Jungels dà un calcio alla iella, ma sul Tour arriva il grande caldo

10.07.2022
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Il caldo è arrivato tutto insieme e adesso si rimpiange l’arietta fresca della Danimarca e poi del Belgio. Bastava guardare in faccia Bob Jungels su quest’ultima salita e poi dopo l’arrivo per rendersi conto di quanto la calura si sia sommata alla fatica delle scalate. Ma il lussemburghese aveva così tanti conti da regolare, che non ha avuto paura di andarsene da solo a 62 chilometri dall’arrivo e non ha perso la testa quando sembrava che Thibaut Pinot dovesse farne un sol boccone. Strano modo di correre quello della fuga, che ha preferito cincischiare, finendo poi con il mangiarsi le mani.

«E’ difficile dire come mi senta in questo momento – ha detto Jungels appena tagliato il traguardo – sono sopraffatto. Per questo sono venuto al Tour. So cosa significa questo per la squadra. Da qualche anno soffro di infortuni. Sono molto felice ora. La mia forma sta migliorando sempre di più».

Il grande caldo si è fatto sentire: i corridori all’arrivo erano stremati
Il grande caldo si è fatto sentire: i corridori all’arrivo erano stremati

Maledizione alle spalle

Non doveva neanche partire. Per la stessa regola che oggi ha rispedito a casa Guillaume Martin e per la quale non sono partiti Trentin e Battistella, Jungels è risultato positivo al Covid quando la carovana si stava assemblando a Copenhagen e doveva fermarsi. Ma mentre gli altri prendevano mestamente la via di casa, Bob è rimasto in virtù di una carica virale bassissima. E forse anche in questo si potrebbe leggere un segno del destino.

Sembrava uno di quelli che, lasciata la Quick Step, avessero smesso di andare forte. Per la singolare regola o maledizione che colpisce tutti quelli che scelgono una strada diversa. Da Cavendish a Gilbert, passando per Terpstra e Viviani. Invece sulla strada di Jungels si è frapposta una serie infinita di acciacchi e problemi, culminati con l’operazione all’arteria femorale, la stessa di Aru e poi di Conci.

«A volte – ha raccontato – non riuscivo nemmeno a tenere il passo con il gruppo. Ricordo in Catalogna. Ero devastato, perché mi stavo allenando duramente, facendo tutto quello che potevo. E’ stato molto difficile. Ho anche pensato di smettere. Ho sempre corso per vincere, è stato degradante. Ne ha risentito anche il mio carattere. Normalmente sono una persona aperta, ma qualcosa mi impediva di esserlo».

Come alla Liegi

Per questo non avrebbe mai mollato, a maggior ragione sapendo che alle sue spalle un dolore grande almeno quanto il suo spingeva nei pedali di Pinot, ansioso a sua volta di rivedere la luce.

«Oggi potevo correre solo così – racconta Jungels – sapevo di dover provare da lontano perché sull’ultima salita sarebbe stato impossibile staccare i favoriti. Mi ha ricordato la mia vittoria a Liegi (Jungels ha vinto Doyenne nel 2018, partendo da solo dalla Roche aux Faucons, ndr), quando Vanendert si avvicinava sempre di più. Ma io continuai ad andare al mio ritmo, perché non volevo scoppiare. Gli ultimi due chilometri, sia allora sia oggi, sono stati infiniti. Il Tour ha 21 tappe e volevo vincerne una. Oggi ho preso tutti i rischi ed è successo. Voglio ringraziare tutti i miei compagni di squadra».

Pinot cresce

Pinot la prende con filosofia, acciuffato e poi saltato da Castroviejo e Verona, che di gambe ne avevano ancora tante e non si capisce perché le abbiano nascoste.

