Non solo Jumbo, 20 anni fa c’era la Mapei giovani…

07.08.2021
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L’articolo sull’Academy della Jumbo Visma e su come lavorino con i giovani e il team development e ci ha fatto rivenire alla mente la Mapei Giovani. Quello fu un progetto davvero innovativo. Un progetto che col senno del poi lanciò moltissimi personaggi di spicco. Sono passati da lì corridori come Fabian Cancellara e Filippo Pozzato, ma anche tecnici Roberto Damiani e Luca Guercilena. Di quello staff faceva parte anche un tecnico, bravissimo, che spesso lavora nell’ombra e che all’epoca era giovanissimo: Andrea Morelli.

Oggi lui è una colonna portante del Centro Mapei ed è la persona ideale per ricordare quella avventura, ma anche per capire come lavoravano. Furono quattro stagioni (dal 2000 al 2003) molto costruttive.

Andrea Morelli, Fabian Cancellara
Andrea Morelli con Fabian Cancellara, qualche stagione dopo gli anni della Mapei: rapporti sempre buoni
Andrea Morelli, Fabian Cancellara
Andrea Morelli con Fabian Cancellara, qualche stagione dopo gli anni della Mapei: rapporti sempre buoni

Rivoluzione Mapei

«Il progetto Mapei giovani nasce a cavallo del 1999-2000 – spiega Morelli – ha anticipato i progetti attuali delle squadre che lavorano con i ragazzi. L’idea era di centralizzare il monitoraggio degli atleti, soprattutto per quel che riguarda la preparazione, visto che qualcuno aveva dei preparatori esterni. Si davano delle linee guida generali sulla vita da tenere anche oltre la bici, ma certo per vedere se il corridore faceva il furbo avresti dovuto vivere con lui notte e giorno. E non era semplice.

«L’idea di Squinzi e Sassi fu rivoluzionaria. Si voleva far crescere l’atleta a 360°, avere un gruppo omogeneo e da lì la squadra giovani. Capirono per primi che se non hai una base su cui costruire poi è difficile mantenere un alto livello tra i grandi».

Aldo Sassi e Giorgio Squinzi, alla presentazione della Mapei-Quick Step nel 2001
Aldo Sassi e Giorgio Squinzi, alla presentazione della Mapei-Quick Step nel 2001

L’importanza del vivaio

Il vivaio resta un qualcosa di centrale. E sempre di più è così. Lo vediamo con i grandi team WorldTour attuali, ma anche nel calcio e persino nella F1, ci sono le cosiddette Academy, anche la Ferrari ne ha una.

«Anche il calcio che ha più risorse economiche lo sta facendo. Guardiamo il Sassuolo per esempio con Generazione S. Oggi si analizzano i dati di alcuni allievi e se sono buoni li fai allenare come i pro’. No, noi volevamo un vivaio allargato per far crescere i corridori con gradualità. All’epoca, per capacità o per fortuna, avevamo tante squadre satellite. Ho detto per fortuna perché Mapei essendo così grande e internazionale spesso aveva dei rivenditori privati che sponsorizzavano delle società. Un anno tra junior e dilettanti avevamo 18 team. Iniziava ad essere un bacino ampio.

Anche oggi come allora tanti campioni passano dal Centro Mapei Sport, ecco Elisa Longo Borghini
Anche oggi come allora tanti campioni passano dal Centro Mapei Sport, ecco Elisa Longo Borghini

Okay la cultura, ma i test…

La Jumbo valuta i corridori dai dati e anche sotto il profilo umano, andando a casa dei genitori, esaminando anche l’aspetto culturale. La Mapei giovani come faceva?

«Sicuramente i tempi sono cambiati e l’aspetto esterno al ciclismo è importante, ma i dati restano fondamentali. Bisogna vedere i risultati storici e i risultati in laboratorio, perché comunque se non hai quei valori fisiologici non puoi andare avanti. Poi ci sono le capacità: guidare bene la bici, leggere la corsa, avere testa… ma se non hai il “motore” è difficile che tu possa diventare corridore. E poi gli interessi di un corridore nel privato possono essere diversi. C’è quello super informato che studia e quello che invece vuole salire in sella e basta. E’ anche una mentalità diversa da soggetto a soggetto: meno pensieri, meno stress, essere più rilassato…».

