconti si inserisce nel progetto sviluppo del team australiano
A quali fasce guardi?

Gli juniores innanzitutto, ma seguirò anche gli under 23. Gli allievi no perché sarebbe troppo e a quell’età è più difficile trarre considerazioni. D’altronde quelli che vanno forte da allievi poi li ritroviamo al primo anno da juniores. A me interessa vedere come crescono, proprio perché i dati non dicono tutto. I ragazzini che vincono a più riprese devono poi darmi altri riscontri, che solo crescendo posso avere.

Che cosa cerchi in particolare?

E’ un discorso complesso. I numeri li vedono tutti, basta consultare le app, ma un corridore è fatto di tanto altro. Chi ha corso fino a ieri (magari l’altro ieri per me…) ha un occhio diverso, coglie in corsa aspetti che magari sfuggirebbero ma che sono importanti per capire un corridore: come si muove in gruppo, se è scaltro, se è un uomo squadra, sia nel dedicarsi agli altri che nel guidarli. Ma anche che vita fa, com’è la famiglia, che carattere ha, se ha problemi o meno a spostarsi, anche in un’altra nazione e che dimestichezza ha con le lingue. Sono tutti fattori fondamentali, ma che i numeri non ti dicono.

Non solo juniores. Visconti vuole cercare talento anche fra i più grandi, gli U23
Non solo juniores. Visconti vuole cercare talento anche fra i più grandi, gli U23
Dicevi che guarderai anche gli under 23. Dando quindi opportunità anche a chi si avvicina alla “spada di damocle” del cambio di categoria, rischiando di rimanere fuori?

Inutile raccontarci storie, sappiamo che nel ciclismo di oggi si cerca il giovanissimo talento, ma non dobbiamo precluderci nulla. Se c’è quel corridore emerso più tardi, maturato piano piano ma che ha quei valori (e uso questa parola nella sua accezione più piena) allora dobbiamo essere pronti a sfruttare l’occasione. Con la Hagens Berman abbiamo un devo team che aiuta i ragazzi a emergere, se hanno i mezzi non vengono certo buttati via. Io credo ancora in questa categoria, può dare molto.

Tu eri domenica al GP Baronti, la prova di apertura della stagione degli juniores (foto di apertura). Che impressione generale hai avuto?

L’impressione di un livello medio molto alto. Non nascondiamoci, i ragazzi talentuosi in Italia li abbiamo e per questo serve capire, andare sul campo, verificare chi ha davvero le qualità per emergere, per distinguersi. Sappiamo bene qual è il problema del ciclismo italiano: non avere uno sbocco interno, quindi essere costretti ad andar via. Ormai anche fra gli juniores i ragazzi italiani vanno a correre all’estero, poi l’esperienza di Finn ha dato riscontri e un seguito clamoroso.

Lorenzo Finn, in maglia Red Bull, è ormai un riferimento per i giovani italiani. Un esempio da imitare
Lorenzo Finn, in maglia Red Bull, è ormai un riferimento per i giovani italiani. Un esempio da imitare
Ma per un ragazzo che cosa significa inseguire un sogno? Tu l’hai fatto, lasciando la tua casa e la tua famiglia…

Questo è un lato del ciclismo attuale che rende il tutto molto più difficile. Allora come oggi servono un grande carattere, determinazione, resilienza e averli a quell’età non è facile. Ma io pur venendo dalla Sicilia avevo una prospettiva, un sogno da inseguire. Oggi è più difficile, per un ragazzo del Sud, perché anche la Toscana, l’Italia intera è il nuovo Sud. Il baricentro dell’attività è fuori dai nostri confini. Ormai, per avere chance, bisogna andare all’estero, c’è poco da fare.

Copeland, i devo team e le strategie della Jayco-AlUla

11.01.2025
6 min
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«Secondo me il problema non è per le squadre under 23 – dice Brent Copeland quando a fine intervista lo portiamo sul fronte italiano – quanto piuttosto per le professional. Le continental restano preziose per far crescere gli under 23, invece le professional devono reggere il confronto con le WorldTour e con i devo team e non hanno la certezza del calendario. Come Aigcp stiamo lavorando anche per questo, perché squadre come quella di Reverberi abbiano qualche certezza in più, anche se con questo calendario non è facile…».

