Le lacrime, il cuore, il sorriso e l’addio di Colbrelli

15.11.2022
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«E’ un momento molto importante – inizia Colbrelli – come avrete sentito e letto, sono qui per confermare il mio ritiro. Dopo tanti mesi a pensare e riflettere. Dopo aver parlato con la mia famiglia e vedere se valesse la pena continuare…».

La voce si strozza di colpo. Sonny guarda in alto. Il momento è arrivato, ma non è facile ammetterlo davanti alle tante persone accorse, almeno quanto lo è stato ammetterlo con se stesso. Giornalisti. Parenti. Addetti ai lavori. Una conferenza stampa a invito. E’ il pomeriggio del 15 novembre. L’anno scorso in questi stessi giorni, il bresciano era nella sede di Merida per celebrare la vittoria di Roubaix, oggi è in casa FSA per dire che è tutto finito.

Sonny raggiunge la scrivania alle 14,40. E’ rimasto a lungo in un ufficio a parlare con Cassani e altri amici, fra cui Luca Mazzanti
Sonny raggiunge la scrivania alle 14,40, dopo aver parlato a lungo con Cassani e altri amici, fra cui Luca Mazzanti

Salvataggio Cassani

Interviene Cassani, accanto a Sonny come amico più che come tecnico. E Davide prende il microfono, sollevando Sonny dal momento difficile. Racconta delle avventure in azzurro. Ripete le parole che in questi mesi tanti gli hanno sentito ripetere, quasi a scacciare anche lui la malinconia e lanciare un salvagente di speranza all’uomo seduto accanto a lui.

«Abbiamo fatto una chiacchierata – dice – prima di venire davanti a voi. Mi ha detto di non aver ancora metabolizzato quest’idea. Ha raggiunto tanto nella sua carriera e ora ha voluto questo incontro. Da tanto tempo non parlava. E’ una persona che ha seminato tanto e bene. E adesso – voltandosi verso Colbrelli – se hai finito di piangere, tocca di nuovo a te…».

La sala scoppia in una risata e un applauso. La commozione ha invaso i pensieri di tutti, ma questo non è il momento di deprimersi. Questo è il momento per guardare avanti. Le malinconie hanno già popolato e forse popoleranno ancora le sue notti. Avere un pensiero felice da coltivare sarà il balsamo migliore.

In prima fila i genitori di Sonny, la moglie Adelina e i figli, oltre al fratello Tomas. Subito dietro giornalisti e addetti ai lavori
In prima fila i genitori di Sonny, la moglie Adelina e i figli, oltre al fratello Tomas. Subito dietro giornalisti e addetti ai lavori

La chiamata con Eriksen

«Dopo quel 21 marzo – riprende Sonny rinfrancato – la mia vita è cambiata. Capisci quello che è successo e devi essere realista. Non tornerai mai più a fare la vita di prima. E’ stato difficile guardare le corse, ma il giorno dopo ero già col mio telefono a vedere Bauhaus che faceva secondo al Catalunya. La bici mi ha dato tanto e mi ha tolto tanto, ma ultimamente mi ha fatto capire che la vita è una sola.

«Non sono Van der Poel o Evenepoel, ci ho messo 32 anni per arrivare al mio livello migliore e sul più bello mi tocca smettere. Ho fatto tanti esami. Ho usato come riferimento Eriksen (il calciatore danese dell’Inter rianimato in campo durante la partita fra Danimarca e Finlandia agli europei 2020, ndr). Tramite alcuni amici, ho trovato il suo numero. Gli ho mandato un messaggio e mi ha chiesto se poteva richiamarmi dopo la doccia, perché aveva appena finito l’allenamento. Abbiamo parlato, ma ho capito che il ciclismo non è il calcio. E se mi succedesse di nuovo in una discesa, potrei farmi molto più male. Perciò smetto. Spero di dare ancora tanto al ciclismo. Ringrazio la squadra, che mi ha tranquillizzato per il futuro…».

