Under 23: una corsa tra pioggia e dolore, l’Italia ci prova

27.09.2024
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ZURIGO (Svizzera) – Il mondiale dell’Italia under 23 si spegne insieme alle ultime energie che Giulio Pellizzari ha in corpo. Sullo strappo iniziale del circuito di Zurigo l’azzurro non tiene il ritmo dei migliori, più freschi e riposati. Il corridore della Vf Group-Bardiani CSF-Faizanè ha speso troppe energie nella rincorsa a Jan Christen. Per troppi chilometri si è trovato nel mezzo tra lui e il gruppetto dietro, guidato dal Belgio. 15 secondi, tanti ne sono mancati per scrivere una pagina diversa di questo campionato del mondo under 23. Ma le corse sono così, si vince e si perde per pochi metri, a volte anche meno.

«Che vogliamo dire – attacca subito Pellizzari mentre rimugina seduto sulle scalette del bus – è stato duro, anzi durissimo. Anche il tempo non è stato dei migliori, era previsto più sole ma succede. Fa parte del nostro sport». 

Tattica rispettata

Una gara con tanti protagonisti possibili, ma un unico vincitore. Dalla mischia e dalla selezione è uscito il nome del tedesco Niklas Behrens. Un omone di 195 centimetri forte e con due spalle larghe ben più del manubrio che ha battuto Martin Svrcek e Alec Segaert

«Sapevamo che i big si sarebbero mossi da lontano – continua Pellizzari – quindi noi abbiamo cercato di seguirli. Siamo stati bravi in pianura, abbiamo preso i rischi e abbiamo corso sempre davanti. Una volta entrati nel circuito finale dovevamo seguire i migliori, ci siamo messi di impegno ed è andata così. Non c’erano nomi da seguire, tanti erano i ragazzi forti in gara. Quando è partito Christen al penultimo passaggio ho provato a chiudere. Sulle pendenze di Bergstrasse ho faticato tanto, non era uno sforzo adatto alle mie caratteristiche. Serviva un corridore con un picco di potenza maggiore, ma poi sulla salita successiva mi sono avvicinato. Christen in discesa ha allungato e in pianura non riuscivo ad avvicinarmi. D’altronde ha fatto terzo al mondiale a cronometro. Non lo scopriamo oggi che in pianura ha un passo incredibile».

«Non pensavo – spiega infine Pellizzari – che dietro ci fossero così tanti belgi dietro a tirare. Nelle corse under è difficile trovare una squadra che tira quando sono solamente venti corridori. Speravo in un po’ di controllo e di prendere lo strappo davanti, poi magari mi avrebbero preso comunque ma più vicini all’arrivo».

De Pretto e Busatto sono stati spenti dal freddo e dalla pioggia, ma hanno dato comunque il loro apporto
De Pretto e Busatto sono stati spenti dal freddo e dalla pioggia, ma hanno dato comunque il loro apporto

Freddo pungente

Davide De Pretto e Francesco Busatto arrivano nello spiazzo del bus che ancora tremano dal freddo. Il primo in pantaloncini corti si ripara dietro qualche macchina e parla. 

«Si sapeva sarebbe stata una gara difficile da controllare – dice – abbiamo anche corso bene, rimanendo sempre davanti. Poi siamo entrati nel circuito e sapevamo che si sarebbe fatta la differenza fin da subito. In tanti hanno provato ad alzare il ritmo fin dal primo passaggio. Stavo anche bene, ho seguito Morgado in un allungo, poi in discesa ho preso freddo e mi si sono congelato. Se guardiamo comunque i primi sono tutti ragazzi pesanti, magari hanno sofferto meno il freddo rispetto a molti altri».

Busatto ha ancora il volto scavato dai chili persi in estate, in inverno dovrà recuperarli
Busatto ha ancora il volto scavato dai chili persi in estate, in inverno dovrà recuperarli

Ruoli giusti

Busatto arriva direttamente dalla corsa, appoggia la bici e sale a cambiarsi. La sensazione è che oltre al freddo gli sia rimasta indigesta la giornata “no” in un appuntamento così importante. Un malanno in estate gli ha fatto perdere tre chilogrammi, che non ha ancora ripreso. A guardarlo si vede che è molto magro, un fattore che oggi ha influenzato la sua prestazione. 

«Non ho potuto farci tanto – spiega – non ci aspettavamo un clima così freddo. I corridori come me, più leggeri, hanno patito. A due giri dalla fine, quando prima ero sempre lì pronto e attivo, mi sono trovato in coda senza gambe. Il piano alla partenza era di essere presenti nei tentativi di creare situazioni buone per la squadra. Dove ho visto opportunità mi sono buttato, alla fine il mondiale è imprevedibile. 

«Ci siamo supportati bene a vicenda. De Pretto e io siamo stati presenti sullo strappo più duro, mentre Pellizzari andava a chiudere sulla salita. Mattio, invece, ha fatto un grande lavoro nella parte iniziale, in pianura. Comunque c’eravamo sempre, fino al punto in cui siamo stati messi fuori gioco dal freddo. Credo che indubbiamente siamo stati una delle squadre più forti. Peccato, se fossimo riusciti ad arrivare in due o tre nel finale avremmo potuto giocarci le nostre chance. In questi casi vanno fatti i complimenti al vincitore e basta».

Amadori, qui a colloquio con Kajamini, si è detto rammaricato ma soddisfatto della prova dei suoi under
Amadori, qui a colloquio con Kajamini, si è detto rammaricato ma soddisfatto della prova dei suoi under

Il punto di Amadori 

Alla fine chi deve prendere in mano tutto, analizzare e parlarne poi con i ragazzi è il cittì Marino Amadori

«Come sempre – ammette – ho fatto la gara senza le radioline. E’ sempre il solito discorso, in certi frangenti servono ma non possiamo farci nulla. Il momento in cui mi sarebbe servita di più? Quando Pellizzari era a metà tra Christen e il gruppetto dietro. Gli avrei detto di rialzarsi e non spendere troppo. Abbiamo provato a forzare la giuria ma non ci ha fatto passare e purtroppo Pellizzari è rimasto nel mezzo. Si è praticamente finito lì, ci siamo giocati tutto. Mi dispiace perché andava forte, aveva una bella gamba.

Se avesse agganciato Christen avremmo visto un finale diverso, ma non si vive di ipotesi. Peccato per De Pretto e Busatto, con loro a pieno regime avremmo avuto delle alternative diverse per il finale, purtroppo non ce l’abbiamo fatta».

Durante le premiazioni il ricordo per la scomparsa della giovane svizzera Muriel Furrer
Durante le premiazioni il ricordo per la scomparsa della giovane svizzera Muriel Furrer

Tutto nel silenzio

Nel giorno della tragica morte di Muriel Furrer, la giovane junior svizzera venuta a mancare nel pomeriggio dopo la caduta nella prova femminile di ieri, il cielo non ha risparmiato acqua e freddo. L’UCI ha organizzato una conferenza stampa alle 17, in concomitanza con l’arrivo della prova under 23. Le gare devono andare avanti, ma la chiusura della mixed zone non ha permesso di raccontare la vittoria del tedesco. I ragazzi hanno corso senza sapere della notizia, il lutto della nazionale elvetica e della famiglia andava rispettato, vero, così come la fatica fatta dai ragazzi.

Muriel Furrer, la morte, il mistero, l’inchiesta, il silenzio…

27.09.2024
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ZURIGO (Svizzera) – Un minuto di silenzio, che probabilmente ha detto molto più di quello che è emerso dalla conferenza stampa indetta dall’UCI e dall’organizzazione del mondiale di Zurigo. Seduti al tavolo, Peter Van de Abeele e Oliver Senn, rispettivamente UCI Sports Director e General Manager dei mondiali, hanno invocato rispetto per la privacy della famiglia e poi si sono chiusi dietro il fatto che sulla morte di Muriel Furrer è stata aperta un’inchiesta. Di fronte a ciò, che è assolutamente fondato, forse l’idea stessa di una conferenza stampa poteva essere superata.