«Peccato – dice Thibaut – ma siamo arrivati con due minuti e mezzo a una salita che si addiceva a Bob, mentre avremmo dovuto limitare i danni in pianura. Se fosse stata una salita leggermente più dura, sarebbe stato diverso. Ma non ho rimpianti, ho dato davvero tutto me stesso. Ho capito in cima all’ultima salita che sarebbe stato complicato. Anche se gli avevo preso parecchio tempo, lui ha guidato bene nelle parti più scorrevoli. Ha fatto un numero. Ma questo è il mio primo giorno di buone sensazioni e ne sono felice di questo. Stanno arrivando le due settimane più importanti e questa è la cosa principale».

Pogacar ha corso da padrone con Bennett e Majka. La sensazione è che avrebbe potuto vincere anche oggi
Pogacar ha corso da padrone con Bennett e Majka. La sensazione è che avrebbe potuto vincere

La Porsche dei sogni

Fra i compagni di Jungels alla Ag2R Citroen, Oliver Naesen è stato uno degli ultimi ad arrivare. E mentre si informava se fosse vero che avesse vinto il compagno, come aveva sentito alla radio, ha raccontato un divertente aneddoto accaduto ieri sera ai colleghi fiamminghi di Het Nieuwsblad che lo attendevano al pullman della squadra.

«Ha fatto un numero pazzesco – ha detto – e ha tolto un grosso peso dalle nostre spalle. Da quando O’Connor è uscito di classifica, ci siano ritrovati senza un compito preciso e tutto è diventato più nebuloso. Questa vittoria significa missione compiuta. Ieri a tavola parlavamo delle nostre auto da sogno e per Bob era quella di un film, una Porsche 964. Quella molto chic di Bad Boys 1. Ha detto che se avesse vinto oggi, l’avrebbe comprata. Ho idea che dovrà spendere parecchi euro».

Domani intanto si riposa, ma sarà una giornata da gestire. Martedì si ricomincia con un arrivo in salita a Megeve. E con queste temperature, il minimo passaggio a vuoto si pagherà caro. E anche le energie sprecate in questo giorno di luglio potrebbero non tornare più.

Inoltre in gruppo si respira la tensione per il giro di tamponi predisposti dagli organizzatori. In Francia si lavora come ai vecchi tempi e siano benedetti gli uomini di ASO. Ma andare a casa per una positività al Covid sarebbe una scocciatura infinita.

AG2R-Citroen, cosa manca per il salto di qualità?

31.01.2022
4 min
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Chi ha chiuso quarto all’ultimo Tour? Alzi la mano chi ha risposto subito Ben O’Connor, corridore della AG2R-Citroen (foto di apertura). Eppure a 3 minuti dal terzo posto di Carapaz c’era lui, ma in questo ciclismo che parla solo dei vincitori, del piazzamento dell’australiano si è quasi persa la memoria. Che cosa avremmo detto se fosse stato un italiano?

La squadra è la casa di Vendrame, come prima di lui lo era stata per Nocentini, Pozzovivo, Montaguti e pure Appollonio. La vecchia Ag2R con i suoi cubetti lo scorso anno ha incontrato Citroen e si è trovata nel WorldTour con il quinto budget, non lontano da quello della Quick Step-Alpha Vinyl, rivoluzionando l’organico. Via Bardet, passato al Team DSM, dentro Van Avermaet e Jungels con il proposito di puntare sulle classiche Monumento.

Lavenu ha 66 anni, è stato pro’ dal 1983 al 1991, dal 2000 guida la AG2R (foto Le Dauphinee)
Lavenu ha 66 anni, è stato pro’ dal 1983 al 1991, dal 2000 guida la AG2R (foto Le Dauphinee)

Il primo bilancio

La novità ha infiammato i tifosi e acceso i riflettori, ma alla fine del primo anno le 12 vittorie hanno fatto storcere il naso allo stesso Vincent Lavenu, proprietario della squadra e manager di lunghissimo corso.

