L’ultimo sprint di Cavendish, che alla fine ci mette il cuore

16.07.2024
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NIMES (Francia) – Jasper Philipsen ha vinto l’ultima volata del Tour, la terza per lui. Questa volta Van der Poel è stato una forza, con quel guizzo che tradisce la forma in arrivo per Parigi. Una caduta ha tagliato fuori Girmay dalla possibilità di vincere la quarta tappa, perciò i due ora sono tre a tre e così sarà fino a Nizza. La differenza la farà la voglia di arrivare in fondo. Di solito quando non ci sono più volate e tante montagne, i velocisti tendono a squagliarsi, ma questo è il Tour e Girmay comunque a Nizza ha da portare la maglia verde. Chi cercherà di tenere duro ad ogni costo è invece Mark Cavendish.

Oggi “Manxman” ha preso parte alla sua ultima volata al Tour de France, anche se il finale non è stato quello che si aspettava. Eppure, come quando Manzoni vinse la tappa di Cava dei Tirreni ma nessuno se ne accorse (perché tutti guardavano Pantani), ai piedi del pullman dell’Astana c’è mezza sala stampa per raccogliere la voce di colui che ha fatto la storia e oggi non ha vinto. Cavendish si è fatto voler bene. Raramente si è aperto raccontando le sue fragilità e quando lo ha fatto è nato un capolavoro disponibile su Netflix, la cui visione è illuminante.

La commozione di Renshaw

Mark Renshaw, il direttore sportivo richiamato proprio per la missione impossibile, è sceso a fatica dall’ammiraglia. Sembrava commosso, è bastato sentirlo parlare per capire che lo fosse davvero. Il caldo è pesante e umido, l’australiano e le sue lentiggini tendevano vivacemente al rosso. Insieme hanno vissuto decine di volate e poi i momenti più duri di questa risalita.

«Abbiamo raggiunto ciò per cui siamo venuti – ha detto prima di sparire sul bus – e questo è stato davvero l’ultimo sprint di Mark Cavendish. Non so come sia andata, parlerò con i ragazzi, ma siamo felici di aver raggiunto il nostro obiettivo. Nel team tutti credevano che sarebbe stato possibile, è per questo che abbiamo costruito il progetto. Se lo conosco, Mark sarà arrabbiato per oggi e per un paio di altri giorni in cui non siamo riusciti a farcela. Però ha fatto uno sprint magico nella quinta tappa ed è diventato l’uomo che ha vinto più tappe nella storia del Tour.

«Non mi ha sorpreso, lui in questa corsa si trasforma. Se vince una tappa alla Tirreno-Adriatico o al Giro d’Ungheria, non cambia molto. Solo al Tour de France cambia davvero. Quanto a me, è stato diverso. Sono partito in un Tour in qualità di direttore sportivo. Mi piace molto come lavoro, c’è molta pressione, ma è una pressione da parte mia per fornire loro quante più informazioni possibili. Tutti i ragazzi e tutti coloro che hanno fatto parte di questa vittoria ne sono davvero orgogliosi. E adesso daremo il 110 per cento per arrivare al traguardo di Nizza».

Nonostante la volata sfumata, Cavendish ha parlato con grande calma e alla fine si è aperto
Nonostante la volata sfumata, Cavendish ha parlato con grande calma e alla fine si è aperto

Il pullman di Borselli

Sotto al pullman dell’Astana già da qualche minuto è tutto uno sgomitare di telecamere che vogliono accaparrarsi la prima fila. Poi si trova un’intesa, fra quello che si abbassa, quello che tira fuori l’asta del microfono e chi chiede a un bambino, beato in prima fila, di tenere per lui il telefono con il registratore acceso. Borselli sale, sbircia e poi scende, l’attesa continua. E poi Mark viene giù, con il sorriso sul volto e il saluto per la gente che al suo apparire esplode in un applauso.

Ci racconti gli ultimi chilometri dal tuo punto di vista?

Eravamo abbastanza ben posizionati. Arrivando al finale, c’erano molte squadre tutte insieme, potete vederlo da qualunque immagine. Poi è spuntata una rotatoria nel posto sbagliato e nel momento sbagliato ed è successo un pasticcio. Alcuni ragazzi sono riusciti a passare, altri no. Alcuni sono scesi di bici, Girmay è caduto. Forse a questo punto, la cosa più importante è che stiano bene e siano arrivati sani e salvi. Non ho visto molto, appena un piccolo filmato. Negli ultimi tre chilometri potevamo andare solo da un lato di ciascuna rotatoria, per cui tutti avevano la stessa idea. C’è solo un pezzo di corda, a volte capisci bene e a volte no. Ecco cosa è successo…

A Plateau de Beille, Cavendish è arrivato quasi trasfigurato. Da domani e fino a Nizza sarà così quasi ogni giorno
A Plateau de Beille, Cavendish è arrivato quasi trasfigurato. Da domani e fino a Nizza sarà così quasi ogni giorno
E’ la fine di un’era, in qualche modo…

Abbiamo fatto ciò che ci eravamo prefissati di ottenere e lo abbiamo fatto presto, quasi all’inizio. Poi io ho provato a fare altre volate e la squadra a fare qualcosa con Harold (Tejada, ndr) in montagna. Non ci resta che tenere duro fino all’ultimo traguardo.

Che tipo di spirito cercherai di portare in questi ultimi giorni?

Sulle Alpi la corsa sarà difficile, mi sono allenato un bel po’ da quelle parti. Resteremo sempre insieme e cercheremo di farcela. Speriamo che Tejada e Lutsenko possano fare qualcosa. Domenica abbiamo visto Harold restare a lungo con i migliori, così almeno noi velocisti non avremo più pressione addosso. Ora si tratta solo di percorrere il resto dei chilometri e provare a restare nel tempo massimo, sperando che Pogacar ce lo permetta (ride, ndr).

Tutti qui hanno passato l’intera giornata a essere nostalgici, hai un momento per ammettere se è così anche per te?

E’ incredibile vedere il supporto qui al Tour. E’ stato fantastico vederlo all’inizio e alla fine di ogni tappa e anche durante la corsa. Sono molto fortunato ad avere persone così incredibili che mi seguono e che vivono la mia carriera con me. Non so da quanti anni sento tutto e apprezzo tutto questo. Vedete questo bambino? Forse tra dieci anni correrà il Tour de France e magari sentire queste cose lo ispirerà. Lo farai?

Autografi alla sua gente prima di salire sul pullman: ora l’obiettivo è arrivare a Nizza
Autografi alla sua gente prima di salire sul pullman: ora l’obiettivo è arrivare a Nizza

Cavendish si è rivolto al bambino in prima fila, quello col telefono in mano. Ma il bimbo è francese e dell’idioma smozzicato di Cav probabilmente non ha capito un bel niente. Però lo guarda rapito e forse l’effetto sarà lo stesso. E Mark ricomincia: «Tra qualche anno farai uno sprint? Dì solo di sì. Annuisci, dì di sì…». E poi scoppia a ridere…

C’è spazio per l’emozione adesso?

Sono stato in mezzo a loro per quasi due anni negli ultimi venti, sommando i giorni del Tour. Questa è stata la mia famiglia (si sofferma per un istante che dura una vita, ndr). Non ho fatto festeggiamenti da quando ho iniziato il Tour de France. Ho festeggiato correndo il Tour e ho sofferto al Tour. Ho mostrato al Tour il rispetto che merita e ho avuto successo. E adesso verrà il momento di festeggiare. Ho ricordi fenomenali di questa corsa, dalla prima tappa a quella che sarà l’ultima. Sono uno dei tanti corridori di una gara che ogni anno diventa il più grande evento sportivo del mondo. Sarà strano vederlo da casa, ma è stato molto bello farne parte.