In ammiraglia Mapei anche Roberto Damiani, qui con Bettini
In ammiraglia Mapei anche Roberto Damiani

Una fitta rete di scouting

«Nei nostri screening fisiologici si vedeva che Cancellara anche da junior aveva dei valori molto alti per appartenere a quella categoria. Sapevi che poteva diventare qualcuno. E lo stesso, in tempi più recenti, Ganna.

«Noi i ragazzi li trovavamo come ho detto tramite le nostre squadre satellite, ma poi anche grazie ai nostri tecnici e talent scout, o il passaparola che vale ancora molto. Magari c’era un U23 che non vinceva tanto ma era costante e otteneva bei piazzamenti. Individuati i soggetti si faceva loro un test.

«Mettiamoci che Mapei aveva interessi economici anche all’estero. E quindi era interessata ad altri mercati. Ecco che dal’Ungheria arrivò Bodrogi, dall’Inghilterra (che non era la potenza ciclistica di adesso, ndr) arrivò Wegelius, individuammo già anni prima Vandenbroucke in Belgio, Rogers dall’Australia… Poi non è detto che il corridore diventi un campione. Anche da noi ci furono dei casi di gente durò una stagione o due.

«I ragazzi erano seguiti da Guercilena e Damiani. Prendemmo Cancellara e Pozzato direttamente dagli juniores. Oggi è quasi la normalità, all’epoca fu un caso eclatante. Ma l’idea della crescita graduale fu subito centrale. Ed è questa forse la cosa che manca di più oggi, quando vedi questi ragazzini che passano dagli junior al WorldTour. Noi facevamo delle brevi corse a tappe di 3-4 giorni e ogni anno un po’ di più fino alle corse di “prima categoria“.

«Per esempio Cancellara. Al primo anno – dice Morelli mentre ogni tanto fa delle pause e verifica i vecchi dati – fece il Recioto, il Circuito Franco Belga e qualche altra gara. Nel 2001: Algarve, Tour di Rodi, Noekere, Gp Berna, Alentejo, Slovenia, Ain e altre gare singole. O Pozzato: nel 2000 fece gli Etruschi, Almeria, una corsa a tappe in Austria e l’anno dopo il Giro del Lussemburgo, quello di Danimarca, il Limousin, delle gare in Giappone».

Meno conoscenze sull’alimentazione, ma grande collaborazione con Enervit già in quegli anni
Meno conoscenze sull’alimentazione, ma grande collaborazione con Enervit già in quegli anni

Alimentazione e ginnastica

«Non c’erano certo le conoscenze che ci sono adesso sull’alimentazione – spiega Morelli – Si davano delle indicazioni generali, c’era la plicometria e lì finiva. Tuttavia Sassi collaborò molto con Enervit e già riuscimmo a dare delle indicazioni in tal senso. Semmai il problema di quegli anni era lo stacco invernale che era davvero lungo. E si vedevano anche casi di gente che metteva su 7-8 chili. Oggi al massimo riposano dieci giorni in totale e poi già riprendono con altre attività.

«Anche la palestra serviva quasi più come attività alternativa che per la preparazione vera e propria. C’erano i classici esercizi per l’irrobustimento della parte superiore e quelli più mirati per la bici.

«Mapei Giovani era un progetto di “evidence based coaching” cioè l’insieme di dati scientifici ed esperienze sul campo. Per esempio avevi visto e capito che quel determinato allenamento faceva bene, ma c’era già un riscontro scientifico».

Morelli, cos’è l’assuefazione all’allenamento?

25.03.2021
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Anni ed anni di allenamento. Chilometri, ripetute, altura, ritiri… Il fisico può assuefarsi per davvero? Si può abituare? Può succedere che una seduta da 200 chilometri e 3.000 metri di dislivello non porti più benefici o miglioramenti?

