Lazer KinetiCore, i nuovi caschi essenzialmente funzionali

30.03.2022
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I nuovi caschi Lazer KinetiCore danno il via ad una importante rivoluzione, dove la protezione è sempre il soggetto principale. Questi prodotti fanno collimare un rinnovata tecnologia di sviluppo, produzione e concetto, fattori che si riflettono in modo esponenziale sulla prestazione una volta indossati. Abbiamo visto le due anteprime road, ovvero i modelli Vento e Strada, due modelli che indosseranno anche gli atleti del Team Jumbo-Visma. Abbiamo provato in anteprima la versione Vento durante le giornate BCA.

Roglic con il nuovo Lazer Vento KinetiCore (foto Lazer Team Jumbo-Visma)
Roglic con il nuovo Lazer Vento KinetiCore (foto Lazer Team Jumbo-Visma)

Lazer KinetiCore la tecnologia in tutti i caschi

Con tutta probabilità, a detta degli stessi sviluppatori, Lazer KinetiCore è una delle innovazioni più importanti dell’azienda belga che opera all’interno del portfolio Shimano ed è molto differente dalle tecnologie di protezioni già presenti nel mercato. Inoltre non è solo legata ai caschi top di gamma, ma la ritroviamo anche nei caschi dei bambini e delle diverse categorie di utilizzo. Anche per questo motivo, il messaggio che viene trasmesso è chiaro e apprezzabile, “il massimo in fatto di sicurezza deve essere disponibile e fruibile per tutti”.

La parte interna del casco (@MirrorMedia BCA)
La parte interna del casco (@MirrorMedia BCA)

KinetiCore, in cosa consiste

KinetiCore, ovvero Integrated Rotational Impact Protection. La sicurezza non deve essere un compromesso e deve essere efficacie a prescindere dall’impatto, di tipo diretto e/o rotazionale e deve contrastare qualsiasi tipo di accelerazione negativa che si genera. E’ un sistema di protezione che è perfettamente integrato nella struttura del casco, in modo specifico nel mold.

Non ci sono inserimenti meccanici ancorati all’interno, oppure applicazioni aggiuntive, tranne quelli dei filler laterali, per il sistema di chiusura. Lo stesso mold del casco presenta dei blocchi di differente volume e grandezza. Proprio la sezione interna risulta maggiormente rastremata, rispetto a quella di un casco con una costruzione standard. I blocchi, separati tra loro, hanno il compito di distribuire al meglio le forze negative e cedono più facilmente rispetto ad una struttura unica e compatta. L’efficienza e la protezione aumentano. Inoltre gli stessi blocchi sono posizionati in modo differente, in base alle taglie e con un mold che ha diverse densità. E poi c’è un design arrotondato che aumenta la fase di scivolamento in caso di caduta.

Più comfort e qualità del fitting

Il casco è leggero, senza compromettere stabilità ed efficacia. L’assenza di applicazioni meccaniche contribuisce ad aumentare il circolo dell’aria al suo interno. La presenza dei blocchi genera una sorta di intreccio di vari canali che agevolano proprio il flusso dell’aria. Diminuisce l’utilizzo di imbottiture spesse, calde e talvolta ingombranti. Diminuisce anche la lavorazione di materiali di origine plastica. E poi c’è anche l’aerodinamica, che non guasta mai. Volendo fare un confronto, il modello Vento è 90 grammi più leggero del Lazer Bullet Mips e il 94% più efficiente in fatto di ventilazione.

Lazer Strada KinetiCore (@MirrorMedia BCA)
Lazer Strada KinetiCore (@MirrorMedia BCA)

Vento e Strada

Il primo può essere categorizzato al pari di un modello aerodinamico, perché maggiormente calottato rispetto allo Strada. Entrambi sono compatti nelle forme, poco ingombranti e in parte ricordano il modello Century. La zona posteriore ha un piccolo “cingolo” che aziona il sistema di ritenzione all’interno del casco. Questo è regolabile in senso perimetrale e verticale. In questa zona può essere integrato anche un led ad elevata visibilità. E poi ci sono le fibbie con una chiusura tradizionale. Internamente si presenta come un casco mai visto fino ad ora, rastremato in ogni su parte e con quattro sole imbottiture, essenziali, amovibili e ben fatte. Ottimale il rapporto tra la qualità ed il prezzo, in particolare per la versione Strada KinetiCore, con i suoi 110 euro. In linea con la categoria dei caschi aero concept invece il Vento KinetiCore, che ha un prezzo di listino di 269 euro.

Lazer Vento, prime impressioni

Il fitting è in linea con il DNA Lazer, grazie ad una calzata avvolgente, per un casco ben saldo in testa e con dimensioni che non danno mai fastidio. Grande merito va alla chiusura che distribuisce le pressioni di maniera quasi perfetta, ma anche ad un fit che non fa mai scendere il casco sulle orecchie e sulle arcate sopracciliari.

Soprattutto il secondo aspetto crea dei vantaggi, perché la linea orizzontale è sempre libera e non c’é mai l’accumulo di sudore. Inoltre c’é tanto spazio anche per gli “occhialoni” che oggi vanno di moda. La chiusura posteriore può non essere immediata, se paragonata con quella dello Z1 e del Genesis (solo per fare due esempi), ma al tempo stesso non porta a fare errori quando si è in movimento. Ma come per i modelli citati in precedenza, la chiusura diventa una sorta di “fine tuning”, per fare delle micro-regolazioni e nulla più.

lazer

Marianne Vos, una Cervélo R5 per la Strade Bianche

05.03.2022
4 min
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La giornata del venerdì è frenetica, perché gli atleti provano una parte del tracciato e i tratti più significativi dello sterrato e i meccanici rimettono mano ai mezzi alla luce delle loro indicazioni. Siamo riusciti ad accedere al parco chiuso della corazzata Jumbo-Visma (cosa per nulla scontata) e abbiamo sbirciato il setting della Cervélo R5 che oggi Marianne Vos utilizzerà nella Strade Bianche.