«Il dna della squadra restano le corse a tappe – ha spiegato a L’Equipe – anche se abbiamo deciso di ampliare il gruppo classiche. Prendere un velocista e investire troppo sul suo treno ci porterebbe via dal nostro obiettivo. Ma ovviamente bisognerebbe vincere di più: 15 vittorie sarebbero buone, 20 perfette. Ma l’obiettivo resta fare bene nelle grandi classiche. Siamo l’unica squadra francese ad aver vinto una tappa in ciascuno dei tre grandi Giri l’anno scorso, con Vendrame al Giro, O’Connor al Tour e Champoussin alla Vuelta».

Era partito per il Giro con l’idea di vincerne una ed ecco Bagno di Romagna
Era partito per il Giro con l’idea di vincerne una ed ecco Bagno di Romagna
Il dna è per i grandi Giri, ma gli uomini dove sono?

Abbiamo fatto di tutto per prendere Almeida, abbiamo trattato a lungo con i suoi agenti essendo disposti a sforzi enormi, ma ha scelto di andare negli Emirati Arabi. Gli altri più forti sono tutti sotto contratto e lo saranno a lungo. Non ce ne sono poi molti di quel livello, quindi dovremo fare come in passato per aiutare i nostri giovani a raggiungere il livello più alto. Abbiamo preso Bardet che era un bambino ed è salito due volte sul podio del Tour. Ricominceremo allo stesso modo, finché non troveremo un altro diamante.

Hai già un’idea?

Aurélien Paret-Peintre è arrivato 15° al suo primo Tour nel 2021, come Bardet nel 2013. Non so dove potrà arrivare, si impegna, è intelligente e proveremo a fare di lui un leader senza però dargli troppa pressione. Ben O’Connor ha 26 anni e l’anno scorso è arrivato 4° al Tour, potrà migliorare? Non facciamo pressioni sui nostri corridori. Anche Champoussin ha potenziale, ma il potenziale non basta per fare un campione.

Lo scorso anno a Plouay, Cosnefroy ha avuto la meglio su Alaphilippe
Lo scorso anno a Plouay, Cosnefroy ha avuto la meglio su Alaphilippe
Van Avermaet e Jungels hanno deluso?

Greg ha mantenuto il suo livello fino al Giro delle Fiandre dove è stato terzo, poi ha avuto un calo, soprattutto al Tour dove non ha mai sofferto tanto. Ma ha portato tanto in termini di serenità e umiltà… E’ un vero leader. Preferiremmo che vincesse, certo, ma con i giovani è stato esemplare. Jungels ha subito due operazioni all’arteria iliaca, sono sicuro che riacquisterà il suo livello

Una Monumento è alla portata?

Ci proviamo da tanto tempo. Abbiamo corridori con il potenziale per vincerne una. Cosnefroy al top può battere Alaphilippe e vincere la Liegi. Jungels l’ha già vinta. Van Avermaet vive solo per il Fiandre. Ci ispiriamo alla gestione della Quick Step e al loro essere killer nelle corse a cui puntano.

Van Avermaet non ha vinto, ma è stato trainante per tutta la squadra (foto AG2R-Citroen)
Van Avermaet non ha vinto, ma è stato trainante per tutta la squadra (foto AG2R-Citroen)
E voi?

Vogliamo diventarlo, rimanendo umili. Niente mi fa infuriare di più di un grande atleta spocchioso. Ai nostri corridori insegniamo a essere gentili, a sorridere sempre. Se un atleta pensa di essere amato solo perché vince, ha sbagliato tutto. Il corridore un po’ meno forte che però risponde ai giornalisti anche quando è deluso, che regala il suo cappellino a un giovane, quello entra nei cuori. Sono stato cresciuto così e non posso sopportare che uno dei miei corridori non abbia la stessa filosofia.

