Tokyo ha in qualche modo dato la svolta, se non nei risultati di certo per il lavoro svolto. E così l’Elia Viviani incerto delle volate precedenti si è trasformato di nuovo in un vincente da cui guardarsi con attenzione. La vittoria di Fourmies poi quella di Isbergues non sono state per caso. Tanto che la Cofidis gli ha chiesto di non correre la Veneto Classic di domenica per andare in Francia a giocarsi gli ultimi due round della Coupe de France, in cui è secondo a 23 punti da Godon della Ag2R Citroen. Però intanto il saluto alla sua regione in maglia Cofidis, Elia l’ha dato oggi con il Giro del Veneto, prima delle tre prove organizzate da Pozzato e Moletta, che mancava dal 2012.
Dalla pista alla strada
Facile fare l’associazione tra il gran lavoro svolto in pista e la ricaduta immediata per l’attività su strada: dopo Rio avvenne esattamente così.
«Ho qualcosa in più nelle gambe – conferma – ho più sforzi ripetuti e riesco a spendere qualcosa prima della volata per essere al posto giusto. E se mi portano con un bel treno, riesco a fare una volata di testa. Come per esempio a Fourmies, dove mi sono messo a 5 chilometri dall’arrivo a ruota di Ackermann e sono riuscito a restarci fino allo sprint finale. Ho più sforzi e più resistenza all’acido. Quindi qualsiasi sforzo io faccia prima della volata, poi ho le gambe per sprintare».
Mentre prima?
Arrivavo o spendevo per arrivare in una buona posizione e stavo a ruota. Questo e il motivo dei quarti e quinti posti, dei tanti piazzamenti.
Come sarà fatto il prossimo inverno?
E’ ovvio che adesso sembra tutto tornato alla normalità, ma non lo è. Sono consapevole che per arrivare al calibro delle corse che ho vinto nel 2018-19 c’è ancora qualche step da fare. Quindi voglio fare un inverno normale, però con la consapevolezza di dover stare di più in pista. Più lavori sulle partenze, più lavori di resistenza lattacida e quindi probabilmente tanto dello specifico verrà fatto in pista e non su strada. Fermo restando comunque che per le classiche e per il Giro, dovrò comunque fare la mia preparazione.
Dopo Rio dichiarasti che ti saresti dedicato alla strada.
Questa volta sarà lo stesso, anche se Parigi è più vicina. Il fatto che su strada mi serve la pista, mi spingerà ad aumentare la cadenza degli allenamenti. Cadenza e continuità nelle sedute in pista, ma guardando agli obiettivi. E il minimo obiettivo da qui a Parigi sarà la qualifica olimpica. Speriamo di riuscire a mettere un bel mattone con i mondiali di prossima settimana, dove magari mi potrei togliere una soddisfazione e non inseguire la qualificazione nei prossimi anni. Quindi priorità la strada, con una presenza però costante su pista.
Quali possono essere i tuoi obiettivi su strada?
Gli obiettivi sono sempre quelli. Per cui, dopo due stagioni così, bisogna partire forte subito. Mi viene da pensare alle gare WorldTour, quindi già in UAE a inizio anno, poi principalmente la Tirreno e la Sanremo. E’ ovvio che per tornare a pensare di poter vincere o fare bene una Sanremo, devo fare un inizio stagione fantastico. Per questo dei buoni risultati alla Tirreno potrebbero essere un segnale illuminante. Sono sempre stato realista, devo tornare al mio livello per poter dire di voler vincere la Sanremo.
In Cofidis per un po’ hai provato a ricreare il treno della Deceuninck…
Facendo una fatica bestia. Cercando di costruire un treno stile Quick Step, senza rendersi conto che in quel team viene tutto facile. C’è un automatismo di tutto il team, cambi gli atleti e li metti nelle posizioni che vuoi e funzionano lo stesso. Poi hanno delle perle come magari Morkov e Jakobsen che è tornato al livello di prima… Il sistema che c’è in quella squadra sembra facile dall’interno, ma una volta che cambi squadra, vedi che non è così. E l’abbiamo imparato sulle nostre ossa in questi due anni.
Perché Ineos e non Astana?
Non è ancora ufficiale, ma non potevo permettermi di prendere un’altra scelta, dove ripartire da zero, ripartire dal nuovo. Quindi la paura di sbagliare e di andare in un posto che già non conosco, sarebbe stato un gap da colmare.
Perché Ineos allora e non Deceuninck-Quick Step?
Perché Patrick (Lefevere, team manager della squadra belga, ndr) non era convinto. Prima ha detto di voler fare un anno solo per valutare quanto andassi. Poi ha detto di voler capire Cavendish. Poi ha detto… Ma prima che dicesse altro, ho capito che non era convinto ed è stato meglio scegliere un gruppo in cui so che starò bene.