Nuoto e ciclismo: con Morelli fra pro e contro

01.12.2023
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Ce lo aveva accennato Franco Pellizotti, diesse della Bahrain Victorious, a proposito di Antonio Tiberi. «A livello fisico ha avuto qualche problema alla schiena e deve fare della ginnastica posturale per risolverli. E’ bene che si facciano prima dell’inizio della stagione perché una volta in bici tutto deve essere a posto. Lo sta facendo andando qualche volta in piscina».

Andrea Morelli insieme a Bauke Mollema dopo la conquista della maglia iridata nel Mixed Relay 2019 (foto Instagram)
Andrea Morelli insieme a Bauke Mollema dopo la conquista della maglia iridata nel Mixed Relay 2019 (foto Instagram)

Una base di esperienza

Lo stesso Tiberi ha poi confermato che durante la preparazione va in piscina a nuotare. Ma quali benefici può portare il nuoto? Sono concreti? Servono durante la stagione? Le tante domande che ci sono venute in mente le abbiamo girate ad Andrea Morelli, Direttore del ciclismo presso Mapei Sport, tecnico e allenatore di ciclismo che ha lavorato anche nel triathlon, disciplina che prevede una parte sostanziosa di nuoto (foto di apertura SolisImages). 

«Partiamo con il dire – spiega Morelli – che il nuoto per un ciclista professionista viene usato in maniera completamente differente. Un atleta del livello di Tiberi non usa il nuoto in fase di preparazione per migliorare la capacità aerobica, non ne troverebbe giovamento. Viene usato per lo più per mantenersi in movimento nella fase di riattivazione, dopo le vacanze. E’ un modo per riattivare il fisico durante la preparazione: c’è chi va a correre e chi, invece, preferisce andare in piscina».

Il nuoto può sostituire i lavori in palestra, specialmente quelli a secco
Il nuoto può sostituire i lavori in palestra, specialmente quelli a secco
Si tratta di un’attività diversa dalla bici, ma l’atleta va comunque seguito, giusto?

Certamente. Dovete considerare che come tutte le attività “accessorie” non è qualcosa che si impone all’atleta. Deve innanzitutto piacere, quindi deve essere fatta con voglia. Diciamo che bisogna essere dei tipi “acquatici”. Se si va in piscina e si ha paura dell’acqua, gli effetti sul fisico sono controproducenti.

In che senso?

C’è da considerare, come in tutte le cose, un aspetto mentale. Se si va a nuotare contro voglia o si ha poca dimestichezza con l’acqua, il rischio è di lavorare male. E così al posto di avere degli effetti benefici, si hanno dei peggioramenti. Va considerato un altro aspetto. 

Quale?

Che nuotare è estremamente faticoso, se si ha poca massa grassa restare a galla è difficile perché è la massa grassa che favorisce il galleggiamento.

Nuotare a rana aiuta a combattere i problemi della zona lombare (foto Stilelibero)
Nuotare a rana aiuta a combattere i problemi della zona lombare (foto Stilelibero)
Che differenza c’è rispetto alle altre discipline alternative come la corsa?

Rispetto alla corsa o al praticare bici fuoristrada, il nuoto è meno traumatico, non è un’attività che va a caricare le articolazioni tendineo-muscolari. Ciclismo su strada e nuoto sono comparabili, perché entrambe non producono contrazioni eccentriche. Per dirla breve, non sollecitano le ossa e quindi non le rinforzano. 

Il nuoto quindi quali benefici porta?

Dal punto di vista della condizione aiuta a riprendere la fase aerobica perché si lavora sul sistema cardio-circolatorio. Come detto prima, non porta a un incremento di questa fase, per far ciò che questo accada bisognerebbe farlo diventare la propria disciplina di riferimento. 

E dal punto di vista muscolare?

Grazie al nuoto si vanno a fare dei lavori sulla muscolatura di supporto, il cosiddetto core. E’ utile per mantenere un livello base di forza. Spesso il nuoto è utile per sistemare problemi di lombalgia o scoliosi. Per esempio, se si hanno problemi di lombalgia, è utile nuotare a “rana” perché si va a rinforzare quell’area. In più se si fanno delle sessioni di nuoto rilassate, quindi con dei gesti ampi e movimenti lenti, si riesce a lavorare bene sulla mobilità articolare. 

Il nuoto è uno sport estremamente ripetitivo, uno dei rischi è la noia nel fare sempre il solito gesto (foto Giuseppe Sozzi)
Il nuoto è uno sport estremamente ripetitivo, uno dei rischi è la noia nel fare sempre il solito gesto (foto Giuseppe Sozzi)
Può sostituire la palestra?

In un certo senso sì. Si lavora molto sulla forza-resistenza in maniera diversa rispetto a quelli che sono i lavori a secco in palestra. Ma attenzione, se la domanda è: “Il nuoto fa bene ai ciclisti?”, la risposta è, come in tutti i casi: “Dipende”. 

Ci spieghi…

Ricordo che come tutte le attività accessorie si parte dal piacere personale. L’atleta deve essere contento di andare in piscina, così come deve essere contento di andare a correre a piedi. In più in caso di patologie vanno valutati tutti i casi per indicare la strada giusta al fine correggerle.

Primo grande Giro: cosa cambia nel motore?

16.03.2023
7 min
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Le parole di Andrea Fusaz su Milan, scritte ieri a proposito della partecipazione di Jonathan presto o tardi a un grande Giro, hanno acceso la luce su un tema molto interessante. Che cosa cambia nel motore di un atleta dopo la corsa di tre settimane? A leggere le tante interviste, si tratta di uno snodo cruciale della carriera, quello che fa diventare grandi (in apertura, il primo Giro di Vincenzo Nibali, nel 2007, a 22 anni). Però che cosa succede effettivamente nell’organismo del corridore? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Morelli, Responsabile Laboratorio Analisi del Movimento presso Mapei Sport, che nella sua carriera ha seguito e segue ancora svariati professionisti alle prese con simili passaggi.

Andrea Morelli è il Responsabile Laboratorio Analisi del Movimento presso Mapei Sport
Andrea Morelli è il Responsabile Laboratorio Analisi del Movimento presso Mapei Sport
Quali sono i condizionamenti che si attuano nel corpo dell’atleta?

Prima di tutto hai un aumento impressionante del carico di lavoro, perché una corsa a tappe breve, piuttosto che dei blocchi di lavoro in allenamento non permettono di produrre un carico di lavoro tanto elevato. Quindi una sequenza di giorni così lunga come quella che si ha in una corsa di tre settimane, non riesci a simularla. Quando magari fai 2-3 settimane di altura, comunque devi gestire il carico e lo scarico. Attui una programmazione che arriva a fare un certo numero di ore alla settimana, ma non ai livelli di un grande Giro.

Dove avvengono i cambiamenti più significativi?

In una corsa a tappe, lo stimolo che hai a livello centrale, quindi a livello del sistema cardiocircolatorio e respiratorio, è molto alto. Soprattutto le intensità che sviluppi in gara non sono mai quelle che riesci a fare in allenamento, anche se sei molto motivato. Quindi la sequenza elevata di giorni, mettendo insieme anche i livelli di intensità che produci, danno uno stimolo molto grosso dal punto di vista centrale.

Basso ha debuttato al Giro nel 1999 a 21 anni: è stato fermato dopo 7 tappe. Qui è con Boifava, suo team manager alla Riso Scotti
Basso ha debuttato al Giro nel 1999 a 21 anni: è stato fermato dopo 7 tappe. Qui è con Boifava, suo team manager alla Riso Scotti
Di cosa parliamo?

Di massimo consumo di ossigeno, che è legato sia a delle caratteristiche di scambio dell’ossigeno a livello muscolare, sia dal punto di vista della gittata cardiaca. Quindi gli adattamenti che tu puoi portare a livello del cuore sono molto elevati. Poi c’è la parte muscolare. Il fatto di produrre dei livelli di potenza e quindi di forza a livello periferico produce degli adattamenti anche sul piano nervoso e cellulare, per quanto concerne il muscolo. Quindi il discorso si può inquadrare in diversi aspetti.

Ti seguiamo, fai strada…

Dal punto di vista fisiologico c’è quello che abbiamo appena detto. Dal punto di vista antropometrico ci sono degli adattamenti legati al fatto che la corsa produce un dimagrimento di un certo tipo, quindi lavori anche sul discorso massa magra e massa grassa. Un dispendio energetico così elevato porta il corpo a lavorare in riserva. Quindi svuoti le riserve energetiche, poi le riempi. Infine c’è un discorso legato anche all’aspetto mentale, alla fatica mentale.

