Una chiacchierata con Froome, tra tifosi, consigli e futuro

14.08.2025
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RYBNIK (Polonia) – Riveste sempre un’aura particolare Chris Froome quando lo incontri. Non è più quello di qualche anno fa, la brutta caduta nella ricognizione della crono del Delfinato del 2019 lo ha introdotto in una parte di carriera che meritava di non arrivare in quel modo. Nonostante tutto, non è mancato per lui il calore della gente al Tour de Pologne (in apertura autografa un libro dedicato a Marco Pantani).

Ogni mattina al bus della Israel-Premier Tech c’erano sempre tante persone, bambini compresi, che aspettavano di poter chiedere una foto, un selfie, un autografo o anche un semplice saluto al 40enne keniano d’Inghilterra. E lui sempre disponibile nel concedersi e poi gentile nel ringraziare del loro interessamento. Anche al podio-firma era tanto acclamato. Per contro quando Froome si portava in linea di partenza tendeva a restare più per conto proprio, magari per dare un’ultima occhiata alla bici, che scambiare due battute di compagni e colleghi. Forse per qualcuno incute una certa soggezione o forse i suoi pensieri sono già rivolti altrove. Notando tutto ciò da vicino, abbiamo voluto fare una chiacchierata con Chris su alcuni temi.

Froome è in scadenza di contratto a fine 2025. Nel prossimo futuro vuole aprire una scuola di ciclismo in Africa
Froome è in scadenza di contratto a fine 2025. Nel prossimo futuro vuole aprire una scuola di ciclismo in Africa

Pogacar come Froome

Lo scorso 27 luglio Pogacar ha conquistato il suo quarto Tour de France, proprio come lui. Froome sa come si vivono quei momenti a partire da ogni piccolo dettaglio. Ad esempio nel 2013 iniziò a vincere con una certa regolarità le gare a tappe, anche le più brevi. Volle farlo anche per capire soprattutto quanto tempo gli avrebbe portato via il protocollo delle cerimonie dal recupero per il giorno dopo.

Un paio d’ore circa che avrebbe dovuto imparare a gestire nelle stagioni successive, specialmente al Tour. Prendere una maglia comporta certi obblighi e infatti non c’è da stupirsi se Pogacar in Francia abbia “lasciato” quella a pois a Wellens nei primi giorni o non si sia dannato più di tanto per difendere la gialla in alcune frazioni, per non spendere troppe energie psicofisiche. La stanchezza apparsa addosso allo sloveno è lo spunto per le considerazioni di Froome.

Per Froome è normale che Pogacar apparisse stanco a fine Tour. L’inglese sa come si vivono e gestiscono stagioni al top
Per Froome è normale che Pogacar apparisse stanco a fine Tour. L’inglese sa come si vivono e gestiscono stagioni al top

«Devo essere sincero – ci risponde – che non ho fatto caso più di tanto a come appariva Pogacar, però credo che fosse normale che sembrasse stanco. Lui sta correndo ad alto livello da sempre ed ogni anno di più. Anzi, ogni anno gli viene richiesto qualcosa in più. In un certo senso mi ci rivedo un po’. Ricordo che quando ho vinto di seguito Tour de France, Vuelta e Giro d’Italia tra 2017 e 2018, ero poi arrivato in Francia stanco e scarico psicofisicamente, nonostante avessi ancora una buona condizione (chiuderà terzo al Tour dietro Thomas e Dumoulin, ndr).

«In quel momento – prosegue Froome nel suo ragionamento – capisci che devi iniziare a dire “no” a qualcosa o comunque pianificare in maniera diversa la tua stagione rispetto a prima. Questo chiaramente è il mio punto di vista. Per me, per quella che è la mia esperienza, l’unica maniera per restare lucidi e attenti in tanti anni di lavoro schematico è la motivazione. Avere stimoli nuovi ti aiuta a non perdere di vista i tuoi obiettivi, però attenzione a quello che dicevo prima. Non bisogna forzare troppo dal punto di vista mentale, perché è molto dispendioso e diventa tutto più difficile.

In carriera Froome ha vinto 4 Tour, un Giro e 2 Vuelta e un totale di una cinquantina di gare. Dal 2020 è alla Israel
In carriera Froome ha vinto 4 Tour, un Giro e 2 Vuelta e un totale di una cinquantina di gare. Dal 2020 è alla Israel

Ciclismo in evoluzione

Che il ciclismo stia cambiando lo si vede ad ogni gara ogni anno e lo si dice da tempo. Froome è stato uno dei primi interpreti di un certo tipo di evoluzione metodologica, anche se è curioso vederlo sempre indossare pantaloncini e maglia anziché gli ormai tradizionali body da gara.

«E’ un ciclismo – sottolinea facendo un confronto generazionale – che è cambiato molto da almeno 5/6 anni. Adesso è estremamente programmato su tutto, molto calcolato al millesimo, specie su allenamenti, dati in corsa e alimentazione. Direi senza dubbio molto più dei miei tempi. Ora ci sono davvero tanti ragazzi giovani che vanno forte, ma è tutto il ciclismo moderno che va forte. Per me non è semplice, la differenza di età si sente, però finora mi è piaciuto correre in mezzo a loro e per il momento continuo».

Africa e futuro

Gli assist per le ultime domande ce le fornisce lui direttamente. A fine 2025 scade il contratto e ancora non si sa se l’anno prossimo lo vedremo ancora col numero sulla schiena. I giornalisti britannici presenti al Tour de Pologne dicono che questa sarà la sua ultima stagione, salvo ripensamenti. Chris glissa sull’argomento. L’impressione non è tanto perché non voglia dirlo, ma perché sa che alcune situazioni non bisogna mai darle per scontate. Tuttavia è già convinto di quello che farà quando non sarà più un corridore.

«Sono in scadenza di contratto – ci dice serenamente prima di salutarci – e non so se continuerò o meno, di sicuro quando smetterò, come avevo detto già da tempo, voglio aprire una scuola di ciclismo in Africa. Voglio permettere a tanti ragazzi di pedalare e poter inseguire una carriera. Credo che sia un Continente in crescita, soprattutto in quella parte di Africa. Penso ai maratoneti e mezzofondisti etiopi o keniani. Secondo me ci sono talenti del genere anche adatti al ciclismo, solo che non avevano la possibilità di poter correre in bici prima. Non correrò il mondiale in Rwanda ed è chiaro che mi sarebbe piaciuto essere al via, però non è un grosso problema perché non cambia i miei programmi. Il mio vero obiettivo è quello di sviluppare un bel progetto che sono convinto porterà nuovi corridori interessanti».

Ferrand Prevot, trionfo in Olanda e la dieta che fa parlare

14.08.2025
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La questione è stata sollevata da Rutger Tijssen, l’allenatore di Pauline Ferrand Prevot, durante la festa in cui la vincitrice del Tour è stata accolta nel quartier generale della Visma Lease a Bike a ‘s-Hertogenbosch, al pari di Vingegaard, Roglic e Kuss negli anni passati.

Il tecnico olandese ha sottolineato con i giornalisti presenti che sia stato un peccato che a tenere banco durante la vittoria in Francia sia stato il peso della campionessa e non le sue imprese. Ferrand Prevot non ha fatto mistero di aver sostenuto una dieta piuttosto importante per raggiungere il peso necessario per vincere il Tour. Ha parlato di quattro chili perduti nel periodo trascorso in altura, sotto lo strettissimo controllo della sua squadra. Ugualmente Demi Vollering, seconda per il secondo anno consecutivo, ha detto di voler dimostrare alle ragazze che non bisogna essere super magre per essere le migliori.