Miholjevic, al tavolo con Marra, Colbrelli e Cassani, ha raccontato l’importanza di Sonny per il team
Miholjevic, al tavolo con Marra, Colbrelli e Cassani, ha raccontato l’importanza di Sonny per il team

L’abbraccio di Miholjevic

Accanto a lui c’è Miholjevic, il team manager del Team Bahrain Victorious. E’ un tipo tosto Vladimir, di poche parole. Più tosto adesso da manager che quando era corridore, eppure anche lui è commosso. Non è solo un momento di Colbrelli, in qualche modo è il momento della sua squadra.

«Abbiamo conosciuto Sonny – dice – quando arrivò dalla Bardiani. Era un ragazzo fortissimo, con un grande potenziale e lo stesso entusiasmo dei suoi bimbi qua davanti. Siamo riusciti a incanalare le sue forze e abbiamo fatto la gioia della nostra squadra e del ciclismo italiano, con la vittoria della Roubaix, la classica più bella. Il Catalunya è stato uno choc anche per noi. Anche noi che abbiamo smesso per età non abbiamo metabolizzato facilmente il fatto di non essere più corridori, per Sonny sarà ancora più dura».

Due anni con il team

«Abbiamo pensato di aver perso qualcosa – prosegue Miholjevic – invece ora pensiamo di aver in qualche modo guadagnato. Avreste dovuto vederlo nel bus, motivare la squadra con le sue parole spontanee. Per questo abbiamo prima sentito l’obbligo di stare accanto a lui e alla sua famiglia. Ora però sappiamo quale potenziale abbiamo in mano, con uno che ha vinto la corsa più importante per la squadra. Sonny scenderà con noi nella… miniera (sorride, ndr) che lavora dietro le quinte. Abbiamo 28 corridori e 68 persone. Diventerà una persona più completa. Nel frattempo i bambini crescerano e Tommaso (dice ridendo mentre indica il figlio di Sonny, ndr) comincerà a vincere le corse. Sarà con noi per altri due anni».

Dopo le lacrime delle prime parole, Colbrelli è parso commosso a tratti, ma sempre più consapevole
Dopo le lacrime delle prime parole, Colbrelli è parso commosso a tratti, ma sempre più consapevole

Il ciclismo dei giovani

Scorrono le immagini delle vittorie. Poi viene presentato il logo con il cobra e il nome Sonny Colbrelli, disegnato da Johnny Mole per una linea di 71 bici Merida volute da Sonny, perché 71 era il numero sulla maglia nella Roubaix vinta. Intervengono Claudio Marra, il padrone di casa, che gli consegna un premio. Interviene Dario Acquaroli, per Merida Italy. E intervengono anche due pezzi grossi di Merida Europe: il direttore del marketing Andreas Rottler e il general manager Wolfgang Renner. E Sonny, già più disteso parla del progetto e della sua idea di lavorare per il ciclismo dei bambini.

«Quando ero piccolo – dice – avevo una pista in cui pedalare al sicuro. Ora nella zona di Brescia vedo i bimbi nel parcheggio di un supermercato e mi mette tanta tristezza vederli in mezzo ai vetri. Vorrei fare qualcosa, non so quando. Dipende da quanto mi farà lavorare Miholjevic (ride a sua volta, ndr). Un impianto in cui possano provare tutte le specialità e poi semmai scegliere. I più giovani bisogna farli innamorare del ciclismo, non proporglielo come un’ossessione».

Claudio Marra ha premiato Colbrelli con una targa che vale anche come promessa di collaborazione futura
Claudio Marra ha premiato Colbrelli con una targa che vale anche come promessa di collaborazione futura

I pensieri pericolosi

Poi prende una pausa di silenzio. Di colpo Colbrelli torna Sonny, il ragazzo che sognava di diventare campione sulla sua bicicletta e di colpo vengono avanti i fantasmi delle prime notti.

«Ho pensato di togliermi il defibrillatore – dice davanti a tutti e poi approfondirà a quattr’occhi – fare due anni al top e poi di rimetterlo. L’ho pensato subito, quando ho scoperto che è removibile. In bici senti magari di poter fare quello che facevi prima, ma poi hai paura di spingerti al massimo. E allora penso che comunque non sarei più il Sonny di una volta. Hai paura, non vai allo sfinimento. Non doveva succedere quel giorno, non era il mio turno. Sono stato fortunato. Di 10 persone che hanno avuto un arresto cardiaco come quello, 8 non sono qui a parlarne. Bisogna essere forti e intraprendere una cuova carriera.