Muriel Furrer si era piazzata 44ª nella crono della scorsa settimana
Muriel Furrer si era piazzata 44ª nella crono della scorsa settimana

La dinamica da capire

Muriel era nata il primo luglio del 2006 ed è morta oggi nell’ospedale di Zurigo. Scorrere le foto del suo account Instagram è una disperazione per noi che non l’abbiamo mai conosciuta. Possiamo a stento immaginare quella della famiglia, avendo avuto comunque la sorte maledetta di piangere più di un amico corridore. Stamattina fra i pullman della gara under 23, chi era in corsa ieri con le donne junior faceva racconti i cui temi chiaramente saranno oggetto dell’inchiesta.

La versione che più d’uno ha confermato è che Muriel si trovasse da sola fra due gruppi e che nessuno l’abbia vista cadere. Deve essere finita fuori strada e non avendo la radio, qualora fosse stata ancora cosciente, non ha potuto avvisare i suoi tecnici. Pare che i soccorsi siano scattati in modo meno tempestivo del necessario perché solo con grande ritardo ci si è resi conto che la ragazza non fosse passata sul traguardo. A quel punto, il condizionale è d’obbligo, pare che la sua posizione sarebbe stata rintracciata grazie ai dati del GPS del suo ciclocomputer.

Van den Abeele, responsabile della parte sportiva dell’UCI, ha portato la posizione ufficiale
Van den Abeele, responsabile della parte sportiva dell’UCI, ha portato la posizione ufficiale

Inchiesta in corso

Quando Peter Van den Abeele prende la parola, è evidente che sia scosso e non abbia molto da dire. Legge il testo del comunicato inviato dall’UCI non appena la notizia è stata diffusa. Cambia qualche parola, ma il succo è lo stesso.

«C’è grande tristezza – dice – perché l’UCI e il comitato organizzatore del mondiale sono stati informati oggi della tragica morte della giovane Muriel Furrer. La ciclista diciottenne è caduta gravemente durante la gara su strada femminile di ieri. Ha subito un grave trauma cranico prima di essere portata all’Ospedale Universitario di Zurigo in elicottero in condizioni molto critiche. Purtroppo è morta il giorno successivo in ospedale. I miei pensieri, i nostri pensieri, i pensieri dell’intera famiglia ciclistica sono con la sua famiglia, i suoi cari, i suoi compagni di squadra e gli amici della Federazione Svizzera.

«Con la scomparsa di Muriel, la comunità ciclistica internazionale perde una ciclista con un futuro luminoso davanti a sé. Al momento, l’incidente è ancora sotto inchiesta da parte delle autorità competenti. L’UCI e il comitato organizzatore rispettano il desiderio della famiglia di continuare questi campionati mondiali».

Oliver Senn, general manager dei mondiali, ha spiegato di aver studiato il punto della caduta per metterlo in sicurezza
Oliver Senn, general manager dei mondiali, ha spiegato di aver studiato il punto della caduta per metterlo in sicurezza

Cancellato il Galà UCI

La parola è poi passata a Oliver Senn, che ha ricordato brevemente come l’accaduto gli ricordi quanto accadde lo scorso anno con Gino Mader.

«E’ ovviamente un giorno molto triste per tutti coloro che sono coinvolti in questi campionati mondiali – dice – ma non possiamo immaginare cosa provino la famiglia, gli amici e il pubblico, cui esprimiamo le nostre condoglianze. Abbiamo perso una giovane atleta promettente con una vita piena davanti a sé. Questo è molto difficile da accettare, ma dobbiamo farlo. Abbiamo modificato il programma. Isseremo le bandiere a mezz’asta per il resto dei campionati mondiali. Oggi abbiamo deciso di ridurre la cerimonia del podio.

«Abbiamo annullato tutte le attività serali per stasera e, in pieno accordo con l’UCI, abbiamo deciso di annullare il gala UCI, che avrebbe dovuto svolgersi domani sera. Potrebbero essere prese altre decisioni, ma per il momento, ci concentriamo su oggi e sugli eventi più importanti che si terranno domani e domenica. So che tutti vogliamo informazioni, ma lasciamo alla famiglia la privacy e lo spazio per affrontare questa cosa».

Ad Aprile, Muriel Furrer aveva partecipato alla Omloop Van Borsele in Belgio (foto Swiss Cycling)
Ad Aprile, Muriel Furrer aveva partecipato alla Omloop Van Borsele in Belgio (foto Swiss Cycling)

Percorso in sicurezza

Il resto è un mix fra il cercare di capire e la chiusura da parte dei due interlocutori. Nessun dettaglio in più sui tempi del soccorso. Nessun dettaglio sul punto esatto dell’incidente. Solo la conferma che i dati del GPS sulla bici di Muriel saranno utilizzati dagli inquirenti.

«Dato che le prossime gare si svolgeranno sullo stesso percorso – spiega Oliver Senn – abbiamo esaminato la situazione che si è verificata ieri. Abbiamo leggermente modificato la situazione in loco, soprattutto perché nel pomeriggio ha ricominciato a piovere e non sappiamo se ciò abbia avuto un impatto sull’incidente. Come sempre, crediamo di fare il massimo per la sicurezza e la protezione dei corridori».

Di chi è la colpa? Esiste davvero un colpevole? Si corre in bici e, sebbene sembri paradossale in questo ciclismo monitorato e ingabbiato, ci sono momenti in cui nessuno ti vede e nessuno ti sente. Negare le radio per non incidere sulla tattica significa privare gli atleti di un’estrema garanzia di sicurezza? Se Muriel avesse potuto chiamare sarebbe cambiato qualcosa?

L’inchiesta probabilmente andrà avanti cercando di capire come mai, se così davvero è andata, sia servita quasi un’ora prima che si facesse qualcosa. Ma intanto Muriel Furrer non c’è più ed è un dramma enorme, a prescindere che avesse o meno una carriera luminosa davanti a sé.

La risposta di Evenepoel a Tadej? Una ventata di ironia

27.09.2024
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WETZIKON (Svizzera) – Per capire quanto quei due non si amino o comunque abbiano fiutato sportivamente l’uno il sangue dell’altro, basta iniziare dalla risposta che Evenepoel ha dato alla battutina perfida con cui ieri sera Pogacar aveva chiuso la sua conferenza stampa. Richiesto sul rivale belga, lo sloveno ne aveva lodato le abilità e il sangue freddo nella crono. Ma poi, quasi a volerlo tenere distante, aveva detto che la gara su strada sarà un’altra cosa. Aveva parlato di «a different game».

A Remco l’hanno riferito senz’altro. E allo stesso modo in cui la risposta di Pogacar sembrava pensata per l’uso, anche il commento del belga è sottile. Ironico e apparentemente scanzonato: eppure conoscendolo, se l’è legata al dito. Ecco quello che ha detto stamattina il belga, che ha riunito i giornalisti nel suo hotel prima di uscire in allenamento.

«Sarà davvero un altro gioco – ha detto – con una bici diversa, quindi una gara diversa. Ci saranno anche più ciclisti. Non sei da solo, quindi è esattamente un gioco diverso. Voglio dire, sappiamo tutti cos’è una gara ciclistica, quindi non è una novità».

Poi si è voltato verso i compagni, con una risatina che ha fatto capire più di altre parole. Senza Van Aert, che pure gli avrebbe coperto le spalle, il Belgio sarà tutto votato alla sua causa. Per vincere un mondiale serve gente forte e determinata. Per vincerlo contro Pogacar va tutto elevato al quadrato.

Evenepoel è sembrato molto calmo e più aperto all’approfondimento di Pogacar
Evenepoel è sembrato molto calmo e più aperto all’approfondimento di Pogacar
Cosa hai imparato da ieri, guardando la gara degli juniores?

