A casa Iacchi, dove il ciclismo è una passione di famiglia

21.03.2024
6 min
Salva

«Dai miei nonni fino a mio fratello più piccolo, in famiglia tutti pedaliamo o abbiamo corso. Ricordo la mia prima biciclettina, una Parkpre bianca. Ero felicissimo». Alessandro Iacchi ci apre le porte della casa di famiglia, da generazioni dedicata al ciclismo. Sport che ormai fa parte del loro Dna.

In questi anni di interviste e gare, spesso usciva fuori il nome degli Iacchi. Tra chi ricordava i nonni in sella, chi i più giovani e chi li ringraziava per aver vissuto presso di loro, vedi Svrcek.

Nella foto di apertura Alessandro è tra il fratello più piccolo, Niccolò, e quello maggiore, Lorenzo, ex pro’ che ha appeso la bici al chiodo nel 2022. Oggi quindi è lui il numero uno della dinastia. E’ infatti professionista con il Team Corratec. Grande impegno, grande passione e una buona costanza di rendimento che si spera possa migliorare.

Nonno Mauro vince una corsa tanti anni fa…
Nonno Mauro vince una corsa tanti anni fa…
Alessandro, come nasce dunque questa passione per il ciclismo da parte della famiglia Iacchi?

Nasce dai miei nonni, sia quello paterno, Piero, che da quello materno, Mauro Romani. Furono dilettanti ai tempi in cui le maglie erano ancora di lana! Una volta smesso e messo su famiglia, nonno Piero fondò il Pontassieve. Era lui che portava alle corse tanti ragazzini, tra cui mio papà Sauro, ma anche gli zii. Alla fine è stato tutto un tramandarsi, fino all’ultimo che va in bici, mio fratello Nicolò, il quale è uno juniores.

E tu come sei salito in bici? Ti ci hanno messo loro?

In realtà è venuto tutto naturalmente. Io da piccolo ho provato mille sport, tra cui il calcio e la pallavolo, ma mi piaceva pedalare. E già dai giovanissimi eccomi in bici. Tra l’altro iniziavano a sparire le squadre per i più piccoli e dopo tanti anni mio “babbo” fece con me quel che all’epoca aveva fatto mio nonno: vale a dire rifondare il Pontassieve. E fu un bel progetto. Eravamo una ventina di bambini. Ed è rimasto in piedi fino a che c’è stato mio fratello Niccolò. Poi purtroppo andare avanti era sempre più complicato, i bambini erano sempre meno e, passato tra gli esordienti Niccolò, hanno chiuso il team. Io dopo i giovanissimi ho fatto gli esordienti in una società mitica.

Quale? 

La SS Aquila, a Ponte a Ema, in pratica la squadra di Gino Bartali. La sede era al museo. Bellissimo.

Spesso quando certe passioni sono tanto forti e radicate, si finisce col mettere pressione ai ragazzi. E’ stato così anche per te?

No, no… assolutamente. Anzi, quando le cose non andavano bene, non mancavano parole di conforto. Mentre non mi hanno mai puntato il dito o detto: perché non sei arrivato? Perché non hai fatto così o colà?

In una famiglia così immaginiamo il tifo, le corse alla tv, l’occhio tecnico…

Mio nonno Mauro soprattutto era un tifosissimo di Pantani. Ogni volta che c’era una corsa non troppo lontana, saltava in macchina e andava a vederlo. Mi racconta sempre di quella volta che per andarlo a vedere nel maledetto giorno di Campiglio fece un sacco di strada a piedi. C’era talmente tanta gente che aveva dovuto lasciare la macchina lontano. Giusto qualche settimana fa, spostando dei mobili, sono riemerse delle vecchie pagine della Gazzetta dello Sport proprio di quei giorni.

Vi capita mai di uscire tutti insieme?

No, difficilissimo. Però con mio fratello che ora è junior a volte sì. Anche due giorni fa abbiamo fatto un paio d’ore insieme.