Vollering ha vinto il Tour nel 2023 e si è piazzata seconda nelle ultime due edizioni
Vollering ha vinto il Tour nel 2023 e si è piazzata seconda nelle ultime due edizioni

Il limite della salute

Il limite è quello della salute. Non sono stati rari i casi di disturbi alimentari, fra gli uomini e ancor più fra le ragazze, seppure negli ultimi anni l’avvento dei nutrizionisti in squadra ha permesso di monitorare con maggiore attenzione le eventuali deviazioni.

«Penso sia positivo che se ne parli – ha detto Ferrand Prevot nell’incontro con la stampa – ognuno ha diritto alla propria opinione e io di certo non la prendo sul personale. Ma dobbiamo anche ricordare che il nostro compito è vincere le corse ed essere al top della forma. Io mi sono semplicemente preparata per la gara più importante del calendario e ho trovato il modo di essere al meglio. Gli ultimi due giorni del Tour sono stati incredibilmente duri e quel che contava sono stati i watt per chilo. Spetta ai genitori insegnare queste cose ai propri figli, dicendo loro che potrebbe non essere sano al 100 per cento (motivo per cui durante il Tour, Ferrand Prevot ha detto di non poter tenere quel peso per tutto l’anno, ndr). Non sono malata. Ho perso peso in modo intelligente lavorando con un intero team. Tutto è stato analizzato e monitorato. E l’ho fatto allo stesso modo per le Olimpiadi l’anno scorso. Ora che il Tour è finito, torno alla mia vita normale e se voglio mangiare una pizza, la mangio subito».

Il quartier generale della Visma ha accolto Ferrand Prevot come ha già fatto con Vingegaard, Roglic e Kuss
Il quartier generale della Visma ha accolto Ferrand Prevot come ha già fatto con Vingegaard, Roglic e Kuss

Il corpo delle donne

Il tema è caldo. Nei giorni successivi al Tour Femmes, attraverso un comunicato si è espresso anche The Cyclists’ Alliance, il sindacato delle cicliste professioniste, presieduto da Grace Brown.

«Lavoriamo costantemente – ha dichiarato l’australiana che si è ritirata lo scorso anno – per rendere il ciclismo professionistico una carriera sostenibile e appagante per le donne. La salute e il benessere delle cicliste sono fondamentali per la longevità della loro carriera. Il sistema attuale non è strutturato per proteggere la salute femminile, quindi credo sia nostro dovere continuare a educare e promuovere standard migliori che consentano alle donne di competere con un corpo sano, forte e felice».

Tre prime pagine per celebrare la conquista della maglia gialla, la vittoria di Chatel e quella finale

I punti del comunicato

A margine del suo intervento, il sindacato ha rilevato una serie di punti che su bici.PRO abbiamo sollevato e approfondito qualche anno fa, ma che evidentemente restano sensibili.

“La salute e il benessere delle cicliste – si legge nel comunicato – sono una priorità assoluta per noi e per i nostri iscritti. Siamo preoccupati per le pratiche e le culture sportive che mettono a rischio la salute delle atlete. La salute e le prestazioni ad alto livello devono andare di pari passo. Oggi lo sport dispone di conoscenze scientifiche, intuizioni ed esperienze umane più che sufficienti per creare prestazioni sostenibili ed etiche che non compromettano la salute dei ciclisti. Siamo delusi dal fatto che le donne nello sport ricevano un controllo sproporzionato sul loro corpo rispetto ai loro colleghi maschi. Speriamo in un futuro in cui il corpo delle donne non sia così pesantemente esaminato, sia in gara che nella vita».

L’incontro a Monaco con Pogacar e Urska alla prima uscita dopo il Tour vinto (immagine Instagram)
L’incontro a Monaco con Pogacar e Urska alla prima uscita dopo il Tour vinto (immagine Instagram)

Il no al mondiale

Nella sua giornata in Olanda, Ferrand Prevot ha anche parlato dei giorni subito successivi alla vittoria, annunciando che non correrà i campionati del mondo di Kigali. Ha anche raccontato che nella prima uscita in bici ha incontrato Pogacar e la compagna Urska e ha molto apprezzato i consigli ricevuti da Tadej sul non guardare troppo i social e godersi il momento.

«Quando ripenso agli ultimi mesi – ha detto – mi rendo conto di quanto ho lavorato duramente per riuscirci. Ma voglio davvero provare a vincere di nuovo il Tour l’anno prossimo. E’ proprio questo che mi piace di più del mio lavoro: prepararmi per un grande obiettivo e cercare di essere la migliore possibile. Se dipendesse da me, ricomincerei a prepararmi per i campionati del mondo ora e farei un ritiro di allenamento in altura. Perché quando le cose vanno bene, come al Tour, vuoi sempre di più. Ma è meglio godersi ciò che ho realizzato ora e rilassarsi, così da poter continuare a fare bene negli anni a venire».

Gilbert: «Remco? Scelta giusta, ma dovrà guadagnarsi tutto»

13.08.2025
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Patrick Lefevere, televisioni, giornali, colleghi e persino Romero Lukaku sono intervenuti sul trasferimento di Remco Evenepoel dalla Soudal-Quick Step alla Red Bull-Bora-Hansgrohe. Ma soprattutto ne ha parlato Philippe Gilbert: il grande ex belga a Le Soir si è espresso con grande chiarezza.

Qualche giorno fa abbiamo fatto anche noi un quadro di cosa troverà e di cosa si sarebbe potuto attendere dalla nuova squadra Remco. Senza dubbio il salto è grande. Il campione olimpico si gioca tanto, se non tutto, della sua carriera. E’ chiamato a vincere il Tour de France, cosa affatto scontata, si ritroverà con altri compagni, alcuni dei quali molto agguerriti e sponsor giganteschi che già impongono pressioni.

Romelu Lukaku è uno dei tanti vip belgi ad essersi espressi sul passaggio di Remco alla Red Bull (foto @EPA)
Romelu Lukaku è uno dei tanti vip belgi ad essersi espressi sul passaggio di Remco alla Red Bull (foto @EPA)

Da Lukaku a Lefevere

Per dire che eco abbia avuto questo trasferimento, prima di sentire Gilbert ecco alcune dichiarazioni interessanti.
Il calciatore Romelu Lukaku ha sentito sui social Remco chiedendogli: «Tu sei contento?». Remco ha risposto: «Sì, era il momento per qualcosa di nuovo». E ancora Lukaku: «Red Bull è davvero una top-squadra… Hai fatto il passo giusto al momento giusto».

Dalla famiglia, il padre, Patrick Evenepoel: «E’ chiaro per tutti che è stato chiuso in buon accordo. Sono sollevato per il ritrovato l’equilibrio di Remco». La madre Agna Van Eeckhout ha commentato con la classe di chi comprende le sfide: «Hai sempre obiettivi nella tua testa. Spero che tu possa realizzarli: a volte bisogna agire», aggiungendo che hanno molto da ringraziare Patrick Lefevere, il manager storico di Soudal-Quick Step.


E a proposito di Lefevere, l’ex manager della Soudal all’inizio è rimasto in silenzio poi ha parlato con la sua proverbiale schiettezza. «Nessun rancore – ha detto Lefevere a Rtbf – la vita è questa. Il ragazzo ha 25 anni e se può guadagnare qualche milione in più altrove… ci va. La notizia non mi ha sorpreso. Questa trattativa era già in corso quando ero ancora al comando. Remco ha poi ripetuto più volte che non ci avrebbe mai lasciato. La gente lo ricorda, ma io lo perdono, perché è il genere di cose che si dicono in un momento di emozione».

E coinvolgendo la gente, cioè i tifosi, in tanti gli hanno messo di fronte il tema del Wolfpack, tanto caro alla Soudal.

Remco a Peyragudes, da lì sono iniziati i suoi guai al Tour di quest’anno
Remco a Peyragudes, da lì sono iniziati i suoi guai al Tour di quest’anno

Parla Gilbert

Ma passiamo al nocciolo della questione e a quanto detto da Philippe Gilbert, il quale ha toccato anche spunti più tecnici.