Filippo Ganna, Giro d'Italia 2020, Valdobbiadene
Ganna ha corso il primo Giro nel 2020 a 23 anni: ha vinto le 3 crono e l’arrivo di Camigliatello senza grossi cali
Filippo Ganna, Giro d'Italia 2020, Valdobbiadene
Ganna ha corso il primo Giro nel 2020 a 23 anni: ha vinto le 3 crono e l’arrivo di Camigliatello senza grossi cali
Legato alla sopportazione della fatica?

In quelle tre settimane, produci una fatica acuta. C’è anche quando fai un allenamento duro, una tappa dura o una gara dura. Però in un Giro questo carico si ripete e quindi ti abitui a stressare il corpo in modo continuativo. E quindi anche dal punto di vista motivazionale, al termine di una corsa a tappe, puoi dire: «Cavoli, sono riuscito a finire tre settimane di gara». Che magari prima, soprattutto se sei giovane, ti ponevi una serie di dubbi sulla tua capacità di farlo. Riuscire a reggere quel carico di lavoro ti fa sentire di essere migliorato. E’ una consapevolezza importante.

Torniamo al motore, adesso…

C’è il discorso del recupero. Tenendo presente la supercompensazione, per cui quando applichi un carico, poi lo recuperi e ti porti a un livello successivo, se assimili un carico di lavoro così importante, sei già un passo avanti. Il problema grosso rispetto alla periodizzazione corretta di un programma di allenamento, è che in corsa non puoi gestire facilmente questo aspetto. Anzi normalmente sei sopraffatto dal lavoro che fanno anche gli altri, quindi sei obbligato a subirlo e poi il tuo corpo dovrà cercare di recuperarlo. Sicuramente c’è una serie di aspetti che portano dei miglioramenti. Poi può anche darsi che uno al primo giro a tappe non riesca ad assimilarlo e vada incontro a degli effetti negativi. Bisogna valutare entrambi gli aspetti.

Edoardo Zambanini ha debuttato nel 2022 alla Vuelta a 21 anni: avremo quest’anno i primi riscontri?
Edoardo Zambanini ha debuttato nel 2022 alla Vuelta a 21 anni: avremo quest’anno i primi riscontri?
E’ davvero impossibile gestire la fatica nell’arco di un grande Giro e magari mollare in cerca di recupero?

E’ naturale che se noi ragioniamo in nell’economia della corsa, ci sono delle fasi in cui ti trovi puoi gestire un pochino lo stress, nel senso che se stai nella pancia del gruppo e non devi mantenere le posizioni, puoi stare un po’ più coperto.

E’ un risparmio quantificabile?

Ci sono degli indici misurabili con certi strumenti per vedere in modo abbastanza preciso quanto tempo in corsa hai passato alle varie intensità. Puoi valutare se nella tale tappa sei riuscito a stare senza pedalare, tra virgolette, per quanti minuti. Quindi più sei bravo a sfruttare il lavoro degli altri, restando coperto, più risparmi energie. La stessa cosa vale nell’economia della tappa. Se devo arrivare ai piedi della salita nelle migliori condizioni e senza spendere energie, più riesco a stare coperto e meglio è. Sfruttare il lavoro della squadra, è importante anche per quello. Uno da solo può essere fortissimo, però in certe situazioni è la squadra che lo aiuta.

Ayuso ha debuttato lo scorso anno alla Vuelta a 19 anni, arrivando terzo. Ora è fermo per una tendinite
Ayuso ha debuttato lo scorso anno alla Vuelta a 19 anni, arrivando terzo. Ora è fermo per una tendinite
Quindi c’è la possibilità di gestire il lavoro?

Sicuramente puoi cercare di gestirlo, ma ti trovi a subire un carico che comunque è elevato. Un ritiro di tre settimane lo gestiresti in modo diverso. Il giorno che non stai bene, magari un po’ molli. In corsa non puoi fare questi calcoli. Devi essere in grado di portare a termine la tappa entro un tempo massimo e quindi devi gestire anche le giornate critiche. In una corsa incidono anche le forature. Non tanto per il tempo che perdi, ma per le energie che spendi per rientrare.

Esiste un’eta minima per debuttare in un Giro?

Tema attuale, dato che le cose stanno cambiando. Ci sono stati dei passi avanti per tantissimi aspetti: dal punto di vista della nutrizione, dal punto di vista del recupero, dal punto di vista della gestione della corsa, però dobbiamo sempre pensare che il fisico ha bisogno di tot anni per raggiungere e stabilizzare la sua condizione. Secondo me il fatto di anticipare troppo può portare a effetti negativi. Fisicamente, ma soprattutto perché si creano anche situazioni psicologiche abbastanza critiche nella gestione dello stress.

Germani e Gregoire, entrambi neopro’ alla Groupama-FDJ: si sta ragionando su un debutto alla Vuelta
Germani e Gregoire, entrambi neopro’ alla Groupama-FDJ: si sta ragionando su un debutto alla Vuelta
Legato a quali aspetti in particolare?

Devi diventare maniacale soprattutto sul fronte dell’alimentazione. Nella corsa di un giorno puoi non essere al top per quanto riguarda la gestione del peso. Nelle corse a tappe, dove ci sono dei volumi di salita così elevati, sicuramente il fatto di essere perfetti dal punto di vista del peso può fare la differenza. Reggerlo mentalmente non è scontato.

Il primo grande Giro fa crescere, ma fino a quante volte si ripete l’effetto?

Non puoi continuare a crescere nel tempo, casomai inizia una serie di cambiamenti. Ci sono dei limiti fisiologici che non si riesce a oltrepassare e negli anni i miglioramenti diventano sempre più difficili, fino a raggiungere uno stato di maturazione. Sarebbe troppo facile e bello che ad ogni Giro si migliorasse a tempo indeterminato, no?

Record dell’Ora: cosa è cambiato fra Ganna e Moser?

03.10.2022
6 min
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Che cosa è cambiato da quel 23 gennaio del 1984, quando Francesco Moser realizzò il fantastico 51,151 che aprì una nuova era nella caccia al record dell’Ora? Francesco era uno dei più forti cronoman al mondo e vantava anche un titolo mondiale dell’inseguimento. Probabilmente meno pistard, ma indubbiamente più stradista di Ganna, riuscì a costruire attorno al suo tentativo un supporto scientifico estremamente all’avanguardia rispetto ai tempi. Un certo tipo di approccio allo sport fu pianificato in quelle settimane e ancora oggi è alla base della preparazione dei corridori contemporanei.

Dopo aver parlato delle peculiarità del gesto atletico, delle doti da allenare e dell’apporto della tecnologia, con Andrea Morelli riprendiamo il discorso avviato stamattina e proseguiamo il nostro viaggio nel record dell’Ora, che sabato prossimo a Grenchen sarà tentato da Filippo Ganna.

Il tentativo di record dell’Ora di Ganna si svolgerà nel velodromo svizzero di Grenchen (foto Rubner)
Il tentativo di record dell’Ora di Ganna si svolgerà nel velodromo svizzero di Grenchen (foto Rubner)
Perché Moser, che era un cronoman e vinceva gli inseguimenti, si è fermato a 51,151? Che cosa è cambiato in questi 40 anni?

L’evoluzione tecnologica ha portato un grosso vantaggio. Questo è difficile tradurlo in quanti chilometri in più. E’ difficile da spiegare. Ganna è un fuoriclasse. Stiamo parlando di uno specialista della cronometro che ha comunque dei valori di potenza che probabilmente ha solo lui. Quindi è un fuoriclasse paragonabile a quello che poteva essere Moser ai suoi tempi, ma l’evoluzione dei materiali gli dà dei vantaggi innegabili. E poi c’è tutta la parte legata all’evoluzione della scienza dell’allenamento.

Spieghiamo.