Abbiamo chiamato il team manager del Team Jayco-AlUla per fare il punto sul doppio devo team della squadra australiana: quello degli uomini (in apertura foto Coltyn Present) e quello delle donne. Avendo intuito il grande lavoro che c’è dietro, ci incuriosisce capire se per una squadra WorldTour avere un team di sviluppo sia effettivamente una necessità. Fra gli uomini l’operazione è stata completata con l’assorbimento della Hagens Berman, la squadra di Axel Merckx, che in passato è stata anche professional e ha lanciato al professionismo, fra gli altri, Dunbar, Geoghegan Hart, Almeida, Philipsen, i gemelli Oliveira, Morgado, Herzog, Riccitello e Christen. Fra gli altri colpi del mercato, oltre ai corridori, c’è stato l’ingaggio di Christian Schrot, il tecnico/allenatore che ha portato Finn al mondiale juniores e ha costruito i successi del Team Auto Eder, vivaio U19 della ex Bora-Hansgrohe.

Matthew White, a sinistra, direttore di performance e racing, con Axel Merckx (foto Team Jayco-AlUla)
Matthew White, a sinistra, direttore di performance e racing, con Axel Merckx (foto Team Jayco-AlUla)
Come mai questo forte investimento sul devo team?

Già da un paio di anni stavamo lavorando con la squadra di Axel. Non dico che sia un’esigenza o un obbligo, ma l’unico modo di capire bene la crescita dei corridori prima che passino a livello professionistico. E questo non riguarda solo il livello performance o agonistico, ma anche il carattere, la cultura, conoscere bene da dove vengono. Tutti punti che per noi sono fondamentali. La collaborazione con Merckx stava funzionando molto bene, il problema era che non potevamo far correre i nostri corridori con loro o i giovani con noi perché non era una nostra squadra. Ecco perché quest’anno abbiamo fatto un passaggio in più, mettendoli sotto il nostro ombrello, diciamo così.

In modo da poter avere uno scambio continuo di corridori?

Esatto. I giovani più pronti potranno venire con noi per mettersi alla prova e allo stesso modo potremo mandare da loro uno dei nostri, ad esempio De Marchi, per portargli un po’ di esperienza dal mondo dei professionisti. E’ un impegno in più, è una squadra in più, però secondo me vale la pena, perché ormai è importante conoscere bene i ragazzi prima che passino al WorldTour.

Come mai secondo te Axel Merckx ha questa grande capacità di lanciare corridori?

Lui lavora molto sull’individuo prima che sul corridore, è la filosofia che già dal primo incontro ha spiegato a me e a Gerry Adams (il proprietario della squadra, ndr). Lui sa che al massimo il 50 per cento dei suoi corridori passerà professionista, la realtà è questa. E non vuole che l’altra metà che smette non abbia imparato niente, anche sul piano personale. Allora lavora molto sulla persona, la cultura, il carattere. Non insegue solo risultati e performance e questo ci ha fatto molto piacere, perché è una filosofia molto importante anche per noi.

Christian Schrot è stato il tecnico di Lorenzo Finn nel 2024 e del Team Auto Eder (foto Team Jayco-AlUla)
Christian Schrot è stato il tecnico di Lorenzo Finn nel 2024 e del Team Auto Eder (foto Team Jayco-AlUla)
Però in parallelo avete preso un tecnico come Schrot, molto bravo a gestire la performance dei giovani.

Persone come lui servono per trasmettere nel modo giusto le esperienze ai ragazzi, per seguirli bene. Se non hai le risorse giuste, il lavoro non viene fatto bene e allora è inutile creare un devo team.

Il devo team sfrutterà anche l’esperienza del gruppo Performance della WorldTour?

Certamente, avrà accesso a tutta l’esperienza della prima squadra. Abbiamo iniziato a farlo già dall’anno scorso. Tecnologia e innovazione, la parte ingegneristica che segue Pinotti, la parte della nutrizione che viene seguita da Laura Martinelli, la parte medica di Carlo Guardascione. Tutto questo viene messo a disposizione anche della squadra development. E’ importante che i giovani imparino nel modo giusto, senza esagerare perché non vogliamo viziarli troppo. Devono imparare già da giovani come sarà quando passano professionisti, per questo gli diamo una mano con tutte le risorse della squadra WorldTour.

Stessa cosa con il devo team femminile?

Esattamente. Abbiamo la stessa struttura in Olanda per le ragazze, dove abbiamo anche una ragazza italiana: Matilde Vitillo. Utilizziamo lo stesso schema e cioè che le squadre WorldTour sono di appoggio per le squadre di sviluppo.