«Remco – ha detto Gilbert sulle pagine di Le Soir – ha fatto bene a uscire dalla sua zona di comfort. I mezzi finanziari non sono l’unica cosa: parlo delle possibilità di ricerca, di sviluppo, dell’allenamento e dell’inquadramento in generale che può dargli un top team (per corse a tappe, ndr). Dovrà dunque rimettersi in gioco. Ho l’impressione che negli ultimi mesi alla Soudal-Quick Step si fosse isolato in una bolla dove gli si diceva sempre di sì, indipendentemente dalle circostanze».

Il tema dell’ambiente troppo accomodante per un atleta con tali ambizioni non è nuovo e in un certo senso fu Giuseppe Martinelli a dirlo prima di tutti. Il diesse bresciano ne parlò immediatamente durante l’altalenante Vuelta del 2023, quando Remco si arrese alla prima difficoltà… pur non stando male.

Per Gilbert il fatto di uscire dalla comfort zone e di passare in un team con maggior concorrenza sarà un bene per Evenepoel
Per Gilbert il fatto di uscire dalla comfort zone e di passare in un team con maggior concorrenza sarà un bene per Evenepoel

Leader sì, ma…

Ovvio che uno come Evenepoel è un capitano. E’ un corridore fortissimo: numeri e palmares parlano per lui. Ma è anche leader? E soprattutto lo sarà in un team in cui la competizione interna è ben più elevata? Senza stilare l’intera lista diciamo solo due nomi: Primoz Roglic e Florian Lipowitz.

«Come all’inizio della sua carriera – va avanti Gilbert – quando arrivò alla Quick-Step nel 2019, Remco dovrà guadagnarsi il suo spazio in un collettivo più forte. Si ritroverà in un ambiente agonisticamente più ampio che lo costringerà a competere ogni giorno».

Per Gilbert questa competizione è un vantaggio, ma tra leader e capitano c’è differenza. Un esempio? Anche Ayuso è fortissimo, ma non è un leader in seno alla UAE Emirates, dove la concorrenza certo non manca. Cosa diversa quando scende in campo Pogacar. Tutti allineati. Anche se Tadej non dovesse essere al top tutti gli sarebbero vicini.

Secondo Gilbert finché Vingegaard e Pogacar saranno a questo livello sarà pressoché impossibile per lui vincere il Tour
Secondo Gilbert finché Vingegaard e Pogacar saranno a questo livello sarà pressoché impossibile per lui vincere il Tour

L’erede di Pogacar?

Gilbert entra poi in aspetti più tecnici e parla del supporto che uomini come Hindley, Vlasov e ma anche gli stessi Roglic e Lipowitz potrebbero dargli. Dal punto di vista tecnico senza dubbio, in ottica Grandi Giri lo step è importante.

«La Red Bull-Bora tatticamente è molto forte – dice Gilbert – Lo abbiamo visto recentemente al Giro con la vittoria di Jai Hindley (a dire il vero, grande merito va a Enrico Gasparotto in ammiraglia, che però ora non c’è più, ndr) e all’ultimo Tour, con manovre perfettamente orchestrate. Questa dimensione tattica mancava fino ad ora a Remco. Troverà direttori capaci di imporgli scelte. Ed è esattamente quel che gli serve per crescere».

«Anch’io, dopo sei anni alla FDJ mi sentivo bene, in una bolla di fiducia, con compagni solidi. Eppure scelsi di andare alla Lotto, dovetti ricostruirmi altrove, in un ambiente più competitivo. E abbiamo visto che effetto ha avuto…». Questo è vero. Gilbert esplose del tutto ma i due corridori hanno lo stesso carattere? In tal senso su Evenepoel qualche enigma, concedetecelo, c’è.

Il vallone ha espresso pareri positivi anche sulla continuità tecnica, vale a dire con Specialized. Lavorare con gli stessi materiali, gli stessi tecnici è un bel vantaggio, specie oggi in cui l’aerodinamica è importantissima. «Significa non ripartire da zero, ma continuare un processo di sviluppo».

Sin qui Evenepoel ha disputato 6 Grandi Giri collezionando una vittoria (la Vuelta in foto), un podio, un 12° posto e tre ritiri
Sin qui Evenepoel ha disputato 6 Grandi Giri collezionando una vittoria (la Vuelta in foto), un podio, un 12° posto e tre ritiri

La sfida del Tour

L’articolo di Le Soir si conclude con la questione immancabile del Tour de France: lo potrà vincere davvero Evenepoel?

«Per Remco – dice Gilbert – una rottura volontaria può rilanciare la carriera e aprire un nuovo ciclo. Come detto prima, si mette in difficoltà e va bene così! Nei Grandi Giri vincono i più forti e oggi i migliori sono Pogacar e Vingegaard. Batterli nell’arco delle tre settimane è durissimo. Anche con mosse tattiche azzeccate, fare meglio del terzo posto sarà arduo per lui finché i due colossi sono così in forma. Ma se uno o entrambi caleranno, Remco sarà il primo a poter raccogliere l’eredità. I suoi compagni erano troppo deboli per difendere una maglia gialla per tre settimane. Alla Red Bull, se dovesse prendere la maglia, ci sarebbero ragazzi in grado di scortarlo fino a Parigi».

Si vedrà, la nuova Red Bull è in costruzione. Vedremo come organizzeranno i gruppi di lavoro e come divideranno gli obiettivi. Ma prima di tutto sarà interessante capire come reagirà davvero Remco… per la prima volta fuori dal guscio.

Gualdi fa il punto: le prove da scalatore e il WorldTour nel 2026

13.08.2025
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Il rumore di sottofondo durante la chiamata con Simone Gualdi è quello della sua macchina che lo sta riportando da Livigno a Trepalle. E’ ancora tardo pomeriggio e il corridore bergamasco sta rientrando da una merenda in paese. Questi giorni in altura, con il pensiero fisso sul Tour de l’Avenir, scorrono a tratti lenti. Tra le montagne della Valtellina Simone Gualdi ha trovato in Alessandro Borgo un ottimo compagno di allenamento. Anche il campione italiano under 23 sarà al via della corsa a tappe francese, ma i loro cammini di avvicinamento sono leggermente diversi. 

«Io sono salito qui a Trepalle – racconta Gualdi – il 26 luglio. Mentre Borgo è arrivato il 2 agosto, prima ha corso al Tour de Wallonie con i professionisti. Rimarremo ad allenarci da queste parti fino al 14 agosto per poi rientrare. Per quanto mi riguarda non farò giorni di gara prima del Tour de l’Avenir, al contrario Borgo dovrebbe correre a Capodarco».  

In questi giorni Simone Gualdi e Alessandro Borgo (insieme al centro) sono in ritiro a Livigno e nei giorni scorsi hanno scalato lo Stelvio
In questi giorni Simone Gualdi e Alessandro Borgo (insieme al centro) sono in ritiro a Livigno e nei giorni scorsi hanno scalato lo Stelvio
Come stanno andando questi giorni?

Bene, essere in altura con compagni che conosci è meglio. Tendenzialmente pedali sempre con qualcuno e in ogni caso anche nel pomeriggio ci facciamo compagnia. Abbiamo scelto un hotel qui a Trepalle per restare un po’ più alti di quota, rispetto al paese siamo qualche centinaia di metri più alti. Cerchiamo di non partire troppo presto la mattina, così da fare le cose con calma e in modo da non avere troppe ore libere al pomeriggio. Altrimenti diventa tutto monotono. 

Vi siete organizzati per allenarvi insieme?