E poi, Alessandro, gli Iacchi sono stati anche un “porto sicuro” per alcuni vostri colleghi. Giusto?

Giusto. Da noi sono passati diversi corridori ma due si sono fermati a lungo. Uno è stato Martin Svrcek e l’altro Veljko Stojnic. Veljko arrivò che io ero dilettante di secondo anno. Eravamo alla Franco Ballerini. Venne con l’intento di trovare casa di lì a poco e rimase a lungo. Di fatto lo accogliemmo bene e lui si fece voler bene. Sempre rispettoso, educato, disponibile. Avevamo una “casetta” libera di nostra proprietà e lì rimase. Col tempo è diventato un fratello acquisito. Ci allenavamo insieme, uscivamo insieme… Tante volte voleva cucinare da solo, ma i miei nonni gli dicevano: «No, no, tu vieni da noi. Solo non ci stai». Anche se ora è tornato in Serbia, lui stesso si sente con la mia famiglia e i miei nonni.

Alessandro Iacchi e Veljko Stojnic nel 2022: squadre diverse, ma stessa casa
Alessandro Iacchi e Veljko Stojnic nel 2022: squadre diverse, ma stessa casa
Che storia!

Anche io sono stato a trovarlo in Serbia dalla sua famiglia. Ora corre per un team ungherese. E rivederci è sempre un piacere.

E Svrcek?

Più o meno la stessa storia. Tra noi c’è un bel rapporto. Ai miei genitori faceva piacere aiutarlo. Forse perché immaginavano se al suo posto ci fossi stato io. Pensavano a come si poteva sentire questo ragazzino da solo in un paese straniero.

Poi c’è tuo papà, Sauro, che aiuta gli allievi del team Cesaro-Franco Ballerini

Esatto. A papà alla fine è sempre piaciuto stare in mezzo alle corse, ai ragazzi. E’ rimasto lì anche dopo che mio fratello Niccolò è passato di categoria. Si è creato un bel gruppetto e ha deciso di portare avanti questo progetto. Non voleva lasciarli soli.

Alessandro in azione al Giro. Completare la corsa rosa è stata una vera soddisfazione e un orgoglio di famiglia
Alessandro in azione al Giro. Completare la corsa rosa è stata una vera soddisfazione e un orgoglio di famiglia
Insomma anche la Corratec è una famiglia allargata: dalla professional agli allievi, passando per gli juniores… E a proposito di famiglie allargate: tua nonna cucinava per tutti?

Eh sì. Era un porto di mare casa sua. Nonna Laura ci chiedeva e ci chiede sempre cosa dobbiamo mangiare. E’ diventata un’esperta di alimentazione per ciclisti. Sarebbe pronta per un team WorldTour!

Che poi tra chi va e chi viene, chi va a scuola, chi esce al mattino… avete orari diversi.

Esatto, la cucina è sempre aperta. Però lei è contenta. Anzi, se non andiamo, quasi si offende.

E tua mamma cosa dice?

Mia mamma, Gabriella, ormai ci è abituata. E per forza di cose alla fine anche lei spesso viene alle corse e si è appassionata.

Dove vive di preciso la famiglia Iacchi?

A Rufina, Firenze. Quest’anno ci passerà il Tour de France sotto casa. E’ un sogno

Occhiali Just1 Sniper, superleggeri e sempre stabili

25.05.2023
3 min
Salva

I Just1 Sniper sono gli occhiali che appartengono alla categoria Sport Performance dell’azienda di Pistoia, un prodotto con un design aggressivo e moderno al tempo stesso.

Gli Sniper fasciano il viso in modo adeguato, senza creare fastidi ed ingombri, con delle lenti Ultra HD intercambiabili. Sono intercambiabili anche le aste. E poi il peso, perché i Just1 Sniper hanno un valore alla bilancia di soli 22 grammi e sono disponibili in due varianti, quella classica e la Urban. Approfondiamo meglio le peculiarità degli Just1 grazie al contributo di Alessandro Iacchi del Team Corratec, che preferisce lo Sniper Urban, con il telaio “a giorno” (con la parte inferiore libera).