Marianne Vos, una professionista meticolosa in tutto
Marianne Vos, una professionista meticolosa in tutto

Tubeless e ruote nere da 38

Non solo Marianne Vos, ma tutte le ragazze Jumbo-Visma hanno fatto montare dai meccanici i tubeless con la sezione da 28. Il modello di pneumatico è il Vittoria Graphene 2.0. I meccanici del team ci hanno detto che la pressione in occasione della gara varierà in base al peso dell’atleta e comunque compresa tra le 4,5 e 5 atmosfere, con lattice all’interno della gomma. Le ruote sono una sorta di “nobrand”. Sul cerchio compare una decal RESERVE e/o TEAMJUMBO e ricordano quanto già si vide al Tour 2021. I cerchi sono carbonio da 38 millimetri, nipples esterni e raggiature in acciaio con incroci in seconda. I mozzi hanno tutta l’aria di essere dei DTSwiss su base Spline.

Trasmissione mix Shimano

La trasmissione è a 11 rapporti con due corone per l’anteriore ed è Di2. I pignoni sono Ultegra 11-32, mentre il doppio plateau è 53-39 Dura Ace, “vecchia versione”. Le pedivelle sono da 170. Il bilanciare posteriore è Ultegra, per supportare il pignone da 32 denti. Gli shifters sono Dura Ace, come pure il deragliatore e i pedali.

Manubrio da 38

La piega è una FSA serie SL-K in carbonio da 38 centimetri di larghezza, con i manettini Shimano ruotati verso l’interno. Lo stem è sempre FSA da 100 millimetri di lunghezza, in battuta sullo sterzo e compatibile con le serie sterzo ACR. Questa soluzione permette di integrare completamente il passaggio di cavi e guaine, senza il rischio di strozzature e fermi per lo sterzo in fase di rotazione. La sella è la nuova Fizik Vento Argo 00. Il seat-post è quello full carbon di Cervélo.

La lubrificazione, curata e particolare
La lubrificazione, curata e particolare

Gli ultimi ritocchi

La Vos ha passato alcuni minuti al fianco del proprio meccanico e accanto alla bicicletta. Successivamente è stato sostituito il disco anteriore del freno, che rimane con un diametro da 160 millimetri, mentre sul posteriore è da 140. Tutta la viteria è stata ricontrollata con la chiave dinamometrica e sulle parti rotanti (catena compresa) sono stati applicati tre differenti tipologie di lubrificante, con differenti tempistiche e di viscosità diverse.

E se il nuovo Dumoulin ripartisse dal Giro?

26.12.2021
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E se fosse Dumoulin il faro straniero per il prossimo Giro d’Italia? La presentazione della Jumbo-Visma del 23 dicembre è stata cancellata a causa dell’impennata dei contagi e rinviata all’11 gennaio ad Alicante, quando saranno presentati colori e programmi. Eppure questa suggestione e l’idea stanno prendendo forma. Allo stesso modo in cui è chiaro che l’olandese potrebbe non andare con Roglic al Tour. Fra i due è nata un’insolita amicizia, basata sulle reciproche, incolmabili differenze.

«Una cosa è certa – ha detto Dumoulin – in alcune corse continuerò a lottare per la classifica generale, ma probabilmente non al Tour. Nella nostra squadra abbiamo problemi di abbondanza nell’effettuare le varie scelte».

Annullata la presentazione in Olanda, la squadra si svelerà l’11 gennaio ad Alicante (foto Jumbo Visma)
La squadra si svelerà l’11 gennaio ad Alicante (foto Jumbo Visma)

Programmi e strategie

Se ne parlava nelle scorse settimane di come il team olandese avrebbe suddiviso i suoi uomini. Se mandando Roglic, Dumoulin, Kruijswijk e Vingegaard tutti al Tour, oppure scegliendo per il più giovane danese il palcoscenico italiano. Ma la Grande Boucle partirà dalla Danimarca e Vingegaard già da tempo ha raccontato che una tappa passerà davanti casa sua. E allora la suggestione di Dumoulin che torna sulle strade che lo incoronarono nel 2017 prende forme e piace. Perché Tom in Italia ha tanti estimatori, che lo hanno visto invincibile nel 2017, poi fragile nel 2020.

«Ho trascorso gran parte della stagione 2020 mentalmente e fisicamente stanco – ha raccontato Dumoulin a L’Equipe – non riuscivo più a riprendermi e quando sono arrivato all’inizio del 2021, ero come in trappola. Non avevo altra scelta che smettere. Per diverse stagioni, avevo preso l’abitudine di adattarmi alle richieste degli altri, non riuscivo a superarlo e ho dovuto prendere la decisione di smettere. Solo così avrei trovato il giusto punto di vista e il modo per cambiare la mia vita e tornare a guidarla in prima persona».

Per Vingegaard il 2022 potrebbe parlare ancora del Tour, vista la partenza dalla Danimarca (foto Jumbo Visma)
Il ritiro di Girona ha restituito un Dumoulin di nuovo brillante e motivato. che potrebbe far rotta sul Giro. Decisive le chiacchierate con Roglic
Per Vingegaard il 2022 potrebbe parlare ancora del Tour (foto Jumbo Visma)

Un addio inatteso

La svolta c’è stata nel raduno di gennaio di quest’anno, come ci raccontò anche Affini, appena arrivato nella squadra olandese. Lo videro arrivare e poi, di ritorno da un allenamento, gli fu detto che avesse lasciato il ritiro e la squadra.

«Ricordo quell’incontro, davanti a cinque persone – ha raccontato Tom – in cui mi suggerirono di prendermi un periodo di riposo. E’ stato un momento difficile per me, doloroso. Non è facile ammettere di doversi fermare, mi sentivo in colpa. Ma dopo qualche giorno ho scoperto che avevo bisogno di questo periodo. Essere un ciclista professionista può rendermi ancora felice?».

