Gualdi, il bilancio della Due Giorni di Vertova e non solo…

09.09.2025
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La Due Giorni Ciclistica Internazionale Juniores di Vertova si è confermata uno degli appuntamenti più prestigiosi del calendario giovanile italiano. Una gara che mette a confronto i migliori talenti nazionali con alcune delle squadre più forti d’Europa, diventando un banco di prova fondamentale per misurare il livello del movimento juniores (in apertura foto Zanetti).

Con Patrick Pezzo Rosola grande protagonista, Mirco Gualdi – organizzatore della corsa – traccia un bilancio della manifestazione, analizzando le differenze con il ciclismo straniero e riflettendo sul futuro dei giovani in Italia.

Mirco Gualdi, ex iridato fra i dilettanti, ora nell’organizzazione della due giorni bergamasca
Mirco Gualdi, ex iridato fra i dilettanti, ora nell’organizzazione della due giorni bergamasca
Mirco, partiamo dalla tua gara: sei soddisfatto? Come è andata?

Allora, soddisfatto perché innanzitutto non ci sono stati incidenti e quindi nessuno si è fatto male. Questo è il primo risultato minimo. Non abbiamo avuto problematiche legate al traffico. Ci sono state delle cadute, ma solo piccole sbucciature, nulla di grave. Dal punto di vista tecnico e organizzativo è filato tutto liscio: avevamo più di 100 volontari sul percorso.

Quindi i presidi erano capillari?

Sì, praticamente in ogni comune avevamo qualcuno. A volte chiedo 15 persone e loro ne portano 20. Molti tornano ogni anno volentieri. A ottobre facciamo una cena con tutti i volontari e gli sponsor per ringraziarli pubblicamente. Rispetto a dieci anni fa i corsi e i vincoli burocratici sono raddoppiati, ottenere permessi è diventato complicato e sfiancante. Gli enti proprietari delle strade ti obbligano a farti carico al 100 per cento della responsabilità.

E l’aspetto tecnico delle gare?

Il sabato è stato velocissimo: più di 47 orari di media su un tracciato tortuoso a metà e scorrevole nell’altra. Il gruppo correva a oltre 50 orari, con tanti attacchi. Alla fine si è formato un quartetto e i due ragazzi della Team Grenke, Anatol Friedl e Karl Herzog, hanno giocato di squadra. Ha vinto un corridore che da poco è diventato campione europeo di mountain bike juniores, segno che la famosa multidisciplinarità paga.

Al sabato l’arrivo in parata dei due tedeschi Karl Herzog e Anatol Friedl (poi vincitore) del Team Grenke. (foto Zanetti)
Al sabato l’arrivo in parata dei due tedeschi Karl Herzog e Anatol Friedl (poi vincitore) del Team Grenke. (foto Zanetti)
E la domenica?

E’ stata ancora una gara tirata. Gli italiani hanno fatto una bella figura, correndo senza timori reverenziali. C’erano due delle migliori squadre danesi, altre formazioni straniere di altissimo livello, e diverse squadre del Nord Italia. Il secondo posto è andato a Patrick Pezzo Rosola, il quarto a Mattia Agostinacchio.

Abbiamo avuto cinque italiani nei primi dieci: un bel segnale…

Infatti eravamo contenti. Altrimenti diventa un monologo straniero e dispiace, visto che l’organizzazione è per tutti. Se gli italiani emergono, l’appeal della corsa cresce.

Come ti è sembrato il movimento juniores rispetto a qualche anno fa?

La differenza è che le squadre straniere crescono, mentre alcune realtà italiane faticano. All’estero i team juniores sono legati a strutture professionistiche: ad esempio la Grenke è il vivaio della Red Bull-Bora. Quest’anno non c’era la Decathlon-AG2R, ma il livello è quello. Sono ragazzi che corrono gare 1.2 e hanno già un approccio internazionale.

Il giorno dopo, Georgs Tjumins conquista il Trofeo Paganessi
Il giorno dopo, Georgs Tjumins conquista il Trofeo Paganessi
In cosa consiste questo approccio?

E’ diverso: all’estero vedono i ragazzi come uomini, non come bambini. Li lasciano crescere, sbagliare, maturare. In Italia hai procuratore, mental coach, preparatore, ma il giovane resta “solo un ragazzo” e al tempo stesso è sotto pressione per fare risultato a tutti i costi. Se non porti punti da juniores, rischi di non trovare squadra under 23. All’estero magari hanno meno, ma come detto vengono trattati da uomini.