Di solito si parla del consumo di ossigeno per gli scalatori che vincono le corse a tappe e siamo intorno agli 85-90 ml/min/kg, addirittura anche sopra. Pero non dobbiamo dimenticare che se ragioniamo in dati relativi, il cronoman è svantaggiato. Se faccio un calcolo di questo tipo su uno come Ganna, magari mi viene che lui ha “solo” 70-75 ml per chilo di consumo di ossigeno. Badate bene, questa è una valutazione che sto facendo io ad occhio. Però se teniamo conto del consumo in litri assoluti, uno così è un atleta con una cilindrata paragonabile a quella di un V12. Ha magari 5,8-6 litri di consumo in litri al minuto, quindi di conseguenza una potenza sia alla soglia che massima elevatissima.

Francesco Moser e la bici utilizzata per il record dell’Ora di Messico 1984
Francesco Moser e la bici utilizzata per il record dell’Ora di Messico 1984
Non abbiamo i dati di riferimento sul consumo di ossigeno o test effettuati ai tempi di Moser.

Infatti si possono fare delle stime, dato che non c’erano i misuratori di potenza. Era diverso anche come approccio. In più rispetto ad allora sono stati fatti dei grossi passi avanti sulla tecnologia per esempio nella riduzione della resistenza al rotolamento, partendo dalla bici e passando per la pista. Basti pensare che in determinati competizioni si sia aumentata la temperatura della pista per ridurre la resistenza al rotolamento. Si utilizzano pneumatici che come dimensioni e struttura sono molto diversi rispetto al passato. Quindi puoi risparmiare 10-15 watt di resistenza al rotolamento e guadagnarne 10-12 di potenza a parità di posizione. Si lima dove si può e alla fine si hanno grosse differenze. Sono cambiate anche le superfici di scorrimento. Ci sono tante variabili da considerare.

Moser andò a Città del Messico, Ganna a Grenchen: la pista conta tanto?

Perché vanno a Grenchen e non in quota ad Aguascalientes, per esempio? La quota porta ad avere un vantaggio aerodinamico dovuto a condizioni legate alla densità dell’aria quindi a parità di posizione vai più veloce. Ma devi trovare la quota corretta perché vi è per lo stesso motivo una diminuzione della massima potenza aerobica. E quindi la tua potenza di soglia cala. Devi trovare il compromesso giusto in termini di quota e aver ragionato bene anche su problematiche logistiche. Quindi ci sono varie condizioni, tante cose da valutare quando si fa un approccio a questo tipo record. Quando siamo stati a Grenchen con Trek-Segafredo per Ellen Van Dijk (il 23 maggio 2022, l’olandese ha percorso 49,254 chilometri, ndr), abbiamo potuto vedere che è una delle piste più veloci disponibili attualmente, quindi la scelta non è stata casuale o per questioni di sponsor.

E’ giusto dire che le metodiche di allenamento dei corridori di oggi discendono da quelle di Moser?

La scienza dello sport in parte è nata lì, con l’Equipe Enervit di cui facevano parte Aldo Sassi ed Enrico Arcelli. Varie tecniche di allenamento come la forza/resistenza sono state sviluppate proprio per questo tipo di prestazione. Naturalmente i mezzi a disposizione erano diversi. C’era il primo cardiofrequenzimetro, non esisteva il misuratore di potenza, però non si era così a conoscenza di come l’allenamento potesse ottimizzare la prestazione. Probabilmente in quel periodo si fece il massimo per ottimizzare la performance di Moser, così come oggi tutta l’evoluzione nella teoria dell’allenamento, nell’utilizzo della potenza e le strumentazioni ci permettono di monitorare l’atleta in allenamento piuttosto che durante i test specifici. Tutto questo sicuramente ha portato la possibilità di influire in modo più preciso e importante sulla prestazione, altrimenti non ci sarebbe stata tutta questa evoluzione.

C’è un corridore che hai seguito che avrebbe potuto provare il record?

Penso che l’atleta che probabilmente avrebbe potuto fare il record dell’Ora e non l’ha fatto è stato Fabian Cancellara. Non l’ho seguito direttamente io, però con Luca Guercilena, che era il suo allenatore e un caro amico, se n’è parlato spesso, anche perché un pensiero al record era stato fatto. Io ho lavorato con il team e con Fabian su diverse cronometro per il discorso test, posizione e legato al “pacing” in corsa, come stiamo facendo dall’anno scorso con Trek-Segafredo e mi sembra che Fabian per le caratteristiche che aveva, era un atleta assimilabile a quello che è il Ganna attuale. Probabilmente lui avrebbe potuto fare un record dell’Ora coprendo una distanza importante, che magari poi sarebbe stato battuto, questo non lo discuto…

Cancellara ha chiuso la carriera con l’oro della crono a Rio: il record dell’Ora è stato a lungo alla sua portata
Cancellara ha chiuso la carriera con l’oro della crono a Rio: il record dell’Ora è stato a lungo alla sua portata
La preparazione dell’Ora si concilia con la preparazione di un mondiale crono?

Certo, è conciliabile ed in parte è quello che è stato fatto. Per esempio penso al record dell’Ora di Ellen Van Dijk della Trek-Segafredo che è stato fatto prima del mondiale, ma in piena preparazione per lo stesso. Non credo che Ganna, che a mio avviso è il miglior crono man al mondo, anche se ha avuto una piccola debacle al mondiale in Australia, abbia sbagliato la preparazione. Certamente arriva da una stagione molto lunga in cui ha raccolto tantissimi importanti risultati e mantenere questo livello di prestazione per tutta la stagione non è semplice. Ci possono essere diversi motivi legati al risultato al mondiale, ma sono sicuro che arriverà all’appuntamento al top.

La prima parte dell’articolo è stata pubblicata stamattina

Sei giorni all’assalto di Ganna: domande all’esperto

03.10.2022
6 min
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Meno di una settimana al record dell’Ora di Ganna. Lo staff Ineos Grenadiers sta per diffondere il programma di sabato 8 ottobre, quando nel velodromo svizzero di Grenchen, Pippo assalterà il primato dell’ingegner Daniel Bigham, stabilito il 19 agosto sulla stessa pista in 55,548 chilometri.

Nei giorni del mondiale, Cioni ci aveva anticipato parte del discorso. E così, in attesa di vivere la serata di Ganna e aspettando che oggi alle 14 si sollevi il velo sulla bici che userà, ci siamo rivolti ad Andrea Morelli, Direttore scientifico del Centro Mapei: la struttura creata nel 1996 da Giorgio Squinzi e affidata ad Aldo Sassi, che nel 1984 prese parte alla fantastica Ora messicana di Moser. Con Andrea avevamo già parlato di cosa succede dopo un’ora nel fisico dell’atleta, questa volta invece partiamo da più lontano. Abbiamo suddiviso questo interessante viaggio in due parti: la seconda sarà pubblicata oggi alle 17.

Che cosa significa fare il record dell’Ora? Perché è così difficile? E il fatto che Bigham sia riuscito a battere tutti i mostri sacri del ciclismo, da Merckx e Moser, vuol dire che la tecnologia lo ha reso più accessibile?

Perché è così difficile stabilire quel record?

E’ difficile perché è una prestazione di lunga durata, ma non lunghissima. E quindi devi essere in grado di mantenere un elevato livello di potenza per un tempo abbastanza lungo. Se pensiamo al modello fisiologico della prestazione ci si avvicina alla cosiddetta potenza di soglia o FTP. Questo significa produrre la massima potenza possibile per un’ora e stare a cavallo tra soglia e fuori soglia col pericolo di oltrepassare quel limite in cui l’equilibrio tra produzione e smaltimento di acido lattico può portarti velocemente ad esaurimento. Per definizione la soglia anaerobica è un’intensità che un’atleta allenato riesce a mantenere per 45-60’.

Quindi?

Il problema è che devi alzare il più possibile la tua soglia per spostare il punto in cui l’acido lattico inizia ad accumularsi. A seconda della tabella di pacing (andatura, ndr) che viene scelta, a volte questo limite è molto piccolo. Non devi rischiare di partire troppo forte perché accumuleresti troppo acido lattico e andresti incontro ad esaurimento precoce e saresti obbligato a rallentare nel finale. Ma dall’altra parte non devi partire troppo lento, perché poi dovresti accelerare nel finale quando anche altre componenti di fatica saranno già al limite.

Un equilibrio tanto delicato?

Sì, perché a questo livello di specializzazione il limite oltre il quale l’equilibrio si “rompe” è piccolo. Se lo oltrepassi la produzione di lattato supera lo smaltimento e quindi inizi ad accumularlo. Poi la fatica è comunque “multifattoriale” (nella scienza dello sport spesso si usa questo termine per includere fattori che non si conoscono ancora completamente, ndr) che comunque spingono l’atleta a rallentare.