Alessandro Iacchi del Team Corratec-Selle Italia, con i Just1 Sniper Urban
Alessandro Iacchi del Team Corratec-Selle Italia, con i Just1 Sniper Urban
Che lenti usi normalmente?

Mi piace usare una lente colorata e specchiata. La Yellow, quella con una colorazione che tende al dorato/giallo è parecchio sfruttabile in diverse situazioni, quando c’è il sole, magari non eccessivamente forte, ma anche in quei momento dove le nubi scuriscono la visuale.

Hai la possibilità di cambiare le lenti?

Sì e con la versione Urban è molto semplice. Diciamo pure che in questo Giro d’Italia, il cambio delle lenti e l’utilizzo di quelle neutre era all’ordine del giorno, tra pioggia e condizioni di scarsa luce. Difficilmente si riesce a cambiare l’occhiale in corsa, quindi avere a disposizione una lente versatile non è poca cosa.

La montatura a giorno è quella preferita da Iacchi, più libera
La montatura a giorno è quella preferita da Iacchi, più libera
C’è un aspetto della lente che ricerchi nell’occhiale?

A mio parere e’ fondamentale una lente che non ha interferenze, perché indossandoli per molte ore consecutive la qualità non deve essere un aspetto secondario. Le lenti che abbiamo in dotazione hanno una curvatura ottimale e non danno fastidio alla vista. Il nasello non fa male e non deve segnare la pelle quando lo si indossa.

Sono particolari cui si guarda?

Per qualcuno possono essere semplici dettagli, ma quando sei a tutta deve essere tutto al meglio. Mi piace anche personalizzarli un pò. Ad esempio questi con la montatura gialla, li uso con il nasello blu.

La sagoma laterale dello Sniper, con i terminali che aumentano il grip
La sagoma laterale dello Sniper, con i terminali che aumentano il grip
Preferisci un occhiale stabile una volta indossato?

Si, io preferisco un occhiale che non si muove una volta indossato e il telaio Just1 garantisce un’eccellente stabilità. E’ anche leggero, il che non guasta mai. Lo Urban che uso io non ha la montatura nella parte inferiore, personalmente preferisco così.

Anche per una questione di far scorrere via l’umidità?

Più che altro per una questione legata alla libertà dell’occhio, anche se la lente che abbiamo non trattiene umidità, sudore e acqua, nella parte più vicina agli occhi, ma anche all’esterno.

La lente ha una buona curvatura ed elasticità
La lente ha una buona curvatura ed elasticità
Quanti occhiali avete in dotazione?

Tre paia di occhiali, due li avevamo prima del Giro, un terzo paio ci è stato dato appena prima dell’inizio della corsa.

Just 1

Radio e giovani corridori: come insegnare ad usarle?

28.04.2023
4 min
Salva

Tiene banco il tema della sicurezza e delle comunicazioni tra diesse e corridori una volta in corsa. Abbiamo sentito il parere di Sagan, e quello di Gasparotto riguardo i nuovi strumenti ed i metodi con i quali vengono utilizzati. Ma per quanto riguarda le radio, i corridori che cosa ne pensano?

Il tre volte campione del mondo aveva sottolineato come troppe comunicazioni distraggano il corridore ed allo stesso tempo creino un enorme stress in gruppo. Soprattutto tra i giovani che si ritrovano bombardati di informazioni e vengono così sopraffatti dal momento.