Ne parliamo con Andrea Morelli, uno degli storici preparatori del Centro Mapei Sport. «Se si applicano sempre gli stessi metodi il corpo non migliora più – dice – smette di rispondere agli stimoli. Si parla infatti di “minor stimolo allenante”, cioè quanto devo fare per migliorare. Non è detto che per migliorare 10 devo fare 100, posso anche fare 50. Ma con il tempo questa soglia di assottiglia sono costretto a fare di più di quel 50 e non è facile cambiare le cose».

Andrea Morelli, Fabian Cancellara
Tra i tanti campioni passati tra le mani di Andrea Morelli c’è anche Cancellara
Andrea Morelli, Fabian Cancellara
Tra i tanti campioni passati tra le mani di Andrea Morelli c’è anche Cancellara

Gli stimoli giusti

«Spesso – dice Morelli – accade che per continuare a migliorare ci si allena troppo e si creano due condizioni: over reaching e over training. Il primo è uno stato di affaticamento del fisico che dopo 4-7 giorni di recupero o riposo non solo passa, ma può anche portare dei miglioramenti. Il secondo è invece uno stato più complesso: il corpo non riesce più a perfomare, sei sempre stanco ed è uno stato che si protrae per periodi molto lunghi, anche mesi. Subentrano aspetti psicologici, ormonali… e non solo fisiologici.

«Ci sono dei modelli matematici (Performance Modeling) nei quali vedi che se per 20-30 giorni applichi lo stesso stimolo non migliori più, si chiama stagnazione. Ma attenzione, la realtà poi è diversa. Variano il clima, la temperatura, l’aspetto psicologico… E poi ogni anno è diverso dall’altro».

Margini al limite

Sulla base di questo argomento, ci viene da pensare a Nibali. Si è staccato dal suo storico preparatore, Paolo Slongo. Sembra che il siciliano abbia sentito l’esigenza di cambiare metodo di lavoro, probabilmente di sentire e provare altri stimoli. Ma certo a 36 e passa anni, non è facile intraprendere un nuovo cammino. Di certo è lodevole, perché ci dice della voglia dello Squalo di mordere ancora.

«In generale – riprende Morelli – i professionisti hanno margini di miglioramento che diminuiscono con gli anni. Si è costretti a fare carichi crescenti a fronte di miglioramenti piccolissimi, specie per gli atleti fortissimi. Con gli anni tutti i meccanismi si ottimizzano. L’atleta impara ad utilizzare gli zuccheri, a consumare di meno, arriva al top dal punto di vista tecnico, la sua pedalata è efficiente. Si chiamano “marginal gains” e serve una grandissima motivazione per continuare su quella strada, per limare qualcosa».

In poche parole è un po’ come un imbuto che si restringe sempre di più. Servono più sacrifici, si può migliorare poco e tutto deve essere sempre al top. In più c’è l’aggravante che magari il soggetto sia arrivato al suo massimo. In questo caso può solo mantenere.

I corridori della nuova generazione sono più portati a lavorare ad alte intensità
I corridori della nuova generazione sono più portati a lavorare ad alte intensità

La testa conta

«Quindi l’assuefazione esiste – riprende Morelli – ci sono esempi di atleti molto longevi che continuano a performare, ma magari nel corso degli anni hanno optato per gestioni diverse, con lunghi stacchi durante le stagioni. A 35 anni non si può più pensare di fare quel che si faceva a 25 anni, già solo il recupero cambia. Magari prima quell’atleta riusciva ad andare forte in tutte la gare, adesso invece deve selezionare dei periodi.

«Io poi sono rimasto molto colpito da questi giovani di oggi nei grandi Giri. Di solito la terza settimana era favorevole a coloro che avevano una certa esperienza e abitudine a certi sforzi, invece lo scorso anno non è stato così. E neanche possiamo dire perché gli altri sono andati piano. No, sono loro che hanno fatto prestazioni particolari. Pertanto questa cosa la dobbiamo considerare. Ha risvolti psicologici non secondari sugli altri».

Morelli parla spesso dell’importanza della testa. L’aspetto psicologico è primario per lui. In tal senso ricorda come Basso ed Evans, pur sapendo di fare una cosa sbagliata, chiedevano a lui e al professor Aldo Sassi di eseguire un super allenamento prima di un grande appuntamento.