Sì, Borgo mi ha mandato il suo piano di allenamento, io ho parlato con la squadra e ho fatto il mio programma per questi giorni. Non facciamo sempre le stesse cose, ma siamo riusciti a far combaciare i lunghi. Proprio ieri (mercoledì, ndr) ci siamo fatti cinque ore, almeno se siamo in due il tempo passa velocemente. 

Gualdi nel 2025 ha corso molto con i pro’ imparando a muoversi in gruppo
Gualdi nel 2025 ha corso molto con i pro’ imparando a muoversi in gruppo
Si avvicina il tuo primo Tour de l’Avenir, ti senti pronto?

Sono carico. Inizialmente il mio programma prevedeva una piccola pausa dopo il campionato italiano, giusto un paio di giorni, per poi riprendere ad allenarmi in vista del Giro della Valle d’Aosta. Purtroppo i giorni dopo il tricolore sono stato male e ho dovuto saltare l’unica gara che avevo in programma prima dell’Avenir. Quando riattaccherò il numero sulla schiena saranno passati due mesi dall’ultima volta. 

Hai qualche dubbio?

In realtà no, ho lavorato a casa sull’intensità. Restare fermo qualche giorno in più mi ha permesso di recuperare meglio. Qui in ritiro ho notato di avere buoni valori e ottime sensazioni. Penso di essere sulla strada giusta. 

Tra gli under 23 ha raccolto ottimi risultati, tra i quali un terzo posto al campionato italiano di categoria dietro Belletta e Borgo
Tra gli under 23 ha raccolto ottimi risultati, tra i quali un terzo posto al campionato italiano di categoria dietro Belletta e Borgo
E’ la prima volta che stai così tanto tempo senza correre durante la stagione?

Sì, non è facile allenarsi e basta, ma ho degli obiettivi in testa e so che sto lavorando per quelli. La motivazione di certo non manca. A livello mentale mi sento anche maggiormente carico, sono stato quasi un mese a casa. Una cosa che sicuramente non capita spesso durante la stagione e questo mi ha aiutato tanto a recuperare. 

Guardiamo un attimo indietro, quest’anno hai voluto testarti per curare la classifica generale…

Al Giro Next Gen ho provato a lottare per la classifica, vero. Ho notato che mi manca ancora qualcosa e non so nemmeno se è questo tipo di sforzo sia nelle mie corde. E’ stato un bel test, ci ho provato anche perché sono giovane e c’è da capire che tipo di corridore posso diventare da grande. Però all’Avenir non sarò io l’uomo di classifica, avremo Lorenzo Finn e Filippo Turconi che hanno dimostrato di andare forte in queste corse. Per quanto riguarda la mia corsa so che avrò anche i miei spazi, senza in mente la generale, però vedremo un po’ come sarò messo tappa dopo tappa. 

Tra i pro’ a inizio stagione ha dimostrato di sapersi difendere, qui al Laigueglia chiuso al decimo posto
Tra i pro’ a inizio stagione ha dimostrato di sapersi difendere, qui al Laigueglia chiuso al decimo posto
Secondo te vale la pena snaturarsi?

Vedremo un po’ quando riprenderò la preparazione durante il prossimo inverno quali saranno gli obiettivi della squadra. Anche perché dal 2026 faccio il salto (Gualdi passerà nel WorldTour con la Intermarché Wanty, ndr). Cambieranno anche tante cose, il livello si alzerà ancora di più e ci sarà sicuramente da lavorare. 

Il passaggio nel WorldTour era già siglato da tempo, ti senti pronto?

Direi di sì. So che non è mai arrivata la vittoria in questi due anni nella categoria under 23. Allo stesso tempo ho raccolto tantissimi risultati, come il terzo posto alla Liegi U23 o alla Corsa della Pace insieme alla nazionale. Credo sia il momento giusto per fare questo salto. Comunque ho già fatto molte esperienze con i professionisti in corse di livello. In un paio di occasioni, come al Laigueglia e in altre gare in Francia, sono riuscito a entrare nella top 10. Sono pronto e curioso per vedere come andrà tra i grandi.

Le voci intorno all’unione tra il team Intermarché-Wanty e Lotto Cycling in vista della prossima stagione rimangono senza conferme o smentite ufficiali. I corridori lavorano e rimangono vincolati ai contratti firmati, fino a quando qualcosa non si muoverà ci rimane solamente da aspettare e capire.

Pidcock torna a colpire su strada. In mtb l’aveva già fatto…

13.08.2025
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L’Arctic Race che ha incoronato Corbin Strong, ha anche rilanciato su strada Tom Pidcock. E sottolineiamo “su strada” perché la sua estate è stata altrimenti esaltante come sempre, con un europeo di mountain bike dominato a conferma della sua superiorità nella specialità. La stagione in superleggera però era stata finora deficitaria.

Il confronto era stato, prima della Norvegia, addirittura impietoso, portando molti addetti ai lavori a ragionare su questa forbice di prestazioni inconsueta per lui, prima capace di un’uniformità di rendimento superiore anche a quella di Van der Poel, che fatica oltremisura in mtb. Noi abbiamo provato a capirne di più parlando con chi Pidcock l’ha visto da poco all’opera al suo meglio: il cittì della nazionale di mtb Mirko Celestino.

Il podio finale dell’Arctic Race, con Pidcock dietro al neozelandese Strong e davanti al nostro Scaroni
Il podio finale dell’Arctic Race, con Pidcock dietro al neozelandese Strong e davanti al nostro Scaroni

«Non posso nascondere che la domanda sul perché ci fosse tanta differenza me la sono posta io e tanti nell’ambiente, perché in mountain bike si vede proprio che si trova a suo agio. Come VDP anche lui sprigiona sui falsipiani dei wattaggi che i biker puri non possono raggiungere. Riescono a tenere alto il ritmo, spingere dei lunghi rapporti. Gli specialisti sono messi in difficoltà soprattutto sui percorsi veloci e quindi dove bisogna anche spingere. Ecco perché all’europeo ha fatto una grossa differenza».

Eppure privilegia la strada, questo dovrebbe penalizzarlo dal punto di vista tecnico…

Questo è il suo grande pregio: nonostante faccia tantissime gare su strada, riesce a padroneggiare la bicicletta su qualsiasi tipo di percorso. Ciò significa che tecnicamente non perde nulla, anche con un minimo periodo di passaggio, da una settimana all’altra, gli bastano pochissime sedute di mtb per riprendere confidenza.

Per il britannico una stagione su strada fatta di 50 giorni di gara, con 5 vittorie e 19 top 10
Per il britannico una stagione su strada fatta di 50 giorni di gara, con 5 vittorie e 19 top 10
Secondo te da che cosa può dipendere allora la sua involuzione su strada? Prima della Norvegia, il cammino di Van der Poel era esattamente inverso, il britannico su strada ha faticato molto…

Io credo che lui e il suo staff si siano macerati di fronte a questa domanda e le sue prestazioni in Norvegia credo siano state una manna dal cielo. Mettiamoci comunque che non tutte le annate sono uguali, d’altronde anche Van der Poel in mtb ha fatto numeri esagerati in passato. Solo che in mtb fa pochissime gare e fatica molto di più nel passaggio, combinandone non poche… Mi viene da pensare che fisicamente Tom è un ottimo scalatore, ma in salita non riesce a fare quella differenza che fa in mtb e mi chiedo perché. Eppure i numeri ce li ha. Ecco, magari è un’annata un po’ così, che magari ora riesce a ingranare. Ci sono quelle stagioni che non ti va bene niente, non riesci a trovare quel colpo di pedale.

Tu hai corso al massimo livello sia su strada che in mountain bike, secondo te dov’è più facile riuscire a raggiungere il culmine delle proprie prestazioni, chiaramente considerando le caratteristiche precipue di ognuno, in questo caso del britannico?

