TERRE DI LUNI – La nostra presenza alla 48ª edizione del Giro della Lunigiana ci ha permesso di vedere ancor più da vicino e per più giorni il mondo degli juniores (in apertura foto Duz Image / Michele Bertoloni). Da tanto tempo questo spiraglio di ciclismo ha acquisito un’importanza sempre maggiore, diventando, a tutti gli effetti, la categoria di riferimento. Da qui i team, WorldTour e non, prendono i migliori ragazzi con l’intento di farli crescere attraverso i loro vivai. Succede però che il meccanismo porta alla ricerca costante dell’oro e, come succede con il nobile metallo, il rischio è quello di scavare sempre più a fondo.
Tutto subito
Sono nati così dei team satellite o development anche tra gli juniores. La Bahrain Victorious ha il Cannibal Team, la Bora ha la Grenke Auto Eder e la Decathlon ha il team U19 dal quale ha tirato fuori gli ultimi due vincitori del Lunigiana: Bisiaux e Seixas.
Alla presentazione delle squadre a Lerici, in occasione dell’inizio del Giro della Lunigiana, lo aveva sottolineato Dmitri Konychev. L’ex campione russo ha ricordato quanti ragazzi a 14 anni sembrano dover spaccare il mondo per poi fermarsi alla prima difficoltà. Con lui sul palco c’era anche Stefano Garzelli, che in Spagna ha gestito un team juniores, per poi arrivare a chiuderlo a fine 2023.
«Per me si tratta di un movimento molto preoccupante – spiega Garzelli – perché i devo team andranno a prendere gli juniores migliori. E ora si tratta di avere 8 ragazzi, magari in futuro arriveranno a 10 e 12. L’ambizione di un ragazzino è di andare a correre lì perché pensa di essere già arrivato, pensa di essere già un campione, forse. Ma non tutti questi passeranno professionisti, magari ora sì perché i team sono pochi. Ma in futuro aumenteranno e le possibilità diventeranno sempre meno. Il rischio è che poi i ragazzi vedano come un fallimento il mancato passaggio trasformandolo in un “non sono bravo”. Saranno pronti a metabolizzare questo fatto? Credo di no, semplicemente smetteranno di correre».
Ricerca anticipata
Si fa presto a capire che la corsa è agli allievi, categoria che precede gli juniores. Ragazzini trattati come campioni o addirittura fenomeni, con bici e divise uguali a quelle del team professionistico. Una stretta cerchia di ragazzi che vivono come i grandi, ma che tali non sono. Vanno forte, lo si vede sulle strade, all’ultimo Giro della Lunigiana Lorenzo Finn e Paul Seixas hanno disintegrato ogni tempo di scalata degli anni precedenti. Ma sono pronti a vivere e subire delle pressioni che rischiano di farli arrivare stanchi del ciclismo a 18 anni?
«Ho parlato con un team manager di una squadra juniores – continua Garzelli – e già ragionava del 2026. Mi diceva che deve cercare tra gli allievi altrimenti rischia di non fare più la squadra. Se il meccanismo è questo, tra un po’ andremo a prendere gli esordienti. Il rischio è che tra 7-8 anni non avremo più una base, ma se non hai niente sotto come fai a costruire sopra?».
Accecare i ragazzi
Il problema è che un meccanismo simile porta i ragazzi a pensare che la realtà delle cose sia diversa. Uno junior vuole a tutti i costi entrare in un devo team altrimenti pensa di aver fallito.
«In Spagna – prosegue Garzelli – in gruppo i ragazzi dicono che ormai tra gli juniores o passi in una devo o sei finito. E’ la cosa più sbagliata del mondo. E il rischio è di distruggere tutte le squadre juniores nazionali, perché alcuni ragazzi preferiscono smettere piuttosto che continuare nelle squadre “normali”. Ma non tutti hanno gli stessi tempi di crescita e in una squadra più piccola ti lasciano il tempo di maturare. I talenti, Lorenzo Finn ad esempio, la strada la trovano comunque. Noi dobbiamo lavorare sui ragazzi che hanno numeri minori con un’attività dedicata per permettergli di crescere. Chi corre nella squadra satellite di una WorldTour ha tutto: preparatore, nutrizionista, mezzi migliori. Ma quali sono i suoi margini di crescita? Molto pochi o probabilmente nessuno. Se da junior mi alleno già 26 ore, da professionista quante ne devo fare, 40?».
Saper perdere
E’ voce di queste settimane che Jarno Widar, belga del Lotto Dstny Development Team, sia in rottura con la squadra dopo la delusione del Tour de l’Avenir. Il belga, al primo anno da under 23, ha vinto in ordine: Alpes Isere Tour, Giro Next Gen e Giro della Valle d’Aosta. Un bottino che difficilmente abbiamo visto raccogliere a un ragazzo di 18 anni al primo anno della categoria. Eppure lo scricchiolio del Tour de l’Avenir sembra aver rotto il quadro e la sua cornice. E’ vero che quando si vede la torta sul tavolo la voglia è di mangiarla tutta, ma bisogna anche sapersi accontentare e mangiarne qualche fetta.
«Se non hai margini di crescita – prosegue Garzelli – quando passi non ottieni più gli stessi risultati. Perché ora stai dando tutto e allora vai avanti, ma poi non avrai più niente da dare e il livello sarà talmente alto che per forza troverai gente che ha i tuoi stessi valori o maggiori. Per questo bisogna imparare a perdere, meglio, a gestire la non vittoria. Widar è un esempio, non ha saputo gestire la sconfitta dell’Avenir e al posto che rimboccarsi le maniche e ripartire, ha voltato le spalle alla squadra».
Mentalità vincente
I ragazzi che vediamo darsi battaglia sulle strade delle corse internazionali e non, stanno imparando a gestire la gara, a vincere, creandosi una mentalità improntata a questo. Ma cosa succede se una volta passati smettono di farlo?
«Gli atleti corrono e lo fanno con in testa la vittoria – conclude – ed è giusto che sia così. Però servono degli step. Uno junior che passa professionista e fa gruppetto per tutto il primo anno e magari anche al secondo, rischia di perdere la mentalità vincente. Markel Beloki, figlio di Joseba, è passato dagli juniores alla EF Easy Post e per tutto il 2024 non ha mai visto la testa del gruppo. La capacità di gestire determinate situazioni in corsa la perdi dopo un po’. Invece se da junior vinco, poi passo under 23 e mi metto ancora in gioco e così via, mentalmente mi mantengo sul pezzo.
«La mia preoccupazione deriva dal fatto che l’Italia non ha squadre WorldTour. Questo vuol dire che il ragazzo forte va all’estero e che la squadra straniera tuteli i suoi talenti di casa. Rischiamo di perderli. Bisogna ricordare ai ragazzi che il loro bene passa anche da chi li tutela, non solo da chi fa promesse».