Ciccone fra Tour e Giro, cercando la strada per diventare grande

16.07.2024
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GRUISSAN (Francia) – Ciccone sta nel mezzo, come gli succede da parecchio negli ultimi anni. Voleva fare il Giro d’Italia, ma si è ammalato. Lo hanno portato al Tour per puntare alle tappe e aiutare Tao Geoghegan Hart, uomo per la classifica. Invece il britannico è caduto e Giulio si è ritrovato lui a fare classifica. E così adesso che Silvano Ploner di Rai Due gli chiede se non sarebbe meglio lasciar andare la classifica per puntare a una tappa, lui risponde con ironia.

«No, non è facile – dice l’atleta della Lidl-Treknon è facile anche perché è sempre una top 10 a un Tour de France. Non va buttata così per andare in una fuga. Ci sono dinamiche un po’ diverse, però vediamo. Niente è deciso, quindi aspettiamo. Oggi è una tappa che tanti sottovalutano, ma sarà una tappa che farà più casino delle montagne. Quindi vediamo quello che succede e poi decideremo».

La partenza da Gruissan è caotica e calda. Le cicale friniscono senza tregua e prima che iniziasse il baccano della carovana si erano prese tutto lo spazio nella gamma dei rumori. I pullman sono arrivati alla spicciolata e quando Giulio ci raggiunge, ha lo sguardo divertito di sempre.

Come nelle prime tappe italiane, al Tour questa mattina è tornato il caldo, ma Ciccone non ha perso il sorriso
Come nelle prime tappe italiane, al Tour questa mattina è tornato il caldo, ma Ciccone non ha perso il sorriso
Ti abbiamo visto abbastanza stanco, come stai dopo il giorno di riposo?

L’altro giorno è stata una tappa folle. E’ vero, nell’ultima salita ho pagato qualcosa, però vi assicuro che non è stato un crollo. I miei dati erano buoni, la potenza era buona. Era semplicemente che Il ritmo era troppo alto per le mie possibilità, tutto qui. Ieri è stato un buon giorno di recupero e ora siamo nell’ultima settimana, vediamo cosa si riesce a tirar fuori.

L’idea comunque non era di fare classifica, giusto?

No, il leader era Geoghegan Hart, sulla carta. Arrivavo qui per fare qualche tappa, per riprovare magari la maglia pois. Poi però siamo partiti dall’Italia e, come avevo già dichiarato, volevo vedere come andava la prima settimana e poi decidere. Finora ho avuto delle belle prestazioni in salita, forse la peggiore è stata proprio a Plateau de Beille. Comunque tolti i tre fenomeni, poi il livello è molto bilanciato. Secondo me vale la pena provare a tenere duro. Manca ancora la settimana più dura, quindi se capita l’occasione non voglio tirarmi indietro.

Ciccone si è ritrovato per l’ennesima volta a “dover” fare classifica
Ciccone si è ritrovato per l’ennesima volta a “dover” fare classifica
Qualcuno ha detto che, visto il livello che hai in questo Tour, potevi fare un bel Giro.

Mi sarebbe piaciuto e come ho sempre detto, il Giro rimane il mio sogno. Però purtroppo per forza di cose sono già due anni che i programmi saltano. Ma ripeto per me il Giro è il Giro e magari fare un Tour così bene mi darà ancora più fiducia per riprovarci in Italia.

Cos’è che rende il Tour così duro?

Il Tour è il Tour, è micidiale. Non c’è una tappa dove si può stare tranquilli e le velocità sono pazzesche. Lo stress è altissimo, il livello è altissimo: è tutto diverso. Il Tour è una gara completamente a parte, non esiste una gara simile al Tour.

I valori sono buoni, la potenza è buona, quindi si corre guardando i dati sennò si salta?

Diciamo che io non li guardo, cerco di seguire la corsa e non mi lascio condizionare dai dati. Però poi ovviamente si analizza tutto e a leggere ci sono dei valori mostruosi. Ve lo assicuro. Quindi sono contento così.

Riposo finito, inizia la settimana più dura. Pogacar non ha paura

15.07.2024
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GRUISSAN (Francia) – Pogacar è di buon umore. Racconta di aver fatto appena un giro con i compagni stamattina (in apertura foto di Alen Milavec) e di essersi fermato in una pasticceria, mangiando – con preghiera di non dirlo al suo nutrizionista – il miglior muffin di sempre.

La maglia gialla si racconta online, come si usa dagli anni del Covid e come le squadre amano fare per non dover allestire una sala in cui accogliere i giornalisti. In più l’impennata di casi di Covid ha indotto ASO a imporre le mascherine ai media che hanno a che fare con gli atleti. Una decisione che la gente comune non capisce, sta però il fatto che per il Covid diversi atleti hanno già dovuto rinunciare alle prove olimpiche.

In questo giorno di riposo hanno già detto la loro Vingegaard e anche Evenepoel. Il belga ha ammesso che difenderà il terzo posto e non vede l’ora di correre l’ultima crono. Dice che ha studiato le tappe che ci attendono e che ieri a Plateau de Beille lo ha motivato il fatto di aver corso più veloce di Pantani.

Pogacar è di buon umore, forte del vantaggio accumulato e della consapevolezza di avere ancora del tempo libero, prima che riprenda la rumba del Tour. «Manca ancora metà del giorno di riposo – sorride – spero che finiremo velocemente la conferenza stampa così potrò rilassarmi nella mia stanza e guardare un bel film…».

Quando ieri Jorgenson è passato in testa, dice Pogacar, i numeri sono esplosi
Quando ieri Jorgenson è passato in testa, dice Pogacar, i numeri sono esplosi
Vingegaard ha detto che ieri ha avuto la migliore prestazione della sua vita. Cosa significa per te?

Penso che ieri tutti abbiamo assistito a una delle migliori esibizioni in salita di sempre. Anche per me, quando ho controllato i miei numeri, è stato davvero pazzesco. Soprattutto la parte in cui Matteo Jorgenson e Jonas sono andati in testa, sono stati i numeri più alti che abbia mai fatto nella mia carriera. E’ stato un grande giorno. E si capisce che Jonas è venuto qui preparato a lottare per la vittoria. Ieri finalmente hanno mostrato le palle e hanno colpito forte. Alla fine è stato uno sforzo totale, dal basso e fino alla cima. E’ stata una tappa pazzesca, davvero pazzesca.

Si è molto parlato del fatto che tu abbia battuto il record di Pantani.

Marco Pantani ha fatto la doppietta. Giro-Tour, penso che fosse l’anno in cui sono nato. Purtroppo in Italia Marco Pantani è il dio del ciclismo, ma personalmente non mi piacciono questi confronti. Ci sono quasi 30 anni di differenza, quindi non voglio pensare alla doppietta in termini di un confronto. Mi concentro ogni giorno per raggiungere l’obiettivo in giallo, senza pensare a queste cose.

Hai letto i commenti sui social media?

Ci sono sicuramente commenti negativi, me ne sono reso conto negli ultimi due anni. In nessuna situazione puoi piacere a tutti. Anche se fai tutto alla perfezione, ci sarà sempre qualcuno a cui qualcosa non piace. Per alcuni non va bene se non vinci, per alcuni non va bene se attacchi in quel chilometro. Ci sono venuto a patti. Sui social non seguo quasi nulla, ho persone che mi aiutano in questo, soprattutto su Instagram. Il mio Instagram è una parte di me, sembra piuttosto bello, ma non guardo troppo cosa succede, perché penso che i social network siano una specie di veleno in questo nostro mondo.

Quello che ha fatto la differenza negli utlimi anni , per Pogacar sono l’alimentazione, le gomme e le ruote
Qello che ha fatto la differenza negli utlimi anni sono l’alimentazione, le gomme e le ruote
La prestazione di ieri a cosa ti fa pensare?