Chiaro…

E poi servono direttori sportivi, ma non ce ne sono se vuoi fare una doppia attività. I genitori non possono accompagnare e di conseguenza qualche ragazzo deve rinunciare a correre quella domenica. Con Giuseppe Guerini e altri ex corridori giriamo a turno con i ragazzi, ma il legame tra chi dirige e la realtà sembra mancare. Il rischio è che, senza un cambio di mentalità, molte squadre spariranno.

Il discorso è davvero ampio….

Quali obiettivi ci poniamo? L’obiettivo di avere un vivaio rifornito o, se capita, qualche campione? Noi come UC San Marco Vertova facciamo promozione nelle scuole e nelle piazze, ma è tutto volontariato. Non esiste un sistema federale che sostenga queste iniziative, né tutele legali. Se un bambino si fa male provando la bici, la responsabilità è nostra. Se continua così, serviranno accademie federali provinciali. Intanto però chiudono le squadre più grandi, che garantivano rimborsi ai ragazzi.

Patrick Pezzo Rosola quest’anno è stato anche in Nazionale. Dal DNA offroad si sta spostando verso la strada con ottimi risultati
Patrick Pezzo Rosola quest’anno è stato anche in Nazionale. Dal DNA offroad si sta spostando verso la strada con ottimi risultati
Veniamo a Patrick Pezzo Rosola: come lo hai visto?

Non ho avuto modo di parlarci molto, ero preso dall’organizzazione. L’ho visto un po’ contrariato dopo l’arrivo. Bisogna capire se lo fosse perché deluso, o per il modo in cui è stato battuto. Nel finale c’era un’inversione a U, il campione lettone a cronometro, Georgs Tjumins , è entrato fortissimo e ha preso subito due metri. Che all’uscita della curva sono diventati, tre, quattro, sette… Forse Patrick pensava che con un approccio diverso avrebbe potuto cambiare l’esito.

Alla fine però ha fatto una grande gara…

Esatto, è stato il migliore sulla salita finale, non si è fatto riprendere dal gruppo. Dopo 130 chilometri durissimi, vuol dire avere gamba e carattere. Ma torno al punto: le squadre straniere hanno un programma internazionale incredibile, tra Germania, Belgio, Olanda e Francia. Gli italiani invece non sono stati nemmeno alla Parigi-Roubaix juniores quest’anno. Senza esperienze fuori, cosa pretendiamo?

E quindi il nodo resta quello delle corse internazionali?

Assolutamente. La Federazione dovrebbe dire: “La Due Giorni di Vertova diventa la nostra Coppa del Mondo juniores. Cosa vi serve?”. Noi ospitiamo 17 squadre straniere e 18 italiane, metà del budget va per vitto e alloggio. Quasi tutti gli altri sono volontari, appassionati ed amici che lavorano gratis. Serve una visione d’insieme: i ragazzi italiani devono correre di più all’estero e avere appuntamenti di riferimento anche in patria.

Patrick Pezzo Rosola: la crescita e il confronto con i giganti

02.09.2025
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Il cambio di marcia di Patrick Pezzo Rosola è arrivato durante l’estate, e si è concretizzato nel mese di agosto. La prima esperienza con la maglia della nazionale, guidata da Dino Salvoldi, gli ha fatto trovare un colpo di pedale diverso. Da lì, era metà luglio, è arrivato un quarto posto al Trofeo Pian Camuno e la prima vittoria nella categoria juniores su strada. Il più piccolo, e il più testardo (per sua stessa ammissione, ndr) della famiglia Pezzo Rosola ha poi raccolto un secondo posto di assoluto spessore al Trofeo Paganessi lo scorso 31 agosto (in apertura Patrick Pezzo Rosola in maglia Petrucci Assali Stefen Marko, insieme al vincitore Georgs Tjumins e al terzo classificato Anatol Friedl, foto FCI).  

«Diciamo che non me lo aspettavo – racconta Patrick Pezzo Rosola – sapevo che ero in ottime condizioni visto che la settimana prima avevo vinto. Allo stesso modo ero consapevole del livello nettamente più alto del Paganessi, non sapevo bene cosa aspettarmi».