Matilde Vitillo è l’unica italiana che già dal 2024 corre nel devo team femminile (foto Team Jayco-AlUla)
Matilde Vitillo è l’unica italiana che già dal 2024 corre nel devo team femminile (foto Team Jayco-AlUla)
Visto che i costi saranno aumentati, avete nuovi sponsor per le due squadre di sviluppo?

No, per gli uomini abbiamo incorporato la sponsorizzazione di Axel. Già lo scorso anno si chiamava Hagens Berman-Jayco e continuiamo con questo appoggio. Ovvio che ci costa qualcosina in più, ma il budget resta lo stesso. Ne abbiamo spostato una parte in modo diverso per dare più appoggio a loro, però le cifre sono quelle. Purtroppo non abbiamo un super budget che ci permetta di fare diversamente, ma riusciamo ugualmente a lavorare molto bene.

Chi si occupa del lavoro di scouting per il devo team?

Fino all’anno scorso, ci pensava da Axel che era anche in contatto con i vari agenti. Però era una struttura fatta non tanto bene e devo fare autocritica, perché non l’abbiamo seguita come dovevamo. Quest’anno invece cambia tutto, un’altra struttura. Abbiamo messo insieme un gruppo di lavoro di cui fanno parte Axel, il nostro data analyst, i due allenatori della nostra squadra, gli allenatori della squadra di Merckx. Un gruppo di lavoro di sei persone, che andranno a fare scouting, restando in contatto con i direttori sportivi della varie squadre e con gli agenti. Abbiamo creato un protocollo per cercare il corridore che ci interessa.

Si parte dai numeri dei test, ma si cerca anche altro?

Esatto. Magari ci viene indicato un under 23 o uno junior, dal suo procuratore o dal direttore sportivo della squadra in cui corre. Guardiamo i numeri, perché i numeri sono importanti. Però poi il secondo passaggio è conoscere la persona, da dove viene, il suo background, la sua vita privata. Ci chiediamo se sarà globalmente adatto alla nostra squadra.

Per il secondo anno, alla Hagens Berman-Jayco correrà Mattia Sambinello, assieme a Samuele Privitera (foto Coltyn Present)
Per il secondo anno, alla Hagens Berman-Jayco correrà Mattia Sambinello, assieme a Samuele Privitera (foto Coltyn Present)
Una valutazione a 360 gradi?

Ci sono tanti altri fattori che bisogna guardare bene prima che un giovane passi nella squadra di Axel e poi eventualmente nel WorldTour. Il gruppo di lavoro è stato creato anche per questo, per avere le persone che vanno fisicamente alle corse a conoscere i corridori. Io credo che questo sia il modo giusto per lavorare. L’anno scorso abbiamo preso De Pretto dalla Zalf, ad esempio, dopo che aveva fatto lo stage con noi nel 2023…

Ora lo portereste nel devo team?

Esatto. Lo avevamo valutato, ci serviva una squadra perché facesse esperienza e lo abbiamo affidato alla Zalf. Dal prossimo anno, passerebbe nella squadra di Axel, prima di salire nel worldTour. Sarebbe azzardato farlo passare direttamente in prima squadra, il lavoro di Axel ci serve per capire il corridore e investire su di lui con qualche certezza in più.

O’Connor, quattro anni in Francia e l’inglese ritrovato

15.12.2024
7 min
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ALTEA (Spagna) – Dato che non può ancora indossare gli abiti del Team Jayco-AlUla, Ben O’Connor ha pensato bene di presentarsi in ritiro con la maglia bianca e sopra una giacca larga e marrone. Di ottimo umore e anche leggermente abbronzato, l’australiano per quest’inverno non tornerà in patria, essendo diventato da poco papà e volendosi calare appieno nella parte di leader del nuovo team. Australiano come lui.

Riepiloghiamo, per chi fosse rimasto scollegato. Dopo aver conquistato il secondo posto alla Vuelta alle spalle di Roglic (che l’ha detronizzato a tre tappe dalla fine), l’australiano ha vinto con la sua nazionale il Team Mixed Relay ai mondiali di Zurigo e poi si è piazzato secondo nella gara in linea alle spalle di Pogacar e prima di Van der Poel. Ha riannodato in un solo colpo il filo che penzolava dopo il quarto posto al Tour del 2021, guadagnando valore di mercato e stuzzicando l’ambizione della squadra di Brent Copeland, che l’ha ingaggiato per farne il leader nei Grandi Giri. Lo incontriamo nei giorni del training camp della Jayco-AlUla ad Altea, lungo la costa fra Calpe e Benidorm.