Il ciclismo si sta evolvendo davvero tanto. Quando sei anni fa sono arrivato in questa squadra, non voglio parlarne male, ma era tutto totalmente diverso. Se confronto quest’anno con il mio primo alla Vuelta, allora era quasi tutto dilettantistico, eppure pensavo che fosse molto professionale. Andiamo avanti così velocemente perché le squadre si spingono a vicenda con la tecnologia, la nutrizione, con i piani di allenamento, con i ritiri in altura. Penso soprattutto alla Visma contro UAE e Ineos. Alla Lidl-Trek e alla Soudal-Quick Step. Ci rincorriamo per raggiungere i nuovi limiti. E così ieri abbiamo assistito alla scalata più veloce mai vista. E penso che potremmo vedere qualcosa del genere ogni anno, perché tutti si concentrano così tanto sui dettagli, altri limiti cadranno. Si ragiona su ogni singolo grammo di cibo, dove puoi risparmiare sulla bici. Stiamo andando molto veloci e per me è davvero impressionante vedere come sono cambiate le cose negli ultimi sei anni della mia carriera.

Quali sono gli aspetti che più hanno cambiato le cose?

La nutrizione, per quanto mi riguarda. Sei anni fa, quando ho iniziato, era tutto incentrato sui carboidrati. A colazione si mangiava pasta in bianco, riso bianco e magari frittata. Adesso facciamo una colazione più normale come riso, porridge, fiocchi d’avena. Ancora frittata, pane, pancake e già penso questa piccola cosa faccia la differenza. Per cui non hai più bisogno di mangiare la pasta al mattino. Il cibo è ponderato per la colazione, per la tappa, per il dopo la tappa, per i tempi in cui hai bisogno di mangiare. Quando un anno dopo di me Gorka si è unito al team, il nostro nutrizionista, per me è stato molto difficile seguirlo. Devo dire che ci sono voluti circa quattro anni per iniziare a concentrarmi davvero sul suo piano, perché non è facile seguire mentalmente così tanto l’alimentazione. Questo è stato un grande cambiamento.

E sulle bici?

Ora sono molto più veloci. Penso che le gomme facciano la differenza più grande rispetto a quelle che avevamo sei anni fa, dieci anni fa. Le ruote, l’aerodinamica, i telai. E’ semplicemente incredibile quanto sia diversa la bici adesso rispetto a cinque anni fa.

Pogacar non conosceva molto bene Evenepoel: ora ha imparato ad apprezzarlo
Pogacar non conosceva molto bene Evenepoel: ora ha imparato ad apprezzarlo
Ti abbiamo visto parlare più spesso di un tempo con Evenepoel: come è cambiato il vostro rapporto?

Quando lo guardavo in tv, sembrava un vero campione. Uno che non gliene frega niente di nessun altro, che ha sempre fatto le sue cose e vinceva davvero sempre tutto. Fra noi non abbiamo gareggiato quasi mai negli ultimi cinque, sei anni. E ora finalmente ci siamo trovati al Tour de France. Devo dire che in queste due settimane ho sviluppato tanto rispetto nei suoi confronti. Il modo in cui guida nel gruppo, non è nervoso, è davvero rispettoso verso tutti, per cui mi piace correre contro di lui. E’ un corridore di super classe.

Nell’ultima settimana ci sono più montagne che in qualsiasi altra settimana e poi la crono. Ti aspetti attacchi di Vingegaard?

Attaccherà di certo. Non penso che punteranno su entrambe le tappe, venerdì e sabato: penso che si concentreranno su una. Noi proveremo a fare la nostra gara, non credo che possano fare nulla di pazzesco. Siamo fiduciosi di poter andare al nostro ritmo e passare le montagne con quanti più corridori possibile, perché abbiamo una squadra super buona. Ma penso che sicuramente ci proveranno. Jonas ha detto che non rinuncerà alla lotta e penso che sia il giusto modo di pensare e parlare. Sarà una settimana dura in cui sicuramente vedremo molti fuochi d’artificio, da parte di tutti.

La tappa della Bonette può essere un ostacolo, vista l’altitudine e l’arrivo a Isola 2000?

Adoro il Col de la Bonette, è una salita super bella. L’ho fatta per la prima volta l’anno scorso ad agosto e mi è piaciuta. Amo quei passi sulle Alpi e poi la discesa verso Isola 2000, dove ci siamo allenati prima del Tour. Per cui non ho paura né apprensione e non vedo l’ora che quella tappa arrivi. La scalata a Isola 2000 è fantastica, simile a quella del Plateau de Beille. Invece la tappa di sabato è quasi la mia tappa di casa, direi che è la mia tappa di casa. Mi alleno molto su quelle salite. Le conosco molto bene e non vedo l’ora di trovarmi lì il prossimo fine settimana.

Vingegaard scatterà ancora, Pogacar gli sarà attaccato come un’ombra
Vingegaard scatterà ancora, Pogacar gli sarà attaccato come un’ombra
Che cosa ti fa paura?

Non so cosa temo di più, credo di non temere nulla. Ci sono ancora sei tappe da percorrere, prima di finire a Nizza con una cronometro davvero dura. Ovviamente non voglio ammalarmi o altro nell’ultima settimana, quindi proviamo a evitarlo. Nel complesso, sta girando molto Covid e molte malattie. Anche in salita, quando le persone sono così vicine, è difficile prevenirlo. Perciò, incrociamo le dita perché vada tutto liscio.

Ci sono corridori malati in gruppo?

Sembra di sì, Covid soprattutto. Il team di Aso ha provato a mettere le mascherine sui podi, dietro il podio e nelle zone con la stampa. Penso che più o meno tutti stiano sperimentando lo stesso Covid che ho avuto anche io prima del Tour. Era una lieve malattia, due giorni in cui mi sono sentito un po’ spento. Niente di veramente pazzesco. Qualcuno ha la febbre o qualcosa del genere, allora forse è meglio fermarsi.

Continui a escludere di andare anche alla Vuelta?

Manteniamo la percentuale del 99 per cento che non ci andrò quest’anno. Più probabile il prossimo.

EDITORIALE / Tadej è un fenomeno, ma lasciate in pace Pantani

15.07.2024
5 min
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GRUISSAN (Francia) – Tadej Pogacar si avvia a conquistare la doppietta Giro-Tour che in anni più recenti ha respinto campioni come Contador e Froome, in una sorta di rincorsa che ricorda quella di Cavendish al record di Merckx. Si legge stamattina che ieri lo sloveno e anche Vingegaard abbiano battuto e di parecchio il record di Pantani su Plateau de Beille e di certo altri record cadranno. I record sono fatti per essere battuti. Però allo stesso modo in cui si è stati molto cauti nel dire che Cavendish non sia stato grande quanto Merckx, si potrebbe fare la stessa considerazione nell’affiancare Pogacar a Pantani e a quelli che prima di lui fecero l’agognata doppietta: Coppi, Anquetil, Merckx, Hinault, Roche, Indurain, Pantani.

Pogacar merita a pieno titolo di esser iscritto a questo club così esclusivo, come è probabile che la sua carriera alla fine sarà superiore a quella di molti di loro. Eppure voler a tutti i costi dipingere il prodigio con colori anche superiori a quelli che sfoggia suona un po’ pretestuoso. Tadej è un fenomeno, Vingegaard è un fenomeno, ma hanno attorno soltanto se stessi, in un duello che si protrae senza contraddittorio. Altri ottennero il loro primato nuotando in un mare pieno di squali. E’ sbagliato perseguire la sostituzione.

