«Certo che Pogacar è come Ayuso». Inizia con questa battuta l’avventura (perché di avventura si tratta) nell’ammiraglia della Colpack – Ballan. Siamo al Giro della Val d’Aosta. Dopo una mattina fredda e piovosa splende il sole su Pollein, sede di partenza e di arrivo della prima tappa.
I consueti saluti con i diesse, qualche domanda tra tecnici e corridori prima del via e l’invito di Gianluca Valoti, diesse proprio della Colpack, a seguire la tappa in ammiraglia. Occasione d’oro. A proposito, l’autore della frase iniziale – tenetela a mente – è proprio Gianluca Valoti.
Percorso nervosissimo
Si parte. Se la corsa è tranquilla il percorso no. Il Val d’Aosta rivela subito le sue caratteristiche di tracciato ostico, non solo altimetricamente. Curve, stradine, dossi, tornanti, rampe, paesini… è un saliscendi continuo. E spesso c’è spazio per una sola vettura, tanto le strade sono strette. E così che Stefano Casiraghi, il meccanico del team, esclama: «Abbiamo fatto 30 chilometri ma sembra di aver fatto otto Roubaix!».
Si parla del più e del meno: il discorso tra continental e squadre U23, delle radioline che avrebbero fatto comodo su un tracciato così tecnico e forse anche un po’ pericoloso, della durata dei freni e delle gomme delle ammiraglie.
E questi strappi, sempre abbondantemente in doppia cifra, fanno subito tante vittime. La Colpack perde dal gruppo di testa Nicola Plebani. Una volta a valle Valoti lo affianca e gli dice di insistere. Ma più si va avanti e più le vittime sono illustri. Anche stranieri quotati si staccano. E fa fatica Davide Piganzoli, tra i più attivi al Giro U23.
Rischio e caos a metà corsa
Il percorso è davvero tecnico. Valoti, che ha una calma olimpica (da vero leader), cerca di scrutare Alessandro Verre, il suo uomo di classifica. Ci dice che spesso il lucano “è poco cattivo”, un po’ remissivo. E su percorsi così non te lo puoi permettere… se punti in alto.
E infatti radiocorsa annuncia: «Attacco di Vandenabeele in discesa». E il diesse della Colpack: «Lo stavo per dire: vedrai che Vandenabeele attacca. E’ fortissimo in discesa».
Siamo verso metà corsa e impazza il caos tra le ammiraglie. I corridori vogliono l’acqua, i diesse fanno “a sportellate” per andare in coda e cercare di scambiare una parola con i loro ragazzi oltre che rifonirli. E’ un continuo sfiorarsi. E a volte ci si tocca per davvero.
A valle il gruppo si è spezzato. Verre è dietro. Valoti resta tranquillo, almeno sembra, ma la situazione è pericolosissima. Davanti ci sono dei veri “cagnacci”. E il distacco non è poco. Garofoli (bravissimo) dà menate importanti e alla fine il quasi minuto di distacco in qualche modo viene colmato. Pericolo scampato.
«Adesso – borbotta il diesse della Colpack – inizia la salita. Vai avanti, Alessandro – come se potesse sentirlo – Ieri l’abbiamo provata. Lo sai dove inizia. E com’è…».
Peggio dello Zoncolan
E dire che la frazione odierna doveva essere la più facile. In effetti è così. O almeno questo dicono i numeri. Ma credeteci: siamo stanchi noi che siamo stati in ammiraglia, figuriamoci i corridori. Strappi secchi e discese ripidissime. Tutta così. Una Liegi aostana si era detto in conferenza stampa al mattino. Fanno più male 3.200 metri di dislivello così che fare due volte lo Stelvio.
E poi il bello. Al chilometro 78 inizia la salita di Terreblanche. Il Garibaldi la dà come 2ª categoria. Vogliamo sperare si siano sbagliati. Pendenze anche al di sopra del 20%. Strada strettissima. In un attimo Aosta diventa piccolissima nel fondovalle. La moto del cambio ruote fonde. I corridori salgono a zig-zag. Le ruote davanti delle bici a volte si alzano. Un tornante è talmente stretto che bisogna fare manovra con l’ammiraglia. E lo sapevano. Tanto che c’è un addetto con il giubbino giallo che regola le manovre delle vetture. Incredibile. Mai vista una cosa del genere dal vivo. Il gruppo non esiste più.