O’Connor viene dalla punta più a Sud dell’Australia Occidentale, da una cittadina di settemila abitanti che si chiama Subiaco. Se qualcuno a questo punto ha pensato che c’è una Subiaco anche in Italia, a sud di Roma, sappia che l’omonimia non è casuale. Nell’area inizialmente popolata dagli aborigeni, nel 1851 si stabilì infatti una comunità di Benedettini che fondò la città dandole il nome di New Subiaco, proprio in onore della città italiana. A Subiaco, infatti, San Benedetto aveva fondato dodici monasteri e di uno era divenuto egli stesso l’abate. Otto anni dopo gli stessi monaci costruirono un grande monastero e nel 1881 la città prese semplicemente il nome Subiaco.

Tre le vittorie 2024 di Ben O’Connor, 29 anni: la Vuelta Murcia, la 6ª tappa della Vuelta (sopra), il Team Mixed Relay ai mondiali
Tre le vittorie 2024 di Ben O’Connor, 29 anni: la Vuelta Murcia, la 6ª tappa della Vuelta (sopra), il Team Mixed Relay ai mondiali
Come sta andando l’inverno?

Bene, finora il tempo è stato molto bello, piuttosto mite. Di solito vado via da Andorra quando nevica, non credo di esserci mai rimasto con la neve fuori dalla porta. Io andavo via e la neve arrivava, con un tempismo perfetto. Ma quest’anno che non ho intenzione di partire, la neve sembra non voler venire. Curiosa coincidenza.

Come si guarda indietro alla stagione 2024?

La guardo con un sorriso, è stato fantastico. Poche cose sono andate storte, ma ce ne sono sicuramente alcune che so di poter migliorare. Si potrebbe pensare che uno sia al settimo cielo, ma ci sono sempre prestazioni migliori, risultati migliori o modi migliori di gestire le situazioni. Però è stato certamente un anno da sogno.

Hai conservato tutte le maglie rosse della Vuelta?

Ne ho un sacco, questo è certo. Anche se hai vestito la maglia di leader in una qualsiasi gara World Tour, vorresti tenerla. E’ un ricordo, una cosa speciale. Se poi parliamo di un Grande Giro, è la ciliegina sulla torta. Indossare la maglia rossa per due settimane è stato qualcosa di diverso. Scendere dall’Andalusia attraverso la Galizia fino alla Cantabria è stato davvero una cosa grande. Il bello di quest’anno è che sono riuscito a mostrare la migliore versione di me in tutte le gare.

O’Connor ha conquistato la maglia di leader della Vuelta vincendo la 6ª tappa e l’ha difesa per i 12 giorni successivi
O’Connor ha conquistato la maglia di leader della Vuelta vincendo la 6ª tappa e l’ha difesa per i 12 giorni successivi
Avete individuato un fattore chiave per ottenere questa costanza durante la stagione?

Non so se sia l’età o il fatto di aver imparato a gestire il volume di allenamento. Il corpo ha imparato ad assorbire il carico di lavoro e fisicamente sono migliorato ogni anno da quando ho iniziato. Si impara a riposare e ad allenarsi per dare tutto quando serve. La squadra ha avuto un piano molto chiaro per ogni gara e in questo contesto abbiamo deciso che io fossi l’uomo delle classifiche generali. Alla Vuelta i ragazzi erano un po’ più al guinzaglio perché avevamo la maglia, però al Giro abbiamo vinto due tappe, con Vendrame e Valentin Paret-Peintre. La chiarezza è stata alla base di tutto ed è qualcosa su cui ragionare per la prossima stagione.

Pensi che potrai ripetere quello che hai vissuto quest’anno?

Probabilmente non rimarrò in testa alla Vuelta per due settimane, ma credo di potermi avvicinare. Non so se il 2024 rimarrà l’anno migliore della mia vita di corridore, ma di sicuro l’anno prossimo potrò ottenere prestazioni simili. Non ho dubbi sul fatto che possa migliorare, perché so che posso fare di più. Poi è chiaro che i risultati sono difficili da confermare, fai del tuo meglio e le cose magari non funzionano. Serve essere intelligenti. Non credo che al mondiale fossi il secondo più forte del gruppo, ma me la sono giocata meglio e alla fine ho preso la medaglia d’argento. Il ciclismo è così, non sempre alle prestazioni corrispondono i risultati.

Cosa ti fa pensare che l’anno prossimo otterrai prestazioni migliori?