«Ho capito di non essere più un corridore quando è arrivata la mail con l’organico della squadra e il mio nome non era più nella lista. Ma se ho fatto un cambio di marcia lo devo a Paola, la mia mental coach. Mi ha fatto capire quanto valgo e che sono più forte di quanto pensassi. Ho capito che posso fare cose importanti anche non essendo più un corridore. Ora la vedo così, magari domani mi chiudo nei miei silenzi. Non è facile. Potrebbe esserci il rimpianto del Fiandre e di non aver fatto sempre la vita che ho imparato negli ultimi tempi, ma non è questo il tempo dei rimpianti».

Notevole l’afflusso dei media. La decisione di Colbrelli era già nota, ma quasi tutti hanno voluto essere presenti per raccontarlo
Notevole l’afflusso dei media. La decisione di Colbrelli era già nota, ma quasi tutti hanno voluto essere presenti per raccontarlo

Il futuro è già una vittoria

Il futuro è con la squadra e con i suoi sponsor. Con i giovani da osservare e i materiali da provare. Poi forse il futuro passerà attraverso una tessera da direttore sportivo. Zero elucubrazioni su soluzioni ardite per aggirare il divieto di correre. Ancora una volta Sonny è l’uomo maturo che nel 2021 ha fatto sognare l’Italia del ciclismo.

«Non ero solo un corridore – sorride – come ha detto Miholjevic. Mi mancheranno i miei compagni e il mio posto sul bus. Con Caruso ci sentiamo sempre. Mi ha detto: “Sonny, sono con te”. Ci facciamo delle grandi risate. Mi mancherà anche il diesse che la sera porta il numero da attaccare sulla maglia. Non mi mancheranno quelle giornate di fatica a 40 gradi a chiedersi chi me l’ha fatto fare. Però adesso che lo dico, invece mi mancano. Bisogna pensare al bello…».

Immancabile la foto con la bici, Merida Reacto, che lo ha condotto alla conquista della Roubaix
Immancabile la foto con la bici, Merida Reacto, che lo ha condotto alla conquista della Roubaix

I figli che crescono

«Ora vado in bici per divertirmi, mentre prima avevo l’assillo dei lavori e del peso. Ora la sosta al bar è prolungata. Mi godo la bici come mi diceva tanta gente, che per loro è il modo di scaricarsi la mente dopo giornate impegnative. E’ così davvero. Prima cominciavo la giornata dicendo: “Sonny, alzati, vestiti e vai ad allenarti”. Ora mi alzo e mi dico: “Sonny, alzati, vestiti e prepara la colazione ai bambini”. Parto subito con quattro caffè, ma è una cosa bella, perché noi corridori vediamo i figli crescere nel telefono.

«E per il resto – conclude – ho davanti tutta la vita e tanti progetti. L’importante è che sono qui e che non tutti possono dire che la loro ultima vittoria è stata una Roubaix. Ma vi dico subito che c’è già il mio erede. Si chiama Jonathan Milan, abbiamo visto tutti di che pasta è fatto. E magari avermi accanto lassù lo aiuterà a crescere un po’ più in fretta».

Dopo la conferenza stampa, Colbrelli ha concesso qualche minuto ai giornalisti presenti. Qui con bici.PRO
Dopo la conferenza stampa, Colbrelli ha concesso qualche minuto ai giornalisti presenti. Qui con bici.PRO

Sorride. Si alza. Si presta ad altre interviste. Sky va in diretta. Ci sono Rai e Mediaset. Ci sono Eurosport e la Gazzetta. C’è la sala stampa degna di un grande campione. C’è soprattutto il senso consapevole di una seconda occasione. E davanti alla vita, tutto il resto si ferma. Buona vita, Sonny. Ci vediamo alle corse.

Da un Miholjevic all’altro, la storia di Fran e suo padre Vladimir

04.05.2022
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Fran Miholjevic ha vinto la Carpathian Couriers Race, terzo successo di stagione dopo la tappa al Giro di Sicilia e il GP Vipava Valley di febbraio. Di lui si sa che indossa per il secondo anno la maglia del Cycling Team Friuli e che suo padre Vladimir è il team manager della Bahrain Victorious.

