Una “buona” fatica. Il diario di Buratti al Tour of the Alps

23.04.2023
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PREDAZZO – Il ghiaccio lo aveva rotto alla Freccia del Brabante, ma Nicolò Buratti, malgrado la gran fatica, è ben felice di aver capito al Tour of the Alps ciò che lo attende tra i pro’. E’ quello che ha sempre voluto e adesso non fa certo il difficile se gli ultimi giorni sono tosti.

Alla corsa dell’Euregio abbiamo seguito un po’ più da vicino il 21enne della Bahrain-Victorius, formazione che era partita con l’obiettivo della vittoria finale e che ha chiuso sul podio grazie al terzo posto di Jack Haig. Ne abbiamo ricavato una sorta di suo diario giornaliero di tappa in tappa. Un momento in cui esprimere le proprie sensazioni che il friulano di Corno di Rosazzo ha accettato di buon grado, riuscendolo a gestire altrettanto bene. Parlare a caldo quando l’acido lattico ti sta mordendo ovunque non è la circostanza preferita di un corridore, ma Nicolò non ci ha mai negato un sorriso.

Nonostante la fatica, Buratti giudica molto buona e formativa l’esperienza al Tour of the Alps
Nonostante la fatica, Buratti giudica molto buona e formativa l’esperienza al Tour of the Alps

Prima tappa

La frazione inaugurale del Tour of the Alps prevede 2.470 metri di dislivello in meno di 130 chilometri di corsa. L’arrivo austriaco di Alpbach non appare troppo duro, a parte un tratto in doppia cifra di pendenza.

«C’è poco da dire – esordisce Buratti – qui si fa fatica. E’ stata una tappa corta e piuttosto esplosiva. Il ritmo è stato elevato in generale. Sono arrivato abbastanza stanco però ho cercato di aiutare la squadra nel miglior modo possibile in base alle mie capacità. Prima dell’ultima salita, che era bella dura (Kerschbaumer Sattel, 5,2 km al 10%, ndr) mi sono staccato e sono arrivato al traguardo cercando di recuperare».

Seconda tappa

La tappa numero due del “TotA” ha 400 metri e 35 chilometri in più rispetto al giorno prima. Sul traguardo della Ritten Arena a Renon vince ancora Geoghegan Hart (stavolta in uno sprint ristretto) ma la Bahrain-Victorius piazza Haig e Buitrago sul podio parziale. Inoltre il colombiano prende la maglia azzurra di miglior scalatore.

«E’ stata una giornata altrettanto dura come ieri – spiega Nicolò mentre si disseta con una aranciata – la tappa è stata più controllata, anche se il ritmo è comunque stato alto. Personalmente sono più contento perché sono riuscito ad aiutare molto di più la squadra. Il mio lavoro l’ho svolto. Anche oggi, sulla salita che portava a Renon, sono venuto su tranquillo».

Il compito di Buratti (in terza posizione) al TotA è stato di quello di lavorare per la squadra fino alle ultime salite
Il compito di Buratti (in terza posizione) al TotA è stato di quello di lavorare per la squadra fino alle ultime salite

«La squadra che c’è qua – aggiunge – in pratica è quella che andrà al Giro d’Italia, quindi i compagni sono in rampa di lancio. In ogni caso dal Brabante ad oggi è stato un percorso piuttosto positivo per me. La classica belga è stata corsa in maniera più simile alle gare U23 e devo essere sincero che non mi sono trovato troppo fuori luogo. Qui invece al Tour of the Alps è dura. C’è tanta salita, sono tutti scalatori e tutti in condizione pre-Giro. Insomma, si fatica e basta (sorride mentre ci saluta, ndr)».

Terza tappa

Il Tour of the Alps entra nel vivo con una frazione di non semplice lettura. Si scende dall’altopiano di Renon e si viaggia sulle fondovalli che portano sotto Trento. Praticamente tutta pianura tranne i due GPM di giornata. Dieci chilometri verso il Lago di Cei (a circa due terzi della tappa) e poi gli ultimi quindici abbondanti di ascesa (al 7,5 per cento) che portano a San Valentino di Brentonico.