Sono fiducioso perché, per esempio, nell’ultima settimana del Giro sono stato male come un cane. Eppure alla fine è stata una grande occasione persa, perché avrei avuto ugualmente la possibilità di salire sul podio, ma non ce l’ho fatta. Sarei potuto salire sul podio in entrambi i Grandi Giri della mia stagione. Avrei potuto vincere il UAE Tour e conquistare una gara a tappe WorldTour, invece Van Eetvelt è stato migliore di me. Tante cose sarebbero potute accadere, ma non sono successe. E io so che l’anno prossimo si può migliorare, ma non si può tornare indietro e cambiare il tempo.

O’Connor non ama le classiche ma riconosce l’atmosfera unica del mondiale con la maglia della nazionale
O’Connor non ama le classiche ma riconosce l’atmosfera unica del mondiale con la maglia della nazionale
Pensi di poterti avvicinare a Pogacar e Vingegaard?

No, sono fuori portata, sono troppo forti. Posso essergli vicino in certi giorni, ma non credo fisicamente di avere il loro stesso talento.

Arriverai al punto di pianificare le tue gare in base a ciò che non fanno loro?

Sì, è possibile. Si potrebbe seguire questa linea, perché ciascuno di noi ha sempre il proprio obiettivo personale. Potrei fare ogni anno il Giro se volessi, ma significherebbe evitare il Tour, che alla fine è l’apice. E proprio per questo tutti vogliono andare in Francia, perché è la corsa più importante dell’anno e tu vuoi esserci. Lo sport è pieno di grandi campioni, è una sua caratteristica, così come il fatto che non si può vincere tutto. Non si può evitare di andare al Tour e neppure di essere sconfitti, perché così è lo sport professionistico. Devi andare avanti e affrontarlo.

Perché si guarda a te solo per i Giri quando la tua prima vittoria 2024 è stata la Vuelta Murcia, di un solo giorno, poi sei arrivato secondo al mondiale?

Le corse di un giorno sono qualcosa che il mio ex allenatore ha sempre pensato che avrei dovuto fare di più. Solo che i programmi non si sono mai allineati. Le classiche devono piacerti e io non le trovo proprio così divertenti. Non è che proprio non veda l’ora che arrivino Amstel, Freccia e Liegi. Invece il mondiale è un po’ diverso, perché ha un’atmosfera da brivido. Indossi la maglia della nazionale australiana insieme agli altri corridori australiani ed è davvero una cosa speciale e allo stesso tempo per me un’eccezione. Con le corse di un giorno devi davvero metterti in gioco, mentre nelle corse a tappe puoi aspettare. Puoi essere il migliore semplicemente alla fine, che sia con la cronometro o sulla cima di una montagna. Invece durante la gara di un giorno, devi andare a cercarti anche il vento, devi essere aggressivo ed è un modo piuttosto divertente di gareggiare. Quindi da un lato non mi fanno impazzire, dall’altro forse potrei impegnarmici di più.

Il concetto di O’Connor è chiaro: la Decathlon non era il team più forte, ma ha guidato la Vuelta grazie a ruoli ben definiti
Il concetto di O’Connor è chiaro: la Decathlon non era il team più forte, ma ha guidato la Vuelta grazie a ruoli ben definiti
Che cosa hai imparato dal 2024?

Che puoi anche non avere una squadra di superstar, ma puoi ugualmente controllare una gara. Alla Vuelta avevamo un gruppo di bravi ragazzi, ma non certo dei campionissimi. Al confronto con quelli della UAE eravamo inferiori, ma i miei compagni sono stati forti perché avevano un compito prestabilito da svolgere e sono stati in grado di farlo. Ne sono rimasti tutti colpiti e abbiamo imparato che se hai le idee chiare, puoi riuscirci a prescindere dal nome dei tuoi compagni.

E’ scontato dire che il legame con l’Australia sia stato un fattore importante nella tua scelta?

No, di sicuro è stato un fattore importante. Sono stato per quattro anni in una squadra francese e ha significato cambiare completamente il mio stile di vita, il modo di comunicare. Se vai a correre in Francia, devi imparare prima di tutto la lingua. Sei tu il leader, hai la responsabilità di fare tu la corsa, eppure i direttori sportivi che ti guidano non parlano inglese. Così ho imparato a comunicare con i compagni e tutti i membri dello staff e i direttori. Soprattutto se sei un australiano in una squadra francese, devono davvero fidarsi di te perché vieni da un diverso modo di lavorare.

Una convivenza difficile?