«Ivan in particolar modo voleva fare una seduta distruttiva di 8 ore, 8 ore e mezza. Ne nascevano anche accese discussioni. Però se lui usciva bene da questa seduta sapeva che era pronto per il Giro o l’appuntamento a cui puntava. Si sentiva forte e pronto. A quel punto si cercava solo di fargliela fare in un momento che non fosse troppo deleterio, cosicché avesse il tempo di recuperare».

Nibali verso Prati di Tivo alla Tirreno. Il siciliano è arrivato 16° a 1’27” da Pogacar
Nibali verso Prati di Tivo alla Tirreno. Il siciliano è arrivato 16° a 1’27” da Pogacar

In corsa per vincere, sempre

Certo, pensare che Nibali a Prati di Tivo, nell’ultima Tirreno, sia andato più forte di un minuto rispetto al 2013 e che a sua volta si sia staccato fa riflettere noi ed è una potenziale “botta” per l’atleta.

«Sicuramente dall’anno scorso stiamo assistendo a delle prestazioni straordinarie, però occhio a fidarsi solo dei numeri. Oggi si sbandierano i dati della potenza, soprattutto quella normalizzata che è un po’ più alta, perché “fa molto figo” e fa audience… Dal punto di vista dell’atleta dico che può essere soddisfatto perché ha visto che è migliorato, dall’altra lui stesso dice: okay sono migliorato, ma ho anche preso più di un minuto. Bisogna vedere quanto siano reali tutti quei dati».

Infine c’è un punto di vista che espone Morelli molto interessante. Riguarda Nibali, ma non solo lui sia chiaro.

«Una volta – conclude Morelli – si andava alle gare anche per allenarsi. In alcune corse, soprattutto se eri forte, potevi non essere al top e fare quel lavoro che in allenamento evidentemente non riesci a fare. Lo stimolo psicologico non può essere lo stesso se devi fare delle ripetute forti, certi livelli di fatica non li raggiungi in allenamento. Dopo un po’ stacchi. In corsa invece puoi tenere duro e andare oltre. Adesso tutto ciò non è più possibile. Nel caso di Nibali, pensando a Prati di Tivo, magari otto anni fa lui non era a tutta».

Tutto ciò combacia perfettamente con quel che ci ha detto Pino Toni pochi giorni fa: gli atleti della nuova generazione sono più portati a fare allenamenti ad alta intensità in vista delle gare. E chi sfruttava appunto le gare non ha più questa possibilità.

Allenarsi in ritiro o in corsa? Morelli spiega le differenze

09.03.2021
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Allenarsi per correre o correre per allenarsi? L’osservazione vede in gruppo entrambe le tendenze, anche se spesso, soprattutto nelle ultime settimane, il fatto di non gareggiare e prepararsi in ritiro è la conseguenza delle corse annullate a inizio stagione. Se però si parla di atleti di punta che scelgono di non correre prima di un obiettivo, potendo benissimo chiedere di gareggiare cambiando i programmi del team, allora ti viene il dubbio che da qualche parte si pensi davvero di trovare la forma vincente facendo a meno di correre. Come Van Aert alla Strade Bianche e anche Evenepoel, attualmente sul Teide, che inizierà la stagione al Giro d’Italia.

Andrea Morelli dirige la sezione ciclismo del Centro Mapei ed ha una posizione piuttosto netta.

«Chi corre prima – dice – è più rodato. Rispetto al passato, le cose sono cambiate. Non si possono più utilizzare le corse solo per allenarsi come magari faceva un tempo Bettini, perché ormai vanno tutti per vincere, ma puoi servirtene. E anzi, conviene servirsene. L’intensità in gara è molto superiore rispetto a pochi anni fa, allora devi scegliere il tipo di corsa in cui andare a far ritmo senza rischiare la figuraccia. Anche se gli atleti di alto livello, penso a Evans, Valverde e Contador, andavano alle corse comunque per vincere. E anche se non avevano la forma migliore, il più delle volte si piazzavano».