Sono due sport completamente diversi. Su strada devi avere l’istinto anche nel saperti giocare le tue cartucce al momento giusto, perché su strada puoi essere anche il più forte, ma se sbagli a muoverti rischi di bruciare tutte le tue possibilità. In mountain bike vince sempre il più forte e anche il più fortunato perché devi avere anche tanta fortuna in base al percorso e ai più frequenti problemi meccanici. Poi c’è il fattore squadra, che su strada fa tanta differenza, portandoti nel posto giusto al momento giusto. Quindi c’è un gioco di squadra che in mountain bike non c’è. E questo è un fattore che potrebbe anche aver influito sulla stagione di Pidcock, ma non seguo abbastanza la strada per farmi un’idea. Una cosa però sul Pidcock stradista vorrei dirla…

Il cittì della nazionale di mtb Mirko Celestino, che in Portogallo ha visto un Pidcock devastante
Il cittì della nazionale di mtb Mirko Celestino, che in Portogallo ha visto un Pidcock devastante
Prego…

Abbiamo visto che in discesa su strada Pidcock fa grandi cose e questo me lo fa sentire vicino, perché anch’io avevo nella discesa un punto forte, mi piaceva pennellare le curve per fare la differenza. E in Pidcock mi ci rivedo.

Considerando la sua superiorità in mountain bike, secondo te potrebbe anche prendere in considerazione di spostare un po’ il peso della stagione su di essa?

Non gli conviene innanzitutto dal punto di vista economico. La strada è il sogno di tutti. Io ormai sono 9 anni che frequento i ragazzi all’interno della nazionale, il loro sogno è sempre quello della strada, il Giro d’Italia, il Tour, le classiche. In questi anni tanti all’estero hanno provato e provano il passaggio, qualcuno anche con buoni risultati. Il ciclismo su strada è quello che ti cambia la vita, anche economicamente, quindi Pidcock continuerà a essere uno stradista, magari con qualche capatina da noi… Fin quando la squadra gli permetterà di fare sia uno che l’altro, secondo me andrà avanti così. L’unica cosa è che, per me, se nelle classiche è uno dei più accreditati, non è uomo da grandi giri.

Per Pidcock una superiorità schiacciante in mtb, sancita anche agli europei (foto UEC)
Per Pidcock una superiorità schiacciante in mtb, sancita anche agli europei (foto UEC)
Veniamo al tuo ruolo, come va la nazionale in quest’anno postolimpico, un po’ di transizione?

Io ho già messo nel mirino le Olimpiadi e i giovani ci sono, insieme a Luca Braidot che resta il riferimento. Ma Zanotti e Avondetto stanno crescendo e fra tre anni saranno lì, secondo me, a lottare per grandi traguardi. Loro intanto a questo mondiale saranno gli atleti che dovranno dimostrare il loro valore, mentre al femminile abbiamo Martina Berta fra le più forti e dietro Valentina Corvi, campionessa europea U23, che sta maturando come uno dei prospetti più forti in campo internazionale. Fra tre anni ci faranno divertire a Los Angeles…

Cosa c’è nel momento buio di Bettiol? Cerchiamo di capire

13.08.2025
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Nervoso, a dir poco. Chi lo ha visto al Tour de Pologne ha raccontato di un Alberto Bettiol sopra le righe, teso e dalle reazioni brusche. Le critiche sul corridore toscano fioccano da parte di tifosi e giornalisti stranieri: pochi al di fuori della cerchia degli amici sono disposti a fargli credito. Se non lo conoscessimo da quando era un ragazzino, probabilmente saremmo tentati di abboccare. Ma Bettiol non è così o almeno non è solo questo. E allora ci siamo messi a ragionare.

La XDS Astana lo ha preso il 15 agosto del 2024 perché facesse punti. Lo pagano tanto, per cui è logico che si attendano risultati, che però ancora non sono arrivati. Da quando Bettiol ha cambiato squadra, il miglior risultato è stato il terzo posto nella crono del Romandia: l’unico podio negli ultimi 12 mesi. Non serve andare tanto indietro per ricordare che ad aprile 2014, Nibali e i corridori dell’Astana ricevettero una lettera di richiamo. Vincenzo, che l’anno prima aveva vinto il Giro e fatto secondo alla Vuelta, era passato attraverso la primavera senza risultati. Vinokourov, che sorride in cima al Mont Ventoux ma non è un tipo facile, scrisse la lettera e la reazione, diretta o casuale, fu che Nibali vinse il Tour. Dopo gli anni di good job fortemente ottimistici alla Ef Pro Cycling, qual è stato l’adattamento di Bettiol allo squadrone kazako, che ha serio bisogno di punti per restare nel WorldTour e sopravvivere? E come vive, essendo una persona corretta, il non riuscire nel compito nonostante il grande impegno?

Carlo Franceschi, Alberto Bettiol, Gabriele Balducci, bici Cannondale alla Mastromarco, 2020
Franceschi e a destra Balducci con Bettiol alla consegna delle bici alla Mastromarco: un’immagine del 2020
Alberto Bettiol, Gabriele Balducci, bici Cannondale alla Mastromarco, 2020
Balducci e Bettiol alla consegna delle bici alla Mastromarco: un’immagine del 2020

Il Bettiol da decifrare

C’è un uomo che più di tanti altri può leggere negli atteggiamenti di Bettiol ed è Gabriele Balducci, che l’ha avuto da under 23 alla Mastromarco e da allora non l’ha più mollato. Da corridore (Balducci è stato pro’ dal 1997 al 2008, con 12 vittorie) e poi da tecnico, il pisano è cresciuto alla scuola sobria di Marcello Massini e quel che ha imparato ha cercato negli anni di trasmetterlo ai corridori a lui più vicini. Balducci sta male se un campione nega l’autografo a un bambino, figurarsi sentire i racconti degli atteggiamenti di Bettiol arrivati dalla Polonia.

Tuttavia non lo abbiamo chiamato per averne la giustificazione, ma per cercare di decifrare il Bettiol cupo degli ultimi tempi: quello che anche chi scrive fatica a riconoscere e per questo cerca una chiave di lettura.

Il risultato migliore nel periodo di Bettiol alla XDS Astana è il terzo posto nella crono del Romandia
Il risultato migliore nel periodo di Bettiol alla XDS Astana è il terzo posto nella crono del Romandia
Baldo, che cosa non sta funzionando?

Un insieme di cose. Intanto il diverso rapporto con la squadra. Prima parlavamo con Charly (Wegelius, ndr) ed era quasi un discorso fra amici. Adesso è diverso. Mazzoleni è bravissimo, lo staff è di primissimo ordine, ma è tutto più professionale. Io non c’ero al Polonia, ma ho visto delle cose di cui parlerò con Alberto. Sono stato al Teide quest’anno e abbiamo lavorato benissimo. Sono stato lassù 25 giorni con lui ed era forte. Poi siamo andati in Belgio alla Het Nieuwsblad ed è andato tutto male, la stagione è partita subito col piede sbagliato. Sono venuti fuori problemi fisici e ci siamo fermati. Abbiamo ripreso al Coppi e Bartali ed è stato tutto un rincorrere. Con Mazzoleni abbiamo dovuto cambiare continuamente programma, senza più sapere che cosa avremmo fatto.

Al Romandia però c’è stato qualche segnale…

E’ andato molto bene, ma ormai avevamo deciso di non fare il Giro. Magari è stato anche giusto, nel senso che Maurizio pensava ai punti. Così siamo andati in Francia, per correre Morbihan, Tro Bro Leon e Dunkerque, che però si sono rivelate corse più difficili del Giro. A Dunkerque c’era un tempo da lupi e Alberto ha preso un virus incredibile con tanto di bronchite. Ha continuato a rincorrere e alla fine siamo arrivati al punto di dover rinunciare anche al Tour de France. Ora che sono nella squadra e la vivo da dentro, vedo che il ciclismo è diventato davvero impressionante e non ammette eccezioni.