Da un lato mi è piaciuta, ho vissuto un bel periodo, ma allo stesso tempo ero pronto per cambiare. Essere in una squadra australiana significa ritrovare la facilità di parlare e di stare con i ragazzi, me ne sono accorto già in questi pochi giorni. E anche con lo staff fila tutto liscio, si può parlare in modo diretto. Penso che come persona mi sentirò molto più a mio agio. In Francia mi sono divertito, ma qui è come tornare a casa.

De Marchi fa la sfinge: ultimo inverno da corridore?

10.12.2024
6 min
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ALTEA (Spagna) – «Voglio darmi una scadenza – dice De Marchi – non arrivare a ottobre l’anno prossimo e annunciare che smetterò di correre. Se, come immagino, sarò al Giro d’Italia, che è l’obiettivo della primavera, voglio sapere che potrebbe essere l’ultimo. Se deciderò di smettere, lo dirò prima della partenza. Credo che sarebbe il modo migliore per viverlo davvero a fondo».

Si parla al futuro e anche un po’ al condizionale. De Marchi ha la faccia di chi aveva un gran bisogno di tornare al lavoro. Sembra in forma, ma sull’argomento oppone le mani, come per dire: lascia stare! Qua nessuno ti regala niente e non puoi lasciare niente indietro. C’è il peso da mettere a posto, anche se il blu della tuta sfina, perché aver finito la stagione al gancio non ha aiutato a tenerlo a bada. Il mare riempie l’orizzonte dietro le chiome dei pini, per uno scenario che conosciamo alla perfezione. Certe volte ti sembra quasi di essere a casa, perché sono gli stessi posti che frequenti ogni anno e da anni.

«Ci stiamo pensando – prosegue – anche perché c’è una serie di cosette messe vicino che mi hanno costretto a riflettere. Non ho voluto prendere una decisione adesso, nel mezzo dell’inverno e lontano dalle corse e dalla squadra, per cui magari avrei avuto solo una visione. Però è una domanda che mi sto facendo e piano piano sto cercando di arrivare a una risposta. Se dovessi ascoltare il cuore o la mente, andrei avanti per sempre. Ma ci sono i segnali che il fisico ti manda e la mente può arrivare fino a un certo punto, ma non può portare indietro il tempo. I vent’anni non torneranno».

Richiesto dalla stampa internazionale, De Marchi si è raccontato anche in inglese
Richiesto dalla stampa internazionale, De Marchi si è raccontato anche in inglese

La vittoria in primavera

Il 2024 del Rosso di Buja è stato un anno strano. In primavera è tornato alla vittoria (una tappa al Tour of the Alps), come non gli capitava dal 2021. Il Giro d’Italia lo ha visto a un ottimo livello e infatti ne è uscito con un buon sapore in bocca. E’ stato quando ha insistito per fare la Vuelta che la stagione ha preso la piega che non si aspettava e che lo ha turbato.

«Visto il trend positivo della primavera – dice – credevo di fare quello che mi è sempre venuto meglio, cioè i Grandi Giri. Solo che mi sono preparato un po’ di corsa e nella prima settimana sono stato condizionato da un virus. L’ho superato a fatica anche a causa di quel caldo pazzesco e non riuscire a essere quello che sono sempre stato, quindi uno che prende la fuga e sempre nel vivo della corsa, mi ha acceso la lampadina. Forse il mio cruccio è non essere pronto o capace di cambiare ruolo. Una volta che ammetti questo, puoi anche decidere di non arrivare allo sfinimento. Questa è un’altra cosa che mi preme molto. Non vorrei continuare solo perché ho trovato un contratto e smettere dopo un anno di troppo. Per fortuna qui ho un interlocutore con cui si può parlare. Si tratta di tirare le somme e prendere una decisione».

Tour of the Alps 2024, De Marchi torna a vincere: non accadeva dalla fine del 2021: 924 giorni
Tour of the Alps 2024, De Marchi torna a vincere: non accadeva dalla fine del 2021: 924 giorni

Uno spiraglio di sole

Tutto un altro parlare rispetto a quando la Israel Premier Tech aveva deciso di non confermarlo, lasciandolo nel mezzo di una velata disperazione. E’ più accettabile smettere quando si decide di averne avuto abbastanza, piuttosto che essere costretto a farlo. L’arrivo alla Jayco-AlUla ha aperto una nuova pagina della sua storia.