«E’ stata una tappa dura come ci avevano anticipato – ci dice Buratti mentre i massaggiatori si preoccupano di coprirlo dall’aria fredda – le gambe stanno iniziando a bollire, a perdersi un po’ per strada. Anche se affaticato, tuttavia sono riuscito a finire abbastanza bene. Adesso vediamo come recupererò stasera. Domani si arriva a Predazzo e quella sarà veramente la tappa più dura di tutte. In ogni caso per me è sempre più un banco di prova importante. Per me sono le prime esperienze con i pro’, quindi è utile per fare gamba. Prendo quello che viene senza problemi».

Alla partenza della quarta di tappa da Rovereto, Buratti era sereno sapendo cosa lo aspettava
Alla partenza della quarta di tappa da Rovereto, Buratti era sereno sapendo cosa lo aspettava

Quarta tappa

Ha ragione Buratti, quella che parte da Rovereto è la tappa più incline al format della corsa. Un continuo su e giù per le vallate trentine per un totale di 3.600 metri di dislivello spalmati su poco più di 150 chilometri. Nel frattempo il meteo è diventato più inclemente e alla partenza scappa qualche goccione d’acqua. La pioggia accompagnerà i corridori fino a Predazzo. Nicolò lo intercettiamo tra il suo bus e il podio-firma. Non si aspetta nulla di particolare, sforzi a parte, ma l’umore appare buono. La sua tappa durerà poco più della metà.

«La fatica si è fatta sentire – ci racconta nel tardo pomeriggio – soprattutto con la partenza subito in salita (quasi sedici chilometri verso Passo Sommo, sopra Folgaria, ndr). Non è stata la mia miglior giornata e di conseguenza ho pagato un po’ più del dovuto. E’ vero, ho concluso in anticipo il mio Tour of the Alps però rientra tutto in quello che può considerarsi bagaglio di esperienza.

«Era la mia seconda gara con i pro’, una gara di una certa caratura tra l’altro, visti i partecipanti. Ho accusato un po’ il ritmo alto di andatura del gruppo. Tuttavia penso che queste mazzate facciano bene per crescere e capire il livello».

Dopo un periodo di recupero, Buratti potrebbe tornare in gara al Giro di Ungheria dal 10 al 14 maggio
Dopo un periodo di recupero, Buratti potrebbe tornare in gara al Giro di Ungheria dal 10 al 14 maggio

«Adesso farò qualche giorno di recupero – chiude Buratti – Devo ricaricare le batterie al meglio, poi tornerò ad allenarmi per i prossimi appuntamenti. Forse potrei correre il Giro di Ungheria però vedremo. So che devo continuare a migliorarmi per arrivare al livello dei grandi che si giocano le corse. E’ stata un’ottima esperienza, soprattutto perché alla fine ho fatto una settimana con la squadra. Sono molto contento perché mi ha consentito di conoscere meglio l’ambiente e capire come si muove una squadra World Tour durante una corsa a tappe. Prendo con piacere il lato positivo di questi giorni di fatica».

Dall’esperienza di Buitrago, l’analisi del fuorigiri

24.02.2023
5 min
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Nella prima tappa della Vuelta a Andalucia abbiamo assistito ad uno degli show di Tadej Pogacar. L’asso della UAE Emirates ha dominato alla sua maniera, staccando tutti. Alle sue spalle però al momento dello scatto c’è stato un corridore che lo ha tenuto più di altri, Santiago Buitrago, prima di fare un bel fuorigiri. La foto di apertura è il quadro perfetto: lo sloveno scappa e il colombiano dietro china la testa.

A nostro avviso il tentativo di Buitrago va elogiato, per istinto, coraggio e cuore oltre l’ostacolo. Poi però è anche vero che parliamo di wattaggi, di sforzi calibrati al millimetro, di alimentazione chirurgica e ci si chiede come si possa ancora cadere in questi tranelli.

Non siamo qui per fare un processo a Buitrago che, lo ribadiamo, merita solo un grande plauso, ma per analizzare quella sua sparata. Per capire da un punto di vista tattico e fisiologico la risposta all’attacco di Pogacar.

E per questa analisi ci siamo fatto aiutare da Paolo Alberati, il quale oltre ad essere il procuratore di Buitrago, è anche un preparatore ed è stato corridore, quindi conosce in prima persona certe dinamiche.

Paolo Alberati (classe 1973) è un procuratore e al tempo stesso un preparatore (foto Instagram)
Paolo Alberati (classe 1973) è un procuratore e al tempo stesso un preparatore (foto Instagram)
Paolo, un bel fuorigiri per Buitrago, ma come è possibile che ciò accada ancora?