Questa la domanda che in quei mesi lontano dalla bici, in cui si rincorrevano voci sugli studi in Medicina e vari avvistamenti di ciclisti nella zona di Maastricht che gli somigliassero.

«Ho cominciato a vivere senza costrizione – ha ricordato – per la prima volta nella mia carriera, non avevo obblighi, niente più stress. Facevo passeggiate con il mio cane, con gli amici e poco a poco mi sono reso conto che negli ultimi tempi avevo smesso di guidare in prima persona la mia carriera, le mie scelte. Finché un giorno ho visto passare sulla strada l’Amstel Gold Race e ho avuto la rivelazione. Volevo ancora andare in bicicletta. Non usarla per fare passeggiate, ma per dare il meglio di me».

Sul podio della crono di Tokyo, Dumoulin battuto solo da Roglic
Sul podio della crono di Tokyo, Dumoulin battuto solo da Roglic

L’amicizia con Roglic

In questo quadro si inserisce appunto l’insolita amicizia con Roglic, di cui sembrava fosse diventato ormai gregario, come seguendo quel corso di eventi da cui ora Dumoulin vuole prendere le distanze. Al punto che fra i prossimi passi – non subito, ma nel 2023 – si sussurra possa esserci il passaggio al Team Bike Exchange.

«Dice che ha l’impressione che io sia fuori dal mondo – ha confidato lo sloveno – ma anche io non sono stato risparmiato dalla sfortuna. Anche io mi faccio molte domande. Anche io ho dei dubbi e a volte sono stato sul punto di arrendermi. Non è questo non è il problema principale».

E’ probabilmente un fatto di sensibilità. Tanto era sensibile Dumoulin alle aspettative dei tifosi e dell’ambiente, quanto lo sloveno è capace di non lasciarsene condizionare, con quella specie di armatura che gli permette in apparenza di non risentirne.

Sapremo l’11 gennaio, quando saranno presentati i programmi della Jumbo Visma, se davvero Dumoulin sarà al Giro 2022
Sapremo l’11 gennaio se Dumoulin sarà al Giro 2022

Una nuova storia

E proprio parlare con Roglic ha permesso a Dumoulin di individuare una nuova chiave per interpretare questa seconda parte di carriera, rinata sulla strada della crono olimpica di Tokyo.

«Se avessi potuto scegliere da chi essere battuto – ha raccontato – avrei scelto Primoz. Lui è una specie di esempio per me. Non sembra preoccupato per i problemi della vita. Adoro confrontarmi con lui. Quando gli parli dei tuoi problemi, ti ascolta davvero. Non l’ho mai visto giudicare nessuno. Rivela i suoi sentimenti, parla della sua esperienza e quello che mi ha detto mi aiuterà a vivere il resto della mia carriera. Voglio vederla come un’avventura, una storia che scrivo, per me e solo per me. Qualcosa che hai la fortuna di vivere una sola volta nella vita e di cui devi accettare il meglio e il peggio».

Cervélo R5-CX, la bici di Wout Van Aert

02.12.2021
4 min
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Questa di Cervélo non è la prima bicicletta specifica per il ciclocross, perché già nel 2007 l’azienda ha prodotto due modelli R3 Cross. Da quel periodo molto è cambiato, tecnologie, tendenze e gli stessi atleti con le loro richieste. La R5-CX nasce dalla collaborazione con gli atleti del Team Jumbo-Visma, Wout Van Aert e Marianne Vos. C’é un fil rouge con la versione R5 road utilizzata da WVA, ma la piattaforma CX ha dei concept di sviluppo tutti suoi. Ma vediamo insieme i dettagli principali.

La nuova Cervélo R5-CX (immagini Cervélo)
La nuova Cervélo R5-CX (immagini Cervélo)

Cervélo R5-CX, ora solo per il team

L’ufficializzazione di questa versione della Cervélo R5, anticipa l’esordio di WVA nel ciclocross e per ora sarà utilizzata solo da alcuni corridori del sodalizio olandese. Ci piace definirlo come una sorta di ultimo banco di prova per la piattaforma da cross, in vista della disponibilità effettiva, prevista a fine agosto 2022.

Marianne Vos con la Cervélo R5-CX (immagini Cervélo)
Marianne Vos con la Cervélo R5-CX (immagini Cervélo)

Una bici compatta

Partiamo dal presupposto che la Cervélo R5-CX ha un framekit full carbon monoscocca. Il suo sviluppo si basa sul modello della R5 road (disc brakes), ma con alcune differenze molto importanti. Concettualmente non si tratta “solo” di una bici in carbonio molto leggera, ma di uno “strumento racing” che trova nel segmento R5 la sua massima espressione. L’avantreno ha una forcella con steli dritti, arrotondati frontalmente e con un ampio arco nella sezione superiore e con una luce abbondante per il passaggio della ruota. Qui c’è anche una sorta di protuberanza che s’innesta nella tubazione obliqua. La ricerca aerodinamica è presente, pur non ricoprendo un ruolo primario. Sempre in merito alla forcella, essa ha un rake di 51 millimetri per le taglie 51-54 e 56, che si riduce a 48 per la misura più grande, ovvero la 58: cifre che collimano con un angolo dello sterzo da 71,5° (72° per la taglia 58). Tutto questo si traduce in un comparto molto corto, maneggevole ed estremamente pronto ai cambi di direzione.