Niente. Abbiamo guardato la loro gara, ma penso che non si possa paragonare alla nostra. Il gruppo è esploso già prima della caduta locale e in più pioveva. Noi avremo condizioni asciutte, quindi non ci sono troppi punti in comune. Penso che sia più importante guardare la gara under 23 di oggi. In ogni caso non abbiamo ancora fatto la riunione tecnica, quindi non so come correremo.

Che tipo di corsa vorresti?

Se devo credere ai giornali, ci sono due grandi favoriti. Quindi penso che i loro team debbano cercare di prendere il controllo della gara. Ma dipende da come si svilupperà la gara una volta entrati nel circuito. E’ sempre speciale gareggiare al mondiale, quindi dovremo valutare giro dopo giro e assicurarci di essere in grado e aperti per fronteggiare situazioni di gare multiple.

La crono iridata ha seguito la crono e la strada delle Olimpiadi. Manca una vittoria per l’enplein
La crono iridata ha seguito la crono e la strada delle Olimpiadi. Manca una vittoria per l’enplein
Dopo la stagione trionfale che hai avuto arrivi qui più rilassato del solito?

Penso di essere sempre abbastanza rilassato, ma la mentalità rimane la stessa. Voglio puntare al massimo e do il 100% di me stesso, come faccio sempre. E se poi verrà una vittoria, allora sarà stato un giorno super buono. Altrimenti, se non succederà… così è la vita. Penso che si debba sempre cercare di motivarsi, non importa in quale situazione. Quindi è abbastanza chiaro che sono rilassato, ma ancora molto motivato per le ultime due, tre settimane della stagione. Qui avremo a che fare con un percorso duro, un sacco di cambi di ritmo e di salite, quindi sarà una gara lunga e dura. Ma forse un po’ meno del previsto, almeno pensavamo che il tratto in linea fosse più impegnativo…

Ti sei allenato in Spagna con Van der Poel, come valuteresti la sua condizione in salita, vedendo questo percorso?

L’ultimo allenamento che abbiamo fatto insieme, per lui non è stato molto buono (ride, ndr). Penso che sia migliorato al Giro del Lussemburgo. E’ un corridore che sa come entrare in forma al momento giusto. Alla fine saranno passate tre settimane tra quell’allenamento e la gara di domenica, quindi sono abbastanza convinto che sarà in buona forma. E’ anche chiaro che Mathieu è un po’ più pesante di me e Tadej, quindi dovrà sollevare quel peso a ogni singolo giro. Questo potrebbe forse costargli un po’ di energie nel finale. Però è un corridore di livello mondiale, quindi non puoi mai darlo per morto, finché non è finita davvero.

Evenepoel pensa che il percorso sia duro per Van der Poel: ma gli atleti di questa classe non vanno sottovalutati
Evenepoel pensa che il percorso sia duro per Van der Poel: ma gli atleti di questa classe non vanno sottovalutati
Pensi che dopo quell’allenamento con te in Spagna si sia demotivato?

No, è quasi impossibile. E’ sempre molto motivato e sa come ricaricare le batterie dopo un periodo difficile. Quindi penso che sarà pronto.

Si può pensare che in qualche modo sarete alleati per battere Pogacar, anche solo per il fatto che parlate olandese?

No, penso che sia abbastanza semplice da capire. Sono qui con la nazionale del Belgio, non con l’Olanda. Non sarò mai loro alleato. Abbiamo il nostro piano e dobbiamo cercare di correre nel modo migliore per me e non per Mathieu. Non faremo accordi con altre nazioni.

Remco, domenica vorresti ritrovarti da solo con Pogacar ai 5 chilometri dall’arrivo?

Se non ci sono altre opzioni, penso che non avrei scelta. So che Tadej è un corridore molto veloce, ha un ottimo sprint. Ovviamente è una gara di 280 chilometri, quindi lo sprint potrebbe essere un po’ diverso. Ma se quella fosse la situazione, allora la accetterei e proverei a fare lo sprint per cercare di vincere. Il finale non è durissimo, quei 5 chilometri sono veloci, ma dopo una gara così lunga saranno ugualmente impegnativi. 

Ieri Pogacar ha punzecchiato Evenepoel, che stamattina ha risposto con l’ironia
Ieri Pogacar ha punzecchiato Evenepoel, che stamattina ha risposto con l’ironia
Saresti disposto a collaborare con lui fino all’ultimo, dato che è così veloce?

Se parliamo dello sprint in una corsa a tappe, in cui ci sono in ballo anche altri interessi, allora forse il risultato di uno sprint a due sarebbe già abbastanza definito. Ma al mondiale è diverso. C’è qualcosa da conquistare al traguardo, quindi penso che sarebbe nel mio diritto non tirare più negli ultimi chilometri. Tadej ha dimostrato un paio di volte di essere il più veloce di noi due, quindi ci sarà da vedere. E spero anche che alle nostre spalle non ci sia un gruppo che può rimontare (sorride, ndr). Tadej si è ritrovato in quella situazione una volta al Fiandre e non è andata bene. Se vai verso il traguardo del mondiale, vuoi vincere. Ma ovviamente, anche gli altri hanno medaglie da conquistare. Spero io non debba trovarmi nella stessa situazione.

E’ facile adattarsi a una situazione simile, per te che di solito tiri dritto sino in fondo?

No, credo di averlo già imparato soprattutto al Tour, dove ho dovuto correre in modalità più difensiva. Penso che il Tour mi abbia davvero insegnato a pedalare con una maturità superiore, diciamo, e anche a pensare un po’ di più.  Quindi penso che se domenica la situazione sarà quella, non mi troverò di fronte a qualcosa di nuovo.

Eveneoel racconta che al Tour ha imparato a correre in modo più conservativo
Eveneoel racconta che al Tour ha imparato a correre in modo più conservativo
Senti una pressione aggiuntiva, dato che sei sul punto di centrare la seconda doppietta, dopo quella olimpica?

No, è una cosa che mi spinge e basta. Sarebbe folle riuscirci ed è sempre più facile parlarne che correre per farlo. Quindi dovremo vedere come andrà. Certo, ora che ne ho tre su quattro, sono un po’ più vicino che lontano. Ci proveremo e si vedrà.

Negli ultimi anni, il Belgio ha raccolto molti successi: merito dei grandi corridori, ma anche del cittì Vanthourenhout. Qual è secondo te la sua migliore qualità come tecnico della nazionale?

Penso che Sven sia davvero bravo a creare un rapporto professionale tra i nuovi corridori che entrano nella nazionale. E’ anche piuttosto rilassato e giovane e questo aiuta. Conosce il ciclismo un po’ meglio dei tecnici più anziani, coglie bene certe situazioni e questo è molto positivo per il gruppo. Certo, è sempre più facile lavorare con un gruppo forte, con leader forti: nazionali forti e corridori forti. Ma ovviamente, devi essere anche in grado di gestire la pressione. E penso che lui l’abbia fatto molto bene. Di sicuro chi dovrà sostituire Sven avrà un compito difficile.

La crono iridata ha seguito la crono e la strada delle Olimpiadi. A Evenepoel manca una vittoria per l’enplein
La crono iridata ha seguito la crono e la strada delle Olimpiadi. Manca una vittoria per l’enplein
Se dovessi indicare tre corridori per il podio, quali nomi faresti?

Non lo farò. E’ un campionato del mondo, ci sono sempre delle sorprese. Chi potrebbe esserlo? Faccio un nome secco: Victor Campenaerts…

Il compagno di nazionale solleva lo sguardo dal punto in cui lo teneva fisso da un pezzo, si volta verso di lui e sorride. Ridono tutti. Il tempo delle interviste con le televisioni e poi andranno a pedalare sul percorso. Cresce la sensazione che stiamo per assistere a un mondiale di rara intensità.

Il Lussemburgo di Tiberi e il precedente di Pasqualon

27.09.2024
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La vittoria di Antonio Tiberi al Giro del Lussemburgo ha fatto scalpore. Pur non essendo una prova WorldTour, la gara ha sempre avuto un parterre di grande rilievo essendo considerata una delle prove a tappe più prestigiose della fase finale della stagione. L’ultimo italiano che era riuscito a portarla a casa era stato Andrea Pasqualon nel 2018 e la cosa colpisce, vista la differenza tecnica fra i due, che tra l’altro sono anche diventati dal 2023 compagni di squadra.