Jungels come Conci: il 2022 per uscire dall’ombra

20.11.2021
3 min
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Dove è finito Bob Jungels? Quando nel 2018 si prese la Liegi con un attacco da lontano e con il sesto posto al Giro del 2016 sembrava la carta più convincente della Deceuninck-Quick Step, chi poteva immaginare che sarebbe sparito come gli è successo quest’anno? Assieme ad Alaphilippe componeva la coppia d’oro della squadra. Poi ha ricevuto un’offerta importante dalla Ag2R-Citroen che puntava a diventare squadra da classiche, ha accettato, ma non ha mai trovato il bandolo della matassa. Non sarà mica come tutti quelli che lasciano la squadra e di colpo smettono di andare forte?

La Parigi-Nizza è stata la sua prima corsa del 2021, chiusa prevedibilmente nelle retrovie
La Parigi-Nizza è stata la sua prima corsa del 2021, chiusa prevedibilmente nelle retrovie

Come Conci e Aru

In verità no o almeno non per motivi misteriosi. Infatti il 2021 di Jungels è stato complicato a causa dell’endofibrosi iliaca esterna, che lo ha costretto a operarsi: non proprio lo stesso caso, ma assai simile a quelli di Aru e di Conci dopo di lui. Solo che lui il problema l’ha avuto a entrambe le gambe. Così non è stato in grado di farsi vedere nelle Ardenne e non ha partecipato al Tour.

«Mentalmente gli ultimi due anni sono stati duri – ha raccontato a Cyclingnews – ho passato dei momenti difficili. Ma ora vedo la possibilità di vincere di nuovo le mie gare. Ho scoperto che cosa significhi correre nel gruppetto. Ho faticato soprattutto mentalmente. Non ero lo stesso corridore, avevo problemi persino a dormire.

Nel 2018 vinse la Liegi arrivando da solo: numero che annunciava una grande carriera
Nel 2018 vinse la Liegi arrivando da solo: numero che annunciava una grande carriera

Dolore e frustrazione

Il dolore e la frustrazione, le stesse descritte da Nicola Conci. L’indole del corridore era quella di lavorare per dare il massimo, solo che poi in gara la mancanza di afflusso di sangue nelle gambe vanificava tutto.

«A volte – ha detto – non riuscivo nemmeno a tenere il passo con il gruppo. Ricordo in Catalogna. Ero devastato, perché mi stavo allenando duramente, facendo tutto quello che potevo. E’ stato molto difficile. Ho anche pensato di smettere. Ho sempre corso per vincere, è stato degradante. Ne ha risentito anche il mio carattere. Normalmente sono una persona aperta, ma qualcosa mi impediva di esserlo».

Nella crono di Andermatt del Giro di Svizzera, ritardo di 2’52” da Uran: qualcosa non va…
Nella crono di Andermatt del Giro di Svizzera, ritardo di 2’52” da Uran: qualcosa non va…

Il suo posto

La diagnosi ha se non altro mostrato la spiegazione che Jungels cercava, mentre l’intervento gli ha offerto una via d’uscita. E così dopo l’intervento, il lussemburghese è tornato in gara nella corsa di casa nel mese di settembre.

«Ero lontano dal mio miglior livello – ha raccontato – ma lentamente ho sentito i benefici. Ho detto al mio allenatore che finalmente sentivo di poter spingere quanto volevo. Spero che l’inverno mi permetta di recuperare il tempo perso e che il prossimo anno io possa riprovare la sensazione di forza di un tempo. Che mi permetta di riprendermi il mio posto nel gruppo».

Lombardia, finale inedito con Masnada… al volante

07.10.2021
5 min
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La 115ª edizione del Giro di Lombardia vivrà una delle sue fasi calde nello scenario delle mura veneziane di Bergamo Alta, che dal 9 luglio 2017 sono Patrimonio Unesco e che per la prima volta dalla nomina tornano protagoniste di una corsa. Qui, sullo strappo di 1,6 chilometri che terminerà ai 3,5 dall’arrivo, chi avrà gambe, coraggio e astuzia potrà tentare il colpo di mano.