Strade Bianche: Van der Poel ha appena piazzato il primo scatto, Van Aert non riesce a rispondere
Van der Poel ha piazzato il primo scatto, Van Aert non risponde
Perché l’allenamento non può sostituire la gara?

Perché l’intensità che fai in allenamento non è quella della corsa e anche la parte emotiva fa la differenza. La gestione dell’intensità è diversa. In ritiro puoi pianificare il lavoro, inserire una salita, prevedi delle fasi dietro motore, fare simulazioni di gara per trovare stimoli e lavorare bene. Mi viene da pensare al lavoro di Aldo Sassi con Basso…

Giusto, il lavoro durante la squalifica?

Esatto, cercando di riprodurre delle vere corse a tappe. La crono. La salita. Il fuorisoglia. Ma un lavoro così paga se hai grandi motivazioni e comunque rende meno di quello che faresti in gara.

Insomma, meglio correre prima di una gara cui punti?

Il fatto di correre prima ti permette di arrivare con maggior freschezza al momento della selezione. La progressione dei carichi non sarà ottimale, ma è difficile da replicare in allenamento. La controindicazione è che in corsa non riesci a dosare i fuorigiri. Ma la gara ti dà il polso vero della condizione.

Il belga ha iniziato la sua stagione alla Strade Bianche
Il belga ha iniziato la sua stagione alla Strade Bianche
Allenarsi senza correre ti sottrae al confronto…

Penso a Nibali, che l’anno scorso fece la Tirreno prima del Giro. Veniva da ottimi allenamenti con ottimi dati, ma in corsa si ritrovò senza grossi picchi e al Giro si capì che non era al top come magari si poteva pensare in ritiro. Se vai ad una grande corsa senza gare nelle gambe non hai confronti con i rivali, le cose si complicano. Non sei performante.

Van der Poel ha vinto al debutto in Uae: un’eccezione?

Il fuoriclasse sfugge agli schemi, sono atleti che hanno doti fuori dal comune. Ma non dimentichiamo che il belga veniva dalla stagione del cross, in cui aveva certamente ottenuto valori massimali, quindi è anche facile che sia arrivato al debutto in anticipo di condizione rispetto agli altri. E comunque la prima corsa l’ha vinta in volata, puntando su una sua dote ben precisa. Per vincere la Strade Bianche si è allenato, ma veniva da due corse in Belgio.

Che cosa intendi con anticipo di condizione?

Penso ai corridori che debuttavano in Australia a gennaio. Non seguivano la stessa preparazione degli altri. Magari smettevano prima e iniziavano ad allenarsi in anticipo. Sono cose che si dimenticano, si pensa soltanto al risultato, ma quando poi tornavano in Europa erano parecchio più avanti degli altri. Se vieni da un inverno di lavoro, che tu abbia fatto cross o strada, hai un altro passo rispetto a chi magari ha fatto un solo ritiro a dicembre.

Evenepoel si sta allenando sul Teide con Masnada ed Honoré: correrà al Giro (foto Instagram)
Evenepoel si sta allenando sul Teide (foto Instagram)
Dopo la vittoria in Uae, Van der Poel è tornato a casa. Non ha corso l’Het Nieuwsblad, ma si è concentrato su Kuurne e Le Samyn, dove ha corso attaccando e facendo grandi fuorigiri…

E’ un atleta che evidentemente ben si conosce. A volte discuti con le squadre. Ci sono tre corse di fila e non riesci a far capire che magari è meglio saltarne una per essere più performante nelle altre due. Quello che ha fatto lui, che evidentemente sa bene che il recupero fa parte dell’allenamento.

Tutto torna. E Van Aert, che non aveva corso prima, ha pagato proprio il primo scatto di Van der Poel.

Perché certe intensità in allenamento non le fai e la prima volta in corsa le paghi. Anche perché poi era quasi rientrato. A Piazza del Campo, dopo i primi tre è arrivato lui. Una corsa di quasi 200 chilometri ha più variabili di una gara di cross. Van der Poel lo sa e ha corso prima, Van Aert ha scelto di non farlo.

Variabili?