Ne parlo anche con dei ragazzi che seguo in allenamento e a loro dico: «La vittoria più bella non è quella quando sei il più forte, ma quando batti il più forte perché ci hai provato, ti sei inventato qualcosa». Nel caso di Buitrago sei a ruota del più forte corridore al mondo e che fai, non lo segui?

Nell’era del ciclismo tecnologico gli atleti hanno tutto sotto controllo. Santiago avrà visto che era al limite. I corridori non guardano il potenziometro?

Sì lo guardano, certo, ma non in quel momento. Non nell’istante in cui un avversario, per di più Pogacar, scatta. In quell’attimo c’è adrenalina. Lo vedi. Gli sei a ruota. Non lo lasci andare. E poi magari se ha risposto subito è perché si “sentiva comodo” fino a quel momento, cioè stava bene. Quindi il corridore segue anche le sue sensazioni e i calcoli sono pari a zero.

Pogacar se n’è andato. Buitrago deve recuperare, ma senza calare troppo. Intanto parla alla radio e dietro spunta il compagno Landa
Pogacar se n’è andato. Buitrago deve recuperare, ma senza calare troppo. Intanto parla alla radio e dietro spunta il compagno Landa
Buitrago risponde e per un bel tratto lo tiene. Poi dopo che arriva la “botta di acido lattico” cosa fa? 

Premettiamo che in quel momento erano a 3 chilometri dalla vetta – l’arrivo era più lontano – e quindi non puoi fare un fuorigiri totale. Devi in qualche modo regolarti, lasciarti qualcosa. Non è come se fossi a 300 metri dallo scollinamento. Buitrago quando lo molla, si rialza, respira un po’, parla anche alla radio per sapere cosa deve fare (c’era il compagno Landa in risalita, ndr), e poi cerca di recuperare il più possibile.

E come? Ha subito alleggerito il rapporto immaginiamo. L’istinto almeno direbbe quello…

Sì, ma non ha mollato del tutto. Ha amministrato la pedalata, quel tanto da “recuperare” e continuare a spingere. Anche perché l’acido lattico stesso, e questa è fisiologia, si trasforma in energia. Il 30% di acido lattico viene riconvertito in glicogeno e quindi in Atp per i muscoli. E in questo processo sono di grande aiuto i lavori 40”-20”, per esempio, che velocizzano la trasformazione di acido lattico. Poi è chiaro che l’atleta va anche a sensazioni in quei momenti.

Subentra l’istinto. Senza contare che così si fa anche esperienza. 

Certo. Pensate se non ci avesse provato… Alla fine Pogacar nel tratto in salita (in quei 3 chilometri, ndr) gli ha dato 25”. E cosa sono 25” in salita? Se ne avesse avuta così tanta di più, avrebbe preso più margine. E quando questa cosa l’ho fatta notare a Santiago ne è rimasto piacevolmente colpito, perché lui faceva riferimento al distacco dell’arrivo. Per lui sono iniezioni di fiducia.

E’ così che l’atleta impara a conoscere i suoi limiti. 

Sono piccoli step psicologici, che a quel livello contano. Penso per esempio agli stratagemmi che s’inventa Van der Poel per battere Van Aert, che più forte di lui. E poi quel giorno in Andalucia salivano forte.

In effetti abbiamo visto qualche dato sulle varie piattaforme . Sembra che Pogacar sia andato ben oltre i 7,3 watt/chilo di Geoghegan Hart (quel giorno quinto a 1’38”) alla Valenciana…

Prima dell’attacco hanno pedalato per 14′ ben oltre i 6 watt/chilo e sul momento dell’attacco per circa 2’30” hanno sviluppato 8,8 watt/chilo. Capite perché questo fuorigiri è servito comunque a Buitrago? Una volta Alfredo Martini mi raccontò un aneddoto su Coppi. A Fausto chiesero quale fosse il momento più bello per un ciclista e il Campionissimo rispose: «Il momento della decisione. Quando vedi gli avversari e decidi di partire». Ecco, a suo modo, credo che Buitrago abbia vissuto il momento della decisione rispondendo a Pogacar.

Ehi Alberati, ma chi è questo Buitrago?