Il collegamento dell’orizzontale con i foderi obliqui è ben visibile, tanto che dà l’impressione di abbracciare il piantone (immagini Cervélo)
Il collegamento dell’orizzontale con i foderi sembra abbracciare il piantone (immagini Cervélo)

L’head tube si adatta alla serie sterzo FSA ACR e questo permette di integrare fili e guaine, azzerando eventuali problemi di strozzature. La Cervélo R5-CX è compatibile solo con le trasmissioni elettroniche. Numeri ridotti anche per il tubo sterzo, ma comunque in linea con gli sviluppi più moderni: 97, 118, 139 e 157 millimetri, rispettivamente per le taglie 51, 54, 56 e 58.

Muscolosa e sfinata, DNA Cervélo

Il profilato orizzontale è più voluminoso davanti, per schiacciarsi verso il retro. Il suo collegamento con i foderi obliqui è ben visibile, tanto che dà l’impressione di abbracciare il piantone. Si nota un prolungamento verso l’alto e il reggisella ha una forma a D, con profilo posteriore tronco. Verso il basso si notano i cambiamenti di shape dei tubi orizzontali del carro, sfinati vicino al perno passante, massicci verso la scatola del movimento centrale. Per gli amanti delle cifre: il retrotreno è corto, solo 42,5 centimetri (cifra comune a tutte le taglie).

Altra particolarità molto interessante

La scatola del movimento centrale non è BBright come vuole la tradizione Cervélo, ma ha delle calotte filettate T47, al tempo stesso viene mantenuta l’asimmetria del comparto. Questione di praticità legata al ciclocross. Un mezzo del genere viene smontato, lavato ed è soggetto ad una manutenzione di gran lunga maggiore, rispetto ad una bici da strada. Confrontandola con la sorella road, la R5-CX è più alta da terra: più 11 millimetri.

Cervélo R5: più che un restyling, un cambio di pelle

28.09.2021
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Cervélo svela la nuova R5 e non tradisce le attese con un concentrato di velocità, leggerezza e agilità. Arrivata alla 4° generazione, la R5 si scrolla di dosso ancora qualche grammo e pulisce le sue linee migliorando anche sotto l’aspetto aerodinamico. Gli ingegneri hanno studiato a fondo una soluzione per eliminare i difetti di rigidità eccessiva che lamentavano i pro’/utilizzatori nel lungo periodo, a confermare il raggiungimento del loro obbiettivo c’è stata la vittoria di Primoz Roglic alla Vuelta 2021 con questa versione. Peso e rigidità sono migliorati nel corso degli anni, mentre la maneggevolezza, l’equilibrio e l’ineguagliabile agilità in discesa sono stati costanti fin dal suo primo giorno di vita. Disponibile da oggi sul mercato è ora alla portata di tutti per chi vuole acquistare il mezzo che ha permesso al team Jumbo-Visma di conquistare i successi in questo 2021. 

Leggerezza 

Il mantra della Cervélo R5 è sempre stato “arrivare in cima… il più velocemente possibile” e con questo modello si può affermare che si sia avvicinata alla massima espressione. Il nuovo telaio ferma l’ago della bilancia a 703 grammi, registrando una differenza dal precedente di ben 130 grammi, che si traduce in un 16% in meno. Anche la forcella si è alleggerita, questa del 7%, portando il peso complessivo appena sopra il chilogrammo. Per rispettare i 6,8 chili imposti dai regolamenti UCI, ci sono stati importanti riduzioni di peso anche sulla componentistica di allestimento. Manubrio e attacco ora pesano 12 grammi in meno, il reggisella è 20 grammi più leggero.

La silhouette rimane da top model, i contenuti sono al vertice
La silhouette rimane da top model, i contenuti sono al vertice

Aerodinamica

Inizialmente l’aerodinamica non era uno degli obbietti previsti per la R5. Prendendo spunto dai pregi dei modelli S5 e P5, i progettisti hanno deciso di portare i cavi all’interno del manubrio e del telaio. Con una linea pulita sull’avantreno il risultato ottenuto è un risparmio di -25 grammi di drag (l’insieme di forze che in aerodinamica indicano la resistenza all’avanzamento). A questo si aggiunge l’introduzione del del nuovo manubrio HB13 e dell’attacco ST31 che hanno permesso di avere una totale pulizia del cockpit.

Risoluzione dei problemi

La generazione precedente a questa R5 aveva fatto della rigidità il suo cavallo di battaglia, purtroppo la sua propensione alle scalate era venuta a scapito di un po’ di… stridore osseo. Un problema riscontrato principalmente dai team WorldTour, che avevano evidenziato come la bicicletta tendesse a diventare più “faticosa” con il passare delle settimane durante le grandi corse a tappe. Problema alle spalle con questa nuova versione, grazie anche al supporto di un collaudatore d’eccezione come Tom Dumoulin.

L’olandese ha saputo apprezzare le migliorie su questa versione che ha definito «fantastica», in quanto lui utilizzava la versione in uso al team Sunweb. La formula magica trovata dagli ingegneri è stata il rapporto specifico tra il tubo dello sterzo e la rigidità del movimento centrale, in grado di migliorare la qualità di marcia. Concetto mai applicato alla R5, essendo appunto un progetto focalizzato sulla rigidità. 

Roglic l’ha portata in trionfo sul podio finale della Vuelta 2021
Roglic l’ha portata in trionfo sul podio finale della Vuelta 2021

Allestimento e prezzi

La nuova Cervélo R5 è disponibile in più versioni che si differenziano per allestimento e colore. Le caratteristiche comuni ai modelli sono: copertoni Vittoria Corsa TLR G2.0 25c (max 34 mm), sella Prologo Scratch M5 PAS TiRox e ruote New Reserve 34/37 mm Center-Lock, Tubeless Ready. Gli allestimenti e i prezzi sono 4: R5 Red eTap AXS a 12.699 euro. R5 Dura Ace Di2 a 12.699 euro. R5 Force eTap AXS a 8.799 euro. Infine R5 Ultegra Di2 a 8.999 euro. 

cervelo.com

La Cervélo P5 dorata di Roglic, come Excalibur nella roccia

14.08.2021
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Anche se di tecnologicamente nuovo in questa Cervélo P5 non c’è nulla rispetto all’inizio di stagione, ci piace pensare ad essa come a Excalibur nella roccia. E a Primoz Roglic come all’unico che sia stato in grado di estrarla e guidarla al trionfo olimpico. Abbiamo infatti di fronte la bici che ha vinto l’oro di Tokyo nella cronometro individuale e che questa sera, ugualmente fra le mani del suo re, prenderà il via della Vuelta Espana, lungo i 7,1 chilometri nelle strade di Burgos. Per arrivare a simili conquiste qualcosa di magico deve esserci per forza.