Questa rigidità è un problema?

Parliamoci chiaro: Alberto è ancora un corridore come garba a noi. A volte, si regola con le sensazioni, ma deve capire che il ciclismo è cambiato anche per lui. Specialmente quest’anno, in una squadra che lo ha preso con l’obiettivo ben preciso dei punti. Non puoi improvvisare tanto e questo gli ha reso la vita un po’ più complicata. Abbiamo trovato un gruppo spettacolare. Ci siamo messi in mano allo staff della nutrizione, con Luca Simoni. Per Alberto il cibo è sempre stato un problemino e diciamo che non è entusiasta del fatto di dover pesare quello che mangia.

Senza fare il Giro, Bettiol ha corso in Francia (qui al Trofeo Bro Leon), ma ha pagato il maltempo con un brutto virus
Senza fare il Giro, Bettiol ha corso in Francia (qui al Trofeo Bro Leon), ma ha pagato il maltempo con un brutto virus
Il fatto di non venirne a capo spiega il nervosismo?

Non sono andato in Polonia ma, come ho detto, mi sono ripromesso di parlargliene. Sono stato con lui a Verbania quando si faceva la rifinitura ed era abbastanza tranquillo. Diciamo che è andato forte e questo fa pensare che la seconda parte di stagione andrà meglio, ma la sensazione che avremmo potuto giocarcela meglio rimane.

Però Vinokourov ha anche detto che Alberto non farà la Vuelta: non è un problema uscire dal 2025 senza neppure un Grande Giro?

Il programma prevede il Renewi Tour, poi il Canada. E’ il discorso dei punti, sempre quello. Abbiamo parlato di cosa significhi non fare un Grande Giro a 32 anni, perché a prima vista potremmo anche pensare che sia un guaio. Però per quello che si vede, non è del tutto vero. Ciccone è stato fermo due mesi e ha vinto San Sebastian. Con alture, nutrizionismo, tabelle d’allenamento e quant’altro, oggi i corridori riescono a prepararsi ugualmente. Secondo me, Bettiol finirà la stagione in modo positivo.

Ogni volta che parlava di Pozzato, Cancellara diceva che la sua molla fosse la rabbia, che però non ti permette di durare. Bettiol sembra pieno di rabbia, come mai?

Lo vedo anch’io. Alberto l’ho conosciuto da bambino, un po’ come te. L’ho preso al secondo anno da junior e poi l’ho sempre seguito. Nel frattempo sono passati gli anni e sono cambiate anche le responsabilità. Parliamoci chiaro: guadagna dei bei soldi e quindi le attese sono cresciute, ma io sono certo che l’Alberto che conosco ci sia ancora. E’ chiaro che dentro si logori un po’ di più. Magari qualcuno pensa che non sia una bella persona, ma mi piacerebbe far capire che non fa così perché gli piace farlo.

Al Pologne, Bettiol ha tentato più di una fuga, ma ha accolto con fastidio il fatto di non essere riuscito a fare risultato
Al Pologne, Bettiol ha tentato più di una fuga, ma ha accolto con fastidio il fatto di non essere riuscito a fare risultato
E’ credibile che Vinokourov abbia iniziato a chiedergli delle risposte diverse?

Vinokourov lo conosciamo tutti, è esigente. Per cui ci sta che si aspetti delle risposte, che magari gli americani non chiedevano. A Vaughters sembrava che stesse bene tutto. Sento quello che mi dicono e ora dobbiamo essere bravi a gestire questa cosa. Durante il Tour de Pologne sono stato zitto, non ho detto una parola. E credo che da qui si ripartirà bene. C’è Plouay, c’è il Renewi Tour, c’è il Canada, ci sono corse veramente belle per dare più peso a questa stagione. E io credo che andrà così.

Bronzini su Malcotti: okay salita e discesa, ora serve più forza

12.08.2025
6 min
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I chilometri sulla Cisa scorrono rapidi verso il mare. Giorgia Bronzini guida verso qualche meritato giorno di vacanza e ci offriamo di farle compagnia fra una galleria e l’altra. La linea tiene bene, la voce solo a tratti arriva interrotta. Il Tour de France Femmes è finito in archivio con la vittoria di Pauline Ferrand Prevot e il tredicesimo posto di Barbara Malcotti, che al quarto anno con la Human Powered Health sta raggiungendo una dimensione solida e promettente. Prima del risultato francese, l’ottavo posto al Giro d’Italia Women le ha aperto la porta del gruppo che conta e di questo vogliamo ragionare con la piacentina, che alla squadra americana è legata da un altro anno di contratto

«Barbara – racconta – aveva già dato dei bei segnali nella prima parte dell’anno, dopo aver lavorato bene già durante l’inverno. Al UAE Tour aveva fatto vedere di saper preparare l’appuntamento e di essere già a un livello più alto del 2024. Perciò con il suo allenatore e le scelte della squadra, abbiamo chiesto di programmare un bel Giro d’Italia. Sinceramente pensavamo che fare una top 12 potesse già essere un bell’obiettivo, ma ammetto che l’ottavo posto ha superato qualsiasi nostra aspettativa. Il Tour invece doveva prepararlo Talita De Jong, era il suo obiettivo. Invece a maggio si è presa un virus e non ne è mai uscita completamente. Perciò già durante il Giro d’Italia sapevamo che al Tour non sarebbe stata competitiva».

La squadra del Tour, consluso con il 13° posto di Barbara Malcotti e il 3° di Edward Ruth a Chambery (foto HPH)
Per questo avete allertato Malcotti?

Non si possono fare programmi con un preavviso di due settimane, per cui le abbiamo detto che sarebbe stata libera di fare la sua corsa, senza pressione. Quel che fosse venuto, sarebbe stato ben accetto. E anche in Francia ha fatto la sua bella corsa.

E’ un’atleta da convincere dei suoi mezzi oppure è consapevole del fatto che sta crescendo atleticamente?

Diciamo che all’inizio anche noi non sapevamo bene dove potesse arrivare, quindi la sua crescita è una scoperta anche per noi, persino durante il Giro stesso. Quando poi si è trattato di andare al Tour Femmes, le ho detto: «Adesso sei consapevole di quel che sei e di quel che hai. Devi fartene una ragione e capire dove puoi arrivare. Hai fatto uno step in più, cerca di conoscere bene le cose necessarie per dosarti anche a livello tecnico e tattico». Quando la dirigevo in corsa, avevo bisogno di ricevere il feedback di quanta benzina avesse ancora in corpo per interpretare la salita successiva. Le prime volte probabilmente non lo sapeva neanche lei, invece i riscontri che mi dà adesso sono molto più precisi e attendibili.

Il risultato del Giro può essere il punto di partenza per un altro tipo di carriera?

Al di là del margine di endurance che può avere, dal mio punto di vista Barbara ha tanto da guadagnare sul piano della forza e spero che il suo allenatore Mattia Follini quest’inverno metta del buon seme da questo punto di vista per sfruttarlo poi in corsa. Ci aveva già lavorato nello scorso inverno e ci siamo accorti dei miglioramenti. E’ molto magra, anche nella parte superiore del corpo, ma non è andata in deficit e questa è una cosa molto positiva, anche per quanto riguarda il recupero. Quindi io penso che Barbara possa fare un altro step di crescita.

Dopo l’ottavo posto al Giro Women, Malcotti era fra le osservate anche al Tour Femmes (foto Instagram/HPH)
Dopo l’ottavo posto al Giro Women, Malcotti era fra le osservate anche al Tour Femmes (foto Instagram/HPH)
La vedi leader o spalla per altri leader?