C’è grande differenza fra una crono di un’ora e girare per lo stesso tempo in pista
C’è grande differenza fra una crono di un’ora e girare per lo stesso tempo in pista
C’è tanta differenza fra l’Ora e una lunga crono?

Un atleta come Ganna, o comunque uno specialista della cronometro è abituato al mal di gambe. Ha una grande sensibilità ed è abituato a questo tipo di sforzo. Però il problema è che anche una cronometro lunga come quella di un mondiale è diversa dal pedalare in pista per un’ora a tutta. Su strada trovi differenti condizioni, una curva, un tratto in discesa, un falsopiano oppure una salita e quindi la potenza subisce variazioni. In pista devi cercare di stare sempre concentrato e fare traiettorie migliori è fondamentale.

Perché?

Il fatto di disegnare traiettorie ottimali, giro per giro è fondamentale per la distanza finale. Perdi “meno” metri. Stare in posizione aerodinamica, spesso con poca visibilità, comunque controllando le traiettorie nelle curve rende la pista molto stressante. E a questo si aggiunge la fatica che nel finale si fa sempre maggiore. Quindi non è solo una questione di pedalare sotto sforzo un’ora. Magari qualcuno pensa che rispetto ad un tappone con 4-5.000 metri di dislivello non sia nulla ma si sbaglia, dal punto di vista fisiologico e mentale sei al limite.

Andrea Morelli è responsabile per il ciclismo presso il Centro Mapei Sport
Andrea Morelli è responsabile per il ciclismo presso il Centro Mapei Sport
Tutti rispondono allo stesso modo?

No. Ogni atleta ha caratteristiche specifiche di resistenza e di capacità anaerobica lattacida ed alattacida. Quindi magari uno ha una soglia leggermente più bassa, ma una capacità anaerobica lattacida maggiore e quindi è in grado di lavorare fuori soglia più di un altro. Ma resta il fatto che per questo tipo di prestazione è fondamentale avere una potenza aerobica ed una soglia elevata per allontanare il momento in cui cominci ad accumulare fatica e sei costretto a rallentare.

E’ importante conoscere la pista?

Tantissimo. Ganna arriva da anni di lavoro sia per la cronometro sia per la pista. Quindi la gestione del carico di lavoro, che è sempre un po’ delicata perché sei sempre al limite ed è facile sbagliare – facendo un po’ troppo quando stai bene e troppo poco magari quando non lo sei – per lui non è un problema. Ma tecnicamente in pista è uno dei migliori. Penso che sia uno dei pochi che possa spostare ulteriormente in alto il record dell’Ora.

E’ vero come ha detto Bigham che ormai il record è solo aerodinamica?

No, secondo me Bigham ha comunque dimostrato di essere un atleta forte. Poi magari nel suo caso potremmo dire che fare il record dell’Ora non coincida col vincere anche cronometro su strada, questa è una cosa diversa. Sicuramente essendo un ingegnere aerodinamico ha lavorato nei minimi particolari per ottimizzare la sua posizione, ma credo che anche dal punto di vista atletico abbia dovuto lavorare molto. Come del resto credo sia stato fatto con Ganna.

Si è subito detto che il tentativo di Bigham fosse un test in vista del record di Ganna (foto Ineos Grenadiers)
Si è subito detto che il tentativo di Bigham fosse un test in vista del record di Ganna (foto Ineos Grenadiers)
Di certo Pippo non partirà senza avere riscontri precisi…

Il lavoro fatto sia in galleria del vento sia nell’ottimizzazione della posizione in generale e dei materiali nel suo caso sarà spinto al massimo. Tutte le cose sicuramente sono state analizzate nei minimi dettagli, ma questo nulla toglie al record di Bigham. Certamente lavorando dal punto di vista aerodinamico il vantaggio c’è, però non mi aspetto che Bigham rispetto a Ganna abbia un coefficiente di penetrazione aerodinamica del 30-40 per cento migliore e quindi copra una differenza di potenza così elevata. Quando vai a ottimizzare la posizione di un atleta già specialista, vai sempre a ricercare margini minimi, del 2-3 %. Arrivare al 5 sarebbe manna dal cielo.

Quindi il vantaggio aerodinamico non trasforma un ingegnere in un campione.

Si lavora sempre su piccoli margini. Non è che parti da una posizione da strada e la trasformi in una da crono e per magia riesci a risparmiare il 20-30 per cento di potenza. Stiamo parlando di posizioni già ottimizzate. Non penso che Bigham partisse da una posizione a cronometro in cui è riuscito a limare il 15 per cento. Probabilmente partiva già da una buona posizione e poi ha lavorato per migliorarla, ma anche sulla potenza e la tenuta. Perché è naturale che devi avere potenza elevata per fare queste velocità, ma devi anche essere in grado di mantenere questa velocità per molto tempo.

La seconda parte dell’articolo sarà pubblicata oggi alle 17

Juniores, i rapporti sono solo una parte del problema

13.07.2022
5 min
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Andrea Morelli fa parte della Commissione scientifica voluta dalla Federazione lo scorso anno e assieme ai suoi colleghi, fra cui Paolo Slongo, aveva già messo mano alla questione dei rapporti liberi per gli juniores. Dalle loro osservazioni è nata una relazione, per cui quando ha letto sul tema l’intervista di Adriano Malori, il direttore del ciclismo in Mapei Sport ha proposto la sua visione delle cose. Partendo dalla propria esperienza e da quella relazione.

«Sapevamo che la Francia aveva eliminato la limitazione – spiega – allo stesso modo in cui sapevamo che da noi tante squadre allenavano già i ragazzi con i rapporti liberi e magari adesso sono fra quelli che si lamentano. Il nostro punto di partenza è stata la relazione scientifica dei francesi. Secondo loro la limitazione delle velocità derivante dall’uso di rapporti troppo brevi avrebbe impatto sulla formazione atletica e sul futuro degli atleti. Mentre le loro ricerche non avrebbero rintracciato problemi sul piano fisiologico».

E’ stata la Francia per prima a eliminare la limitazione, ma gli juniores erano già liberi nelle gare nazionali
La Francia per prima ha eliminato la limitazione, ma gli juniores erano già liberi nelle gare nazionali

In realtà, par di capire ogni giorno di più, non esistono grandi studi al riguardo che stabiliscano una linea diretta fra i rapporti liberi e i problemi articolari. Non più di quelli che si potrebbero generare con i rapporti bloccati, esagerando con la forza in salita.

Forse il discorso dei rapporti è secondario?

Forse sì. Quello che cerco di far passare con chi lavora sugli atleti più giovani è di limitare i lavori sulla forza. Che non esagerino. Ci sono Paesi che fanno educazione alla forza, semplicemente creando i presupposti perché un domani gli atleti possano sostenere carichi superiori. Quindi esercizi a secco, corpo libero, core stability e anche in bicicletta. Componenti che spesso si tende a trascurare, privilegiando invece l’intervento su altre caratteristiche fisiologiche. Ma la maturazione fisica non è uguale per tutti, per cui si dovrebbero fare valutazioni a lungo termine per instradare la crescita dei ragazzi.

Nelle sue crono da junior (qui oro a Innsbruck 2018) Evenepoel avrebbe tratto vantaggio da rapporti più lunghi
Nelle sue crono da junior (qui oro a Innsbruck 2018) Evenepoel avrebbe tratto vantaggio da rapporti più lunghi
La troppa agilità fa male?

Può creare problemi articolari se eccessiva, ma in genere si può e si deve dire che su ogni terreno, dallo sprint alla crono, esiste un range ottimale di frequenza di pedalata e sviluppo della forza. Ai giovani si deve proporre un’attività coerente con il loro livello di prestazione. Evenepoel faceva le crono da junior a frequenze impossibili, perché non aveva il rapporto che gli permettesse di raggiungere la giusta cadenza. Per la forza che aveva, avrebbe tratto vantaggio da un rapporto più lungo.

Si gioca tutto sulla forza, dunque?