Olimpiadi Tokyo 2020, cronometro indivduale: Primoz Roglic lanciato verso il successo sulla sua Cervélo P5
Olimpiadi Tokyo 2020, cronometro indivduale: Primoz Roglic lanciato verso il successo sulla sua Cervélo P5

Oro e cerchi

Lo sguardo ravvicinato crea stupore, perché sotto quella livrea dorata c’è una teoria di cerchi che riecheggia quelli olimpici. Una veste che rende più speciale il telaio e la forcella Cervélo P5 completati da un cockpit Vision realizzato su misura per il corridore sloveno, dal gruppo Shimano Dura Ace, così come Shimano dovrebbe essere la ruota anteriore C60 abbinata alla lenticolare posteriore, entrambe montate con pneumatici Vittoria Corse.

Perché il condizionale? Perché a Tokyo, Roglic ha corso con una ruota posteriore con adesivo Shimano e l’anteriore era priva di scritte. Una scelta che prosegue la tendenza della Jumbo Visma già vista al Tour. In Francia infatti la squadra ha utilizzato ruote Vision non brandizzate nelle tappe in linea e ruote AeroCoach nelle crono. Questa libertà nell’utilizzo di materiali alternativi a Shimano si sposa probabilmente con la carenza di fornitura da parte del brand giapponese, mai tradizionalmente troppo elastico nel concedere simili deroghe. Ricordate la storia del viaggio incredibile delle ruote per la crono di Van der Poel al Tour?

La bici non è nuova, ma come a Tokyo aveva una livrea speciale, eccola d’oro per il campione olimpico
La bici non è nuova, ma come a Tokyo aveva una livrea speciale, eccol d’oro per il campione olimpico

Rivincita Roglic

Da stasera Roglic tenterà il colpaccio di rifarsi dalla sconfitta del Tour. E se lo scorso anno essa derivò dal suo crollo e dalla crono monstre di Pogacar il penultimo giorno a La Planche de Belles Filles, questa volta la causa di tutto è stata la dannata caduta che lo ha costretto al ritiro. L’oro olimpico è stato un bel modo di mettersi in pari con la sorte. Ma conoscendo la voracità dello sloveno, non si accontenterà di essere un semplice protagonista.

Rigidità top

La P5 è il ben noto concentrato di tecnologia. Combinazione di materiali, forme e differenti laminazioni del carbonio per ottenere rigidità nelle differenti parti del telaio. Dopo anni di esperienza è stato reso più rigido il tubo orizzontale (aumento del 22 per cento rispetto alle versioni precedenti), per rendere la bici più compatta e maneggevole. Così per la scatola del movimento centrale, che consente la più efficace trasmissione della potenza (più rigida del 26 per cento).

La sensazione di resa aerodinamica viene anche confermata dai numeri. Come abbiamo illustrato parlando della crono di Tokyo con Simone Omarini di Hardskin, la resistenza aerodinamica è il 90 per cento della torta. Il disegno del telaio e la forma dei tubi riduce la superficie frontale e migliora la penetrazione aerodinamica della bici. E pure restando nei parametri Uci, il miglioramento aerodinamico è di 37 grammi.

Come Excalibur

La Cervélo P5 “olimpica” avrà questa livrea per Roglic, ma è la stessa bici che a Tokyo ha conquistato il bronzo con Dumoulin e nella crono finale del Tour ha vinto con Wout Van Aert. Non proprio l’ultima arrivata, insomma. Anche se a Tokyo serviva un re come Roglic per estrarla dalla roccia.

«Primoz Roglic – ha detto Javier Guillen, direttore della Vuelta – è il re della suspense nelle corse a tappe. Siamo particolarmente felici di rivederlo per la sua lealtà verso La Vuelta. Dal suo atteggiamento si capisce che ama la nostra corsa e il nostro Paese. Il percorso che offriamo gli si addice e ciò che è notevole in lui è la sua motivazione nell’ultima parte della stagione, ogni anno. Forse gli piace il suo lavoro anche più degli altri perché è arrivato al ciclismo in ritardo. Dopo le Olimpiadi sembra ancora più in forma rispetto ai due anni precedenti, ma questa volta è in corsa per un record di tre vittorie consecutive che entusiasmerà gli appassionati e promette grandi battaglie con gli scalatori puri che dovranno vedersela per tutta la gara con il talento di Roglic. Pensando alla cronometro di 33,8 chilometri dell’ultimo giorno».

Oggi Roglic partirà alle 20,47, un minuto prima di lui scatterà Bernal. Che lo prenda o lo avvicini, già stasera il rumore delle catene si confonderà con quello delle spade.

Con De Groot nell’Academy dei talenti Jumbo-Visma

31.07.2021
6 min
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Ogni tanto ne salta fuori uno che va forte. Vingegaard al Tour, ad esempio, come Tobias Foss al Giro. Di come lavori la Jumbo Visma avevamo cominciato a parlare con Edoardo Affini, ma quando si è sparsa la notizia che il primo contatto con Vingegaard sia avvenuto grazie a un paio di Kom su Strava, la nostra curiosità ha imposto un passo in più. Per questo ci siamo rivolti a Robbert De Groot, direttore della Academy dello squadrone di Roglic e Van Aert (nella foto di apertura con Tim van Dijke). Un’ora al telefono dalla quale siamo usciti con le idee chiarissime e gli appunti per quando un giorno, da grandi, metteremo su una squadra WorldTour. Il viaggio non sarà brevissimo, vi chiediamo 6 minuti del vostro tempo, ma ne vale la pena.

