Non è facile lavorare per un obiettivo che sai potrebbe non arrivare, anche mettendocela tutta. Questo è quel che riguarda alcuni degli atleti di Marco Villa, che sperano di trovare un posto nel quartetto dell’inseguimento a squadre in quel di Tokyo. Tra i ragazzi in bilico c’è anche Liam Bertazzo, passistone veneto, da anni pilastro delle maglie azzurre che sfrecciano nei velodromi. Uno dei veterani del gruppo. Uno che respira parquet da sempre e la pista ormai ce l’ha scolpita nel Dna.
Liam, sei una delle colonne di questa nazionale…
Sono oltre dieci anni che faccio parte di questo gruppo. Il primo mondiale risale a Mosca 2009 da juniores e… sì, siamo una bella squadra.
Sei consapevole che rischi di non correre a Tokyo?
Sì, questo è il prezzo da pagare adesso che siamo arrivati a grandi livelli e a grandi risultati. Sappiamo che potenziale abbiamo. Da parte mia so che se m’impegno e do tutto non avrò rimorsi.
Parli al plurale. Villa vi ha mentalizzato bene, vi sentite tutti parte in causa?
Sono cresciuto con questo gruppo. C’ero quando facevamo 4’12” e la Bielorussia con bici peggiori delle nostre ci stava davanti e ci arrivavano le critiche. Siamo arrivati dove siamo arrivati solo per il nostro affiatamento. Prima che ciclisti siamo amici.
Come si fa a trovare gli stimoli sapendo di poter non esserci?
Si trovano anche fra noi quelli. Per uno che migliora anche l’altro cerca di farlo. E’ la forza gruppo. Insieme si cresce: potenziale, morale alto, vittoria… Sono consapevole che potrei restare fuori, ma significherebbe che gli altri sono più forti e per la squadra va bene così. Intanto pensiamo giorno per giorno. Ho passato momenti difficili, ho avuto problemi di salute e questo mi ha aiutato a capire quanto siamo fortunati quando stiamo bene. Come detto, se avrò dato tutto non avrò nessun rammarico. Mi sento parte del gruppo e l’obiettivo è comune. E poi da qui a sei mesi possono succedere tante cose.
Che problemi fisici hai avuto?
Venivo da un 2019 abbastanza traumatico, un’ernia alla schiena tra le vertebre L5-S1. Ho provato a tenere duro per non operarmi, ma alla fine non camminavo più. Avevo fatto dell’ozonoterapia, infiltrazioni… le cose sembravano andare un po’ meglio. Poi però lo scorso gennaio con l’arrivo del freddo tutto è peggiorato. Avevo dolore, le gambe indolenzite, avevo perso muscolo. Il dolore era insopportabile, soprattutto nelle partenze. Non si poteva andare avanti. Oggi a volte non basta allenarsi al 100% figuriamoci in quelle condizioni. Con l’aiuto di Fred Morini ho trovato un neurochirurgo che mi ha operato. Quindi man mano ho ripreso. Vedevo i ragazzi ai mondiali fare quel che hanno fatto. Per questo agli europei di Plovdiv ci puntavo tanto, ma il Covid mi ha impedito di andarci.
L’arrivo di Milan, che è l’ultimo arrivato in ordine cronologico, è uno stimolo o un’impedimento in più?
E’ quasi un peso, perché con uno così sei obbligato a puntare alle prime due posizioni alle Olimpiadi. Lui è fortissimo. Siamo completi in tutti i ruoli. Un Milan così è un piccolo Ganna e con due come loro per stare dentro devi essere al 130%!
Qual è il ruolo di Bertazzo nel quartetto?
Io sono il secondo, quello che deve portare il team in tabella, cioè al ritmo della tabella di marcia prestabilita. Abbiamo fissato 14″200 a giro? Io devo portarli a 14″200. Almeno era così fino a gennaio scorso… I primi due sono quelli che più di tutti subiscono la partenza, prendono aria subito, gli altri hanno più tempo per “sistemarsi”.
Si parla di decimi, ormai avete la sensibilità per capire se state andando forte o piano?
Insomma. Siamo molto abituati a far riferimento al cronometro. Sì, magari i primi due chilometri osservi i tempi, cerchi di regolarti, ma gli ultimi 2.000 metri non guardi più nulla e dai tutto. Ogni gara è a sé. Alle Olimpiadi del 2016 con un quartetto molto più “improvvisato” non abbiamo ragionato molto, prima del via ci siamo detti: si dà tutto e basta.
Riuscite a “parlare” in quei frangenti?
No, semmai si sente giusto un cala, aumenta.
Quanto sei cambiato in questi dieci anni di pista?
Se devo essere sincero, preferivo il Liam ragazzino che non aveva paura di nulla e che pensava di poter fare tutto, però sono contento di chi sono diventato. Adesso so che l’impegno non è solo in quelle due settimane prima della gara, ma inizia mesi e mesi prima. Ho consapevolezza dei sacrifici che servono per raggiungere l’obiettivo. Però sono fiducioso, anche con l’arrivo di “Kuba” (Marezcko, ndr) in squadra (la Vini Zabù-Ktm, ndr) avremo modo di correre in un certo modo su strada, impostando le volate. E anche questo può aiutare.