Il rapporto che si usa passa in secondo piano rispetto alla giusta cadenza. E paradossalmente, maggiore è la potenza di cui si dispone e più si avrà necessità di fare una cadenza elevata. Froome può essere un esempio calzante. Al contrario, se propongo delle SFR o delle partenze da fermo, produco dei sovraccarichi che possono portare a infiammazioni o degenerazioni articolari. E questi sono lavori che prescindono dal rapporto che si usa. Lo dimostra il fuoristrada…

Coppa Montes, domina la Auto Eder. L’uso di rapporti liberi nelle volate potrebbe fare la differenza (photors.it)
Coppa Montes, domina la Auto Eder. L’uso di rapporti liberi nelle volate potrebbe fare la differenza (photors.it)
Cosa dimostra?

Che anche nel settore giovanile si usano rapporti liberi e questo non crea problemi. Quello che limita la resa della pedalata è l’affaticamento neuromuscolare. Se anche li lascio con il 52×14 e in salita propongo delle SFR con un rapporto duro, stimolo livelli di forza altissimi. Come andare in palestra e fare la pressa all’80-90 per cento del carico massimale.

Quindi si parla di qualcosa che non causerà problemi?

Premesso che negli allievi la limitazione resta, credo che il quadro sia poco chiaro. Di sicuro va insegnato il corretto uso dei rapporti. Si parla tanto dei preparatori dei pro’, ma la FCI dovrà avere a cuore anche i corsi per creare la giusta cultura fra gli allenatori delle categorie giovanili. E poi c’è da lavorare sull’aspetto psicologico. Lo scalatorino di 50 chili non tirerà mai il rapportone e potrebbe arrivare alle salite già staccato. Alla quarta batosta di questo tipo, c’è rischio che smetta. Questo perché al primo anno da junior non sai come si svilupperà il corridore. Di sicuro ci saranno grosse problematiche, non è una fase da ignorare.

Anche con il 52×14 in salita i più forti riescono a fare parecchia forza (photors.it)
Anche con il 52×14 in salita i più forti riescono a fare parecchia forza (photors.it)
Si è parlato anche di ragioni commerciali.

Chi produce i gruppi e le stesse bici ne trarrà vantaggio. Ormai le bici arrivano già montate e non è semplice per chi lavora nelle società giovanili chiedere di smontare i gruppi di serie per mettere pignoni e guarniture da juniores. Ormai è difficile anche trovare i componenti, perché ci sono aziende che il 52 hanno anche smesso di produrlo.

La regola non si cambia, come si fa per conviverci bene?

Bisogna mettersi a tavolino per valutare lo sviluppo dell’atleta. Bisogna capire che il primo step è sviluppare le sue capacità tecniche, mentre sulla forza è corretto lavorare dopo lo sviluppo ormonale. E l’ultimo step si farà al passaggio negli U23 affinché da pro’ si possa puntare alla prestazione. E poi dipende dall’atleta…

In che misura?

Malori dice bene, che se avesse avuto il 53×11 avrebbe fatto disastri. Ricordo bene di averlo allenato e lui era il primo a esagerare con i lunghi rapporti. Quelli che vanno duri ci sono sempre stati. Non tutti riescono a fondere forza e cadenza come Ganna e Cancellara.

L’uso del lungo rapporto genera in pianura le differenze maggiori (photors.it)
L’uso del lungo rapporto genera in pianura le differenze maggiori (photors.it)
Avendo i rapporti liberi negli juniores, inizieresti a fare qualche intervento anche fra gli allievi?

Non vedo perché spingerli a velocizzare un adattamento per cui non sono pronti. Mi concentrerei più su quello che voglio raggiungere nel lungo periodo. Per migliorare la cadenza si usava il fisso oppure il dietro moto, che accresce la capacità di fare velocità a cadenze maggiori, senza sovraccaricare. Il dietro moto porta adattamenti che fanno migliorare la prestazione. Ma sono aspetti molto complicati. Vanno costruiti programmi perseguendo la crescita e non il risultato. Perché se inizio a fare il pro’ già da allievo, arrivo negli U23 che mentalmente sono già bruciato. La testa non regge. Bisogna tornare a pensare che il passaggio al professionismo è solo l’inizio.

Pro’ e corsa a piedi, è boom. Ma per Morelli è un rischio

26.01.2022
6 min
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«Per andare a comprare il pane, prendi la bici». «Cerca di non fare le scale». «Cammina il meno possibile e stai con le gambe all’aria». Qualsiasi corridore ed ex corridore che abbia più di trent’anni si è sentito dire dal proprio direttore sportivo almeno una volta una di queste frasi. Non solo ciclismo e camminata erano distanti, erano proprio agli antipodi. Figuriamoci la corsa a piedi!

Poi passano gli anni e ti ritrovi in un inverno in cui vedi che Adam Yates fa una maratona. Primoz Roglic esce a fare una corsa persino sulla neve. Tom Dumoulin si sciroppa un 10.000 e arriva secondo in un evento podistico a Maastricht col tempo di 32’38” (3’16” al chilometro). Egan Bernal (a lui tutti i nostri auguri di una pronta guarigione), prima delle sue sessioni in palestra si scalda correndo sul tapis roulant. Senza contare Van Aert, Van der Poel e Pidcock che col ciclocross sono ben più giustificati.

 

Ma quindi, questa corsa fa male o fa bene? Andrea Morelli, del Centro Mapei Sport, presso cui si recano anche molti podisti, ci aiuta a fare chiarezza. Spesso sono anche “mode”, è vero, ma un parere scientifico… non guasta mai. (In apertura James Whelan ex pro’ dell’EF Procycling – foto Twitter)

Lo scorso autunno Dumoulin stupì tutti col secondo posto nella Groene Loper Run di Maastricht (foto J. Timmermans)
Dumoulin ha stupito tutti col secondo posto nella Groene Loper Run di Maastricht (foto J. Timmermans)
Andrea ma cosa succede con questa corsa a piedi?

Ci sta che i ragazzi più giovani, vedi i Van der Poel, vadano a cercare cose così, come andare a correre… Però la cosa va analizzata per bene. Perché un conto sono i professionisti che vanno a correre e un conto sono gli amatori. La corsa a piedi è un’attività aerobica complementare alla bici d’inverno. E vale anche il discorso contrario: chi è passato dalla bici alla corsa si è poi trovato subito bene. Penso ad Armstrong ma anche allo stesso Cassani, che hanno fatto delle maratone. Per un crossista o un biker ha più senso questa attività alternativa, per uno stradista di altissimo livello sinceramente lo vedo un rischio troppo alto. 

Perché rischio?

Perché la contrazione muscolare cambia, è una contrazione eccentrica. La contrazione eccentrica si sviluppa quando il muscolo si contrae allungandosi (fa da freno per intenderci). Un effetto negativo di questo tipo di contrazione sono i DOMS (Delayed Muscle Onset Soarness, Indolenzimenti muscolari a insorgenza ritardata, ndr). I DOMS sono il segnale di una “rottura delle cellule muscolari”, con conseguente infiammazione ed i processi di riparazione sono più lunghi di quelli “normali”. Si manifestano dopo circa 48-72 ore di distanza da questo tipo di allenamento. Però se un atleta non è abituato a questa attività è facile che crei dei danni, penso anche alle articolazioni e ai tendini. Danni che possono essere importanti.

Prima, Andrea, hai parlato di giovani e crossisti, però Roglic e Yates non sono proprio dei giovani…

Dal punto di vista energetico e metabolico, la corsa a piedi non fa male. Anzi si consuma più energia, c’è un maggior consumo d’ossigeno, 30′ di corsa sono due ore di bici. Addirittura ci sono degli studi che dicono che correndo o andando in bici, insomma facendo un’attività diversa da quella solita, si va a stimolare il consumo d’ossigeno. Quindi la corsa può anche essere una tecnica per sviluppare il Vo2Max. E’ anche utile per il controllo del peso. Però ripeto per me il rischio è troppo alto e sono un po’ scettico per un ciclista professionista.

Quindi non fa bene per alcuni aspetti, andrebbe bene per altri…

Esatto. Se si hanno problemi con il freddo, per esempio, ci sono altre attività che potrebbero andar bene, penso al nuoto o allo sci nordico. E poi dobbiamo fare una valutazione: quante volte vado a correre in settimana? Non è facile inserire la corsa all’interno del programma di preparazione. E se poi si commette anche un danno? Non vedo dei vantaggi. Prima avete parlato di Roglic, ma Primoz viene da un’altra attività, dal salto con gli sci. Sicuramente lui avrà avuto una certa abitudine con la corsa, con i salti, con la pliometria e sa cosa lo aspetta. Questo passaggio alla corsa a piedi pertanto lo paga meno di altri che iniziano da zero.