Finora vi abbiamo raccontato di Marta Cavalli attraverso gli occhi del padre Alberto. Ci siamo emozionati per l’esultanza di Elisa Balsamo e suo padre Sergio sul traguardo di Wevelgem. E giusto domenica abbiamo conosciuto Marco Fortunato, che continua a lavorare con i bambini alle porte di Bologna, mentre Lorenzo si prepara per il Giro. Ma cosa succede quando tuo padre è uno dell’ambiente e per giunta anche importante?

Ciclismo, no grazie

Lo abbiamo chiesto a Miholjevic senior, 48 anni, professionista dal 1997 al 2012 con 11 stagioni in squadre italiane: Alessio, Liquigas, Acqua & Sapone. Lo abbiamo pregato di parlare da padre e non da addetto ai lavori. Almeno finché è stato possibile tenere separati gli ambiti.

«Quando correvo – sorride – i bambini non volevano vedere le corse in televisione. Le odiavano. Così mia moglie le guardava da sola. Quando ho smesso, sono tornato a studiare Legge. Mi mancavano 10 esami. E intanto, una squadra di triathlon di Fiume, la mia città, mi chiamò per chiedermi di seguire i loro allenamenti. Ne parlai con mia moglie. Le dissi che senza un obbligo, non ce l’avrei fatta a risalire in bici. Così cominciai. E mentre mi stavo preparando per il primo allenamento, Fran mi chiese se poteva venire con me. Era il 2014, aveva 12 anni e una mountain bike di 20 chili che gli avevamo comprato qualche anno prima per la promozione».

Come andò a finire?

Erano ragazzi di 15 anni, quindi tre più di lui. Però Fran andava. Abbiamo la fortuna di vivere fuori città, vicino al bosco. Ancora oggi, ma a quel tempo di più, i bambini giocano in strada e lui era forte. Così tenne il ritmo.

L’orgoglio di papà?

Lo osservavo e credevo che gli sarebbe passata la voglia. In famiglia eravamo un po’ stufi dello sport, non vedevo i miei figli fare agonismo. Però, visto che mi chiese di riprovarci, gli diedi la Cannondale che la Liquigas ci aveva lasciato dopo la vittoria al Giro del 2007. Era una 56, lui ancora aveva bisogno di una 52. Però ci salì sopra e staccò tutti. Fu allora che pensai: «Forse qualcosa c’è!». Così chiamai l’Acqua & Sapone, che nel frattempo aveva chiuso, ma aveva ancora delle bici in magazzino. Chiesi se ne avessero una della sua taglia e mi mandarono quella di Betancur. E piano piano, si cominciò a capire che c’era del talento.

Al Trofeo Ucka del 2019, primo di categoria. Eccolo con padre, madre e sorella minore (foto Novi List)
Al Trofeo Ucka del 2019, primo di categoria. Eccolo con padre, madre e sorella minore (foto Novi List)
In che modo?

Lo portai a una gran fondo e la vinse. Poi si è iscritto al club dove avevo cominciato anche io. E da junior è andato alla Adria Mobil, che ai miei tempi si chiamava KRKA Telekom. Purtroppo anche lui è incappato nel lockdown. Nel 2020 aveva 18 anni, secondo anno junior. E come tutti i ragazzi della sua età ha perso la possibilità di dimostrare il suo valore. Mi faceva quasi compassione nel vedere quanta energia mettesse negli allenamenti senza poter correre. Il quarto posto agli europei di Plouay fu una grossa soddisfazione.

In che modo lo hai seguito?

Ho cercato di fargli capire le specifiche dello sport. Lo guardavo e cercavo di trasferire a lui la mia esperienza. Io non ero veloce, ma spesso riuscivo a fare selezione in salita e vincevo perché ero meno morto degli altri. Fran è sempre stato un bambino più intelligente di me. Io al confronto ero un… caprone forte. Mi chiedevo: a cosa mi serve l’astuzia, se li posso staccare tutti? E se poi rientravano e mi battevano in volata, ero contento lo stesso, perché comunque in salita ero stato più forte. Fran è più furbo. E’ veloce e va bene a crono.

Sei sempre stato presente?