A Plateau de Beille, la prima vittoria di Pantani al Tour del 1998
A Plateau de Beille, la prima vittoria di Pantani al Tour del 1998

Il record di Plateau de Beille

Pogacar ha scalato Plateau de Beille in 39’42” alla media di 23,800, iniziando la salita a tutto gas. Pantani impiegò 43’28”. Un risultato stupefacente, certo, che però non tiene conto del fatto che Marco fu fermato da Roberto Conti (leggete l’articolo pubblicato pochi giorni fa) per aspettare Ullrich, il suo avversario in maglia gialla, che aveva bucato. Per cui il tempo di scalata di Pantani è composto dai minuti necessari perché Ullrich si fermasse, aspettasse l’arrivo dell’ammiraglia, cambiasse bici e risalisse il gruppo che intanto non si era fermato. Già questo basterebbe.

Non è una questione di asfalti più veloci (le strade erano belle anche nel 1998), ma se volessimo guardare, potremmo parlare delle bici e ci sarebbe tanto da dire. La Bianchi con cui il romagnolo vinse il Giro e dopo il Tour era in alluminio, non aveva ruote ad alto profilo e in termini di aerodinamica non era certo al livello delle bici di adesso. Impossibile fare confronti.

Pantani non sapeva cosa fosse un powermeter e questo magari per colpa sua, refrattario com’era all’impiego di ogni tecnologia legata alla preparazione. Quando all’inizio del 1999 cercarono di imporgli l’uso del cardiofrequenzimetro, faceva di tutto per dimenticarlo a casa o in hotel. Non andava ad allenarsi in altura, gli bastava il Carpegna. E come spuntino dopo l’allenamento, mandava giù uno zabaione. Colpa sua anche quella: c’era già chi studiava la nutrizione come un fronte sensibile, ma di certo nel 1998 non c’erano le consapevolezze di oggi.

La sfida con Tonkov al Giro del 1998 tenne Pantani sulla corda sino alla fine. Non fu abbastanza fenomeno o il russo era un osso duro?
La sfida con Tonkov tenne Pantani sulla corda sino alla fine. Non fu abbastanza fenomeno o il russo era un osso duro?

Fra Giro e Tour

Fu colpa sua anche il fatto che dopo il Giro non avesse alcuna intenzione di andare al Tour, per cui trascorse la sua bella decina di giorni in spiaggia e chissà cos’altro. Fu la morte di Luciano Pezzi a spingerlo verso la corsa francese. Nessuna ferrea pianificazione: quella apparteneva semmai a Ullrich e Riis, che sul Tour affrontato nel segno della scienza avevano costruito la loro storia. Nessuna altura per Marco e certamente per lui le fatiche del Giro furono superiori rispetto a quelle incontrate da Pogacar lo scorso mese di maggio.

Pantani dovette fronteggiare prima Zulle e poi Tonkov: due ossi molto duri. Il primo lo mise in croce all’inizio fino alla crono di Trieste. Il secondo lo sfidò fino a rischiare l’infarto nel giorno di Montecampione e poi nella crono finale di Lugano. Si avanzarono delle ipotesi assai brutte al riguardo: la fortuna di Pogacar è che nessuno dice contro di lui quello che un tempo era abituale dire su chi andava così forte. In questo il ciclismo è cambiato di molto, per fortuna: oggi si ha il diritto di vincere senza insinuazioni.

Il livello del Tour 2024 è vicino a quello del Tour 1998: i due rivali sono entrambi fortissimi
Il livello del Tour 2024 è vicino a quello del Tour 1998: i due rivali sono entrambi fortissimi

Quali avversari

Nel Giro del 1998, che non ebbe giorni di riposo, Pantani chiuse la prima settimana 6° a 1’02” da Zulle. La seconda la chiuse 2° in classifica a 22” da Zulle. Concluse il Giro con 1’33” di vantaggio su Tonkov.

Nel Giro 2024, Pogacar ha concluso la prima settimana con 2’40” su Martinez. La seconda con 6’41” su Thomas. E ha concluso il Giro con 9’56” su Martinez.

La differenza fra i due è che Tadej è indubbiamente un fenomeno: Pantani non ha mai vinto la Liegi e nemmeno il Lombardia. Ma in quel ciclismo che faceva della specializzazione il suo punto di forza, Marco si ritrovò al Giro contro avversari che sapevano come si vincesse un Grande Giro. Fra gli avversari di Pogacar al Giro, tolti Thomas e Quintana ormai sul viale del tramonto, nessuno aveva mai vinto un grande Giro.

Il Tour del 1998, con un solo giorno di riposo, è invece molto più simile a quello attualmente in corso, con due fenomeni in testa, capaci di dominare il gruppo con superiorità disarmante. L’attacco di Ullrich all’indomani della sconfitta delle Deux Alpes somiglia tanto a quello condotto ieri da Vingegaard. Due fenomeni e dietro il vuoto. Si è tutti fenomeni, in attesa di uno più grande: la storia insegna questo. E allo stesso modo in cui i corridori degli anni Novanta fecero sentire piccini quelli del ventennio precedente, i fenomeni di oggi mettono in ombra quelli che li hanno preceduti.

All’indomani della batosta di Les Deux Alpes, Ullrich attaccò a testa bassa
All’indomani della batosta di Les Deux Alpes, Ullrich attaccò a testa bassa

E’ tutto relativo

Evviva Pogacar, campione assoluto. Evviva però anche Pantani, che ci fece sognare e per farlo dovette sfidare i giganti. Il resto sono chiacchiere da bar che ormai non attecchiscono più neppure sui social. So bene anche io che la Volvo elettrica con cui stiamo… correndo il Tour ha un’accelerazione migliore di certe auto da corsa del Novecento, ma non mi sognerei mai di dire di essere più veloce di Josè Manuel Fangio.

E comunque, giusto per non togliere interesse, il Tour è tutt’altro che finito. Mancano le Alpi e la crono finale. E sta iniziando a fare veramente caldo.

Seconda settimana finita: Pogacar brinda, cosa trama Vingegaard?

14.07.2024
6 min
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PLATEAU DE BEILLE (Francia) – Le ha prese anche oggi, ma Vingegaard dimostra di avere due attributi grossi così. Sarebbe potuto restare passivo, pensando a difendersi. Invece ha fatto tirare la squadra per tutto il giorno. E quando a 10,5 chilometri dalla fine Jorgenson ha dato l’ultima strappata, il danese ha attaccato. Niente a che vedere con le “aperture” dello scorso anno, ma ha comunque chiamato Pogacar allo scoperto, anche se alla fine ha dovuto cedergli 1’08”. Per definire la differenza di livello fra Giro e Tour, basti osservare che alla fine della seconda settimana del Giro, Tadej aveva già 6’41” su Thomas. Qui il suo margine su Vingegaard è ora di 3’02”. Sempre tanto, ma pur sempre la metà.

Jonas arriva e sembra ben disposto. Noi indossiamo tutti la mascherina per disposizione del Tour. La sua grande educazione in certi giorni ti incanta, al confronto con altri sportivi sconfitti che rifiutano di parlare o lo fanno con tono risentito.

Nonostante il passivo di 1’08”, Vingegaard si dice soddisfatto della sua prova. E il Tour è ancora lungo
Nonostante il passivo di 1’08”, Vingegaard si dice soddisfatto della sua prova. E il Tour è ancora lungo
Ti ha fatto tanto male?

In realtà penso di aver fatto la prestazione della vita sull’ultima salita. Per cui posso essere super felice e orgoglioso di come ho corso, di come ha corso la squadra. Tadej è stato semplicemente molto meglio, quindi congratulazioni a lui. Oggi pensavo di poterlo battere, avevo ancora delle speranze, ma ha dimostrato quanto è forte. Io sono andato al top e lui ha guadagnato un minuto? Merita di vincere.

Come dire che sei pronto ad arrenderti?