Vingegaard, racconta De Groot, si è fatto per due anni le ossa, era prevedibile che sarebbe arrivato in alto
Vingegaard, racconta De Groot, si è fatto per due anni le ossa, era prevedibile che sarebbe arrivato in alto

Robbert De Groot è nato nel 1971 ad Alkmaar, quest’anno compirà 50 anni. Ha la fronte alta e un sorriso simpatico che invita al confronto. 

Da dove cominciamo?

E’ una storia lunga. Quando adocchiamo un corridore, il nostro obiettivo è conoscerne il carattere, la visione della vita e non i risultati. La personalità e la maturazione sono due voci molto importanti, perché con il carattere ci nasci, ma il comportamento devi saperlo plasmare crescendo. Perciò conosciamo le famiglie e se hanno fatto altri sport. E’ complicato, ma permette di trovare corridori moderni.

Cosa significa moderni?

Vi siete accorti che tra gli uomini di classifica ormai ci sono anche corridori esplosivi? La crono è importante, anche la salita, ma lo scalatore che stacca tutti in montagna, poi fatica a salvarsi nei ventagli. Il corridore moderno deve avere carattere e caratteristiche per fare sempre la differenza. Cambia il metodo di reclutamento.

In che modo?

Arrivano decine di messaggi di procuratori che scrivono nome e cognome e poi il rapporto watt/chilo dei loro atleti. Se però gli chiedo altri valori sulla potenza, sul consumo di ossigeno o sul carattere e la personalità, non sanno cosa dire. Come gestiscono con lo stress? Tutti possono fare il Tour, non tutti possono andare forte o vincerlo. Noi cerchiamo corridori capaci di fare la differenza.

Tobias Foss, 24 anni come Vingegaard, terzo nella crono di Torino e alla fine nono al Giro d’Italia
Tobias Foss, 24 anni come Vingegaard, terzo nella crono di Torino e alla fine nono al Giro d’Italia
Come funziona lo scouting?

In diversi Paesi, dalla Germania al Nord Europa, abbiamo manager di squadre e tecnici che conosciamo che ci segnalano i vari nomi. Non sono persone che paghiamo, ma formano un circuito aperto cui possiamo attingere. Sulla base della segnalazione, cerchiamo di trovare il più ampio numero di informazioni. E se l’atleta è interessante, contattiamo la famiglia, i suoi precedenti allenatori, i compagni di squadra e in certi casi anche i professori a scuola. Il passo successivo è testarli, per cui li convochiamo a dei training camp in modo da vederli per più giorni. Vogliamo capire come si integrano. Foss e Vingegaard hanno seguito proprio questa trafila.

La firma del contratto quindi non è immediata…

Proprio no. La settimana prossima avremo un test con un gruppo di juniores per valutarli. La storia di Vingegaard e di Strava è vera solo a metà. Era già nel mirino, ma quei numeri arricchirono il suo fascicolo. Basarsi sui risultati oppure i numeri non basta. Puoi aver vinto dieci corse, ma di che livello e con quali avversari?

Tutti i giovani che adocchiate passano prima del vostro Development Team?

E’ possibile che qualcuno vada diretto nel WorldTour, anche se a mio avviso è un errore farlo adesso. Non tutti sono Pogacar o Evenepoel. Un ragazzo di 20 anni, l’80 per cento dei ragazzi di quell’età ha bisogno di maturare e crescere. Il Devo Team è l’ambiente giusto, perché ci permette di provarli in corse vere, come Vingegaard alla Coppi e Bartali.

Era un test?

Tutte le corse di quel livello lo sono. Jonas ha corso per cinque tappe totalmente supportato dal team e ha fatto un altro passo verso il WorldTour. E’ molto importante che abbiano chance a diversi livelli. Secondo noi due anni nel Devo Team sono la giusta misura. Olav Kooij, un olandese destinato a fare grandi cose, ha fatto due anni molto buoni nella continental e ora è nel WorldTour. E poi, a proposito di supergiovani…

Cosa?

A parte Pogacar e Bernal, tutti gli altri con meno di 25 anni sono ben lontani dalle prime posizioni del ranking Uci. Questo per dire che le eccezioni posso esserci, ma il ciclismo è uno sport duro e due anni di apprendistato a un livello più basso sono la base per imparare. Sono curioso di vedere come andrà Ayuso (lo spagnolo di 18 anni che dopo le meraviglia da U23 con la Colpack, è ora al Team Uae Emirates, ndr). Magari andrà fortissimo e glielo auguro, ma noi restiamo convinti della bontà del nostro progetto.

Pensi che la precocità accorci le carriere?

La lunghezza della carriera dipende dall’attenzione nella comunicazione. Essere corridore oggi non è solo sforzo fisico, ma saper gestire pressioni di altro tipo. Se un corridore al top non ha attenzione per questi aspetti, si brucia in fretta e poi sparisce. Se non hanno un ambiente in cui imparare, vanno incontro alla vita con la pelle ancora morbida. Quando li porti alle grandi corse la domanda è: sono riusciti a trarne un’esperienza o sono semplicemente arrivati al traguardo?

Era possibile pensare che Vingegaard avesse già questo livello?

Sapevamo che stava crescendo bene e sapevamo che stava imparando. Poteva arrivare al top a fine anno oppure il prossimo. Avevamo visto e speravamo, ma dire quando sarebbe stato impossibile. Ovvio che siamo molto contenti, gli abbiamo dedicato tre anni di lavoro, ma il segreto è non avere fretta

I ragazzi hanno già la strada tracciata?