Pellizzari ha ricevuto tante indicazioni via radio nella tappa del Tour of the Alps con arrivo a Predazzo
Pellizzari ha ricevuto tante indicazioni via radio nella tappa del Tour of the Alps con arrivo a Predazzo

L’esempio Pellizzari

Al Tour of the Alps Giulio Pellizzari, sulle rampe di Passo Pramadiccio, mentre si lanciava alla ricerca della vittoria, continuava a ricevere incitamenti via radio. Ci siamo chiesti allora in che modo venga inserito questo strumento nella vita di un giovane corridore. Ne parliamo con Alessandro Iacchi, classe 1999 in forza al Team Corratec

«Ho fatto in tempo ad utilizzare la radio sia con i professionisti che con gli under 23 – ci dice – la differenza si nota. Rispetto a quando non c’era, si è molto più sicuri in gruppo. Se viene unita alle nuove tecnologie (VeloViewer e ciclocomputer) facilita le comunicazioni. Il diesse ha modo di segnalare i pericoli nei punti cruciali e viceversa».

Gli strumenti sono super accurati, sul ciclocomputer si può caricare il percorso e leggere l’altimetria
Gli strumenti sono super accurati, sul ciclocomputer si può caricare il percorso e leggere l’altimetria
In che modo si insegna ad un corridore giovane come utilizzare questo strumento?

Ti spiegano il funzionamento e come utilizzarlo per parlare. Dal punto di vista tecnico è estremamente facile, schiacci un bottone e sei in contatto con tutti: dai diesse ai tuoi compagni di squadra. 

Come ti spiegano il funzionamento una volta che sei in corsa?

Logicamente mi viene da dire che ti insegnano ad utilizzarla nei momenti importanti della gara. Per quanto riguarda noi corridori, la si usa quando fori, devi andare a prendere l’acqua o devi metterti in comunicazione con un compagno o un diesse. Mi è successo qualche volta di bucare, l’ammiraglia non ti vede a bordo strada e tira dritto. 

Tu hai corso anche senza radio, il modo di interpretare la gara cambia…

Assolutamente. La radio riduce i tempi di comunicazione, e di conseguenza aumenta la sicurezza. Non serve andare ogni volta alla macchina per avere un’informazione e in questo modo si riduce il via vai nel gruppo. 

Alessandro Iacchi compirà 24 anni il 26 maggio. E’ alto 1,70, pesa 59 chili ed è pro’ dal 2020
Alessandro Iacchi compirà 24 anni il 26 maggio. E’ alto 1,70, pesa 59 chili ed è pro’ dal 2020
Però aumenta il nervosismo. 

Questo succede perché alcuni diesse la utilizzano in modo sbagliato a mio modo di vedere. Con gli strumenti che abbiamo possiamo vedere tutto in tempo reale, i ciclomputer ci dicono quanto è lunga una salita e quale sia la pendenza media. Ci avvertono anche quando ci sono delle curve pericolose. 

I ciclocomputer di ora ti segnalano ogni minimo dettaglio del percorso…

Vero. Non servono comunicazioni tecniche, diciamo che è sufficiente ricordare che sta per iniziare una salita. Poi il resto lo vediamo da noi. 

Qual è il modo sbagliato di utilizzare la radio?

Quando la corsa diventa una radiocronaca, ogni minuto hai una voce in testa che ti dice qualcosa. Alla fine diventa fastidioso, soprattutto quando cerchi di concentrarti, che sia in volata o nel leggere il momento giusto della gara. Se il diesse mi parla tutto il tempo, si rischia che la sua voce diventi un brusio di sottofondo e, che tu voglia o meno, non lo ascolti più. 

Fanno eccezione gli eccessi di comunicazione quando si sta raggiungendo un’impresa. Qui Baldato e Marcato dietro Pogacar al Fiandre (immagine Velon)
Fanno eccezione gli eccessi quando si sta raggiungendo un’impresa. Qui Baldato e Marcato dietro Pogacar al Fiandre (immagine Velon)
Qual è secondo te il modo corretto?