Non so se altre squadre la cercheranno e per fare quale tipo di lavoro, farà lei le sue scelte. Ma se anche venisse fuori che dovrà correre da gregaria, si potrà ritagliare sicuramente tanti spazi per sé. Barbara ha ancora un anno di contratto, ma comunque anche se saltasse fuori un team che ne ha bisogno come spalla per un leader, dovrebbe sapere di avere un’atleta di alta qualità, che potrebbe fare come Persico per Longo Borghini. Perché sul Monte Nerone, Silvia si è rialzata, ma se avesse tenuto duro sarebbe arrivata con una classifica notevole.

Avere una Malcotti così spingerà la squadra a investire su di lei e su un gruppo di lavoro per le corse a tappe?

Non saprei cosa rispondere, non è il tipo di parere che mi viene richiesto. La mia opinione, strettamente personale, è che si potrebbe ragionare sul fare di lei il centro della squadra, come pure sulla possibilità di prendere una leader già esperta, accanto a cui farla crescere. Si potrebbe aiutarla ad arrivare a un risultato importante andando per gradi, senza darle la patata bollente di dover fare subito risultato, perché avere fretta non serve a nessuno. Mi piacerebbe che Barbara potesse avere in gara un leader che si affidi a lei nei momenti importanti o che le lasci il suo spazio. Ripeto che l’esempio di Silvia Persico è perfetto. Quello che ha fatto al Giro per Elisa è stato una grande cosa e sono certa che la Longo, per come la conosco, alla prima occasione troverà il modo di ricambiare.

Cosa ci puoi dire del suo carattere in gara: Malcotti è sicura di sé?

Dipende dalla corsa, da come è fatto il percorso e da come si sente lei tecnicamente in base alle strade. Ci sono dei momenti in cui non si sente ancora sicurissima, ma è migliorata tantissimo. In salita ha fatto uno step notevole, è cresciuta e sa come gestire la tensione. Ma forse il miglioramento più grande lo ha fatto in discesa, che era un suo grosso limite. Ci ha messo anima e cuore per cercare di migliorare, ha fatto discese su discese. E alla fine ha vinto la paura che ti fa tirare i freni.

Il Giro Women ha portato all’exploit di Malcotti ma anche a buone prove di Carlotta Cipressi, di cui Bronzini si dice soddisfatta
Il Giro Women ha portato all’exploit di Malcotti ma anche a buone prove di Acrlotta Cipressi, di cui Bronzini si dice soddisfatta
Ad ora non risulta un programma definito per il seguito della stagione: cosa farà Malcotti da qui a fine anno?

Prima farà Kreiz Breizh e Plouay, poi Ardeche. A quel punto bisognerà vedere se verrà convocata in nazionale per mondiale ed europeo. In caso positivo, non potrà fare il Ciudad de Eibar in Spagna. Poi abbiamo in calendario due gare a ottobre in Italia.

Hai parlato del mondiale, la vedi pronta per la gara di un giorno o si trova a suo agio di più nella corsa a tappe?

E’ chiaro che il mondiale è duro e dipenderà dalle partecipanti e da come i nostri vorranno impostare la gara. Capire cioè se Barbara servirà ad esempio a far sì che la Longo Borghini sferri il suo attacco. In nazionale vanno rispettate le gerarchie e Longo Borghini dal mio punto di vista è il leader su cui si dovrebbe puntare, perché è campionessa italiana, ha vinto il Giro d’Italia e dà delle garanzie. Ovviamente non sono il tecnico della nazionale, quindi non so cosa abbia in mente Velo, ma se la convocano, Barbara può essere funzionale ai suoi schemi. E tutto sommato mi auguro che sia così.

Dal Casano allo stage con la Tudor: l’esperienza di Del Cucina

12.08.2025
5 min
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Una settimana in Svizzera respirando l’aria del ciclismo dei più grandi insieme ai ragazzi del devo team della Tudor Pro Cycling. Quella di Riccardo Del Cucina, atleta toscano del team Casano-Stabbia, al suo secondo anno da junior, è stata un’esperienza formativa e che ha aumentato ancora di più la sua voglia di affermarsi. Un primo assaggio condito da tanta curiosità nello scoprire i segreti dei più grandi, che ora non sembrano più così lontani. 

«E’ stata una bellissima esperienza – ci racconta Del Cucina mentre si trova a Livigno per preparare le prossime gare, tra cui il Giro della Lunigiana – purtroppo è arrivata nella settimana peggiore degli ultimi anni dal punto di vista climatico. Me lo hanno detto anche gli altri ragazzi e lo staff, sui nove giorni totali ha piovuto praticamente sempre. E faceva anche un gran freddo. Mi sono comunque goduto questa esperienza, è stato un piacere immenso. Inoltre ho un po’ “spiato” quello che sarà il livello tra gli under 23 e c’è da dire che vanno forte davvero. Però questo non mi ha spaventato, tutt’altro, ho ancora più voglia».

Riccardo Del Cucina a inizio anno è passato nel team Casano-Stabbia sotto lo sguardo attento di Beppe Di Fresco (foto Instagram)
Riccardo Del Cucina a inizio anno è passato nel team Casano-Stabbia sotto lo sguardo attento di Beppe Di Fresco (foto Instagram)
Qual è la cosa che ti ha maggiormente emozionato?

Già parlare una lingua diversa dall’italiano per tanti giorni mi ha fatto capire di essere in qualcosa di grande. Ho fatto tanti lavori in bici nuovi per me e ho imparato anche come si vive la quotidianità in una realtà grande come quella della Tudor. 

Com’è nato il contatto?

Principalmente dal mio procuratore Matteo Roggi, e anche da alcuni contatti di Pino Toni che lavora con noi al Casano. Anche se non è lui il mio preparatore, da ormai tre anni mi alleno con Rinaldo Nocentini e insieme al team abbiamo deciso di affrontare questa stagione, fondamentale, con continuità. La Tudor ha ricevuto i miei valori e ha avuto accesso ai miei dati di Training Peaks e mi hanno aperto le porte per uno stage.

L’occasione dello stage con la Tudor Pro Cycling U23 è arrivata grazie ai risultati e al suo procuratore Matteo Roggi
L’occasione dello stage con la Tudor Pro Cycling U23 è arrivata grazie ai risultati e al suo procuratore Matteo Roggi
Eri l’unico?

Eravamo tre ragazzi a fare da stagisti, io e due atleti svizzeri che sono già under 23. Ero il più piccolo. Gli altri due faranno delle gare di prova, mentre io attendo una risposta sul mio futuro. Al momento non so nulla, ma ammetto che mi piacerebbe entrare in un devo team. Però sto anche parlando con squadre continental italiane.

Che settimana è stata?

Ho avuto l’onore di entrare in un mondo che sogno da anni, questa cosa mi ha responsabilizzato ancora di più. A livello tecnico è stata la settimana nella quale ho fatto il mio record di ore per quanto riguarda gli allenamenti. Di solito oscillo tra le 15 e le 20 ore, quando ho caricato tanto ne ho fatte 22. In quei sette giorni mi sono allenato per un totale di 28 ore

Del Cucina in questa stagione è cresciuto molto, maturando sia fisicamente che mentalmente (foto Instagram)
Del Cucina in questa stagione è cresciuto molto, maturando sia fisicamente che mentalmente (foto Instagram)
Impegnativo?

Sicuramente, anche se sono un corridore che con il passare dei giorni si sente meglio. Abbiamo caricato molto, pedalavamo una media di quattro ore al giorno, che per me equivale a un lungo. Durante l’uscita facevamo anche test e lavori di intensità. Insomma i primi giorni qui a Livigno li ho presi per recuperare un po’. 

Una prima esperienza da solo?