Nella tua carriera da preparatore hai mai avuto dei professionisti che correvano anche a piedi? O ti hanno fatto questa richiesta?

No, né io ho mai inserito la corsa nell’ambito della preparazione. Addirittura ricordo che alcuni atleti hanno avuto problemi ad eseguire il riscaldamento con il salto della corda (come i pugili, ndr). Quei 2′-3′ hanno creato dei problemi anche grossi. Mentre ho avuto corridori che facevano sci di fondo, penso a Morabito. O chi andava a camminare… Addirittura un anno in Liquigas avevano previsto delle ciaspolate nella preparazione.

E se invece si effettua subito la trasformazione? Aiuta, cambia qualcosa?

Anche su questo aspetto ci sono dei dati contrastanti. Per esempio, se faccio un lavoro di pura forza in palestra e poi a seguire faccio un transfer aerobico, sembra che questo sia controproducente. È come se limitasse il lavoro fatto in palestra. Dovrebbero passare almeno sei o sette ore prima di eseguire un lavoro aerobico. Se invece in palestra eseguo un lavoro di “circuit training”, non c’è problema, perché quello è già un lavoro aerobico in qualche modo e con la trasformazione che si fa sui rulli o su strada lo andrei semplicemente a continuare.

Anche a Tignes Roglic non rinuncia a correre. «Ci va tutti i giorni», dice il coach della Jumbo-Visma, Mathieu Heijboer (foto Instagram)
Anche a Tignes Roglic non rinuncia a correre tutti i giorni, come dice il coach Mathieu Heijboer (foto Instagram)
Quando parli di forza pura ti riferisci agli esercizi con grande peso, giusto?

Esatto, agli esercizi con grande sovraccarico di peso, tempi di recupero molto lunghi ed esecuzioni lente: insomma la forza massima. In questo caso è meglio non fare la trasformazione. Poi c’è anche chi è dell’idea che non farla sia sbagliato, perché magari poi il giorno dopo non sta bene, o è troppo vicino alle gare. Il problema di base per rispondere a questa domanda è sempre lo stesso.

Quale?

Che sostanzialmente di studi relativi ai professionisti ce ne sono pochi.

Perché?

Perché è molto difficile fare degli esperimenti su un atleta professionista, che mentre si allena svolge il suo lavoro, non può rischiare di perdere tempo a “sbagliare” il suo allenamento. Al massimo se ti va bene puoi farlo con qualche under 23. Pertanto quando si fanno certi studi si cerca di prendere dei buoni atleti, di gente ben allenata, e si lavora e si traggono i dati da questi soggetti. Per logica poi i risultati si applicano anche ai pro’. Poi però il professionista parte da una base di forza aerobica totalmente diversa e per lui eventuali miglioramenti con molta probabilità sarebbero molto più piccoli.

Record dell’Ora: ultimi minuti devastanti. Morelli, spiegaci tu

06.11.2021
6 min
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La scalata di un 8.000, una maratona, il record dell’Ora: cosa hanno in comune? Beh, oltre al gusto dell’impresa, la durezza della parte finale. Si dice che nella maratona dopo il 35°, ogni chilometro valga per tre. Che 100 metri di dislivello al di sopra degli 8.000 metri vadano moltiplicati per quattro. E lo stesso vale per i 10 minuti finali del record dell’Ora, una specialità tanto affascinate quanto dolorosa.

Ed è un po’ quel che mercoledì scorso è successo all’inglese Alex Dowsett. E’ stato più o meno sui tempi di Victor Campenaerts, poi è crollato, fermandosi a poco più di mezzo chilometro dal primatista belga: 534 metri per la precisione.

Ad Aguascalientes Dowsett si è fermato a 54,555 chilometri, 534 metri in meno di Campenaerts
Ad Aguascalientes,Dowsett si è fermato a 54,555 chilometri, 534 metri in meno di Campenaerts

Parola a Morelli

Ma cosa succede in quell’ora al corpo umano? E ancora meglio, cosa succede in quei 10′-15′ finali? Proviamo a fare chiarezza con Andrea Morelli, del Centro Mapei Sport, il quale entra subito nel merito.

«E’ un discorso molto ampio – dice Morelli – Io parlerei prima di tutto di fatica metabolica, che in quella fase finale è legata principalmente ad un discorso energetico, al quale si associa anche una fatica psicologica.

«Quando tenti il record dell’Ora cerchi di ottimizzare la potenza nell’arco dei 60’. Pertanto lavori molto sulla potenza aerobica, cerchi di aumentarla il più possibile. Se il VO2 Max, cioè il massimo consumo d’ossigeno, può durare all’incirca 7′, la soglia la si dovrebbe tenere per 40′-60′. Il problema qual è? E’ che il corpo è in equilibrio tra produzione e smaltimento di acido lattico. Spingendo forte in modo costante e supponendo di essere al limite, a un certo punto questo equilibrio si rompe e si inizia ad accumulare acido lattico. Di conseguenza la prestazione inizia a calare».

Le delicate fasi del via. Qui Wiggins che con 54,526 chilometri demolì proprio Dowsett, nel 2015 primatista con 52,937 chilometri
Le delicate fasi del via. Qui Wiggins che con 54,526 chilometri demolì proprio Dowsett nel 2015

Tabella di marcia 

«Tu imposti la tua tabella di marcia – riprende Morelli – sai che ad ogni giro dovrai mantenere un certo tempo, tuttavia partendo da fermi si inizia subito con un deficit. Proprio alla partenza inizia l’accumulo che ci si porta dietro per tutta la durata del tentativo. Anche se in fase di avvio non si è “a tutta”, si passa da uno stato di metabolismo basale ad uno cinetico, di sforzo. Questo fa sì che si produca subito un debito energetico che solitamente si paga nel finale. E per questo è molto importante essere graduali al via».

In pratica bisogna arrivare a regime quanto prima, ma senza accumulare acido lattico o limitarlo al massimo, anche se muscolarmente in quel momento l’atleta non avverte nulla, non ha la sensazione di mal di gambe. Il rovescio della medaglia è che ad essere troppo cauti, si rischia di perdere troppo terreno.

Da Desgrange (1893) a Campenaerts (2019) il Record dell’Ora ha sempre suscitato un grande fascino
Da Desgrange (1893) a Campenaerts (2019) il Record dell’Ora ha sempre suscitato un grande fascino

Disaccoppiamento Fc/Watt

Il discorso sulla partenza da fermo innesca poi un tema affatto secondario: il disaccoppiamento tra la frequenza cardiaca e la potenza espressa, i watt. Che poi il gioco è tutto lì. Perché la letteratura scientifica è una cosa e la realtà è un’altra.

«Prima – dice Morelli – abbiamo detto che in teoria un atleta può tenere il ritmo di soglia anche per 60′. Cioè per un’ora c’è equilibrio fra l’acido lattico prodotto e quello smaltito. Un equilibrio che alla soglia viene individuato in 4 millimoli di acido lattico. In realtà questo valore è un po’ più basso. O quantomeno non dura per 60′. A un certo punto infatti, vuoi perché aumenta la temperatura corporea, vuoi perché cala il glicogeno nei muscoli, il cuore per mantenere lo stesso livello di potenza aumenta i battiti. In questo modo però, poco dopo aumentano anche le 4 millimoli di acido lattico prodotte e il corpo non può smaltirne di più». E a lungo andare la prestazione decade.

Determinanti gli istanti prima del via. Ecco Campenaerts sempre ad Aguascalientes nel 2019 quando siglò il primato con 55,089
Determinanti gli istanti prima del via. Ecco Campenaerts sempre ad Aguascalientes nel 2019

Equilibrio molto sottile

Durante il tentativo di record non ci si può alimentare, né bere. Ogni scorta pertanto deve essere fatta prima del via e deve essere ben valutata.

«La strategia è fondamentale – spiega Morelli – vengono ad innescarsi due meccanismi di fatica: quella periferica e quella centrale. La prima, semplificando al massimo, è il mal di gambe. Ed è la capacità di esprimere la forza nell’arco del tempo. La seconda riguarda il massimo consumo di ossigeno e va ad intaccare il sistema cognitivo e nervoso. Anche il cervello si stanca e ha una determinata percezione della fatica.