Nei momenti concitati della corsa, come quando si forma la fuga, dall’ammiraglia ci dicono subito chi è nel gruppo davanti. In questo modo si possono aggiustare le tattiche in corsa, lì la comunicazione è fondamentale. Un altro esempio è quando il massaggiatore si trova al rifornimento ed inizia a piovere. Lui può avvisare che è cambiato il meteo e noi corridori ci regoliamo di conseguenza. 

Per i giovani allora la radio diventa quasi stressante?

Come detto, dipende da come la si usa dalla macchina. A me troppe comunicazioni non piacciono, altri invece le preferiscono. Però mi sento di dire che a volte è importante ascoltare il gruppo e i suoi rumori.

Iacchi da applausi, ma la morte della Regina ha fermato tutto

14.09.2022
5 min
Salva

Quando anche la sorte ci mette lo zampino c’è ben poco da fare. Giro d’Inghilterra. Alessandro Iacchi del Team Qhubeka ne aveva fatto l’obiettivo della stagione. Va forte e cosa succede? Muore la Regina Elisabetta II. Gara finita.

Il toscano di Rufina, alle porte di Firenze, era ben messo in classifica: nona posizione e primo italiano in graduatoria. La gamba girava bene. E sì che il livello era abbastanza elevato. C’erano diverse squadre WorldTour, tante professional e alcune continental come la sua Qhubeka, guidata per l’occasione non solo da Daniele Nieri, ma anche da Simone Antonini.

Iacchi si è messo in mostra in Inghilterra, spesso ha preso aria in faccia in testa al gruppo
Iacchi si è messo in mostra in Inghilterra, spesso ha preso aria in faccia in testa al gruppo

Goodbye Queen

«In quei giorni in Inghilterra – racconta Iacchi – di tv ne guardavamo poca perché il tempo non era molto, ma si percepiva che la Regina stesse male. Durante la prima tappa siamo passati anche davanti alla residenza in cui è morta, in Scozia.

«Prima della quinta frazione, l’ultima che abbiamo disputato, è uscita la news che era peggiorata. A fine tappa, mentre ero ai massaggi è arrivata la notizia della sua morte. Erano le 18 più o meno. Ricordo che in hotel c’era della musica e subito è stata spenta».

Nieri si mette in cerca d’informazioni sul proseguimento della gara, visto che già prima della tappa e del decesso girava voce che la corsa si sarebbe fermata un giorno in caso della sua morte. Nessuna risposta. Solo a cena è arrivato la conferma: domani non si corre.

«In albergo c’erano anche la Bora-Hansgrohe, la Israel-Premier Tech, la Kern Pharma… A quel punto, tutti un po’ più rilassati, visto che il giorno dopo non avremmo corso, ci siamo ritrovati al bar dell’hotel per un caffè. Si chiacchierava di questa situazione. Solo alle 22,30, quando ormai eravamo in stanza, è giunta la comunicazione definitiva: il Giro d’Inghilterra finiva lì».

I pannelli a messaggio variabile che ricordano la Regina per le vie di Manchester
I pannelli a messaggio variabile che ricordano la Regina per le vie di Manchester

Corsa no, gamba sì

Tutti a casa dunque. In un clima surreale. Gli inglesi, ci ha raccontato Iacchi, apparentemente si comportavano come sempre, tuttavia c’era più silenzio nell’aria. Negozi chiusi per lutto, la musica appunto spenta in hotel, tv, social e giornali che non parlavano d’altro…

«Eravamo a Manchester in attesa del volo di rientro. Così abbiamo fatto un giro per la città e ricordo che molti negozi erano chiusi. C’erano dei cartelli con la data di nascita e quella di morte della Regina».

Ma se la corsa finiva lì, la voglia di misurarsi e di correre da parte di Iacchi di certo non si era placata. Anzi, con una gamba in buona condizione semmai era ancora più forte. Anche perché con la stagione agli sgoccioli s’innesca per lui un senso “di tagliola” per agguantare un successo.

