E poi, ad un certo punto della propria vita, capita di ritrovarsi su un aereo al fianco del vincitore della Roubaix e di esserci seduto come collega e non come occasionale compagno di viaggio. E’ quel che è successo ad Edoardo Zambanini quando stava andando in Spagna per il primo ritiro da professionista nella Bahrain-Victorious.
Zambanini: scuola Zalf Euromobil Desirée Fior, da dove sono arrivati tanti campioni, l’ultima vittoria tra gli U23 giusto lo scorso settembre e poi il grande salto. Un salto iniziato esattamente un anno prima, quando da primo anno conquistò la maglia bianca di miglior giovane al Giro U23.
Ed è lì che è cambiato tutto. Anche perché allo scorso “Giro baby” le cose non sono andate come ci si aspettava. Un avvicinamento un po’ sfortunato e non perfetto nella gestione dell’altura, non ha fatto rendere Edoardo e alcuni suoi compagni come volevano. E la riprova è che la vera condizione è arrivata solo d’estate… e forse anche un po’ dopo.
Edoardo, come sei arrivato alla Bahrain-Victorious?
Dopo il Giro 2020 sono iniziati i primi contatti con i procuratori, i Carera, una figura che fino ad allora non conoscevo. Da lì piano piano ho conosciuto questo team, ho fatto dei test… ed eccomi qui.
Come te lo aspettavi questo passaggio?
Non mi aspettavo di trovare un ambiente così grande. Grande in tutto: staff, mezzi, corridori… c’è sempre qualcuno che ti segue, che ti supporta… Durante lo stacco non mi rendevo effettivamente conto che ero un professionista, anche se me lo dicevano, non realizzavo in pieno. Poi al primo ritiro sono rimasto colpito appunto dalla grandezza di questo ambiente. Fanno di tutto per metterti il meglio a disposizione e farti crescere.
Con chi hai legato di più in questi primi assaggi di Bahrain-Victorious?
Quando sono arrivato avevo davvero paura di come mi sarei relazionato con gli altri, invece devo dire che tutti sono molto semplici, umili, alla mano… pertanto non ho incontrato nessuna difficoltà. Anche con l’inglese è andata bene. A scuola mi sono sempre impegnato ed è servito a qualcosa! Però si può sempre migliorare. In più ho avuto la fortuna di condividere la camera con Matej Mohoric. Lui era nel mio gruppo. Matej è ragazzo davvero tranquillo, disponibile e già esperto.
Eri nel gruppo degli scalatori quindi?
Diciamo di sì, c’erano anche Bilbao, Landa, Buitrago… Un po’ per il Covid, un po’ per non girare in tanti, ci avevano divisi in gruppi di 7-8 corridori.
A livello di allenamenti cosa è cambiato, rispetto allo scorso inverno?
I chilometri un po’ sono aumentati e poi alterno, ancora, la palestra con la bici, cosa che prima non facevo. In generale è aumentato il volume di lavoro e anche l’intensità.
E noti già dei miglioramenti?
Per ora tengo bene questi carichi, poi vediamo come andranno le prime gare. Io sono seguito da Paolo Artuso.
E a proposito di gare, a quando il tuo debutto?
Ancora non è stato ufficializzato, ma credo a metà febbraio. Ho un bel calendario davanti a me e c’è una gara che mi piacerebbe tanto fare: il Tour of the Alps (18-22 aprile, ndr). E’ la corsa di casa.
Tu di dove sei?
Di Riva del Garda, Trentino. Conosco quelle strade. Sto proprio sul Lago e il clima è buono. Il lago mitiga molto e infatti parecchie squadre vengono ad allenarsi da quelle parti. Mi hanno detto che il Tour of the Alps è una gara organizzata molto bene. Lo scorso anno ero fuori a correre e l’ultima tappa, che andava verso Tenno, la salita che in pratica faccio tutti i giorni, me la sono dovuta vedere in televisione. Ma quando potevo andavo sempre a vederlo. Uscivo un’ora prima da scuola e scappavo a bordo strada.
Prima hai detto che tutti sono stati gentili con te, ti hanno trattato alla pari. Magari anche loro avranno pensato: se questo ragazzo è qui è perché è un corridore vero e in qualche modo è scattato il rispetto. Hai mai pensato a questo ragionamento al contrario?
Eh, bella domanda… Una cosa è certa, non mi hanno accolto come il giovane da mettere in mezzo con le battute. Per esempio, con Sonny Colbrelli ho fatto il viaggio aereo da Bergamo a Valencia. Subito, e con estrema naturalezza, abbiamo parlato di tutto. Mi ha spiegato cosa avrei trovato in ritiro, come funzionavano le cose in squadra, delle sue gare dell’anno scorso.
E facevi più domande tu o lui?
Io, io!
E cosa gli chiedevi?
Mi ha raccontato dell’Europeo, che è stata una corsa davvero dura. Molto nervosa, tiratissima. E mi ha parlato della Roubaix. Mi ha portato “più dentro” nella descrizione di come è andata. Però io già sapevo molto perché lo avevo seguito bene dalla tv e avevo letto tutte le sue interviste.