«Detto ciò, è molto importante riuscire a trovare il proprio passo su quel determinato dispendio energetico. Nella fatica subentrano tantissimi meccanismi. Il corpo umano trae energia dal fegato, da una parte interna all’organismo che c’è in circolo (ma è molto piccola) e dal glicogeno: è importante riuscire a sfruttarle al massimo e al meglio».

Nel 2015 Bobridge si fermò a 51,300 fallendo i 51,825 di Brandle e disse: «Non ho mai fatto una cosa più dura»
Nel 2015 Bobridge si fermò a 51,300 fallendo i 51,825 di Brandle e disse: «Non ho mai fatto una cosa più dura»

Aerodinamica o ossigenazione?

In velodromo poi le variabili sono meno, ma possono diventare più complicate: come per esempio la termoregolazione. E questo, non potendo bere né gettarsi acqua addosso come si vede spesso fare d’estate, incide più di quanto si possa pensare sulla prestazione e sui minuti finali, come è intuibile.

«L’atleta a un certo punto raggiunge una temperatura interna critica e molti meccanismi entrano in crisi. E lo fanno tutti insieme. Quali? La temperatura troppo alta appunto, l’acido lattico nei muscoli, la scarsità di carboidrati per i muscoli, la diminuzione della forza periferica… Tutto ciò mette in crisi prima di tutto il cervello che è la centralina che comanda tutto.

«Inoltre, nel caso di Dowsett, non dimentichiamo che era in quota (quasi 1.900 metri, ndr). E per i grossi motori aerobici come il suo, paradossalmente è peggio. Poi chiaramente va valutato il punto di equilibrio fra la potenza aerodinamica (che con l’aria rarefatta aumenta) e quella aerobica, che appunto diminuisce. Questo però non toglie il fatto che il cervello, con minor ossigeno a disposizione, sia chiamato ad un extralavoro».

«Chi affronta il Record dell’Ora – conclude Morelli – deve avere caratteristiche molto particolari, fisiche ma anche psicologiche. Deve essere in grado di soffrire moltissimo. Non a caso, quando concludono la prova non stanno in piedi. E questo è anche il motivo per cui in allenamento, quando raggiungono i livelli di potenza aerobica che intendono mantenere, non fanno mai sessioni complete di un’ora, ma di 20′-25′, al massimo 30′. Altrimenti sapendo cosa li aspetta, sarebbero già battuti in partenza».

Attività giovanile e precocità, Morelli segnala i rischi

08.09.2021
5 min
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Il tema della precocità degli juniores, effettiva oppure indotta, non si può mollare così e speriamo che anche la Federazione lo metta al centro di un bel ragionamento, fra norme da aggiornare e tecnici da formare. Però intanto, dopo aver sentito ieri Fabrizio Tacchino che con il Centro studi ha lavorato alla formazione dei direttori sportivi, oggi ci siamo rivolti nuovamente ad Andrea Morelli, direttore del ciclismo al Centro Mapei. Furono loro i primi a far passare professionista uno junior, Filippo Pozzato, e sono anche in possesso degli strumenti per dire che cosa accade se con i ragazzini si spinge troppo sul gas. Tanti degli juniores del Lunigiana mostravano una notevole definizione muscolare e prestazioni da professionisti e questo è la spia di lavori forse troppo evoluti.

«C’è stato un avanzamento sul piano tecnico- dice Morelli – sia per quanto riguarda il mezzo meccanico, sia la possibilità di raccogliere informazioni sugli atleti mediante l’uso del misuratore di potenza in età in cui le priorità dovrebbero essere altre. A quell’età non devono concentrarsi sui numeri, devono imparare a leggere le informazioni che gli vengono dal corpo, magari imparando a usare il cardiofrequenzimetro per capire la reazione del cuore agli stimoli e alla fatica».

Alessandro Romele, campione italiano, con una dotazione tecnica da capogiro (foto Scanferla)
Alessandro Romele, campione italiano, con una dotazione tecnica da capogiro (foto Scanferla)
Che cosa succede scalando tutto così indietro?

Intervieni sui carichi di lavoro, proponi da subito il raffronto dei watt, magari intervieni anche sull’alimentazione… Crei la situazione di stress che dei ragazzi così giovani non sono attrezzati a fronteggiare. Se cominci a martellarli da allievi, perché questo è quello che sta succedendo, causi dei problemi psicologici che magari portano all’abbandono. Io credo sia sbagliato gestirli per cercare la prestazione assoluta in età di sviluppo. La precocità ha più rischi che vantaggi.

Esempio?

Mi hanno raccontato che prima del Lunigiana, una squadra di qui ha fatto una gara di rodaggio e il giorno dopo il tecnico ha voluto che facessero una distanza. Purtroppo le squadre sono molto focalizzate sul numero di vittorie, che portano più sponsor. E’ tutto a scalare. Le U23 vogliono diventare continental per avere più visibilità e ti ritrovi anche con gli allievi che già hanno il procuratore. Il figlio di un mio amico ha iniziato giocando con la Mtb. Poi da allievo è passato su strada, si è piazzato subito e una l’ha vinta. Mi racconta il padre che sono pieni di società che gli offrono la bici per prenderlo. Con lui ci parlo io, ma altri genitori si ritrovano in mezzo a scelte fatte da pseudo manager, in un’età in cui al centro dello sport devono esserci il divertimento e la formazione.

Il livello dei team juniores si è alzato a dismisura negli ultimi 5 anni, la precocità atletica è una costante (foto Scanferla)
Il livello dei team juniores si è alzato a dismisura negli ultimi 5 anni, la precocità atletica è una costante (foto Scanferla)
Invece a 17 anni abbiamo già dei piccoli professionisti…

Arrivare a fare il professionista dovrebbe essere il punto di partenza, ma se hai già sfruttato tutto, quali sono i tuoi margini? E non parlo tanto dal punto di vista fisico, che si può gestire, ma psicologico. Il professionista mette in atto sistemi tampone con cui si difende dalla pressione, penso a Nibali che è ancora capace di addormentarsi dovunque. Da giovani non è così semplice. E’ facile che entri in un tunnel e poi salti per aria.

Sul piano fisico si gestisce davvero?

In parte sì, anche se ci sono tappe della crescita in cui si sviluppano determinate qualità e quelle andrebbero rispettate. Se cominci a fare le Sfr e le partenze da fermo al secondo anno da allievo, vai a sbattere contro il periodo dello sviluppo ormonale. A quelle età dovrebbero lavorare sull’abilità, l’agilità e la coordinazione, non sulla forza. Però molto dipende da quello che si vuole ottenere.

Alberto Bruttomesso prende la borraccia, un “giochino” non sempre semplice (foto Scanferla)
Alberto Bruttomesso prende la borraccia, un “giochino” non sempre semplice (foto Scanferla)
Parli di risultati?

Se devi puntare a grandi appuntamenti, ti trovi davanti Paesi che fanno altri ragionamenti. Vedi le ginnaste prodigiose a 12 anni o vedi gli juniores con fisici da adulti. Se l’obiettivo è vincere il mondiale juniores, devi per forza confrontarti con quegli atleti. E poi mi chiedo, se lo scopo dell’Uci è tutelare gli juniores, ha senso fare mondiali da 120 chilometri, se la distanza di gara di tutto l’anno è sui 90? Chiaro che poi si allenino su distanze superiori…

E si ritrovano uomini fatti con largo anticipo.

Così li trovi nelle continental a correre in mezzo ad atleti con strutture fisiche superiori senza essere pronti e senza avere le abilità tecniche necessarie. La precocità fisica non va di pari passo con l’esperienza. Saper fare una doppia fila, tirare la volata, prendere il rifornimento. Sono cose che impari da piccolo. Se guardi solo ai dati, il resto passa in secondo piano.

Federico De Paolis del Team Ballerini: una delle società più evolute (foto Scanferla)
Federico De Paolis del Team Ballerini: una delle società più evolute (foto Scanferla)
Voi siete quelli che fecero passare Pozzato…

E anche Cancellara. Non era un discorso di precocità, ci eravamo accorti che avessero delle doti non comuni e li inserimmo in una struttura che faceva attività su misura. Perciò c’è il confronto fra realtà che lavorano per la crescita graduale e altre che prendono ragazzi di 22-23 anni e li portano a fare le corse a tappe di tre settimane. Quando Ganna veniva a fare i suoi test da junior, si vedeva che fosse un campione, ma per fortuna ha avuto un processo di crescita graduale e adesso è ai livelli che ben vediamo. La componente genetica ha il suo peso, ma l’ambiente di sviluppo è altrettanto importante.