«Lo step che sono riuscito a fare già nel 2023 ritornando del vivo della corsa – dice – mi rende orgoglioso. Solo che devi fare i conti con questo tipo di ciclismo, diverso da quello di dieci anni fa in cui un uomo come Tosatto è stato di grande supporto fino ai 40 anni. Adesso è difficile da immaginare, quindi vediamo. Sto cercando di non focalizzarmi solo sul ricordo della Vuelta e delle ultime gare in Italia, quando ero davvero cotto. Meglio pensare alla vittoria, che ha significato un sacco perché è stato come dare un senso al nuovo corso iniziato con il nuovo contratto in questa squadra. A Brent Copeland sono sempre stato molto molto riconoscente perché ha portato uno spiraglio di sole nel disastro totale. La vittoria è stata la conseguenza di aver trovato un ambiente sano, in cui anche io che venivo da un certo tipo di esperienza e con la mia storia sulle spalle, mi sono sentito valorizzato. E’ stata una bellissima chiusura del cerchio, anche se la Vuelta a quel modo mi ha tolto il buon sapore dalla bocca».

Alessandro De Marchi, classe 1986, compirà 39 anni il 19 maggio
Alessandro De Marchi, classe 1986, compirà 39 anni il 19 maggio

Il bello del ciclismo

E’ il guaio di chi è abituato a pensare e sa farlo nella giusta direzione. Se in più senti il passare del tempo e sei di te stesso il giudice più severo, allora è impossibile ignorare i segnali. Il ciclismo ha mille pretese, ma forse inferiori rispetto agli standard che un professionista come De Marchi vorrebbe per sé.

«Mi hanno detto che quest’anno – dice – solo pochi hanno vinto e io ci sono riuscito. Devo trovare l’equilibrio. Io ho sempre avuto voglia di migliorare, ma probabilmente il ciclismo adesso ha una marcia in più. E’ ancora bello e mi piace perché nell’essenza è rimasto lo stesso. Devi essere preciso, puntare a tirare fuori il massimo, ma è come se si fossero aggiunte nuove sfide alle solite sfide. Vado orgoglioso della Vuelta che ho fatto, perché non era da tutti risollevarsi. Aver accettato che non potevo stare in prima fila, mi ha permesso di aiutare i ragazzi che invece avevano le gambe. E’ stato particolare perché ho usato tantissimo la radio. Li ho aiutati a dosare le forze e a non sparare tutto per entrare nella fuga o all’interno della fuga stessa. E’ stato Piva a suggerirmelo e sono stato i suoi occhi in corsa. Perché dalla macchina non vedi niente, invece avere uno nel gruppo che riesce a intervenire in tempo reale può fare una grande differenza».

Prima settimana durissima, poi la Vuelta di De Marchi ha cambiato faccia
Prima settimana durissima, poi la Vuelta di De Marchi ha cambiato faccia

Un’idea per il futuro

Come un direttore sportivo, ma in corsa. Scherzando gli diciamo che proprio per questo non lo lasceranno smettere, ma nell’osservarlo sembra quasi che l’idea gli vada a genio e abbia individuato il modo per farne parte, sia pure con abiti diversi.

«Dare certi suggerimenti dall’ammiraglia – dice – sarebbe più difficile perché sei completamente cieco. Il modo per essere incisivi è il lavoro dietro le quinte. Una fase molto importante è far funzionare il debrief. Sta diventando uno dei momenti più importanti per fare il riassunto della giornata, avere bene chiaro quali sono stati gli errori e quali sono state le cose fatte bene. Perché ormai in macchina non si sa niente e con la gara sempre più veloce, la difficoltà aumenta. Anche per questo credo che Piva alla Vuelta abbia spinto molto su di me. Avevano me che parlavo e avevano radio corsa, quindi più cose messe insieme. Però ammetto che diventare direttore sportivo è una cosa che mi piacerebbe e su cui sto riflettendo. Non so quando sarà, ma non aspetterò troppo per prendere una decisione».

Una Jayco-AlUla a misura di O’Connor? Sentiamo Copeland

31.10.2024
4 min
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Ben O’Connor è una delle belle conferme di questa stagione. L’australiano della Decathlon-Ag2R è stato autore di due ottimi grandi Giri, tanto da salire sul podio alla Vuelta. E un altro podio di quelli importanti lo ha conquistato al Mondiale in Svizzera.

Ora O’Connor è atteso a un grande salto: l’approdo nella Jayco-AlUla, team australiano come lui. Un team che, tra l’altro, si sta formando attorno a lui, con l’ingaggio di tanti ottimi corridori. Per questo ci chiediamo, anzi lo domandiamo al team manager Brent Copeland, se è già lecito parlare di “blocco O’Connor”.

