L’impegno al Giro di Polonia è quasi alle spalle. Salvatore Puccio ne ha approfittato non solo per svolgere i suoi abituali compiti in seno alla Ineos Grenadiers, ma anche per vivere qualche giorno a temperature più miti: «Prima di venire qui ero a casa a Montecarlo e ci si cuoceva. Avevo anche rinunciato al ritiro ad Andorra, ma chi c’è andato mi ha detto che faceva tanto caldo anche lì…».
Puccio è per la Ineos una colonna. Dal 2012, anno del suo ingresso fra i professionisti, non ha mai cambiato casacca, ha già in tasca il contratto per la prossima stagione e ha vissuto sulla sua pelle tutte le trasformazioni del team.
Non solo nel nome da Sky a Ineos, ma anche nella stessa essenza della squadra, passata dai periodi del dominio assoluto, soprattutto nei grandi Giri, a quelli della lotta all’arma bianca anche solo per un posto sul podio.
Che forza i fratelli Hayter
La squadra, reduce dalla terza piazza al Tour di Thomas che come Puccio è uno dei decani della squadra, sta preparando la sua ennesima rivoluzione. Il corridore di Menfi non si scompone e la sua analisi parte dall’ultimo acquisto, il giovane Leo Hayter.
«Non è uno sconosciuto per noi, intanto perché da noi c’è suo fratello Ethan che già va fortissimo ed è una delle nostre punte, poi perché aveva già fatto con noi il ritiro a Mallorca a inizio stagione. I suoi risultati non ci hanno stupito, è un vero talento, altrimenti non vinci la Liegi U23 come ha fatto lo scorso anno e soprattutto fai quello che ha fatto al Giro d’Italia di categoria, con la concorrenza che c’era».
La sensazione è che la Ineos stia tornando all’antico: la scelta di avere al fianco dello zoccolo duro inglese un altro gruppo a trazione sudamericana viene quasi rinnegata con la rinuncia a Carapaz e con l’arrivo dei giovani talenti britannici come Leo Hayter…
La squadra ha sempre avuto un forte spirito inglese, con un pizzico di nazionalismo forse più pronunciato che per altre squadre del WorldTour. Prima con Sky c’era uno sponsor multinazionale, ora è più rivolto al mercato interno. Ma non è nulla di nuovo. Anche le squadre italiane d’inizio secolo erano così. Questo non significa che non si guardi anche oltre i confini. Io ne sono la prova, poi in base al valore e a quello che sai fare trovi la tua collocazione.
Quando sei passato professionista c’era ancora una forte componente di squadre italiane?
I tempi stavano già cambiando. C’erano ancora Liquigas e Lampre che poi è diventata il nucleo dell’attuale UAE Team Emirates, ma già il vento stava cambiando. A noi una squadra nel WT manca davvero tanto, ma per averla servono budget enormi non solo per i corridori e l’attività, ma soprattutto per garantire prodotti e strutture all’avanguardia. Qui mi ricollego al discorso di prima: Filippo Ganna è fortissimo e ha a disposizione davvero il top in termini tecnici per ottenere il meglio. Se non resti aggiornato e non investi sull’aerodinamica, non emergi in questo mondo.
In base alla tua esperienza, come verranno accolti i nuovi?
Penso che saranno introdotti nel team in maniera graduale, attraverso un calendario apposito, evitando inizialmente i grandi appuntamenti come i tre Giri. Ma attenzione: quando si parla di calendario secondario si commette un errore, perché ormai di gare secondarie non ne abbiamo più, si va sempre a tutta. Io per esempio quest’anno ho fatto per la prima volta la Coppi e Bartali, ma si andava fortissimo…
C’è ancora una sorta di “protezione” nei confronti dei più giovani?
Non direi, vengono gettati nella mischia in base a quel che sanno fare. Guardate Sheffield, il nostro americano, a vent’anni ha già vinto una classica in Belgio e si è fatto vedere più volte. Se vali, i modi per farti vedere ci sono eccome…
Pidcock è un esempio?
Tom è talento puro, non vinci le Olimpiadi per caso. Io sono stato con lui alla Vuelta dello scorso anno, veniva da Tokyo e dalla mtb, all’inizio era un po’ frastornato, ma nell’ultima settimana andava forte. Quest’anno al Tour ha dato un saggio delle sue capacità, ma non dimentichiamo quel che aveva fatto prima. E’ un vincente nato.
Tu sei già andato ben oltre i 50 giorni di gara…
Sono sempre quello che alla fine ha più giorni di gara, tra i 70 e gli 80. Non è stata una stagione facile, all’inizio ho avuto il Covid, poi la caduta alla Strade Bianche, fino al Tour of the Alps proprio non andavo. Poi la condizione è arrivata e credo di aver fatto un buon Giro, lavorando molto per Carapaz.
In squadra come stanno vivendo questa stagione? Al di là della bella prova di Thomas al Tour, quel marchio impresso sulla corsa non si è visto più.
Credo che i vertici siano soddisfatti. Alle classiche non siamo mai andati così bene, al Giro e al Tour abbiamo comunque preso il podio. Certo, tanti si erano abituati alle vittorie in serie, ma fa parte dei cicli. Magari qualche “batostina” fa anche bene, sarà così più bello tornare a vincere e credo che l’investimento sul futuro sia teso proprio a questo.
Che programmi hai?
Aspetto di sapere se sarò convocato per la Vuelta e magari, andando in Spagna, potrò guadagnarmi una maglia per i mondiali. E’ sempre bello vestire la maglia azzurra ma puoi farlo solo se stai davvero bene, con la gamba tonica come si deve. Manca un mese e mezzo e a questi ritmi, con il covid sempre in agguato, è davvero difficile fare previsioni…