Se riesce a mantenere questo livello sino in fondo, arrivare secondo non sarebbe un disonore. Ora non ho niente da perdere, sono un po’ nel mezzo, per così dire, e attaccherò ancora. Penso ancora di poter vincere, anche se sembra difficile. Può ancora avere una brutta giornata, lo abbiamo visto negli ultimi due anni (nel 2022 e nel 2023, in occasione dei due attacchi di Jonas, Pogacar perse più di 3 minuti in un solo colpo, ndr). Quindi penso che dobbiamo sperare in questo e lavorare perché accada. Non me ne andrò da questo Tour senza averci provato sino in fondo.

E’ sembrato che quando hai attaccato, lo stessi guardando. Volevi studiarlo?

Non stavo guardando indietro, stavo solo cercando di fare il massimo che potevo. E ho attaccato. Da quel momento ho spinto il più forte possibile fino al traguardo. Questo era un piano studiato da mesi, questa tappa andava corsa così. E non ho avuto dubbi, anche se ieri è andata come sapete. Abbiamo una buona strategia e negli ultimi due anni ha funzionato. Sappiamo che posso sopportare grandi fatiche e potrei farlo anche quest’anno.

Si pensa che potrai crescere, ne sei convinto anche tu?

Se ho fatto davvero la migliore prestazione della mia vita, non so se sia possibile crescere ancora. Il Tour si vince gestendo le giornate di crisi e non calando di condizione. Io penso di poter restare a questo livello sino in fondo. Vedremo alla fine.

Tadej terrà questo livello?

Il parcheggio dei team ha facce diverse. I pullman sono a valle, a Les Cabannes, per cui i corridori hanno ricevuto i loro bei fischietti e stanno scendendo. Arthur Van Dongen, direttore sportivo con Niermann della Visma Lease a Bike, era abituato a commentare altre situazioni. Finisce di scrivere un messaggio, mette su la mascherina e poi risponde.

«Visto come è andata la gara – dice – penso sia chiaro quale piano avessimo. Dare il massimo tutto il giorno e rendere la gara più dura possibile. Abbiamo fatto un lavoro molto, molto buono. Abbiamo ammazzato tutti. A inizio salita i corridori di classifica si sono staccati subito. Ci sono stati subito distacchi importanti. Solo un corridore ci è stato superiore e ha fatto nuovamente la differenza. Jonas si sente bene e noi abbiamo ancora fiducia in lui. Sappiamo che nell’ultima settimana possono succedere molte cose. Non rinunciamo a combattere, ma dobbiamo essere realistici. Ci sono ancora montagne e una crono. Diversa dallo scorso anno, come diversi sono l’avvicinamento di Jonas al Tour e la forma di Pogacar. Tadej ora è fortissimo, aspettiamo di vedere se rimarrà a questo livello».

Il miglior Pogacar di sempre

Gianetti invece non sta nella pelle. Il Team principal del UAE Team Emirates si è fatto il giro di tutti i microfoni e adesso ragiona con calma sullo show cui abbiamo appena assistito. E poi, con una punta di saggezza, invita a mantenere la calma.

«Avevamo visto la sua crescita già da quest’inverno – spiega – poi ha fatto un gran Giro d’Italia e soprattutto una bellissima preparazione per questo Tour. Chiaro che vedere la sua differenza in questo momento con il resto degli avversari è bello. Credo davvero che sia il miglior Tadej di sempre, ma questo non deve farci abbassare la guardia. Tre minuti sono un bel vantaggio, ma la settimana finale di questo Tour de France è veramente molto impegnativa, ci saranno tante difficoltà. Oggi non abbiamo dovuto lavorare, ma pur rimanendo a ruota, è stato un giorno duro. Quindi è chiaro che ci sarà il lavoro da parte delle squadre e degli altri corridori che proveranno a migliorare la loro classifica.

«Sarà una settimana molto impegnativa, sia sotto l’aspetto fisico che mentale. Io non ho mai fatto Giro e Tour nello stesso anno, non posso neanche immaginare cosa sia. E’ qualcosa che va al di là dell’immaginazione, però questo è l’obiettivo e non l’abbiamo ancora raggiunto».

Una mostra di maglie gialle. Il tributo di Bettini al Tour

14.07.2024
5 min
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Il passaggio del Tour de France a San Marino è stato festeggiato anche attraverso una mostra fotografica dedicata alla Grande Boucle, autore il “nostro” Roberto Bettini, collega con il quale abbiamo condiviso una vita di trasferte in giro per il mondo e che attraverso la sua agenzia fornisce gran parte delle foto che trovate sul nostro sito. Bettini è la perfetta incarnazione dell’uomo che ha fatto della sua passione un lavoro, non perdendone nel corso degli anni neanche un’oncia.

Una rassegna di campioni e protagonisti per un solo giorno, accomunati dalla maglia gialla
Una rassegna di campioni e protagonisti per un solo giorno, accomunati dalla maglia gialla

La storia attraverso i leader

La sua mostra ha una particolarità, legata al tema scelto: per identificare il Tour ha deciso di proporre solo ed esclusivamente foto delle varie maglie gialle indossate nel corso degli anni. La storia della corsa attraverso i suoi leader, da chi ha vinto più edizioni consecutivamente a chi magari l’ha indossata solo per un giorno, conservandone quel ricordo per tutta la vita.

«Niente più di quella maglia è il manifesto, l’icona del Tour – spiega così la sua scelta Bettini – non a caso tutto è giallo e lo si è visto anche nelle varie località italiane toccate dal suo passaggio. Era la prima volta che avveniva una cosa del genere da noi e bisognava darle il giusto peso, il problema era scegliere qualcosa che fosse immediatamente identificativo. A San Marino avevano pensato di fare un chilometro tutto giallo, ma avere i permessi (anche lì era tempo di elezioni) era difficile. Così abbiamo scelto la strada della mostra delle maglie gialle, un simbolo che porti appresso tutta la vita».

L’ampio locale che ha ospitato la rassegna fotografica di Roberto Bettini
L’ampio locale che ha ospitato la rassegna fotografica di Roberto Bettini
Quanti Tour hai vissuto in prima persona?

Tutti dal 1991 fino al 2014, poi ho passato la mano a mio figlio, tramite lui mi sono sempre sentito parte della carovana, anche perché ogni anno qualche tappa l’ho comunque vissuta in prima persona. Facendo il conto ho seguito in moto più di 500 tappe in Francia e in giro per l’Europa e ho vissuto sulla mia pelle l’evoluzione, il cambiamento profondo che questo mondo ha vissuto e vive ancora adesso.

Rispetto a quando hai iniziato a seguirlo, quant’è cambiato l’ambiente dal tuo punto di vista?

Profondamente. E’ molto più difficile lavorare oggigiorno, ci sono tante regole da seguire, tanti mezzi in più ma paradossalmente molte meno moto a nostra disposizione. Inoltre prima ci si poteva muovere meglio in mezzo al gruppo, oggi devi chiedere permesso ai regolatori e quando ti arriva, magari il momento buono è passato. Le foto oggi sono molto più frutto di fortuna per trovare l’attimo giusto. D’altronde normalmente trovi 2 moto per l’acqua, 4 per i regolatori, poi le Tv senza considerare i mezzi per i vip. Le ammiraglie sono poste davanti invece che dietro, insomma è un modo diverso di vivere la corsa. Spesso si sceglie un punto, ci si ferma e si fotografa il passaggio, ma bisogna essere fortunati.

Vingegaard in primo piano in occasione del suo ultimo Tour vinto, di fronte Stephen Roche, primo nel 1987
Vingegaard in primo piano in occasione del suo ultimo Tour vinto
Come si ovvia a tutte queste difficoltà?

Cercando anche di mettersi d’accordo, di collaborare fra noi fotografi. Questo avveniva anche prima, perché non sempre si aveva la moto a disposizione, erano un po’ ruotate fra i fotografi. Diciamo che ci si passa la base di lavoro in corsa.