Noi gli diamo le linee guida e le opportunità, sta a loro sfruttarle. Non li pilotiamo, sono i soli guidatori della loro macchina, quello che noi chiamiamo essere responsabili della propria crescita.

Ti è mai capitato di trovare grandi talenti impossibili da inquadrare nel vostro sistema?

Ci sono talenti che sussurrano e talenti che urlano. Ci sono tanti corridori che vorrebbero correre con noi, ho il computer pieno di mail. Ce ne sono alcuni con grandi numeri, ma se gli fai qualche domanda, capisci che nonostante quei valori, non verranno mai fuori. Nulla vieta che vadano in altre squadre e si trovino bene, sia chiaro. Ma noi abbiamo la nostra linea e il nostro approccio.

Qualcosa che in Olanda avevamo già visto…

Esatto, con la Rabobank. Quello è il nostro riferimento, perché alcuni corridori nati da quell’esperienza sono ancora in gruppo. Vogliamo costruire un modello che funzioni allo stesso modo, per questo stiamo facendo programmi fino al 2026, sapendo che alcuni diciottenni di oggi hanno già buone prospettive. Questo è quello in cui crediamo. E se avete altre domande, non esitate a chiamare.

Reverberi, cosa pensi di Zoccarato? «E’ una forza della natura»

25.06.2021
4 min
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Quando la gara è dura, i duri iniziano a correre e Zoccarato è uno di questi. Il terzo posto ottenuto dal 23enne padovano della Bardiani-Csf Faizanè al campionato italiano ha confermato sia le sue doti di corridore di grande forza su cui contare, sia la scelta della sua squadra di prenderlo dalla Colpack-Ballan a fine 2020.

Dopo la gara di Imola – durante la sua intervista – abbiamo ricordato come Zoccarato fosse il primo neopro’ da Formolo (secondo nel 2014) e il primo atleta della scuderia della formazione reggiana da Podenzana (vincitore nel 1994) a salire sul podio tricolore. Così abbiamo chiesto a Roberto Reverberi, il suo general manager, di descrivercelo un po’ meglio.

Il terzo posto di Imola parla di grande forza ed è una spinta morale pazzesca
Il terzo posto di Imola parla di grande forza ed è una spinta morale pazzesca
Roberto, torniamo un attimo sulla corsa e sul risultato di domenica. Grande soddisfazione per voi ma anche tu sei un po’ rammaricato per il finale?

Siamo contenti per ciò che abbiamo fatto. Volevamo portare via una fuga numerosa con almeno tre dei nostri e ce l’abbiamo fatta. Volevamo far faticare i capitani dei team WorldTour e ce l’abbiamo quasi fatta, se non fosse stato per la Eolo-Kometa che si è messa a tirare quando la fuga aveva già un buon vantaggio e loro non potevano più portare dentro nessuno. Peccato perché sarebbe stato bello vedere come andava a finire, ma va bene così col nostro terzo posto, ci avrei messo la firma al mattino.

Dei tuoi tre ragazzi in fuga poi hai battezzato Zoccarato per fare la corsa.

Esatto, davanti avevamo dei bei menatori. Non avevamo la radio e così con l’ammiraglia ho deciso di portarmi davanti e sentire le loro sensazioni. Maestri e Tonelli, che hanno fatto un lavoro pazzesco e sono stati davvero bravi, mi hanno detto che Samuele stava molto bene, che aveva ancora forza. A quel punto ho ordinato loro di aiutarlo, anche a male parole se fosse stato necessario. Perché so che lui è un po’ testone ed esuberante. E mancava ancora tanto al traguardo.

Ripreso da Colbrelli e Masnada, Zoccarato ha continuato a collaborare
Ripreso da Colbrelli e Masnada, Zoccarato ha continuato a collaborare
Che carattere però che ha il ragazzo…

Sì sì, è un corridore generoso, che non disdegna tirare per tanti chilometri e dà sempre il cambio, anche quando non dovrebbe o potrebbe risparmiarsi. Come ad esempio nel finale, quando Colbrelli e Masnada sono piombati su di lui. Se non avesse tirato, e glielo avrei urlato dalla radio se ce le avessimo avute, loro due non gli avrebbero potuto dire nulla visto che era fuori da 200 chilometri. Invece no, ha voluto dare il suo contributo, le energie rimaste e si è staccato sull’ultima salita.

Poteva andare diversamente quindi?

Non lo so, magari lui fa terzo e Colbrelli vince ugualmente, però se fosse rimasto a ruota nel finale risparmiando un po’ di forza, anche Masnada avrebbe potuto approfittare della sua partenza per rilanciare in contropiede e anticipare lo sprint. Non si può mai dire, ma è andata così, è tutta esperienza per lui e per noi.

Come lo avete preso Zoccarato? 

Ce ne aveva parlato a inizio 2020 Antonio Bevilacqua (team manager della Colpack-Ballan, ndr) dicendoci che era un ragazzo con tanta forza, che non aveva paura del vento in faccia. Poi al Giro dell’Emilia dell’anno scorso, dopo 170 chilometri di gara, c’era questo under 23 in fuga insieme a tanti pro’, compresi alcuni nostri. Non si staccava, dava i cambi, menava… Ed io incuriosito da questa prova, chiedo subito chi fosse. Era lui e lì mi sono tornate in mente quelle parole, quella segnalazione così abbiamo approfondito e lo abbiamo messo sotto contratto.

Ha preparato il campionato italiano mangiando vento e fatica al Baloise Belgium Tour
Ha preparato il campionato italiano mangiando vento e fatica al Baloise Belgium Tour
E che tipo di corridore è?