Pochi giorni prima del Trofeo Paganessi Patrick Pezzo Rosola ha trovato la sua prima vittoria da junior al GP Caffè Borbone
Pochi giorni prima del Trofeo Paganessi Patrick Pezzo Rosola ha trovato la sua prima vittoria da junior al GP Caffè Borbone
Sei arrivato secondo in mezzo ai due corridori della Grenke-Auto Eder, com’è stato correre contro di loro?

Difficile, perché vanno tanto forte. Ovviamente si allenano anche di più di me e della maggior parte dei ragazzi in gruppo, hanno altri materiali e una forza completamente diversa. Restare lì con loro e sfidarli però è bello, quando riesci a stargli dietro e a staccarli vuol dire che sei andato davvero forte. 

Tu quante ore ti alleni a settimana?

Tra le quindici e le diciotto ore, poi cerco di fare le cose bene, di riposarmi e godermi tutto quello che un ragazzo di 17 anni fa normalmente. Esco con gli amici, faccio delle camminate, vado a correre ogni tanto. E poi fino a quando c’era la scuola mi sono concentrato sullo studio. 

Dopo la prima esperienza in maglia azzurra Patrick Pezzo Rosola (qui il primo a destra) è cresciuto molto
Dopo la prima esperienza in maglia azzurra Patrick Pezzo Rosola (qui il primo a destra) è cresciuto molto
Quando li vedi arrivare in gruppo sembrano degli alieni o normali come gli altri?

No, li vedi già subito che sembrano fuori dal normale. Già solo a guardarli da fuori capisci che sono superiori.

E’ una cosa che spaventa?

Forse è dal nome della squadra e anche dai loro risultati che pensi di aver davanti corridori superiori. Non fanno paura, però sai che da un momento all’altro possono combinare di tutto.

Arrivare secondo vuol dire che alcuni di loro li hai messi alle spalle…

La gara di domenica (31 agosto, ndr) era dura e con il passare dei giri la selezione era sempre più importante. I ragazzi della Grenke-Auto Eder si sono mossi tutto il giorno, dal canto mio sapevo di dover restare tranquillo. Volevo giocarmi la mia occasione all’ultimo passaggio sulla salita, infatti ho attaccato e sono scollinato con una decina di secondi di vantaggio. Appena iniziata la discesa il lettone (Georgs Tjumins, ndr) mi è venuto a prendere. 

Nel ciclocross il giovane di casa Pezzo Rosola ha fatto vedere ottime cose e nel 2025 aveva già conquistato il tricolore juniores
Nel ciclocross il giovane di casa Pezzo Rosola ha fatto vedere ottime cose e nel 2025 aveva già conquistato il tricolore juniores
Quando sei rimasto da solo con quei dieci secondi di vantaggio ci hai creduto?

Non più di tanto, sapevo che non sarebbero stati sufficienti per arrivare in fondo, poi quelli della Grenke dietro erano in tre e in qualche modo mi sarebbero tornati sotto. Per fortuna si è mosso solo Tjumins, una volta rimasti in due ho iniziato a credere di più nella vittoria. Ho collaborato perché nel ciclismo non si sa mai, ma nel falsopiano verso l’arrivo mi ha staccato.

Si è trattato di un tuo primo grande risultato in una gara lunga e difficile, è cambiato qualcosa?

Di solito in gare sopra un certo chilometraggio mi trovo peggio rispetto a quelle più corte, arrivando dal ciclocross non sono mai stato abituato a fare tanti chilometri. Qualcosa è cambiato con l’estate, perché dopo un inverno intenso a correre sul fango non ho caricato molto. Poi avevo la scuola e dovevo fare gli esami. Ho fatto un istituto professionale di tre anni, elettricista, e a giugno ho fatto l’equivalente della maturità. Una volta finito tutto ho avuto modo di allenarmi di più sulle lunghe distanze. 

Il Giro della Lunigiana, che inizierà il prossimo 4 settembre, sarà un’altra prova importante per la sua crescita
Il Giro della Lunigiana, che inizierà il prossimo 4 settembre, sarà un’altra prova importante per la sua crescita
Tanto da aver trovato anche la prima vittoria al GP Caffè Borbone…

Alla fine mi mancava solo il successo, quindi è stata una bella riscossa anche da tutta la stagione. Su strada non vincevo da un po’ e dopo tanti piazzamenti è stato bello anche ritrovare il gradino più alto del podio.