Oltretutto anche dal punto di vista tecnico il vostro lavoro è cambiato…

Infatti, ora è tutto diverso. Prima si portavano le foto all’arrivo e magari si scaricavano e si identificavano alla sera, ora le richieste sono in tempo reale, serve quindi la persona in sede che raccolta e prepari le foto per la pubblicazione in tempi rapidissimi perché già pochi minuti dopo siti e social chiedono. Io infatti mi dedico a questa fase del lavoro, per caricare le foto sul sito prima possibile.

Ti diverte questo ciclismo?

Molto. Con corridori come quelli di oggi, i Pogacar e i Vingegaard che si confrontano di continuo è incerto. E’ un bel momento, io ho vissuto quello dei dominatori assoluti, l’epoca di Armstrong che toglieva smalto al ciclismo dal punto di vista dell’incertezza. Oggi non sai quel che può succedere e questo appassiona.

Servirebbe però il corridore italiano di riferimento…

Infatti se ne sente tanto la mancanza. Anche se l’Italia nel ciclismo di oggi c’è, molto più di quanto si pensi, basta pensare alla Uae che ha tanto d’italiano al suo interno e anche Pogacar in effetti è un nostro “vicino”. Il problema è che senza un italiano, la gente è distratta, si vede ad esempio quel che sta succedendo nel tennis che oggi attira tanta attenzione. Non c’è l’entusiasmo di prima. A Ravenna tanti si lamentavano per il blocco delle strade, vagli a spiegare che stava succedendo qualcosa di storico, mai avvenuto prima…

Greg Lemond, uno dei grandi interpreti negli anni Ottanta, tre volte vincitore
Greg Lemond, uno dei grandi interpreti negli anni Ottanta, tre volte vincitore
Ma la gente secondo te ama ancora questo ciclismo?

Io dico di sì. Una cosa che mi colpisce sempre è vedere quanti cartelli ancora ci sono in giro per le corse che inneggiano a Pantani, questo fa capire quant’era l’amore per il Pirata. Oggi però il ciclismo soffre un po’ come il calcio, perché non c’è il riferimento a cui appoggiarsi.

E parlando di passione, la tua c’è ancora?

Sì, non diminuisce anche se il modo di lavorare è cambiato. Ma anche occupandomi di editing vivo questo mondo, quando sono presente respiro le stesse sensazioni di allora e sembra che gli anni non sono passati. D’altronde un Bettini in carovana c’è sempre…

Pogacar sui Pirenei: il piccolo principe con i denti di un lupo

13.07.2024
4 min
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PLA D’ADET (Francia) – Oggi ha l’espressione beata del Grappa e di tutte le volte al Giro in cui un piano pensato alla vigilia andava a buon fine. Certo la sensazione che questa vittoria Pogacar dovrà sudarsela secondo dopo secondo si fa largo ogni giorno. Quei numeri del Giro appartengono a un’altra dimensione, qui Vingegaard e anche Evenepoel sono avversari ben più cattivi di quelli incontrati in Italia. E forse nella scelta di puntare sul Giro s’è tenuto conto anche di questo. Però intanto Vingegaard oggi ha dovuto subire e tanto gli basta per andare a letto più sereno.

Yates gli ha permesso di respirare e di spiccare nuovamente il volo
Yates gli ha permesso di respirare e di spiccare nuovamente il volo

Lo sgabello della star

Pogacar è seduto sullo sgabello della mix zone con centomila microfoni puntati sulla faccia. Sorride e racconta, mentre dalla strada alle spalle del palco arrivano boati al suo indirizzo. Su questo il Tour non fa eccezioni rispetto al Giro: lo sloveno è idolo anche qui.

«Volevamo davvero correre in modo conservativo – sorride – ma puntavamo comunque alla vittoria di tappa, perché sapevo di poter arrivare con un buono sprint nel finale. Poi ho visto l’opportunità per Adam (Yates, ndr) di fare il vuoto e di arrivare anche alla vittoria di tappa, in più facendo lavorare la Visma. Di colpo però mi sono accorto visto che quando ha attaccato, il ritmo è addirittura calato, non tiravano poi così forte. E allora ho avuto la sensazione che forse avrei potuto provare a raggiungere Adam. Lui è il compagno perfetto, quello che vorresti avere sempre con te. Si è appesantito un po’, ma ha dato tutto quello che aveva. Io alla sua ruota ho potuto respirare per un paio di volte e questa oggi è stata, credo, una delle principali differenze. Il fatto che Adam fosse lì per me. E’ stata una splendida intuizione. Per questo stasera devo dire che grazie a tutti i compagni di squadra. Oggi hanno fatto davvero un lavoro incredibile, sono super felice».

Pogacar con Sivakov nella discesa del Tourmalet: la squadra sempre unita
Pogacar con Sivakov nella discesa del Tourmalet: la squadra sempre unita

Il record di Cavendish

Politt finché ne ha avuta. Poi Soler gli ha poggiato una mano sulla schiena, ringraziandolo e autorizzandolo a spostarsi. E quando lo spagnolo ha finito il suo lavoro, è stata la volta di Almeida, inatteso in questo ruolo, lui che spesso gioca da primo attore e ha il suo bel caratterino. Se ci fosse stato ancora Ayuso, forse, avrebbero potuto fare di più.

«Manteniamo questo slancio – dice Pogacar – e una buona energia nella squadra, buone gambe. Proviamo a mantenere questa mentalità in un’altra giornata, quella di domani, in cui tutti saranno nuovamente importanti. Vincere tante tappe è qualcosa cui non ho mai pensato, neppure quando ero più piccolo. Ad esempio, vedendo Mark Cavendish vincere così tanti sprint, ho sempre pensato che venisse da un altro pianeta e che non fosse raggiungibile. Ma se insegui i tuoi sogni, allora forse puoi reggiungerli. Non è il mio obiettivo raggiungere Cavendish (Pogacar finora ha vinto 13 tappe in 5 Tour, ndr), l’ho detto solo per far capire quanto io l’abbia ammirato e quanto fosse bello vederlo vincere con la sua squadra».

Pogacar lo ha detto chiaro: Almeida ha fatto gli straordinari, ma davvero bene
Pogacar lo ha detto chiaro: Almeida ha fatto gli straordinari, ma davvero bene

Correre d’istinto

In fondo è tutto molto semplice oppure tale lo fa sembrare. La realtà è che per un tipo orgoglioso come lui non è stato facile essere preso a schiaffoni. Attacco spettacolare, ma a vuoto sugli sterrati. Attacco spettacolare, ma a vuoto (e con la beffa della sconfitta) a Le Lioran. Un inverno di diete, studi sulla posizione e lavori di fino. Finché arriva Vingegaard dopo un infortunio come quello dei Paesi Baschi e ti sembra che nulla sia cambiato? Doveva riprovarci, senza meno…

«Mi sentivo davvero bene oggi – dice – le cose non sono andate secondo i piani sulla salita finale, perché ci mancava un uomo: Ayuso si è dovuto ritirare e quindi Almeida ha lavorato molto duramente già a 8 chilometri dalla fine. Ho attacato anche perché ho visto che nessun uomo di classifica stava provando qualcosa. Ho visto un’opportunità e sono partito. C’è ancora molta strada da fare fino a Nizza, ma oggi sono iniziate le vere tappe di montagna! La chiave è che abbiamo una squadra forte per supportare le mie opzioni. In ogni intervista mi dicono che devo risparmiare energie, ma amo correre d’istinto. A volte funziona, a volte no… ma a me piace così».