Negli U23 ha vinto poco (due gare nel 2018 in maglia General Store, ndr), va sgrezzato fisicamente e tatticamente, ma ha un motore incredibile. Al Giro d’Italia lo ha dimostrato in tante tappe come a Canale dove il suo ex compagno di fuga Van der Hoorn ha vinto beffando la rimonta del gruppo. E quella un pochino mi brucia ancora, perché Samuele ha sprecato troppo. Poi ha fatto una gran corsa anche in fuga a Sestola in supporto a Fiorelli. Le corse del Nord sarebbero adatte a lui, ma direi in generale tutte le corse dure, come a Imola che lo è diventata anche per il gran caldo.

Chi ti ricorda dei tuoi corridori del passato?

Il primo che mi viene in mente è Dario Pieri (alla corte dei Reverberi in maglia Scrigno dal ’97 al ’99 e che in carriera fece due secondi posti al Fiandre e alla Roubaix, ndr) anche se lui era più veloce. Samuele in realtà deve allenare lo sprint, perché finora non lo ha mai fatto.

Quindi sarà ancora protagonista Zoccarato nel resto della stagione e nel futuro?

Farà Lugano poi avrà tutto luglio per recuperare poi vedremo i programmi. Di sicuro il terzo posto ha accresciuto la sua autostima e spero che sarà ancora là davanti a breve. Se continua così potrebbe essere uno dei tanti nostri ragazzi cercati e presi dalle formazioni World Tour.

Roglic, qualche sassolino e una primavera diversa

24.06.2021
4 min
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Manca poco per rivedere all’opera Primoz Roglic, sparito dai radar in primavera dopo la Liegi. Di lui si sa che è stato a Sierra Nevada e poi a Tignes con la Jumbo Visma, quindi che si è dedicato ad alcuni sopralluoghi sui percorsi del Tour, infine che ha trascorso dei giorni a casa. Quello che si sente dire in giro è che lo sloveno non voglia cadere nel problema dello scorso anno e così, per non rimanere a corto di gambe a fine Tour e arrivare in forze ancora alle Olimpiadi, abbia spostato tutto in avanti. Di fatto, i suoi giorni di gara nel 2021 sono stati 17 e concentrati fra il 7 marzo e il 25 aprile.

La resa alla Planche des Belles Filles al Tour 2020
La resa alla Planche des Belles Filles al Tour 2020

«E’ vero – ha confermato nella conferenza stampa della vigilia – è stato un approccio un po’ diverso, correndo poco in primavera, ma ho già fatto alcune cose del genere al Giro e alla Vuelta ed è andata bene. Normalmente vengo dall’altitudine e sono pronto. Lo scorso anno, il coronavirus ha cambiato tutto, quest’anno sono fiducioso. La squadra è super forte, cercheremo di fare del nostro meglio e vedremo come andrà».

Crono decisive

I sopralluoghi hanno riguardato le salite, ma soprattutto le crono, dato che come ci ha spiegato molto bene anche Marco Pinotti, le prove contro il tempo avranno il loro bel peso nell’assegnare la maglia gialla.

Dopo la Liegi, prima fase di altura a Sierra Nevada, poi a Tignes
Dopo la Liegi, prima fase di altura a Sierra Nevada, poi a Tignes

«Le abbiamo provate entrambe – ha detto – per vedere se e quanto saranno decisive. L’anno scorso abbiamo capito che la crono resta un momento cruciale e può produrre grandi differenze. Tenendolo a mente, ci siamo allenati con più impegno sulla bici da crono. Vedremo. Quando ti alleni da solo, non vedi quanto siano forti gli altri».

Si vince e si perde insieme

Il passato torna, impossibile il contrario. Va bene aver vinto subito la Liegi e poi la Vuelta, ma perdere il Tour al penultimo giorno è un’esperienza che ti segna.

Roglic sul muro d’Huy con la nuova Cervélo R5. E’ la Freccia 2021: penultima corsa di primavera
Roglic sul muro d’Huy con la nuova Cervélo R5. E’ la Freccia 2021: penultima corsa di primavera

«Sono arrivato secondo – ha detto – ma se penso a quelle tre settimane di gara, ricordo anche momenti di grande intensità. I miei compagni hanno lavorato come matti, ero così orgoglioso di essere il loro leader e nessuno potrà negare che siamo stati la squadra migliore. Penso che da allora alcuni giovani sognino di correre in un gruppo del genere. Al contempo, sono consapevole che essere i più forti non basta. Per vincere serve mettere in atto la strategia migliore e forse su questo non siamo stati impeccabili. La sconfitta è stata dura da digerire, non ho molte parole per descrivere quello che provavo. Ma non è stato un discorso limitato a Roglic e al Tour – ha detto togliendosi qualche sassolino dalle scarpe – c’erano tante persone coinvolte, siamo una squadra e abbiamo fallito all’ultimo momento. Quando si vince, la vittoria è di tutti. Quando si perde, la sconfitta è solo mia?».

Nulla è per caso

L’attenuante dell’esperienza tutto sommato breve rispetto agli avversari può contare e non c’è modo migliore dello scottarsi le mani per accelerare l’apprendistato. 

Da Tignes ha colto l’occasione per provare le tappe alpine del Tour
Da Tignes ha colto l’occasione per provare le tappe alpine del Tour

«Se guardo da dove vengo e dove sono ora – dice – non sapevo assolutamente nulla di ciclismo, non sapevo fin dove potevo arrivare, quello che potevo ottenere. Era tutto nuovo, anche la sofferenza sulla bici. Ho imparato che qualunque cosa mi passi per la testa, la sola cosa da fare è restare davanti. Ho imparato che per correre ai massimi livelli bisogna saper soffrire, ridursi se serve allo stremo delle forze. Ho imparato molto sulle dinamiche di squadra e sul lavoro dei compagni. Credetemi, la sconfitta dello scorso anno a caldo bruciava, ma in prospettiva è diventata una nuova strategia. Per cui è vero, è stato un approccio un po’ diverso, ma non è stato affatto per caso».