Strettoia e ciotoli

La salita inizia dalla strettoia che sfiora la chiesa parrocchiale del quartiere Valverde (omonimia da sottolineare, chissà…) nella quale bisognerà passare in buona posizione, se il gruppo sarà ancora folto. Pochi metri, ma importanti. Così come restare davanti nel tratto centrale di acciottolato, di 200 metri, per assicurarsi il corridoio di destra, lastricato, senza sconnessioni. Poi la “esse” che porta nel drizzone della Boccola (la via che porta nel cuore del centro storico), che è tutto un crescendo di pendenza, fino al sottopasso che sbuca in Colle Aperto.

Trampolino e picchiata

Si respira 50 metri, poi il tranello. Un trampolino di 100 metri che sembra tuffarsi nella città bassa e sull’aeroporto di Orio al Serio, da cui potrebbe decollare chi avrà un briciolo di freschezza, rilanciando e gettandosi giù dalle Mura. Picchiata velocissima fino al traguardo di via Roma: c’è solo da “pinzare” secco per passare da Porta di S.Agostino, a 1.800 metri dall’arrivo.

Ultimo arrivo così: 15ª tappa del Giro 2017, vinse Bob Jungels in volata ristretta. Quando il Giro o il Lombardia affronta questo finale, nessuno è mai riuscito a staccare tutti, ma quest’anno si arriva con 4.500 metri di dislivello nelle gambe e 239 chilometro di acido lattico schiumante. Perché dopo la mitica ascesa del Ghisallo e una cinquantina di chilometri di relax, ci saranno da scalare cinque salite bergamasche in 115 chilometri: Roncola, Berbenno, Dossena, Passo Zambla e Passo Ganda.

A casa di Masnada

Salite di cui Fausto Masnada conosce ogni metro e ogni buca, lui che è di Laxolo, frazione di Val Brembilla a due passi dal Berbenno.

«Passerò davanti alla porta di casa – spiega il corridore della Deceuninck-Quick Step – sono strade che farei a occhi chiusi».

La Roncola è una salita dura, ma lontana dall’arrivo. Il Berbenno si fa in scioltezza, a Dossena qualcuno potrebbe tentare un attacco da lontano, mentre l’arrivo a Zambla è più panoramico che complicato.

«La gara si farà sul Passo Ganda – rivela Masnada – una salita vera. Anche le altre lo sono, ma quella è vicina al traguardo ed è la più dura».

Sono 9,2 chilometri al 7,3 per cento che faranno male. Dopo i primi chilometri secchi, la salita diventa pedalabile, ma è negli ultimi due chilometri che si affrontano le pendenze più severe. Ma non è finita.

«Bisognerà stare attenti nel tratto tra il passo e l’inizio della discesa di Selvino – spiega Masnada – c’è un saliscendi dove se lasci una decina di secondi, poi fai fatica a cucire il buco».

Il Lombardia del 2020 fu vinto da Fuglsang su Bennett e Vlasov
Il Lombardia del 2020 fu vinto da Fuglsang su Bennett e Vlasov

Tutti contro Alaphilippe

Anche perché la discesa di Selvino si snoda in 19 tornanti tutti da “rilanciare”. Dal termine della discesa all’inizio dello strappo di Bergamo Alta c’è una decina di chilometri con pendenza favorevole.

«E’ un percorso selettivo – chiude Masnada – e tutti correranno contro di noi che abbiamo Alaphilippe (i due sono insieme nella foto di apertura alla Milano-Torino, ndr). Io sto bene, spero di avere la gamba buona e sento già l’emozione di correre in casa: quando c’è un tifo come quello della Boccola, non senti nemmeno la fatica». 

Da quando le mura veneziane che cingono Città Alta (come i bergamaschi chiamano quello che si può definire il vero centro storico della città) sono state nominate Patrimonio Unesco – era il 9 luglio 2017 – nessuna corsa ciclistica è più passata da qui.