Vingegaard getta la maschera: sui Pirenei sarà caccia a Pogacar

12.07.2024
6 min
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PAU (Francia) – Nell’immensa bolgia che ha accolto il gruppo a Pau, a un certo punto non s’è capito più niente. Eravamo al pullman del UAE Team Emirates a parlare con Ayuso, ritirato per il covid, quando s’è sparsa la voce che Pogacar fosse caduto prima della volata. Il tempo di capire che non fosse vero e ci siamo trovati davanti alla maglia gialla che invece lo sprint addirittura l’ha fatto. Certo alla larga dallo sgomitare dei velocisti, ma pur sempre una volata di gruppo. Già è abbastanza strano – ma emozionante – che corra in attacco infischiandosene delle astuzie e le cautele del leader, ma addirittura fare la volata di gruppo?

Domani Pla d’Adet, ma prima ancora il Tourmalet e Horquette d’Ancizan accenderanno il fuoco sotto il pentolone del Tour. Finora se le sono date, ma senza mai affondare il colpo. Domani potrebbe essere l’inizio di un nuovo viaggio. Oggi per qualche chilometro, Adam Yates li ha fatti tremare. La sua presenza nella fuga poteva significare ritrovarselo nuovamente in classifica. Per questo la Visma-Lease a Bike si è impegnata per chiudere.

Sprinter Pogacar

Eppure Pogacar se la ride. Sta facendo esattamente come negli ultimi due anni: fuochi d’artificio per tutti, ogni giorno, alla prima occasione. E domani che cominciano i Pirenei, Tadej si ritroverà senza Ayuso e con Vingegaard che vuole davvero capire a che punto si trovi.

«Il finale non era stressante – spiega la maglia gialla – ero nella mia zona sicura, la mia bolla ed ho evitato tutte le situazioni più frenetiche con la mente lucida. Alla fine però ho visto la possibilità di fare un piazzamento nei dieci e ho fatto la volata. Tranquilli ragazzi, non preoccupatevi. Semmai è più preoccupante l’abbandono di Ayuso, ma credo che abbiamo ugualmente una squadra fortissima. Soler e Politt stanno facendo un lavoro incredibile. Yates e Almeida in montagna sono due sicurezze. Sono tutti in forma per il lavoro che ci attende da domani. Sono le prime salite vere, finora non ce ne sono state, tranne forse nel giorno del Galibier. Considerata la situazione della classifica generale, ora possiamo correre un po’ sulla difensiva. Vorrei vincere la tappa, ma non spenderò troppe energie per quello».

Vingegaard parla di unità della squadra e di aver finito la tappa tutti insieme
Vingegaard parla di unità della squadra e di aver finito la tappa tutti insieme

Cecchino Vingegaard

Tanto è spavaldo Pogacar, per quanto è cauto e cinico Vingegaard. Il danese non ha l’appeal, il ciuffo e i modi telegenici dell’attuale maglia gialla, ma è un grande professionista. Cento giorni fa era messo davvero male, ora è qui con la sensazione che potrebbe nuovamente giocarsi il Tour. Pogacar l’ha capito e questa consapevolezza secondo noi ha reso meno rilassanti i suoi giorni. Forse il tanto sbandierare la serenità è la prima spia di qualche preoccupazione sorta nel frattempo?

«Entriamo in un terreno che mi si addice un po’ di più – dice Vingegaard – aspettiamo con ansia i prossimi giorni. Mi sento molto bene, oggi per noi è stata una bella giornata. Siamo arrivati tutti insieme, non abbiamo perso tempo con nessuno e adesso speriamo di poter recuperare bene fino a domani. Yates in fuga non era la situazione ottimale, non volevamo lasciarlo rientrare nella classifica generale, per questo abbiamo preferito riprenderlo. Da questo punto di vista è stata una giornata dura. Abbiamo provato anche a spaccare il gruppo con i ventagli, ma alla fine i principali avversari erano ancora lì e non avrebbe avuto molto senso continuare a spingere e suicidarsi.

«Da domani però non ci sarà spazio per nascondersi, ma vedremo come verrà gestita la tappa. Dovremo solo aspettare e vedere. Non ho intenzione di dire cosa faremo domani, ma abbiamo le nostre idee. E’ il fine settimana che mi si addice meglio, per cui spero in una corsa dura. Potrei anche attaccare. Finora abbiamo ragionato sul presente, anche perché non stavo benissimo: da domani inizieremo a lavorare per il futuro».

Nostalgia di Parigi

Philipsen della presenza di Pogacar in volata dice di non essersi accorto. Non che sarebbe cambiato qualcosa. Il belga, già primo a Saint Amand Montrond, ha fatto la sua traiettoria creativa, spostandosi dal centro sulla destra e resistendo poi alla rimonta di Van Aert. Al momento del cambio di linea, Wout non ha potuto fare altro che prendergli la ruota. Sarà perché convive male con il soprannome “Disaster”, quando gli chiedono che cosa pensi delle lamentele di qualche avversario, Jasper si indurisce e taglia corto. Hai qualche commento?

«No comment. Non mi piace questa domanda». Le domande dirette si possono fare, poi tutti pronti a ricevere risposte come questa. Il belga va avanti nel discorso dicendo che solo a fine Tour faranno un’analisi per capire che cosa non abbia funzionato nella prima settimana, ma che due vittorie non sono così male. Non vuole parlare di forma che non c’era e tantomeno di sfortuna, per paura che ne chiami altra. Poi con quel ghigno furbetto da velocista spiega che è impossibile prendere nuovamente la maglia verde. E che da velocista trova singolare che il Tour non finisca a Parigi.

«E’ davvero strano – sorride (penserà già al ritiro dopo la tappa di Nimes?) – manca lo zuccherino in fondo. Non è la sensazione più bella, ma è così e non possiamo cambiarlo. In pratica sappiamo che dopo la tappa 16 ne avremo altre cinque in cui soffriremo per arrivare in fondo. Dovremo restare forti, questo è il Tour del 2024».

Van Aert aiuterà Vingegaard, ma vuole soprattutto vincere una tappa
Wout Van Aert aiuterà Vingegaard, ma vuole soprattutto vincere una tappa

Van Aert diviso a metà

Chi si va mangiando le mani è Wout Van Aert, anche oggi secondo, come se gli mancasse la forza necessaria per volgere la volata a suo favore. Sempre alla ricasca degli altri, scegliendo traiettorie non sempre ideali.

«C’erano vibrazioni da vere classiche oggi – dice – un po’ di vento, terreno collinare e tappa a tutto gas dal colpo di pistola. Mi è davvero piaciuta, per questo è un peccato che non riesca ancora a vincere. Il gruppo era piccolo, tanti pensavano di potercela fare. Ho sbagliato ritrovandomi in testa troppo presto, per il vento che c’era. Quando è così, a volte sei troppo lontano e a volte troppo davanti. Ho dovuto aspettare un po’ ai 350 metri dall’arrivo, perché sarebbe stato troppo presto. Forse se fossi partito ai 200, avrei vinto, ma non dirò mai che non sono soddisfatto del lavoro di Laporte per me. Domani inizia di nuovo un’altra gara e daremo pieno supporto a Jonas. Spero di svolgere il mio compito, ma a questo punto spero anche di vincere una tappa. Nella seconda settimana mi sto sentendo bene, il grande risultato è nelle gambe, ma devo dimostrarlo anche sulla bici».

Girmay cala il tris, ma la notizia è la maledizione di Roglic

11.07.2024
6 min
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Più di due minuti per Roglic che ha tagliato il traguardo scortato da tutta la squadra. Anche questo ti fa sentire capitano, come con Pantani dopo la caduta del Chiunzi. Ma alla fine sarà una ben magra consolazione, soprattutto se i medici diranno qualcosa di brutto e inatteso. E’ stata una tappa per certi versi disastrosa, in cui il solo contento sarà alla fine Girmay, che ha sollevato le braccia al cielo per la terza volta in questo Tour de France.