Avere da junior il padre che sa di bici è un vantaggio. Da under 23 diventa un peso e così ho cercato di stare lontano. Ho chiamato per lui un agente, Mattia Galli, perché potesse seguirlo con una minima influenza da parte mia. Era strano che andassi a parlare io con le squadre. Sono venute offerte dalla Leopard in Lussemburgo. So che parlavano con la FDJ. Finché un giorno, ragionando con Pellizotti, il discorso è finito sui tanti corridori che venivano dal Cycling Team Friuli.

Dal 2021, Fran Miholjevic indossa la maglia del Cycling Team Friuli (foto Scanferla)
Dal 2021, Fran Miholjevic indossa la maglia del Cycling Team Friuli (foto Scanferla)
Non li conoscevi?

Li vedevo, ma non avevo mai approfondito. Parlando, ci siamo resi conto che vincevano, ma soprattutto avevano una buona riuscita nel professionismo. Ragazzi come De Marchi, Fabbro e Aleotti erano un bel biglietto da visita. “Pelli” diceva che lavorano bene, insistendo sull’educazione, senza pressioni, facendoli crescere. Così andai a parlare con Bressan.

Insomma, alla fine hai ceduto e ti sei fatto avanti tu…

Gli dissi di valutarlo come corridore (sorride, ndr), non come il figlio di Miholjevic. Se lo riteneva all’altezza, se ne poteva parlare. Roberto aveva già la lista piena, per non lasciare indietro i ragazzi che durante il Covid non si erano espressi, ma alla fine decise di dargli una possibilità. Così Fran ha iniziato a lavorare con Andrea Fusaz, ma anche con Alessio Mattiussi e Fabio Baronti. E poi ha trovato in Renzo Boscolo un diesse con grande visione di corsa e capacità di comunicazione. Se ci sono problemi, si chiariscono subito. Sanno dare anche delle sberle, ma in modo pedagogicamente giusto. Da padre, sono proprio contento.

Anche da manager, visto che nel frattempo è iniziata la collaborazione fra Bahrain e CTF…

Vero. Siamo sulla via giusta per farlo in modo davvero costruttivo. Costruire una continental richiede tanto entusiasmo e tanta energia, che poi viene ripagata quando i corridori li vedi crescere e vanno via. Abbiamo imparato reciprocamente. I nostri hanno visto la fame di arrivare dei ragazzi e anche a loro è scattata la molla di dimostrare quanto valgono. E tutti onorando gli stessi sponsor tecnici.

Che corridore può diventare Fran?

Non è uno scalatore puro, né un velocista. E’ alto 1,90 e pesa 72 chili. E anche se con questi numeri qualcuno ha vinto i Giri, sono tanti chili da portare. Ha le abilità per le corse di un giorno, ma non ha provato quelle del Belgio, perché la nazionale croata juniores non ha i numeri per certe trasferte. Per questo il prossimo anno con il CTF vorremmo fare le gare più importanti del Belgio. Vogliamo internazionalizzare la squadra. La base sarà italiana, la sua forza. Ma abbiamo tante richieste da U23 e juniores che vogliono venire al Bahrain passando per il CT Friuli. Ed è davvero una grande conferma del buon lavoro.

Vacanze di famiglia: con Vladimir e Fran, la mamma Irena e le sorelle Tara e Lana
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Fran vive a casa o sta più spesso in ritiro?

La sede del team è a 135 chilometri da casa, per cui sta spesso a Fiume dove ci sono percorsi ottimi per allenarsi. Però si ferma volentieri anche in ritiro. Là c’è Stockwell, un bel corridore. Vanno d’accordo, per cui Fran parte un giorno prima e torna sempre un giorno dopo.

Alla fine hai capito perché non volevano vedere le gare in tivù?

La figlia più grande, Lana che ha 23 anni, non voleva guardare perché era gelosa delle miss sul palco. A Fran invece non interessava, non era un bambino che mostrava affinità con lo sport. Ha fatto basket, poi pallamano che da noi è famosa e forte. Infine ciclismo. Mi faceva pensare a suo zio, il fratello di mia moglie, forte in qualunque sport, ma senza la mentalità per approfondire. Credevo che Fran fosse così, che facesse sport finché era comodo, invece mi sbagliavo di grosso. Del resto, l’ho sempre detto (ride, ndr) che non sono bravo a valutare le persone…