E poi ci sono quelli che allenano gli juniores con il 53×11 e non il 52×14…

Certe regole nascono da un ragionamento. Per cui se si vuole abolirle, occorre farne un altro. Ogni eccezione è semplice rincorsa alla prestazione e non verso la giusta crescita. In mountain bike questo discorso dei rapporti non c’è, ma si tratta di un lavoro completamente diverso. Su strada eviterei di allungare i rapporti quando non si può. Che necessità hanno di farlo?

Non solo Jumbo, 20 anni fa c’era la Mapei giovani…

07.08.2021
5 min
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L’articolo sull’Academy della Jumbo Visma e su come lavorino con i giovani e il team development e ci ha fatto rivenire alla mente la Mapei Giovani. Quello fu un progetto davvero innovativo. Un progetto che col senno del poi lanciò moltissimi personaggi di spicco. Sono passati da lì corridori come Fabian Cancellara e Filippo Pozzato, ma anche tecnici Roberto Damiani e Luca Guercilena. Di quello staff faceva parte anche un tecnico, bravissimo, che spesso lavora nell’ombra e che all’epoca era giovanissimo: Andrea Morelli.

Oggi lui è una colonna portante del Centro Mapei ed è la persona ideale per ricordare quella avventura, ma anche per capire come lavoravano. Furono quattro stagioni (dal 2000 al 2003) molto costruttive.

Andrea Morelli, Fabian Cancellara
Andrea Morelli con Fabian Cancellara, qualche stagione dopo gli anni della Mapei: rapporti sempre buoni
Andrea Morelli, Fabian Cancellara
Andrea Morelli con Fabian Cancellara, qualche stagione dopo gli anni della Mapei: rapporti sempre buoni

Rivoluzione Mapei

«Il progetto Mapei giovani nasce a cavallo del 1999-2000 – spiega Morelli – ha anticipato i progetti attuali delle squadre che lavorano con i ragazzi. L’idea era di centralizzare il monitoraggio degli atleti, soprattutto per quel che riguarda la preparazione, visto che qualcuno aveva dei preparatori esterni. Si davano delle linee guida generali sulla vita da tenere anche oltre la bici, ma certo per vedere se il corridore faceva il furbo avresti dovuto vivere con lui notte e giorno. E non era semplice.

«L’idea di Squinzi e Sassi fu rivoluzionaria. Si voleva far crescere l’atleta a 360°, avere un gruppo omogeneo e da lì la squadra giovani. Capirono per primi che se non hai una base su cui costruire poi è difficile mantenere un alto livello tra i grandi».

Aldo Sassi e Giorgio Squinzi, alla presentazione della Mapei-Quick Step nel 2001
Aldo Sassi e Giorgio Squinzi, alla presentazione della Mapei-Quick Step nel 2001

L’importanza del vivaio

Il vivaio resta un qualcosa di centrale. E sempre di più è così. Lo vediamo con i grandi team WorldTour attuali, ma anche nel calcio e persino nella F1, ci sono le cosiddette Academy, anche la Ferrari ne ha una.

«Anche il calcio che ha più risorse economiche lo sta facendo. Guardiamo il Sassuolo per esempio con Generazione S. Oggi si analizzano i dati di alcuni allievi e se sono buoni li fai allenare come i pro’. No, noi volevamo un vivaio allargato per far crescere i corridori con gradualità. All’epoca, per capacità o per fortuna, avevamo tante squadre satellite. Ho detto per fortuna perché Mapei essendo così grande e internazionale spesso aveva dei rivenditori privati che sponsorizzavano delle società. Un anno tra junior e dilettanti avevamo 18 team. Iniziava ad essere un bacino ampio.

Anche oggi come allora tanti campioni passano dal Centro Mapei Sport, ecco Elisa Longo Borghini
Anche oggi come allora tanti campioni passano dal Centro Mapei Sport, ecco Elisa Longo Borghini

Okay la cultura, ma i test…

La Jumbo valuta i corridori dai dati e anche sotto il profilo umano, andando a casa dei genitori, esaminando anche l’aspetto culturale. La Mapei giovani come faceva?

«Sicuramente i tempi sono cambiati e l’aspetto esterno al ciclismo è importante, ma i dati restano fondamentali. Bisogna vedere i risultati storici e i risultati in laboratorio, perché comunque se non hai quei valori fisiologici non puoi andare avanti. Poi ci sono le capacità: guidare bene la bici, leggere la corsa, avere testa… ma se non hai il “motore” è difficile che tu possa diventare corridore. E poi gli interessi di un corridore nel privato possono essere diversi. C’è quello super informato che studia e quello che invece vuole salire in sella e basta. E’ anche una mentalità diversa da soggetto a soggetto: meno pensieri, meno stress, essere più rilassato…».

In ammiraglia Mapei anche Roberto Damiani, qui con Bettini
In ammiraglia Mapei anche Roberto Damiani

Una fitta rete di scouting

«Nei nostri screening fisiologici si vedeva che Cancellara anche da junior aveva dei valori molto alti per appartenere a quella categoria. Sapevi che poteva diventare qualcuno. E lo stesso, in tempi più recenti, Ganna.

«Noi i ragazzi li trovavamo come ho detto tramite le nostre squadre satellite, ma poi anche grazie ai nostri tecnici e talent scout, o il passaparola che vale ancora molto. Magari c’era un U23 che non vinceva tanto ma era costante e otteneva bei piazzamenti. Individuati i soggetti si faceva loro un test.

«Mettiamoci che Mapei aveva interessi economici anche all’estero. E quindi era interessata ad altri mercati. Ecco che dal’Ungheria arrivò Bodrogi, dall’Inghilterra (che non era la potenza ciclistica di adesso, ndr) arrivò Wegelius, individuammo già anni prima Vandenbroucke in Belgio, Rogers dall’Australia… Poi non è detto che il corridore diventi un campione. Anche da noi ci furono dei casi di gente durò una stagione o due.

«I ragazzi erano seguiti da Guercilena e Damiani. Prendemmo Cancellara e Pozzato direttamente dagli juniores. Oggi è quasi la normalità, all’epoca fu un caso eclatante. Ma l’idea della crescita graduale fu subito centrale. Ed è questa forse la cosa che manca di più oggi, quando vedi questi ragazzini che passano dagli junior al WorldTour. Noi facevamo delle brevi corse a tappe di 3-4 giorni e ogni anno un po’ di più fino alle corse di “prima categoria“.

«Per esempio Cancellara. Al primo anno – dice Morelli mentre ogni tanto fa delle pause e verifica i vecchi dati – fece il Recioto, il Circuito Franco Belga e qualche altra gara. Nel 2001: Algarve, Tour di Rodi, Noekere, Gp Berna, Alentejo, Slovenia, Ain e altre gare singole. O Pozzato: nel 2000 fece gli Etruschi, Almeria, una corsa a tappe in Austria e l’anno dopo il Giro del Lussemburgo, quello di Danimarca, il Limousin, delle gare in Giappone».

Meno conoscenze sull’alimentazione, ma grande collaborazione con Enervit già in quegli anni
Meno conoscenze sull’alimentazione, ma grande collaborazione con Enervit già in quegli anni

Alimentazione e ginnastica

«Non c’erano certo le conoscenze che ci sono adesso sull’alimentazione – spiega Morelli – Si davano delle indicazioni generali, c’era la plicometria e lì finiva. Tuttavia Sassi collaborò molto con Enervit e già riuscimmo a dare delle indicazioni in tal senso. Semmai il problema di quegli anni era lo stacco invernale che era davvero lungo. E si vedevano anche casi di gente che metteva su 7-8 chili. Oggi al massimo riposano dieci giorni in totale e poi già riprendono con altre attività.

«Anche la palestra serviva quasi più come attività alternativa che per la preparazione vera e propria. C’erano i classici esercizi per l’irrobustimento della parte superiore e quelli più mirati per la bici.

«Mapei Giovani era un progetto di “evidence based coaching” cioè l’insieme di dati scientifici ed esperienze sul campo. Per esempio avevi visto e capito che quel determinato allenamento faceva bene, ma c’era già un riscontro scientifico».