Riavvolgiamo il nastro dall’epilogo. Per scorrettezze durante lo sprint sono stati declassati Demare e Cavendish. Poco prima, a 12 chilometri dall’arrivo, Alexei Lutsenko ha provocato la caduta che costerà il Tour a Primoz Roglic, che finalmente era parso in crescendo. Mentre nei chilometri precedenti hanno alzato bandiera bianca Pello Bilbao, Fabio Jakobsen e non è partito Morkov, positivo al Covid. Doveva essere una tappa di trasferimento, è venuto fuori un finimondo.

«Se guardo la mia performance – dice Van Aert, secondo all’arrivo – posso essere soddisfatto. Avevo alcuni dubbi, soprattutto ieri. Mi facevano male l’addome e il braccio, ma abbiamo accertato che non ci siano fratture, anche se sull’asfalto sconnesso si fa sentire. Stamattina mi sentivo meglio, stavo bene sulla bici. Così ho voluto provare lo sprint. E’ stato difficile, avrei potuto fare meglio, se non fossi dovuto ripartire durante la volata. Ancora una volta ho scelto la parte giusta, quindi non è stata colpa mia. E’ stato uno sprint disordinato, senza una squadra che lo abbia impostato. Davanti c’erano solo uomini sciolti. Io ho iniziato a ruota di Demare. Doveva semplicemente andare dritto, ma ha scelto di spostarsi a destra dove c’ero già io. Ho dovuto smettere di pedalare e spostarmi dall’altra parte. Poi sono arrivato accanto a Biniam, ma con mezza ruota di troppo. E’ un peccato.

«Ed è un peccato che sia caduto Primoz, mi dispiace molto per lui. Ha già avuto tanta sfortuna, la classifica generale non dovrebbe definirsi così, ma c’è molto stress. Dal mio punto di vista è stata una frazione molto difficile, con alcuni spartitraffico troppo pericolosi. Penso che certi ostacoli possano essere segnalati meglio o addirittura rimossi. Perciò sono molto orgoglioso del fatto che Primoz sia voluto arrivare al traguardo. E ora spero che stia bene e che continui la corsa».

Amarezza per Roglic

Attorno al pullman della Red Bull-Bora-Hansgrohe si respira un pessimo umore. Quando è arrivato Roglic, ha trovato anche un tifoso che insisteva a camminargli accanto per farsi un selfie, incurante della spalla lacera e degli evidenti segni della caduta. La dinamica è stata spiegata e vivisezionata. Al centro della strada c’era da diversi metri un cordolo che separa le due carreggiate. E Lutsenko, forse perché spinto o forse perché non se ne è accorto, dal lato sinistro, si è spostato per andare a destra. La sua bici si è impuntata sul gradino, è finita dall’altra parte ed è diventata la rampa di lancio per Roglic. Lo sloveno non lo ha nemmeno visto arrivare, dato che al momento della caduta di Lutsenko era ancora indietro. Si è semplicemente trovato davanti l’uomo a terra ed è franato a sua volta, battendo la schiena.

L’inseguimento è stato doloroso e drammatico. Era palese che Primoz non ce la facesse. E a vederlo in quella brutta posizione, sono saltate alla mente tutte le volte che è caduto, lasciando andar i suoi sogni. Come al Tour del 2022, il primo vinto da Vingegaard. Quando lo sloveno cadde nella tappa del pavé, fu decisivo per l’attacco contro Pogacar sul Granon, poi impacchettò le sue cose e tornò a casa.

Passaggio a Rocamadour, luogo sacro per i francesi, teatro dell’ultima crono 2022
Passaggio a Rocamadour, luogo sacro per i francesi, teatro dell’ultima crono 2022

Il racconto di Pogacar

«Abbiamo sentito uno schianto – ha commentato Pogacar – ma il finale era già abbastanza stressante e non mi sono voltato per capire che fosse caduto. Ma poi, subito dopo il traguardo, hanno detto che era Primoz e mi è dispiaciuto molto. E’ davvero in buona forma e lo vedo progredire durante le tappe, quindi finora ho pensato che avrebbe lottato sino in fondo per questo Tour.

«E’ stato davvero triste vederlo cadere oggi e penso che abbia perso un bel po’ di tempo. Spero che stia bene. Normalmente è un grande combattente, spero si possa riprendere e puntare a vincere qualche tappa. Io invece sono stato bene. Mi aspettavo gambe più stanche, invece sono stato abbastanza bene per tutto il giorno».

Okay, sembrano dirsi Pogacar e Vingegaard, da sabato si comincia…
Okay, sembrano dirsi Pogacar e Vingegaard, da sabato si comincia…

«Una caduta come quella di oggi non dovrebbe accadere – dice Merjin Zeeman, ex direttore di Roglic alla Jumbo-Visma – c’erano cordoli impossibili da vedere per il gruppo. La caduta non è colpa dei corridori e ci dispiace davvero per Primoz. Non puoi far percorrere al gruppo del Tour una strada del genere, è da irresponsabili».

Girmay, grazie a Dio

E poi arriva lui, il vincitore vestito di verde che ha esultato come un giorno fece Sagan, imitando Hulk. Anche se nel caso di Girmay, la sensazione è che sia stato semplicemente un urlo liberatorio dopo la tensione della volata.

«Voglio ringraziare Dio – dice – senza il quale non avrei la forza per fare tutto questo. Poi voglio ringraziare i miei compagni e la mia squadra, perché senza di loro non riuscirei a dimostrare di essere il più veloce. Fin dall’inizio di questo Tour de France, sapevo che avrei potuto vincere. In tre sprint ho dimostrato che, se sono ben posizionato, sono in grado di farlo. Oggi poteva starci bene che la fuga arrivasse, ci avrebbe fatto comodo. Ma quando si è capito che sarebbe finita in volata, ho detto alla mia squadra via radio che mi sentivo bene e che mi sarei buttato.

«Questo mi fa venire voglia di continuare a concentrarmi completamente sugli sprint. La maglia verde mi mette le ali. Mi sento super veloce ed è soprattutto un fatto nella testa. Ho avuto i miei alti e bassi nelle ultime stagioni, ma quest’anno ho cambiato le cose e sta funzionando. Ho cambiato anche la mia filosofia».

La lenta sfilata della Red Bull-Bora non è servita a limitare il passivo di 2’27”
La lenta sfilata della Red Bull-Bora non è servita a limitare il passivo di 2’27”

Roglic, errore o sfortuna?

Probabilmente in serata arriveranno aggiornamenti sulle condizioni di Roglic, l’uomo che ha cambiato squadra per giocarsi il Tour e si ritrova ancora una volta al tappeto come già altre volte in passato. Non è mai per caso, a certi livelli. Enrico Gasparotto ha detto in diretta RAI che da qualche giorno non riescono a vedere la corsa dall’ammiraglia e non si è capito se questo significhi non poter dire ai corridori di stare davanti o se fosse semplicemente un modo per dire che non potesse fare un commento. In ogni caso che Roglic stia sempre indietro e finisca spesso nei guai è un fatto.

Nel finale convulso e mal segnalato di oggi, i primi della classifica erano tutti in testa con le loro squadre. E’ bello pensare che la squadra compatta si il modo di tenerti lontano dai guai, non un drappello afflitto che ti scorta dolorante verso un traguardo ormai troppo lontano.

«Primoz ha appena fatto la doccia – ha detto Rolf Aldag, manager del team – il medico lo sta visitando, per determinare quali cure mediche ha bisogno. Ci auguriamo tutti che non succeda nulla di grave, per il momento la cosa più importante è lo stesso Primoz, non il suo risultato al Tour de France. Speriamo che stia bene, che non si sia allenato così duramente per niente. E’ un dato di fatto, questa caduta ha avuto conseguenze importanti sulla nostra squadra oggi».