Ora si fa rotta verso il tuo primo Lunigiana, emozioni?

E’ la prima vera gara tappe che faccio, soprattutto con un livello così alto. Il morale sarà più elevato rispetto al Baron, ma vedremo come andrà. Non mi aspetto nulla. So solo che sarà la mia ultima corsa su strada prima di fermarmi e preparare la stagione di ciclocross. 

Il più piccolo di casa ha imparato ad ascoltare un po’ di più i consigli, ma a volte gli piace fare di testa sua
Il più piccolo di casa ha imparato ad ascoltare un po’ di più i consigli, ma a volte gli piace fare di testa sua
Sei ancora il testardo della famiglia?

Ancora sì, ma ultimamente cerco di ascoltare di più gli altri, soprattutto mio fratello Kevin. Con il passare degli anni ho capito che aveva ragione su tante cose sulle quali ci “scontravamo”. La principale direi che è l’alimentazione in gara, quando ero allievo mi ripeteva di mangiare in corsa per non arrivare stanco e svuotato alla fine. Io non lo ascoltavo perché comunque andavo bene. Poi quest’anno ho visto che in gruppo tutti mangiavano e prendevano dei gel, così mi sono chiesto se non stessi sbagliando. Ho iniziato a curare l’alimentazione anche io e ho visto che riesco a recuperare meglio. 

Vi allenate insieme?

Ora che sono junior sì, riusciamo a uscire due o tre volte a settimana. Ma sugli allenamenti decido se ascoltarlo o meno a seconda di come mi gira (ride, ndr).

Salvoldi e l’Italia hanno voglia di rivincita: rotta su Drenthe

19.09.2023
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L’ultimo impegno che attende le nostre nazionali è quello dell’europeo di Drenthe, in programma dal 20 al 24 di settembre. La prova che assegnerà la maglia di campione europeo della categoria juniores verrà assegnata il 23 settembre. Fino all’ultimo le scelte sono state difficili per Dino Salvoldi, i tempi stringevano e le gare per selezionare i sei partecipanti anche. 

«Sono stati fondamentali i giorni di ritiro che abbiamo fatto a Montichiari – dice il cittì degli juniores – per la strada abbiamo optato per: Bessega, Montagner, Mottes, Negrente, Sierra e Giaimi. Bisogna capire come quest’ultimo reagisce alla caduta. Probabilmente per lui la più grande problematica sarà la cronometro, visto l’infortunio al gomito potrebbe far fatica a tenere la posizione sul manubrio».

Sierra ha centrato il quarto posto nel mondiale juniores, ora cerca il riscatto all’europeo
Sierra ha centrato il quarto posto nel mondiale juniores, ora cerca il riscatto all’europeo

Riscatto europeo

La medaglia di legno di Sierra ancora brucia se ci ripensiamo, quell’episodio sfortunato però deve essere la miccia che accende l’europeo azzurro. La voglia di riprovarci è mischiata alla consapevolezza di potersi giocare certe occasioni, e per di più da protagonisti.

«E’ tutto l’anno – afferma Salvoldi – che vedo i ragazzi più vicini ai loro coetanei stranieri: come mentalità e di conseguenza come prestazioni. Non sono timidi e non hanno paura di correre a ritmi elevati fin dai primi chilometri, ed è giusto così. All’europeo arriveremo mentalmente stanchi, la stagione è stata lunga per tutti. Ad eccezione magari di qualche ragazzo che si è fermato per infortuni o altri motivi. Fisicamente ci si può arrivare bene, i tempi per recuperare e preparare l’evento ci sono stati. E’ l’ultimo grande sforzo della stagione e troveremo le forze per fare bene, ne sono sicuro. D’altronde la maglia in palio è importante».

Mottes si è meritato la qualificazione agli europei dopo un’estate super
Mottes si è meritato la qualificazione agli europei dopo un’estate super

L’esordiente Mottes

Nel costruire la squadra che si giocherà il campionato europeo Salvoldi ha dovuto aspettare ed attendere tante conferme. I nomi erano previsti per il lunedì dopo il Trofeo Buffoni, l’11 settembre, ma le convocazioni sono slittate in avanti di una settimana.

«Dopo il Trofeo di Vertova e il Trofeo Paganessi – dice Salvoldi – c’è stato un virus e molti corridori non sono riuscito a visionarli. Così anche al Giro della Lunigiana ho fatto fatica a vedere i ragazzi e capire le loro reali condizioni. Sono state fondamentali le ultime gare: il Trofeo Buffoni e le ultime corse nazionali disputate nel weekend».