Pasqualon non è certo specialista delle corse a tappe, c’è da credere quindi che le due edizioni della prova lussemburghese, a 6 anni di distanza l’una dall’altra, siano state diverse: «Effettivamente quando ho vinto io – ricorda il veneto – non c’era la cronometro e per Antonio è stata importante. Allora si correva un prologo di un paio di chilometri. Io costruii la mia vittoria grazie agli abbuoni, vincendo due tappe e finendo terzo nelle altre due. Era una corsa diversa, si disputava a inizio giugno prima del Tour, ma non era piatta, questo è sicuro, i percorsi erano abbastanza simili a quelli che ho visto, con continui saliscendi e occasioni di fuga».

Pasqualon sul podio del Giro del Lussemburgo 2018, sua unica vittoria in una classifica a tappe (foto Waldbillig)
Pasqualon sul podio del Giro del Lussemburgo 2018, sua unica vittoria in una classifica a tappe (foto Waldbillig)
Che similitudini vedi fra la vittoria tua e quella di Tiberi?

Poche perché abbiamo caratteristiche diverse. Per certi versi mi rivedo più in Van der Poel che ha perso la maglia l’ultimo giorno. Io la conquistai il terzo e l’ho gestita come stava facendo l’olandese, che non ha avuto però la squadra a supportarlo nell’ultima frazione. Ricordo che nell’ultima tappa molte squadre provarono ad attaccarmi e i miei compagni della Wanty-Groupe Gobert lavorarono tantissimo per tenere la corsa, ma nella parte finale dovetti muovermi io da solo, a chiudere sull’ultimo strappo. VDP si è trovato solo troppo presto, non poteva chiudere su tutti e a un certo punto ha dovuto rischiare lasciando spazio. Antonio è stato bravo ad approfittarne.

La sua vittoria ti ha sorpreso?

No, è un corridore adattissimo per quel tipo di corse. Soprattutto per un giro con poca pianura e dove si pedala sempre al limite, con strappi continui e dove l’evoluzione della corsa porta a far sgranare il gruppo. Tiberi è il classico passista veloce a suo agio su tracciati come quelli. Ma la sua è stata soprattutto una vittoria di testa.

Tiberi sul podio, la faccia delusa di VDP dice tutto sull’andamento dell’ultima tappa…
Tiberi sul podio, la faccia delusa di VDP dice tutto sull’andamento dell’ultima tappa…
Che cosa intendi dire?

Antonio ha avuto la genialità di attaccare, di non accontentarsi del piazzamento e provare a ribaltare la situazione leggendo la corsa e le difficoltà a cui sarebbe andato incontro VDP senza compagni intorno. Ha scelto il momento giusto, è andato fortissimo e gli è andata bene. Ha vinto perché ha saputo rischiare.

Effettivamente non accade spesso per un corridore italiano trovarsi nel vivo della corsa e giocarsi le sue carte, soprattutto per uno giovane e appartenente a un team del WorldTour. Perché?

Questo è un tema delicato. Teniamo innanzitutto conto che corriamo in un ciclismo con 4-5 fenomeni che sono abituati a intervenire, ad attaccare già a metà corsa. Questo anticipa i tempi, diventa difficile sorprenderli e si prova a farlo nelle fasi iniziali. Per questo si cerca la fuga dall’inizio, sperando che la corsa si metta in modo che permetta il loro arrivo. Ma questo significa anche altro.

Decisiva per il veneto fu la vittoria nella terza tappa, guadagnando secondi preziosi con gli abbuoni
Decisiva per il veneto fu la vittoria nella terza tappa, guadagnando secondi preziosi con gli abbuoni
Ossia?

Se fossi oggi uomo da classifica mi metterei le mani nei capelli… Questo è il peggior periodo, per emergere devi avere numeri mostruosi. Guardate che cosa fa la Uae: non ha solo Pogacar, ma tutti gli appartenenti potrebbero essere capitani in altri team, è difficile andarci contro. Bisogna saper leggere le corse, cogliere ogni occasione e noi siamo abbastanza bravi nel farlo. Tiberi lo ha fatto, non si è accontentato del piazzamento di cui non avrebbe parlato nessuno, invece la sua vittoria ha avuto un risalto enorme ed è questo di cui il ciclismo italiano ha bisogno.

Veniamo a te, come va ora dopo la rinuncia al campionato europeo per il quale eri stato convocato?

A me la maglia azzurra non porta molta fortuna… Anche lo scorso anno fui costretto a rinunciare a correre il mondiale per la fatica accumulata nel sostenere Mohoric al Giro di Polonia. Quest’anno sono caduto in allenamento e le ferite riportate mi hanno costretto a due settimane di stop. Ora sono già al lavoro da una settimana e punto alle classiche di fine stagione, dall’Emilia all’Agostoni al Gran Piemonte, per essere competitivo e d’aiuto a Tiberi, Zambanini, Bilbao.

Tiberi ha costruito la sua vittoria sul 2° posto a cronometro, poi il giorno dopo ha chiuso 4°
Tiberi ha costruito la sua vittoria sul 2° posto a cronometro, poi il giorno dopo ha chiuso 4°
Come ti trovi in questa nuova dimensione di aiutante?

Mi piace molto il gregariato per come lo intendo io, ossia essere d’aiuto nelle fasi salienti della corsa, supportare i capitani nell’approccio ai momenti topici come anche pilotare Bauhaus nelle volate. Vedo che il team crede in me e io voglio aiutare a ottenere più risultati possibile, che sento anche miei, quelli di Tiberi al Giro come anche il 6° e 7° posto di Mohoric e Zambanini in Polonia. Dove c’è da sgomitare e prendere aria, io ci sono, i ragazzi mi ringraziano per quel che faccio e questo mi gratifica. Alla mia età ormai un piazzamento non darebbe nulla di più, questa dimensione mi si confà meglio per finire la carriera con dignità.

Salvoldi corona il suo triennio con la maglia iridata

27.09.2024
4 min
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ZURIGO (Svizzera) – Siamo sempre stati abituati a vedere Dino Salvoldi come un uomo dal carattere duro, come il suo sguardo. Alto, con un piglio o fermo e deciso, tanto da incutere timore e richiamare rispetto. Invece quando lo vediamo arrivare in mixed zone per le interviste post mondiale l’emozione e la commozione hanno preso il sopravvento. Lorenzo Finn ha appena vinto la prova iridata su strada tra gli juniores con una bellissima azione dal lontano. Ha viaggiato per tutti gli ultimi 20 chilometri da solo, si è girato spesso a parlare con l’ammiraglia nella quale era seduto il cittì. A due chilometri dalla fine quella vettura ha affiancato il giovane scalatore azzurro e solo Dio sa cosa si sono detti

«Non ce n’era per nessuno oggi – dice con fare orgoglioso Salvoldi – Lorenzo (Finn, ndr) è andato fortissimo. Ha attaccato fin da subito, diciamo molto prima di quanto avevamo ipotizzato in partenza. Evidentemente era la sua giornata, soprattutto in salita. Non ha avuto rivali».

Dino Salvoldi insieme ai cinque azzurri che hanno corso a Zurigo
Dino Salvoldi insieme a quattro dei cinque azzurri che hanno corso a Zurigo

Un lungo cammino

I passaggi che hanno portato alla vittoria di Lorenzo Finn sono iniziati in primavera, quando Salvoldi ha iniziato a costruire un gruppo sul quale lavorare in vista degli eventi della stagione (i due sono insieme nella foto di apertura di Federciclismo / Maurizio Borserini). 