«Ero nono in classifica – racconta Iacchi – Avevo iniziato con dei discreti piazzamenti. Ero arrivato sempre con il primo gruppo. La terza frazione, la più dura, ero ben messo. E come me anche il mio compagno Parisini. Antonini mi ha detto che dovevo provare a fare qualche traguardo volante. Visto che la classifica era cortissima con pochi secondi di abbuono sarei risalito parecchio. E così ho fatto».

«Avevo preparato bene questa corsa. Il Giro d’Inghilterra era importante per me, visto che devo trovare una squadra per l’anno prossimo. Ed era importante per il team, in quanto abbiamo degli sponsor inglesi. Senza contare che si trattava di una corsa 2.Pro. Dispiace perché ogni giorno la gamba girava meglio».

Per il toscano anche una fuga…
Per il toscano anche una fuga…

Ritmi da WT

Alessandro Iacchi è un classe 1999. E’ uno di quei ragazzi che con il ciclismo moderno, affamato di giovani (come se lui non lo fosse), rischia grosso.

Il toscano fa parte di quell’infornata di corridori diventati pro’ con il Covid. Era nella fila della Vini Zabù. Passò con quel maledetto 2020 e corse pochissimo per ovvie ragioni. L’anno dopo iniziò la stagione, ma la squadra fu bloccata per il caso di doping di De Bonis e di nuovo tutto fermo.

«In due anni – dice Iacchi – ho fatto 40 corse, se pensiamo che solo quest’anno ne ho fatte 60… Io poi sono un corridore che per andare bene deve correre molto. Deve avere costanza. E invece in quel modo passavano anche dei mesi senza attaccare il numero ed ogni volta era come ripartire da zero. Ci si demoralizzava anche.

«Invece quest’anno, forse per la prima volta, mi sento bene proprio perché ho corso molto. E’ la prima stagione che faccio senza intoppi. Ho colto buoni piazzamenti, manca solo una vittoria…».

Iacchi è un corridore completo. Se la cava su salite non troppo lunghe e può dire la sua in una volata ristretta. Quando sta bene non si spaventa di fronte a corse di primo livello come appunto il Giro d’Inghilterra.

«Sì – dice il toscano – certi ritmi si sentono. Quando si corre con i pro’ la differenza si avverte, ma ci sto bene. Quando ci sono le WorldTour è tutto un altro modo di correre. La corsa è più controllata e sono loro a controllarla. E quando si va forte… si va forte!

«Per esempio, proprio in Inghilterra, un giorno non partiva la fuga: ebbene, abbiamo fatto 150 chilometri in due ore e 40′ e c’erano 2.700 metri di dislivello! O al contrario, il giorno dopo per chiudere sulla fuga nell’ultima ora abbiamo fatto gli ultimi 50 chilometri a 48 di media».

Iacchi (classe 1999) tiene bene sugli strappi e le salite non troppo lunghe. Si allena spesso con Albanese, suo vicino di casa
Iacchi (classe 1999) tiene bene sugli strappi e le salite non troppo lunghe. Si allena spesso con Albanese, suo vicino di casa

In “caccia”…

Prima Iacchi ha detto che manca solo la vittoria. La gamba c’è e l’idea è quella di sfruttare al meglio la condizione… anche per trovare squadra.

«Non essendo più un under 23 – conclude Iacchi – devo cercare altrove. La Qhubeka farà anche la professional, con loro ho parlato, ma sono ancora in attesa. Io poi non ho un procuratore e sto cercando di muovermi in autonomia. Io spero di restare con loro, perché in questo team mi trovo davvero bene».

«Mi restano cinque o sei gare per fare qualcosa. E sono tutte gare abbastanza adatte a me. Tra queste c’è anche il Pantani, anche se so che lì il livello è molto alto. Già arrivare con il primo gruppo non sarebbe male. Ma l’obiettivo è vincere, magari anche le altre corse che farò… perché l’unica cosa che mi manca quest’anno è la vittoria».