Tattica. Alimentazione. Una serie di aspetti diversi. E nonostante questo, mi stupisce che Van der Poel sia arrivato dopo una giornata così tirata a fare quella sparata sul muro finale. Come se prima avesse fatto solo un’ora di cross.

E di Evenepoel che debutterà al Giro cosa si può dire?

Probabilmente non verrà per puntare al Giro, come aveva detto. Lo userà come blocco di lavoro. E’ giovane sono curioso di vedere in che modo lavorerà nelle tre settimane. Vedo delle insidie. La prima settimana ha tappe nervose, quelle in cui se vieni solo da allenamenti potresti pagare pegno. Io gli suggerirei di fare prima una corsa a tappe. Non il Romandia, che è troppo vicino al Giro. Semmai il Tour of the Alps, non credo che un corridore così in quella squadra abbia problemi a trovare una corsa da fare.

Userà il Giro per puntare alle Olimpiadi.

Facendo un bel blocco di lavoro, ma non è uno qualunque. Io gli suggerirei un programma alternativo prima del Giro, invece di passare i prossimi due mesi ad allenarsi.

Andrea Morelli, Fabian Cancellara

Pogacar, Almeida e i giovani italiani: parla Morelli

12.11.2020
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Andrea Morelli si guarda intorno. Il responsabile ciclismo del Centro Mapei ha seguito il Tour e il Giro, meditando a lungo sulle prestazioni di atleti tanto giovani.

«A parte uno come Ganna che conosco da sempre – dice – e che quando vedemmo da junior era sui livelli di Cancellara, sono stupito per la capacità di tenuta dei più giovani nella terza settimana. La resistenza si costruisce col tempo. Devi avere talento, ovvio, poi il lavoro ti consolida. Per cui vedere Pogacar fare quella crono al penultimo giorno mi ha davvero stupito».

Si va. Taccuino. Domande. Qualche riferimento a quel che ci hanno detto Bartoli e Guercilena. E un fluire di pensieri che ha bisogno appena di essere alimentato da qualche osservazione.

Tadej Pogacar, Planche des Belles Filles, Tour de France 2020
Sorprendente per Morelli la crono di Pogacar a La Planche des Belles Filles
Tadej Pogacar, Planche des Belles Filles, Tour de France 2020
Pogacar, crono decisiva a La Planche del Belles Filles
Non c’è solo Pogacar. Evenepoel, Almeida, Hindley, Geoghegan Hart…

Non conosco Remco, ma conosco bene Almeida. L’ho seguito fino al professionismo. Assieme a Oliveira e Guerreiro facevano parte del programma della nazionale portoghese, che si era rivolta al Centro perché gli dessimo una mano ad uscire da logiche troppo portoghesi. Oliveira si è giocato un mondiale inseguimento con Ganna, per intenderci. Correvano per Axel Merckx e noi ne seguivamo la programmazione. Tutti forti. Con loro c’era anche Geoghegan Hart, molto buono anche lui

Da cosa dipende la loro precocità?

Le continental in cui corrono da ragazzini vanno forte, tanto che alcune squadre WorldTour hanno dovuto faticare quando le hanno incontrate. Non credo tanto al discorso delle scuole nazionali, mi sembra una favola. Ci sta che vengano fuori atleti forti, ma al Tour abbiamo visto qualcosa di grande davanti ai migliori del mondo.

Da cosa dipende?

Di sicuro incide la competitività. Sono motivatissimi e non mollano mai. Riescono a reggere meglio la pressione, forse perché sono nati sui social e se ne sbattono di quel che dice la gente. Fanno il forcing e attaccano da lontano. Questo può svantaggiare l’atleta più posato. Hanno un carattere fortissimo. Non è semplice fare tre settimane a tutta.

Quindi anche una spiegazione tattica?

Luca Guercilena mi ha raccontato del loro Simmons, che ha la tendenza ad attaccare a 40 chilometri dall’arrivo, come quando era junior. Magari lo prendono, ma la corsa intanto cambia passo bruscamente. Il modo di correre è cambiato tanto.

Qualcuno potrebbe pagarlo?