«Come nazionale – prosegue – abbiamo condiviso un bel percorso di avvicinamento al mondiale. Proprio con voi avevo chiesto di aspettare oggi prima di fare un bilancio di questi tre anni di gestione del gruppo juniores. Oggi abbiamo raggiunto e conquistato un titolo che nella categoria mancava da 17 anni. Il risultato di Finn secondo me deve essere interpretato come un bello spot per il nostro ciclismo giovanile. Prima di quello di oggi, nel corso dei tre anni, sono arrivati anche tanti risultati in altri campi, come la pista. Tutto questo è la dimostrazione che applicandosi, con metodo, non siamo poi così distanti dagli altri. I ragazzi che hanno voglia di emergere e hanno fame agonistica ce li abbiamo anche noi. Certo dobbiamo fare questo step tutti insieme».

Salvoldi arrivava dalla rassegna iridata juniores su pista, molto fruttuosa anche quella
Salvoldi arrivava dalla rassegna iridata juniores su pista, molto fruttuosa anche quella
Finn è uno di loro, quando ti sei reso conto che era davvero la giornata giusta?

Un po’ prima, quando ha attaccato nel giro precedente all’ultimo passaggio sotto lo striscione d’arrivo. Era rimasto in un gruppo di 15 corridori con tante squadre formate da coppie. Finn è un ragazzo meticoloso, quindi probabilmente aveva già ragionato decidendo di anticipare. Ha pensato che poi gli sarebbero andati sotto i più forti, tenendo quella distanza di controllo. 

Poi sono rientrati e davanti erano in sei. 

In quel momento l’attenzione si è spostata su Philipsen, che era il campione del mondo in carica. Credo però che fosse nervoso, si è mosso spesso e in alcuni momenti male. Finn ne aveva di più, la sua azione da lontano lo ha dimostrato. Poi era proprio tranquillo nel fare le cose, non ha mosso passi azzardati, fondamentalmente ha attaccato due volte e gli sono bastate per vincere.

Una parte importante del lavoro di Salvoldi sono i ritiri, dove i ragazzi costruiscono il gruppo e il feeling
Una parte importante del lavoro di Salvoldi sono i ritiri, dove i ragazzi costruiscono il gruppo e il feeling
Quando lo hai affiancato a due chilometri dall’arrivo che gli hai detto?

Chiedete a lui, non me lo ricordo, ero in trance agonistica. 

Invece quando ai 400 metri siete entrati nella corsia delle ammiraglie, perdendolo di vista, cosa hai pensato?

C’è sempre un po’ di apprensione per il disguido che può succedere all’improvviso. Però c’è stato un flashback su tutto, anche il mio percorso professionale. Chiaramente questa emozione mi mancava, a me e ai miei uomini, tutti. Ho ripensato a tutto quello che c’è stato prima, proprio in modo super rapido, e dici questa ci mancava, doveva arrivare e ce l’abbiamo fatta.

Il campionato del mondo su strada è il successo che mancava nella carriera da cittì di Salvoldi
Il campionato del mondo su strada è il successo che mancava nella carriera da cittì di Salvoldi
In questi tre anni hai trovato tanti ragazzi, costruendo un cammino con loro. 

Vero che oggi ha vinto Finn, ma è il coronamento di un percorso, che è iniziato cercando un dialogo con chi c’era da prima di noi. Abbiamo cercato di imparare, di informarci e di proporre anche un metodo che chiaramente ha bisogno di tempo per essere attuato. Perché i miracoli nello sport di alto livello non esistono. O almeno, io ci credo poco. Quindi oggi si chiude un triennio con uno dei più bei successi che si possono ottenere, e ripeto: credo che sia un bene per tutto il nostro movimento e di questo sono particolarmente contento. 

Cham, parlano gli sloveni. E Pogacar sfida Evenepoel

27.09.2024
7 min
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CHAM (Svizzera) – Si capisce che la Slovenia abbia la certezza di essere diventata una grande nazione del ciclismo quando viene annunciato che la conferenza stampa di Pogacar e Roglic si svolgerà inizialmente in sloveno. I primi 15 minuti per loro e i quindici successivi per noi che invece ricorriamo all’inglese.

Prima dell’inizio, il microfono viene ceduto ad Hans-Peter Strebel, un medico che con due colleghi ha messo a punto una terapia modificatrice della sclerosi multipla recidivante, della quale hanno beneficiato circa 600.000 pazienti in tutto il mondo. E’ lui il proprietario di OYM, l’hotel per sportivi in cui alloggia la Slovenia, pieno di impianti sportivi e la cucina con 8 chef e nutrizionisti che cucinano per gli atleti.

Hans-Peter Strebel è il proprietario dell’hotel OYM, ma anche un medico di fama
Hans-Peter Strebel è il proprietario dell’hotel OYM, ma anche un medico di fama

La Slovenia cresce

Poi dopo il meritato applauso e la sua richiesta almeno di menzionarlo, inizia il flusso delle domande in sloveno. Pur registrando le risposte da decifrare con qualche provvidenziale traduttore, non si può far altro che guardarsi intorno e scrutare le espressioni sul volto dei due campioni che domenica in corsa dovranno aiutarsi oppure evitare di pestarsi i piedi.

«Il flusso dei giornalisti è per noi – dice il cittì Uros Murn – ogni anno devo dire che la nostra nazionale cresce. Ogni anno siamo più bravi ad attirare sempre più attenzione e penso che questo sia un ottimo segnale per gli sloveni e il ciclismo sloveno. Siamo tutti consapevoli che sarà necessario fare qualcosa nella corsa su strada e credo che da un lato questa sia una grande sfida per loro. Dall’altro credo che abbiano bisogno di un po’ di incoraggiamento prima della corsa forse più importante della loro carriera».

Pogacar ha già raccontato più volte che la fatica di Glasgow 2023 fu per lui impressionante
Pogacar ha già raccontato più volte che la fatica di Glasgow 2023 fu per lui impressionante

Mondiale e classiche

Si comincia con Pogacar. La stanza è un anfiteatro, i corridori sono in basso sulle poltroncine. Ricordiamo tutti quando Tadej, dopo il terzo posto nel mondiale di Glasgow 2023, disse di esserne uscito distrutto. La corsa più dura della sua vita.

«Il mondiale è una gara molto diversa – dice – è una gara di un giorno con la nazionale, cosa che non facciamo quasi mai. L’anno scorso è stata una delle gare più dure che abbia mai fatto, perché non era percorso adatto a me. Era troppo esplosivo nelle ultime 3 ore di gara, quindi dopo l’arrivo ero davvero esausto. Quest’anno però il percorso è molto meglio e così vedremo cosa ci riserva la gara.

«E’ diverso da una classica. Corriamo tutto l’anno con la squadra. In teoria potresti paragonare i monumenti ai campionati del mondo, ma quelli lì corri con la squadra dove i compagni potrebbero essere migliori rispetto a quelli della nazionale. Si tratta di dinamiche diverse. Anche il fatto che non hai le radio in gara e che si corra in circuito fa la differenza rispetto a una gara che si svolge da una città all’altra».

Pogacar è parso sicuro di sé, soprattutto nel ridimensionare le chance degli avversari
Pogacar è parso sicuro di sé, soprattutto nel ridimensionare le chance degli avversari

Un grande obiettivo

Roglic seduto accanto ascolta e deve aver capito che la maggior parte delle domande sarà per il giovane compagno di nazionale, che già una volta gli ha tolto il Tour e adesso gli porta via la luce. Sapranno convivere? E mentre facciamo questa riflessione, la domanda per Pogacar riguarda la maglia iridata.

«La maglia iridata è qualcosa di veramente speciale nel ciclismo – ammette – la maglia più unica. Tutti la vogliono, credo. Puoi indossarla tutto l’anno e ti definisce come il miglior ciclista del mondo. Quindi ovviamente è un grande obiettivo per me da un paio d’anni. Mi impegnerò. E se non sarà quest’anno, ci riproverò nei prossimi».

A Roglic parrebbe affidato un ruolo da comprimario, ma è davvero così remissivo?
A Roglic parrebbe affidato un ruolo da comprimario, ma è davvero così remissivo?