La prima di questo genere. Sono partito da casa in aereo, una volta atterrato a Zurigo c’era un altro atleta del team che mi aspettava e siamo andati in treno fino alla sede della Tudor, a Schenkon. La bici me la sono portata da casa, quindi l’altro ragazzo mi ha spiegato come muovermi all’interno della stazione e dell’aeroporto. 

Un cammino, quello di Del Cucina, che lo ha portato a vestire la maglia della nazionale nella prova di Coppa delle Nazioni in Slovacchia (foto Instagram)
Un cammino, quello di Del Cucina, che lo ha portato a vestire la maglia della nazionale nella prova di Coppa delle Nazioni in Slovacchia (foto Instagram)
Con chi eri in stanza?

Roman Holzer, è un ragazzo svizzero che fa già parte del devo team. Abbiamo parlato tanto e gli ho fatto parecchie domande confidandomi tanto con lui. Gli ho chiesto come ci saremmo organizzati per gli allenamenti e la vita comune. Alla fine è andato tutto bene, è un ambiente in cui ti responsabilizzano molto, ma mi piace come cosa. 

Sei arrivato e come ti sei presentato, che atleta sei?

Nell’introduzione iniziale hanno detto di avermi preso perché sono un atleta versatile e completo. Effettivamente è una descrizione che sento mia, quest’anno sento di essere cresciuto molto fisicamente e di aver fatto dei netti miglioramenti in alcuni ambiti, ad esempio in salita. Mi difendo bene e ho un ottimo spunto veloce. Questo è stato possibile anche grazie al team Casano e alla gente che lavora insieme a noi: nutrizionista, biomeccanico, osteopata…

Con quale spirito sei tornato a casa?

Sicuramente senza alcun timore, anzi con ancora più voglia e fame di arrivare a questi livelli.

Il lungo addio della Aspiratori Otelli, tra nostalgia e speranze

12.08.2025
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E’ un anno davvero particolare per la Aspiratori Otelli. L’ultimo, almeno a livello juniores. Il sodalizio, che è nell’ambiente dal secolo scorso e attraverso il quale sono passati tanti ragazzi poi approdati al professionismo, si arrende ai cambiamenti di un ciclismo sempre più dispendioso. Sono cambiati i valori e la passione non basta più. Intanto però la stagione va avanti e anche con qualche soddisfazione, considerando ad esempio i successi di Francesco Baruzzi che l’hanno portato in cima alle gerarchie della categoria e a trovare già un approdo fra i pro’.

Giambattista Bardelloni è al timone della squadra ormai da tempo immemore e ha seguito tutta l’evoluzione dell’Aspiratori Otelli e a dispetto di una difficile situazione è soddisfatto dei suoi ragazzi, non solo per i risultati ma anche per il loro approccio.

Il Team Aspiratori Otelli, con più di 30 anni alle spalle. Bardelloni è all’estrema sinistra
Il Team Aspiratori Otelli, con più di 30 anni alle spalle. Bardelloni è all’estrema sinistra

«Al di là della quantità di vittorie, siamo sempre stati presenti anche nelle gare nazionali e internazionali. E magari con un po’ di fortuna si poteva anche raggiungere qualche successo in più, vedi ad esempio Scofet (in apertura, foto Rodella) al GP Sportivi Loria. Secondo me è una stagione più che eccellente perché i ragazzi devono maturare. Non è che l’unico obiettivo deve essere solo la vittoria…».

Le voci di una dismissione della società a fine stagione hanno influito sui ragazzi?

A me non sembra, d’altronde non è stato un fulmine a ciel sereno e molti di loro hanno già trovato casa per il 2026. Marzocchi va alla Biesse Carrera e Bartolotta va alla Salus, ad esempio. Insomma, essendo già sistemati sono tranquilli e pensano alle gare. Per i secondi anni abbiamo già contatti con le squadre U23. Vediamo di sistemare anche loro. A parte Baruzzi che lui è già a posto (andrà al devo team della Visma-Lease a Bike, ndr).

Baruzzi vincitore di tappa in Slovacchia nella prova di Nations Cup, ora lo attende la Visma (foto Rodella)
Baruzzi vincitore di tappa in Slovacchia nella prova di Nations Cup, ora lo attende la Visma (foto Rodella)
Tu che sei da tanti anni nel gruppo come stai vivendo questo lento trapasso?

Io sono qui dal ‘95. Con Giancarlo Otelli ne abbiamo passate tante, tra gioie e dolori. Sono decisioni difficili che la società ha preso e non le discuto, a me dispiace tantissimo perché smettere mi sembra davvero un peccato anche se so che come c’è un inizio, in tutte le cose c’è anche una fine.

Trent’anni in questo ambiente, quanto è cambiato il ciclismo giovanile in questi tre decenni?

Tantissimo, soprattutto negli ultimi 5-6 anni. Io credo che liberando i rapporti si sia trasformata questa categoria e tutto il ciclismo nel suo complesso. I corridori sono più sfruttati di trent’anni fa, quando c’erano 6-7 corse di alto livello in Italia. Adesso ce ne sono ogni fine settimana, è come fare un campionato italiano tutte le domeniche. Forse io sarò di vecchio stampo, però secondo me stiamo esagerando. Non siamo noi come i tedeschi o i Paesi anglosassoni dove i ragazzi maturano prima, in Italia serve tempo. Si finisce che abbiamo dei bei ragazzini negli allievi che poi si perdono subito.

Federico Saccani si divide fra strada e pista. Su di lui Bardelloni è pronto a scommettere (foto Facebook)
Federico Saccani si divide fra strada e pista. Su di lui Bardelloni è pronto a scommettere (foto Facebook)
Secondo te perché?

Perché il salto da allievi a juniores è eccessivo, è la categoria precedente che andrebbe riadattata. Si passa da gare di 60 chilometri a 120 col rapporto libero. E’ un contraccolpo enorme, così perdiamo tanti ragazzi che potrebbero crescere e invece mollano. Da juniores a U23 cambia poco, 20-30 chilometri che vuoi che siano? Da allievi vedi tanti supervincenti che poi passano e si perdono nel mucchio, si scoraggiano, non crescono più.

Baruzzi a parte, chi sono gli elementi che ti sembrano già abbastanza pronti per il salto di qualità, per salire di categoria con un certo peso?

Innanzitutto penso a Federico Saccani, perché è stato molto sfortunato in questi due anni. Ha avuto dei problemi seri al ginocchio sia l’anno scorso che parzialmente anche quest’anno. Di risultati di spicco non ne ha, ma sta dimostrando di avere stoffa, poi è una pedina per la nazionale ai mondiali in pista. Un ragazzino molto serio, sicuramente psicologicamente molto preparato per la categoria dilettanti. Poi abbiamo Scofet, che l’anno scorso correva in mountain bike ed è tutto da scoprire, sta ottenendo molti piazzamenti. Va molto bene in salita, è molto determinato, secondo me se ha la fortuna di trovare una squadra che l’aspetta un anno o due farà davvero bene. Per gli altri serve tempo, ragazzi che passando di categoria avranno bisogno di essere attesi con pazienza perché hanno ancora molto da imparare ma anche molto da dare.

Tra gli elementi messisi in luce c’è anche Sebastiano Tavelli, 9° ai tricolori (foto Rodella)
Tra gli elementi messisi in luce c’è anche Sebastiano Tavelli, 9° ai tricolori (foto Rodella)
Prossimi impegni e quelli a cui tenete di più?

Lunigiana e poi il Trofeo Buffoni che per noi ha un significato speciale. Visto che è il mio ultimo anno, vorrei riuscire a portare a casa qualcosa d’importante perché abbiamo ragazzi che possono fare bene su quel percorso, a cominciare proprio da Baruzzi e Scofet, ma anche Tavelli che ha fatto nono al campionato italiano. Poi si sa che nel ciclismo tra vincere e perdere a volte basta una sciocchezza che fa la differenza, ma dobbiamo provarci.