Nibali è uno dei pochi che ha mantenuto la temporizzazione classica, usando le corse per prepararsi. Negli anni lo abbiamo visto spesso dietro e poi venire fuori quando serve. Pensavo che quest’anno sarebbe successo lo stesso, invece no.

Joao Almeida, Ruben Guerreiro, Giro d'Italia 2020
Almeida e Guerreiro, compagni di squadra in nazonale
Joao Almeida, Ruben Guerreiro, Giro d'Italia 2020
Joao Almeida e Ruben Guerreiro amici da tempo
Che idea ti sei fatto?

Ci sta che abbia pagato per il Covid, anche se ha mantenuto i suoi grossi volumi di lavoro. Mentre uno come Jacopo Mosca, che seguiamo direttamente, non è potuto uscire e ha dovuto lavorare tanto sui rulli. Il lockdown ha ridotto i volumi e alcuni potrebbero averne tratto vantaggio in termini di recupero e freschezza.

Altri invece lo hanno sofferto.

Certo, stare fermi a lungo è un disagio. E’ mancata l’intensità della corsa e magari i più giovani ne hanno tratto vantaggio grazie all’elasticità dell’organismo, mentre l’atleta più esperto ha bisogno di volume e gradualità. Nibali ha questo approccio, usa le gare per gestire la programmazione e per abitudine e struttura deve fare un certo numero di corse. Ma se le corse impazziscono…

Che cosa intendi?

Calendario e abitudini. L’arrivo di Sky (oggi Ineos-Grenadiers, ndr) ha cambiato tutto. Vengono sempre per vincere e non è facile stare in gruppo se a menare sono atleti che dovunque sarebbero capitani. Altre si sono adeguate, come la Jumbo. Il livello è altissimo, non reggi e questo non ti allena molto. Mettiamo sul piatto la programmazione serrata del 2020 e si capisce che forse si è creata confusione nella gestione dei carichi di lavoro.

Si spiega così il Nibali dello Stelvio?

La cosa incredibile dello Stelvio è stato Rohan Dennis. Se Nibali si è staccato è perché la sua soglia era inferiore ai valori dell’australiano. Ma quelle prestazioni ci hanno lasciato tutti di sasso.

Credi che corridori tanto forti da giovani avranno una carriera più breve?

Se ci sono arrivati nel modo giusto, continuano anche in futuro. Non credo possano essere come le ginnaste, che bruciano in pochi anni. E’ uno sport di endurance, si riesce a costruirci sopra, se riescono a tenere la testa sul collo, a gestire i soldi, il divertimento e i social. Poi la differenza la fai sulla bici.

Sono frutto del buon lavoro di qualcuno?

Qualsiasi ragazzo fai lavorare in modo corretto porta frutti. Non devi forzare i tempi. Con Merckx c’era da mediare, perché lui fa allenamenti pesanti e in America il calendario era tutto tosto. Ma se rispettano carichi e igiene dell’allenamento, continueranno a fare bene anche in futuro. Che poi si ripetano è un’altra storia.

Invece da noi?

Arrivano al professionismo con pochi margini e questo li logora. Devi stare sempre concentrato anche semplicemente per essere tiratissimo. E se poi sposti questo stress fra gli allievi, quando passano che cosa fanno?

Eppure c’è la rincorsa al passaggio.

I procuratori cercano di… vendere gli atleti già da allievi, quantomeno li bloccano subito. Le squadre a questo punto li fanno firmare, con l’avallo di alcuni genitori che pensano di avere in casa il Cristiano Ronaldo della bici. Invece fino ai vent’anni lo sport andrebbe vissuto come divertimento. Anche il professionista che lavora controvoglia non rende. Forse all’estero tutto questo non c’è.

Non basta attenersi alle tabelle e va tutto bene?

Il metodo anglosassone per cui esiste solo la potenza per me è sbagliato. Difficile avere una struttura troppo sofisticata nella squadra di paese, ma va bene. Perché da ragazzino devi conoscere il tuo corpo e le percezioni in risposta agli allenamenti. Magari commetti pure qualche sbaglio, ma impari. E magari a 22 anni, quando vai a pescare risorse dovunque, scopri di avere dei margini di crescita.