Tra i nomi spicca quello di Lorenzo Mottes, che nell’ultimo periodo è andato davvero forte e si è meritato questa convocazione.

«Lui è andato davvero bene nell’ultimo mese – afferma Salvoldi – la vittoria di tappa al Lunigiana e il terzo posto finale gli hanno permesso di guadagnarsi questa convocazione. Durante il ritiro di Montichiari ho avuto modo di vederlo dal vivo e ha risposto davvero molto bene».

Negrente è un velocista che può risultare molto utile alla nazionale di Salvoldi (photors.it)
Negrente è un velocista che può risultare molto utile alla nazionale di Salvoldi (photors.it)

Qualche certezza

Rispetto al mondiale di Glasgow qualche corridore è cambiato, i motivi sono diversi: il percorso in primis e la voglia di Salvoldi di dare a tutti i ragazzi un’occasione.

«Dopo il mondiale – dice ancora Salvoldi – la volontà era quella di fare una rotazione e dare un po’ di spazio ai primi anni. Uno su tutti è Bessega, che ha fatto una grande stagione e si è meritato la convocazione. Poi ho comunque dovuto fare delle scelte anche legate al percorso e alla condizione: Sierra e Negrente rientrano tra questi. Dei ragazzi presenti a Montichiari ho dovuto escludere Sambinello e Chinappi, mi è dispiaciuto molto, ma quando si deve scegliere purtroppo è così. Si parte mercoledì e inizieremo il nostro appuntamento europeo, nella giornata di giovedì dovremmo fare la ricognizione del percorso. Questi i vari impegni: le prove a cronometro il 20 e 21 settembre, mentre la gara su strada sarà il 23».

La storia prestigiosa del Paganessi. Il racconto di Gualdi

07.09.2023
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Per un bergamasco il Trofeo Paganessi è qualcosa di particolare, talmente radicato nella tradizione locale che non può andare assolutamente perso. Non è quindi un caso se una gloria locale come Mirco Gualdi si sia mosso in prima persona per tenere in vita la due giorni ciclistica riservata agli juniores, che ha visto al sabato la vittoria di Davide Donati nella sfida a due contro il belga Jarno Widar e il giorno dopo la rivincita di quest’ultimo (apertura, foto Il Giorno), ultimo astro nascente della categoria.

Gualdi però non è il solo a essersi messo in gioco, perché anche altri grandi nomi del ciclismo locale lo hanno fatto: «Praticamente c’è stato un passaggio di consegne ai vertici della società San Marco Vertova e siamo stati coinvolti io e Giuseppe Guerini. Siamo tutti da sempre legati al sodalizio e ci siamo messi all’opera per la parte organizzativa della due giorni, ma non solo, perché pensiamo anche alla ristrutturazione della società partendo dai giovanissimi. Bisogna considerare che qui i bambini sono fortemente orientati a identificare la bici con la mtb più che con il ciclismo su strada, noi facciamo in modo di ampliare i loro orizzonti».

Mirco Gualdi, ex iridato fra i dilettanti ora nell’organizzazione della due giorni bergamasca
Mirco Gualdi, ex iridato fra i dilettanti ora nell’organizzazione della due giorni bergamasca
La cosa che colpisce parlando del Trofeo Paganessi è l’enorme riscontro che ha all’estero, richiamando tutti i principali team internazionali…

Diciamo che è una gara che si autopromuove, non è che facciamo particolare pubblicità all’estero. Ma d’altronde è stato così da sempre. Potrei fare un elenco lunghissimo di campioni passati da queste parti, basti dire che almeno 60 corridori fra attuali WorldTour e professional hanno gareggiato al Paganessi. Fra loro gente come Ganna, Pogacar, Hirschi, Ewan, Skjelmose, ma potrei andare avanti per ore. Se poi guardiamo al passato, spuntano i nomi di Bugno, Argentin, Bettini… Ma a proposito del richiamo all’estero, la storia del Paganessi dice qualcosa di originale.

Che cosa?