Il precedente di Imola

La memoria va a quando Pogacar e Roglic si ritrovarono in nazionale a Imola 2020, appena dopo lo… scippo della maglia gialla da parte di Pogacar. Già allora ci si chiedeva come avrebbero convissuto, ora la curiosità esplode. Lavorerete insieme? Roglic ride e prova a sviare, poi risponde.

«Se si tratta di tattiche e cose del genere – dice – io non sono io il tipo giusto, chiedete al nostro tecnico. Penso a tutti gli scenari che possono accadere e a come reagiremo. Mi sono detto spesso che Tadej sta vincendo tutte le gare di un giorno, quindi è uno dei migliori. Io ne faccio solo un paio all’anno, forse neanche quelle, quindi è una bella sfida».

«Abbiamo una squadra davvero forte – si inserisce Pogacar – grandi nomi e grande squadra. Direi una delle migliori al mondo di sempre. Abbiamo due carte molto forti, forse anche tre, da giocare nel finale. Quindi penso che siamo avvantaggiati in questo, ma dobbiamo comunque stare attenti e correre in modo intelligente».

Pogacar e Roglic in gara a Imola 2020, poche settimane dopo il Tour soffiato da Tadej a Roglic
Pogacar e Roglic in gara a Imola 2020, poche settimane dopo il Tour soffiato da Tadej a Roglic

A proposito di Van der Poel

Di nuovo per Pogacar, che ha ascoltato con attenzione le parole del primo mentore. Parla un collega olandese e gli chiede se a suo avviso Van der Poel potrà difendere la maglia iridata.

«Mathieu è in buona forma – dice – e l’anno scorso ha conquistato la maglia iridata molto bene e altrettanto bene l’ha vestita. Ha ottenuto vittorie davvero incredibili, ma domenica è un’altra gara in cui dovrà difendere il titolo. E’ un po’ più dura per lui, c’è un po’ più di salita. Ho sentito da qualche parte che ha perso un chilo e mezzo, forse è stato bravo a prepararsi solo per questa corsa. Vedremo come andrà, non possiamo escluderlo. Lo teniamo sicuramente a mente per il finale, può essere pericoloso se si sveglia in una buona giornata.

«Ci sono molte salite – prosegue – nessuna davvero lunga. Ma anche dopo la salita, non c’è una discesa dritta, quindi non c’è molto tempo per recuperare. Immagino tanti scenari diversi e fra questi mi viene da dire che c’è tanto spazio per attacchi a lungo raggio o per rendere la gara più dura. E’ davvero difficile dire quale salita farà la differenza, ma penso che la differenza sarà nei chilometri finali».

Hirschi lascia la UAE Emirates: un eventuale successo porterebbe la maglia iridata alla Tudor Pro Cycling
Hirschi lascia la UAE Emirates: un eventuale successo porterebbe la maglia iridata alla Tudor Pro Cycling

A proposito di Hirschi

I discorsi vanno avanti. Gli chiedono come se la caverebbe in un finale allo sprint e lui risponde che non immagina un grande gruppo. E in ogni caso aggiunge che lo sprint dopo 270 chilometri è qualcosa di completamente diverso rispetto ad altre situazioni. Piuttosto, fra i rivali da tenere d’occhio, Tadej ha già inserito da tempo Marc Hirschi, che alla fine dell’anno lascerà la AUE Emirates, per approdare alla Tudor Pro Cycling. Poi l’attenzione approda ai piedi di Roglic, cercando di capire come si senta.

«Ora mi sento bene – risponde – vedere come mi sentirò dopo i 250 chilometri è sicuramente un’altra questione. Alla fine in questa settimana ho fatto quello che potevo, per cercare di prepararmi bene».

Pogacar applica l’adesivo della sua fondazione sulla nuova Colnago appena presentata
Pogacar attacca l’adesivo della sua fondazione sulla nuova Colnago appena presentata

Forchettata a Evenepoel

La chiusura, prima che Pogacar si trattenga per raccontare la bicicletta con cui correrà il mondiale, lo porta a parlare di Remco Evenepoel. A ben pensarci, è la prima volta che i due si sfidano nella corsa di un giorno, dopo la caduta di Pogacar alla Liegi di due anni fa e quella di Remco ai Paesi Baschi del 2024.

«Remco sembra super bravo nella crono – spiega Pogacar – ha gestito bene anche la pressione dopo il salto della catena sulla linea di partenza. Da quello che ho letto, non aveva il misuratore di potenza, quindi immagino che si sia preparato davvero bene, soprattutto per la cronometro. E’ la disciplina in cui brilla di più ma penso che domenica sarà un gioco diverso».

Nella pioggia di Zurigo risplende l’arcobaleno di Finn

26.09.2024
5 min
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ZURIGO (Svizzera) – Gli ultimi mille metri di Lorenzo Mark Finn sono un tuffo al cuore. Lui se la prende con calma, gli avversari sono andati, naufragati sotto la pioggia e i colpi di pedale del ligure silenzioso e determinato. Le mani vanno al casco, poi si gira e cerca l’ammiraglia dove c’è Dino Salvoldi, il cittì che ha guidato la nazionale juniores al titolo iridato. Dietro Finn il vuoto. Il secondo, l’inglese Sebastian Grindley, arriva con più di due minuti di ritardo, il gruppetto che si gioca l’ultimo gradino del podio è oltre i tre minuti. E’ stato il più forte Lorenzo Finn, ha gestito la corsa in maniera perfetta, dimostrando una maturità incredibile per chi non è abituato a vederlo in azione. 

Uno a uno

La maglia azzurra, anzi la giacca primaverile visto il freddo e la pioggia presi oggi dai ragazzi, si staglia sul fondale del palco sul quale avvengono le premiazioni. L’inno di Mameli suona, appena l’ultima nota smette di vibrare nell’aria di Zurigo il boato dello staff sotto al podio arriva fino nella mixed zone. Finn ha un sorriso appena accennnato sul suo volto giovane, chi lo ha visto spesso sa che non si lascia andare a grandi emozioni. Queste, invece, le abbiamo provate noi, quando lo abbiamo visto scollarsi di ruota tutti gli avversari. L’ultimo a resistergli è stato lo spagnolo Hector Alvarez, ma un’accelerazione di Finn è bastata per lasciarselo alle spalle. 

Arriva nella zona mista, passo lento, accompagnato da Christian Schrot, il suo team manager alla Grenke Auto Eder, e da tutto lo staff azzurro. Arriva davanti a noi e quella maglia splende, così come la medaglia che gli pende dal collo

«Non so come descrivere la sensazione di indossare questa maglia – dice Finn – però tra qualche ora magari lo realizzerò. Devo dire che ho avuto delle sensazioni veramente buone tutto il giorno». 

Tutto misurato

Prima della partenza, al bus Vittoria che ospita gli azzurri in questa rassegna iridata, Finn ha chiesto di cambiare la pressione degli pneumatici. 4,3 bar al posteriore e 4 all’anteriore, vista l’acqua caduta e l’asfalto viscido meglio fare qualche accorgimento. Scende le scalette per ultimo, si guarda intorno, va alla bici e con cura monta il ciclocomputer. Tante azioni mirate, precise e calme. Prima di partire parla ancora con Salvoldi, si scambiano le ultime battute. Monta in bici e si dirige alla partenza. La gara esplode subito, i danesi sono indemoniati e fanno un ritmo pauroso. Una caduta lascia il gruppo decimato, si arriva sul circuito finale con una media, nella prima ora, di 46 chilometri orari. 

Scatti e controscatti, allunghi, Philipsen è inferocito e si muove in tutte le direzioni. Ad un certo punto però è Finn a partire tutto solo, ma di chilometri all’arrivo ne mancano tanti.