Copeland sta costruendo un ottimo gruppo attorno all’australiano: ecco qui (da sinistra) Zana, Dunbar e Plapp
Copeland sta costruendo un ottimo gruppo attorno all’australiano: ecco Dunbar e Plapp, per esempio
Brent, insomma arriva O’Connor: un acquisto di peso per il suo team…

In realtà, O’Connor ci piaceva da tempo, già da quando era nel team sudafricano Dimension Data: si vedeva che aveva talento, specie per i grandi Giri.

Come è arrivato da voi? Come è andata la trattativa?

Quando Simon Yates ci ha comunicato che avrebbe cambiato squadra, abbiamo dovuto muoverci subito per sostituire un atleta così importante. Ben era libero, e l’ho contattato subito. Abbiamo iniziato a parlare, ci siamo scambiati idee, e anche lui aveva piacere di cambiare. Certo, la Decathlon-Ag2R non era contenta che andasse via, ma capiva il motivo di questa scelta. Io sono contento. O’Connor ha dimostrato di saper affrontare la pioggia al Giro d’Italia, il caldo alla Vuelta e il freddo al Mondiale. Gli ultimi risultati gli hanno dato molta fiducia.

È un leader?

Lo diventerà. Bisogna essere realistici: non è ancora allo stesso livello di un Pogacar o di un Vingegaard, e scontrarsi con questi campioni non è facile. Però può fare belle corse, dare spettacolo, ottenere risultati.

Quest’anno O’Connor ha imparato molto. I 13 giorni da leader alla Vuelta lo hanno trasformato
Quest’anno O’Connor ha imparato molto. I 13 giorni da leader alla Vuelta lo hanno trasformato
La sua squadra sta cambiando molto. Ha ormai un gruppo solido per le corse a tappe: possiamo parlare di un gruppo “grandi Giri” per O’Connor?

Ci stiamo lavorando. Già dopo il Lombardia ci siamo ritrovati per tracciare una prima bozza del programma. Di certo, accanto a lui ci saranno Gamper e Bouwman, gente di esperienza che ha lavorato con grandi capitani. E poi c’è Zana, che bisogna capire bene come “collocare”. Abbiamo Luke Plapp… Insomma, sì, abbiamo parecchi corridori validi per i grandi Giri e costruire una squadra solida.

Pensiamo anche a un altro nuovo arrivato, Double, o a Dunbar…

Sì, per loro vale lo stesso discorso di Zana. A metà novembre, in accordo con i preparatori, vedremo i percorsi, definiremo i programmi e, nel ritiro di dicembre, lo comunicheremo ai corridori.

In cosa O’Connor può migliorare con voi?

In molti aspetti. Sicuramente a crono. Con Marco Pinotti potrà fare grandi progressi, e Marco ha già iniziato a lavorare su questo. Poi credo che servano obiettivi chiari per i grandi Giri: sapere cosa si può davvero ottenere e farlo sentire leader.

Copeland ha detto che uno dei punti dove O’Connor potrà migliorare di più è la crono, che curerà con Pinotti
Copeland ha detto che uno dei punti dove O’Connor potrà migliorare di più è la crono, che curerà con Pinotti
Ecco, farlo sentire leader: un corridore australiano in un team australiano che, tra l’altro, lo ha voluto fortemente… questo può fare la differenza?

Può dargli “confidence” e potrà acquisirla non tanto per la nazionalità, ma per l’ambiente che troverà. Un inglese può trovarsi bene in un team italiano e viceversa… se l’ambiente è quello giusto per lui. Noi, per rendere l’ambiente ideale, dobbiamo metterlo nelle condizioni di svolgere al meglio il suo lavoro. Poi, certo, una certa mentalità e un linguaggio comune possono agevolare l’inserimento e rendere tutto un po’ più semplice.

Magari, se si sente più sicuro, anche i suoi alti e bassi e la fiducia in se stesso potranno migliorare. Quest’anno Ben ha fatto passi da gigante in questo senso…

Mentalmente è migliorato moltissimo e ha imparato tantissimo quest’anno. È stato l’unico al Giro a provare a tenere Pogacar. Era la tappa di Oropa, ricordate? Poi ha pagato lo sforzo, è vero, ma si è reso conto dell’impresa. Ha provato. E infatti poi non ha più commesso lo stesso errore. Alla Vuelta ha corso da leader. Ha tenuto la maglia rossa a lungo e ha gestito la squadra da primo in classifica. Forse anche lui pensava di cedere prima, e invece ha capito le sue qualità. Qualità che ha scoperto di avere anche nelle gare dure di un giorno.