Bisogna tornare all’immediato dopoguerra, quando dalle nostre parti ci fu un vero esodo verso l’estero. Quando la società nacque e lanciò il trofeo, alcuni dirigenti avevano cugini in Francia che provarono a sondare il terreno fra le equipe d’oltralpe, così aprirono le porte, poi vennero i team svizzeri e man mano l’elenco è andato sempre ingrossandosi. Quest’anno c’erano 20 team esteri su 36 e tantissime richieste italiane e straniere sono rimaste purtroppo inevase.

Il podio dell’ultimo Trofeo Vertova, vinto da Donati davanti al belga Widar e a al danese Louwlarsen (photors.it)
Il podio dell’ultimo Trofeo Vertova, vinto da Donati davanti al belga Widar e a al danese Louwlarsen (photors.it)
E il Trofeo Vertova?

Ci accorgemmo nel tempo che per i team stranieri spostarsi per una sola gara diventava dispendioso, ma c’era la disponibilità a trovare una soluzione perché tenevano troppo a esserci. Si pensò così di unire al Paganessi un altro evento, il giorno prima, in modo da permettere alle squadre di sostenere una trasferta onerosa con un giusto contrappunto: due gare in due giorni che diventavano anche un bel test per i propri corridori. In questo modo vengono più volentieri anche perché le gare sono profondamente diverse: quella del sabato è un circuito alla belga, con strappi, pavé, strade strette; quella della domenica una classica vera e propria, con un sviluppo più lineare.

La risonanza crescente della gara vi stupisce?

Fino a un certo punto, diciamo che siamo noi organizzatori che dobbiamo stare al passo. Quest’anno ad esempio c’è stata la prima diretta televisiva tramite il canale Bici Tv. Inoltre abbiamo coinvolto direttamente i Comuni attraversati dal percorso per fare del Paganessi anche un richiamo turistico e tramite loro sono stati coinvolti i produttori della zona, le aziende che hanno capito come la corsa potesse essere un ottimo veicolo promozionale anche all’estero. Il nostro intento è rendere l’evento pienamente autosufficiente: se un domani il Comune non dovesse più essere titolare della sua gestione insieme alla società – ma non c’è alcuna avvisaglia che lo faccia pensare – avremo comunque le forze per andare avanti insieme agli sponsor che ci affiancano.

L’arrivo vittorioso di Jarno Widar dall’alto, in una giornata piovosa (foto Benagli)
L’arrivo vittorioso di Jarno WIdar dall’alto, in una giornata piovosa (foto Benagli)
Tornando ai nomi del passato, non hai citato il tuo…

E’ curioso il fatto che per me che tenevo in maniera spasmodica a questa gara, non ci fu fortuna. Il primo anno avevo una gran gamba, ero stato terzo ai tricolori, ma caddi il giorno prima e vidi sfumare la mia presenza. L’anno dopo avevo la sinusite e non andavo avanti, così dovetti rinfoderare le mie aspettative.

Guardando al passato, che cosa è cambiato nel ciclismo degli juniores?

E’ difficile dare una risposta secca. Notavo ad esempio che quest’anno le velocità sono state le stesse dello scorso anno, ma quel che noto è l’atteggiamento dei ragazzi. Hanno tutti un approccio alla Pogacar o Evenepoel, attaccano sempre, senza tatticismi. Ai nostri tempi si stava molto più a ruota. Io ho visto corridori che hanno già nel sangue la professione, che attaccano 7 volte in 10 chilometri, che toccano velocità altissime. Uno come Widar è già pronto per livelli più alti e infatti ha già firmato con la Soudal, ma non è neanche un caso se ilquarto e il quinto del Paganessi (Storm e Fietzke, ndr) sono stati nella top 5 anche al mondiale.

Trofeo Paganessi 2014: un giovanissimo Filippo Ganna stacca tutti e vince in solitudine
Trofeo Paganessi 2014: un giovanissimo Filippo Ganna stacca tutti e vince in solitudine
Negli ultimi 10 anni ci sono state vittorie italiane con Ganna, Conci, Piccolo e Meris. Secondo te quanto attenderemo per rivedere un italiano primo al traguardo?

Donati ha dimostrato che il livello dei nostri juniores è all’altezza. Io mi aspettavo un acuto dal mio omonimo Gualdi, ma sabato era caduto e aveva un dito steccato e 4 punti al mento, eppure ha chiuso 11° mancando di un nulla l’aggancio col gruppetto che si è giocato la vittoria. Io dico che non dovremo attendere molto, abbiate fiducia…