«Il piano iniziale – spiega – non era andare da solo a 70 dall’arrivo però è successo. Eravamo tutti in fila indiana dopo la discesa e io ero davanti, quindi era un buon momento per attaccare, però sì, nessuno mi ha seguito. Ho pensato che un attacco avrebbe potuto fare male, di sicuro avrebbero fatto una bella fatica per rientrare. Anche una volta davanti mi sono gestito, non sono andato mai fuorigiri. Poi sono rientrati Philipsen e gli altri. In quel momento ho realizzato che mi sarei potuto giocare una medaglia. Ho contato quelli rimasti, erano quelli che mi sarei aspettato di trovare a quel punto. Tutti tranne Seixas

Mezz’ora da solo

L’ultimo passaggio sul traguardo avviene ai 27 chilometri dall’arrivo, con quattro corridori al comando: Philipsen, Alvarez, Grindley e il nostro Finn. Un veloce slalom nelle curve di Zurigo e si punta alla salita di Witikon. Nel risciacquo che porta a quei 1.400 metri Philipsen scivola e davanti rimangono in due: Alvarez e Finn. Lo spagnolo resiste pochi metri e poi diventa una lunga cavalcata fino all’arrivo: 20 chilometri. 

«Philipsen – spiega il neo campione del mondo juniores – è caduto nel tratto in discesa. Ero davanti io e lui in una curva è scivolato, probabilmente ha pinzato troppo con il freno anteriore. Spero stia bene. Ho guardato negli occhi Alvarez, ho parlato con lui ma avevo già visto sulle salite precedenti che non riusciva a stare al mio passo. Ho dato un’accelerazione e si è staccato subito. Quei 20 chilometri da solo sono volati e mi sono divertito, nonostante la tanta pioggia». 

Mille metri, mille pensieri

Quando Lorenzo Finn ha visto il triangolo rosso si è rialzato, ha messo le braccia sulla parte alta del manubrio e si è goduto ogni centimetro. Cosa passa nella testa di un ragazzo di 18 anni quando realizza di essere a soli mille metri dalla maglia iridata?  

«E’ stato un chilometro un po’ surreale devo dire – conclude Finn – però sì me lo sono goduto. Mi sono tornati in mente tutti i sacrifici fatti durante la stagione e i momenti difficili. Quando mi sono rotto la clavicola ad aprile, il secondo posto al Giro della Lunigiana di qualche settimana fa… Ora sono pronto per il futuro, non posso dire cosa farò. Ci sarà il tempo di farlo».

Presentata a Zurigo la nuova BMC Teammachine R: un capolavoro

26.09.2024
9 min
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ZURIGO (Svizzera) – Il truck del Tudor Pro Cycling Team è il riparo perfetto dalla pioggia. Siamo qui per la presentazione della nuova BMC Teammachine R Mpc. La sigla identifica la tecnologia Mpc, acronimo di Masterpiece. Sugli sgabelli per presentarla, il padrone di casa Fabian Cancellara, ma anche Stefan Christ, responsabile del reparto Ricerca e Sviluppo. E’ una sorta di talk, in cui si gira intorno alla bicicletta e alla filosofia che l’ha creata.

Quattro punti chiave

«Penso che in sostanza – dice Stefan – siano quattro le cose che rendono MPC molto speciale. La prima è la precisione del layup e questa è davvero la chiave. Essere precisi al 100 per cento con ogni patch in fibra di carbonio che inserisci. Questo ci consente di dare a ogni porzione di fibra una funzione in modo che possa davvero sopportare il carico. E questo è il motivo principale per cui il telaio può essere effettivamente più leggero.

Stefam Christ è responsabile della ricerca e lo sviluppo di BMC
Stefam Christ è responsabile della ricerca e lo sviluppo di BMC

«La seconda cosa, che in qualche modo dimentichiamo sempre ma è ancora molto speciale, è che con la tecnologia Mpc abbiamo degli strumenti che ci consentono di produrre l’intero telaio in un unico pezzo. Non ci sono incollaggi, non c’è nessuna congiunzione sul telaio. E questo, ancora una volta, ci consente di risparmiare peso.

«La terza cosa è che possiamo saltare tutti i passaggi di finitura – prosegue Stefan – che si tratti di levigatura o verniciatura. Quello che vedete qui è il prodotto, come esce dallo stampo. Quindi non c’è bisogno di alcun trucco, perché non dobbiamo truccare nulla. E naturalmente, non dover applicare la finitura fa anche risparmiare peso.

«Infine la quarta cosa è che questo telaio viene prodotto in un posto abbastanza vicino alla Svizzera e per questo torniamo al nome Masterpiece. Per realizzare un telaio del genere, servono persone con un know-how e un set di competenze molto specifici, persino la loro manualità. In ogni fase di lavoro ci sforziamo di raggiungere la perfezione e questo non sarebbe possibile in un contesto di produzione di massa. Il telaio è realizzato in un posto dove la mentalità è molto vicina alla nostra. Intendo dire: persone che conoscono la Svizzera e ciò per cui la Svizzera è famosa».

Zero vernice

La bici è nera e priva di verniciatura e fa bella mostra di sé. Siamo riusciti a guardarla da vicino e fotografarla in attesa che arrivasse Cancellara, che ha avuto il privilegio di svilupparla con i tecnici di BMC. Solo che poi ha dovuto restituire tutti i campioni e nel dirlo ride disperato. Si capisce che Fabian e la sua squadra siano diventati partner privilegiati dello sviluppo dei nuovi prodotti.

«Viviamo insieme – dice Fabian – collaboriamo e non perdiamo tempo in stupidaggini. Andiamo davvero avanti e osiamo quando siamo in corsa. Penso che sul fronte della performance ci impegniamo e ci sosteniamo a vicenda. Nella famiglia BMC ci sono brave persone, che ci sostengono e che si sfidano a vicenda e poi trovano la strada giusta per permetterci di vincere le gare di ciclismo. BMC è sinonimo di performance e penso che Masterpiece sia il punto in cui prestazioni, ingegneria e produzione si fondono nel migliore dei modi. Utilizzano un metodo di produzione davvero unico, che permette di aumentare le prestazioni a livelli davvero estremi.

Prima della presentazione, Cancellara ha osservato a lungo la bici
Prima della presentazione, Cancellara ha osservato a lungo la bici

«Ovviamente quando l’ho provata, ho sentito delle differenze, anche ora che ho un po’ più di chili addosso. Ma credo che alla fine la sensibilità sia ancora lì e credo di averla ancora. Per questo, quando mi chiamano e mi chiedono se avrei voglia di provare una bici, rispondo sempre di sì. Perché mi piace e mi entusiasma. Naturalmente dare dei feedback è una responsabilità».

Quattro giorni di lavoro

Stefan riprende la parola. Le domande si susseguono e questa volta la curiosità di chi conduce l’incontro verte sulle tecniche di produzione che fanno di questa bicicletta, realizzata in collaborazione con Red Bull Advanced Technologies, qualcosa di raro. Sarà prodotta in poche centinaia all’anno, perché ogni cosa che la riguardi richiede tempi più lunghi.

«Nel complesso – dice – abbiamo visto l’opportunità di creare qualcosa di eccezionale. Siamo stati in grado di eliminare i vincoli che si hanno nella normale produzione del carbonio. Il fatto di non guardare alla produzione di massa, ma di concentrarsi sulla perfezione, ha rappresentato un grande passo e un nuovo punto di partenza. Siamo stati in grado di fare cose molto diverse perché sapevamo che non ne avremmo fatte molte, ma ognuna di esse doveva essere perfetta. 

«Per darvi un’idea, produrre un telaio così comporta circa due giorni di lavoro di un solo operaio. In questi due giorni, uno intero viene dedicato solo a mettere le fibre al posto giusto. Nella produzione tradizionale, questo avviene in circa quattro o sei ore e viene fatto da più mani diverse. Quindi il lavoro viene suddiviso tra diversi operatori. Inoltre nella produzione standard, si dedica molto tempo per realizzare la finitura e rendere il telaio un prodotto gradevole. Naturalmente qui è un po’ diverso».