Triello, duello…
Però la salita in qualche modo in ammiraglia diventa dolce. E sì perché radiocorsa dice che il numero 40, Alessandro Verre, è quarto. Poi terzo, poi secondo. Davanti c’è il neozelandese della Groupama-Fdj Continental, Reuben Thompson. Il Gpm arriva all’improvviso nel bosco. Discesa folle: ripidissima e strettissima (c’è persino il muschio al centro dell’asfalto) e si riprende a salire.
Stavolta la strada è più larga e la pendenza decisamente più agevole. Il giudice ci dà l’okay per passare. Verre vede Thompson e a sua volta è inseguito alla stessa distanza (una decina di secondi) dal colombiano Didier Cardona. «Non mollare», dice Valoti. «Malto», riesce a sussurrare Verre che vuole le maltodestrine. «Sono 4 chilometri così. All’ultimo chilometro devi chiudere», ribatte il diesse.
Il giudice ci rimanda dietro. La tensione sale. Riusciamo a vedere il duello, anzi il triello, a distanza. Thompson, Verre, Cardona. Poi le curve tolgono la visuale. Ma l’inconfondibile voce di Virgilio Rossi, radicorsa, annuncia: «Verre ha ripreso Thompson». E poco dopo: «Passaggi al Gpm di Les Fleurs: primo il numero 40, secondo il numero 15 (Thompson, ndr)».
E assolo…
Vanno via in due. Il giudice ci fa stare a ruota del colombiano che resta lì ad una manciata di secondi ma non chiude. Eppure spesso il tachimetro segna 80 all’ora. Verso fine discesa un drappello rientra da dietro. Ma davanti quei due sono stati dei falchi. Nel finale resta uno strappetto. Verre che è uno scricciolo in confronto a Thompson non può arrivare in volata. «E così – racconta Verre dopo l’arrivo – ho raccolto tutte le energie rimaste e sono riuscito a staccarlo».
Intanto in ammiraglia impazza la gioia. Il moderato “evvai” del Gpm diventa un grido. Valoti e Casiraghi si abbracciano. «Non pensavo di prenderla subito – dice Valoti riferendosi alla maglia di leader – però! La difenderemo…. Quando ho visto Thompson da solo ho capito che era cotto, mentre Verre spingeva bene».
Pensieri da campione
Dopo mezz’ora ancora arrivano corridori a Pollein. Il sole quasi quasi va a nascondersi dietro alle montagne. Le ombre sono lunghissime. Verre se ne sta tranquillo dietro al palco a mangiare riso, tonno e mais. Ha già fatto le interviste.
«No, non mi aspettavo di vincere – ci dice – a metà corsa ho rischiato tanto. Il gruppo si era spezzato, io ero dietro tra le ammiraglie. Ci vuole la testa, sempre. Tante volte uno pensa a risparmiarsi per il finale, ma poi si ritrova in quelle situazioni. Per fortuna è andata bene».
E’ stato davvero emozionate assistere all’inseguimento del lucano sulla salita finale. Abbiamo provato a metterci nei suoi panni. Cosa pensava in quel momento? Era lì a tutta, ma c’erano sempre quei 100 metri di distacco. Non è facile mentalmente.
«E’ stata una situazione strana – racconta Alessandro – perché io ero nel mezzo. Non solo dovevo inseguire, ma ero anche inseguito. Credevo che Thompson stesse facendo il furbo. Che mi tenesse lì e che avesse mollato, che volesse finirmi». Poi gli facciamo notare che Valoti gli aveva detto di chiudere nell’ultimo chilometro e lui così ha fatto.
«Sì è vero, ma io ho pensato ad Ayuso e a Pogacar. Loro non lasciano nulla a nessuno. Ho cercato di imitarli. Anche perché non sai nei prossimi giorni cosa può succedere».