Rigidità, peso, comfort, aerodinamica

E allora Christ va avanti a dire che in BMC dedicano più tempo all’accuratezza e alla precisione della stratificazione del carbonio, risparmiando così molto tempo nella finitura. E poi si passa agli obiettivi di questa realizzazione, che deve conciliare più esigenze in una sola bici.

«La sfida – spiega Stefan Christ – è quella di realizzare una bicicletta che abbia un alto punteggio in tutti tipi di prestazione. Intendo rigidità, peso, comfort e aerodinamica. Quattro aspetti che in qualche modo sono in lotta tra loro perché non è facile combinarle. Credo che tutti sappiamo quanto sia facile realizzare una bicicletta superleggera, scendendo a compromessi altrove. Idem se si vuole realizzare una bicicletta molto aerodinamica, ma con un peso di 7,5 chili. Noi abbiamo cercato di ottenere un punteggio altissimo in tutte le prestazioni. Ci sono voluti molti dati di simulazione per combinare leggerezza e aerodinamica. Penso che sia questo il punto in cui abbiamo fatto il più grande passo avanti.

«La rigidità invece è qualcosa che nel ciclismo professionistico tutti vogliono per il trasferimento di potenza e per la precisione di guida. Essa è sempre stata parte integrante della ricetta delle nostre bici da corsa, su questo non scendiamo mai a compromessi. La vera sfida è stata l’ottimizzazione fra leggerezza e aerodinamica, che abbiamo raggiunto grazie a molte simulazioni. Quindi direi che Teammachine R si distingue davvero dalla massa ed è eccellente su ogni terreno». 

La presentazione si è svolta sul truck del Tudor Pro Cycling Team
La presentazione si è svolta sul truck del Tudor Pro Cycling Team

Il limite è nel peso

Cancellara racconta le sue sensazioni sui vari prototipi provati. Dice che non si stupirebbe se i suoi corridori un giorno dovessero chiedergliela e viene da immaginare che per un Alaphilippe o lo stesso Hirschi una bici del genere potrebbe essere lo zuccherino che stimola l’ambizione. La bici arriva facilmente a 6,8 chili e lo svizzero sottolinea che i limiti di peso e la bontà delle bici già in loro possesso fa sì che i corridori debbano solo preoccuparsi di andare forte. L’incontro volge al termine, quella bici è bellissima e ci resta addosso solo la voglia di provarla. E’ disponibile presso i rivenditori proprio da settembre e il prezzo del kit telaio è di 8.999 euro. Fuori continua a piovere. La gara degli juniores nel frattempo è entrata nel vivo.

Il mondiale di Silo: orgoglio, forza e tanto carattere

26.09.2024
5 min
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ZURIGO (Svizzera) – La gara di Giada Silo termina dopo il traguardo, nonostante i crampi che le hanno bloccato entrambe le gambe a 100 metri dalla linea d’arrivo e l’hanno fatta cadere rovinosamente. E’ testarda la ragazzina della Breganze Millenium, al primo anno nella categoria juniores e protagonista di una corsa da prima della classe. Dopo qualche minuto si rialza, parla con lo staff a bordo strada e lentamente riparte. Alla fine l’ordine di arrivo recita un 58° posto a 7 minuti e 25 secondi dalla vincitrice Cat Ferguson. Ma la prestazione di Giada Silo non si racchiude nei numeri, bensì nella forza e nella volontà di dare quel qualcosa in più.

Il podio di Zurigo: oro per Cat Ferguson, argento e bronzo a Paula Ostiz e Viktória Chladonová
Il podio di Zurigo: oro per Cat Ferguson, argento e bronzo a Paula Ostiz e Viktória Chladonová

Il dispiacere del cittì

Il podio iridato si delinea a una ventina di chilometri dal traguardo, a pochi metri dallo scollinamento della salita di Witikon, sul circuito finale. Giada Silo era in coda a Cat Ferguson, Paula Ostiz e Viktória Chladonová. Uno sforzo enorme, iniziato quando la corsa era ancora lontana dal prendere una forma. Le inglesi hanno iniziato a modellare il gruppo a loro piacimento, con attacchi e contrattacchi. L’azzurra ha seguito, sempre, in ogni istante. Paolo Sangalli ne aveva parlato proprio con Giada al bus durante il riscaldamento. 

«Le ragazze – racconta dopo l’arrivo – hanno fatto quello che ci eravamo detti prima di partire, la gara è uscita esattamente come avevamo programmato. Noi c’eravamo, Giada Silo è primo anno, ha fatto una gara eccezionale, le sono mancati quei 30 secondi sulla salita. Però ci sta per una ragazza alle prime esperienze, quindi sono davvero contento. Quello che più mi spiace è il mancato piazzamento, avrebbe fatto come minimo sesta. Era lì e si stava giocando tutto il volata, lo avrebbe meritato. Ma la cosa importante è che non si sia fatta male».

Un soffio

Racchiudere questa corsa nei numeri sarebbe un peccato e una mancanza di rispetto per la fatica e l’impegno messo dalle ragazze di Sangalli. Tutte hanno fatto la loro parte, si sono prese carico dell’andamento della gara facendosi trovare nel posto giusto al momento giusto. 

«Non solo Silo meritava il piazzamento – continua – ma tutta la squadra. Hanno corso davvero bene, sono state dei colossi. La Ferguson la conosciamo, ha già vinto con le elite, sono state brave a non aver timore. Dico che se lo sarebbero meritate tutte perché l’impegno è stato impareggiabile, ma le corse sono così. E’ successa una cosa che a memoria non ricordo, quindi prendiamo davvero il positivo perché hanno fatto una gran gara, muovendosi da squadra. L’obiettivo è quello di correre come le grandi, come le nostre elite e loro l’hanno fatto. Queste ragazze sono qua chiaramente per cercare il risultato massimo, ma anche per crescere. Il ciclismo non finisce nella categoria juniores ma inizia. E’ un’esperienza che servirà quando passeranno prima under e poi elite».

L’orgoglio della Silo

Giada Silo scende dal pullman azzurro ancora con le lacrime che le rigano il viso e le riempiono gli occhi. Non è facile digerire una delusione del genere, ma appena si siede per parlare con noi ritrova il respiro e la forza di raccontare quanto fatto. I complimenti si sprecano, d’altronde la prestazione ha davvero lasciato un piacevole ricordo. 

«Partiamo dal bello – ci dice – per me è stata una bellissima esperienza. Non pensavo di prendere le ruote di una ragazza più forte (il riferimento è a Cat Ferguson, ndr) e sono abbastanza sorpresa su me stessa. Però purtroppo è successo quello che è successo ed è andata così. Negli ultimi due chilometri c’eravamo io e la francese Gery che continuavamo a controllarci per la quinta posizione. Appena è partita mi sono alzata sui pedali, ma in quel momento mi sono venuti dei crampi a tutte le gambe che si sono bloccate. E’ per quello che sono caduta».

La delusione e le lacrime continuano anche al bus
La delusione e le lacrime continuano anche al bus

La conferma

Quello che esce poi è l’orgoglio e la consapevolezza di avere le qualità giuste per indirizzare la crescita verso grandi obiettivi. Oggi si è persa una corsa, per quanto dolorosa, ma come detto dal cittì Sangalli il cammino inizia ora. Quei trenta secondi mancanti sono il punto da cui partire.

«La gara era sulla Ferguson – conclude Silo – all’inizio sono riuscita a starle dietro. Verso l’ultima salita, quella più lunga, ho cominciato ad accusare dei crampi e non sono riuscita a tenere il suo ritmo fino in cima. In quei pochi metri ho capito che la Ferguson comunque non è un passo oltre, ma tre in più di me. Devo farne strada per arrivare ai suoi livelli, però sono soddisfatta, ho capito che il mio nome c’è e posso fare bene».

Giada Silo sale sul van della nazionale, direzione casa. In valigia metterà la delusione e il rammarico, ma sappiamo che li lascerà in fondo, sopra c’è spazio per l’orgoglio e la voglia di rifarsi.