28.07.2021
5 min
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«Un paio di giorni fa visto che era qui da me nel Parco Ciclistico Etna ad allenarsi in altura, gli ho fatto fare un test, in accordo col suo team ed il suo allenatore Aritz, e sono usciti dei valori speciali. Un qualcosa del genere non hai la fortuna di vederlo sempre». Chi parla è Paolo Alberati e il soggetto in questione è Santiago Buitrago, giovane colombiano che corre nel team Bahrain-Victorious

Paolo Alberati, oltre ad esserne il manager insieme a Maurizio Fondriest e ad Andrea Bianco, è anche il suo punto di riferimento qui in Europa o comunque un consigliere fidato. Fino a qualche giorno fa, come detto, “Santi” era “a casa” di Alberati in Sicilia, e più precisamente in ritiro sull’Etna. L’obiettivo? Preparare il finale di stagione. Per ora sembra non essere stato inserito nella squadra che andrà alla Vuelta, ma nulla è perduto. «Santiago ci tiene molto – ha detto Alberati – E’ lì che l’anno scorso ha fatto la sua prima grande corsa a tappe. E non era al top, aveva anche tre chili in più di adesso. Vorrebbe fare bene San Sebastian e appunto andare alla Vuelta».

Buitrago in allenamento sulle strade siciliane in compagnia di Canaveral della Bardiani
Buitrago in allenamento sulle strade siciliane in compagnia di Canaveral della Bardiani

Dalla Colombia all’Italia

«L’ho scoperto come sempre con l’aiuto di Andrea Bianco, mio amico esperto di ciclismo che da molti anni vive in Colombia a Bogotà. Mi ricontattò nel 2015 suggerendomi un ragazzino che era sprecato per fare “solo” Mtb. Quel ragazzino era Egan Bernal. Da lì abbiamo iniziato a lavorare insieme. Negli anni sono arrivati Sosa, Rivera, Osorio e adesso Buitrago. Mi fido molto di Bianco. Non andiamo a vedere solo i risultati ma chi ci sembra possa avere più potenziale.

«Così a marzo 2018 Buitrago arriva in Italia. Lo mando al team Cinelli di Francesco Ghiarè (adesso all’Area Zero), tra Toscana e Liguria. Lui gli dà casa e sostegno e noi continuavamo ad allenarlo. Ricordo che facemmo un test nel mio studio a Perugia, appena arrivato, e siglò un Vo2 Max superiore ad 80. E infatti si piazzò subito, fece anche una vittoria. Così lo segnalammo ad alcune squadre WorldTour. Dopo il Giro della Valle d’Aosta, che finì quarto, la Bahrain lo mise sotto contratto: un triennale con salario ad incremento nelle stagioni successive».

Adesso Buitrago ha la residenza ad Andorra e questo visto i tempi di pandemia gli ha semplificato non poco la vita con le varie restrizioni per quel riguarda i voli. In più lassù, tra i Pirenei, si sente anche un po’ alle quote di casa (è della regione di Bogotà).

Buitrago alla Settimana Internazionale Italiana
Buitrago alla Settimana Internazionale Italiana

Il via libera di Caruso

Ma noi Buitrago lo abbiamo “scoperto” soprattutto alla Settimana Internazionale Italiana. In Sardegna doveva aiutare Padun.

«Ma è successo – riprende Alberati – che Santiago, che è molto rispettoso ed educato, stava bene. Dopo la prima tappa Pellaud aveva preso la maglia dei Gpm. Così il giorno dopo mentre stavano facendo una salita, chiede a Damiano Caruso se poteva scattare per prendere i punti del Gpm. Allora Damiano, che anche se era in azzurro era pur sempre un riferimento della Bahrain, gli dice: okay, mettiti dietro. Accelera, lo porta fuori, Buitrago fa la volata e va a prendersi i punti. Da quel momento ha messo la maglia di miglior scalatore nel mirino Riuscendo a portarla a casa (foto apertura, ndr). Già in passato Caruso mi aveva detto: tienilo da conto che questo è buono!».

Buitrago a crono: non va male ma deve migliorare
Buitrago a crono: non va male ma deve migliorare

Scalatore ma non troppo

Ma Buitrago è uno scalatore puro? Secondo Alberati no. E’ sicuramente un corridore molto forte in salita, ma se messo bene sulla bici da crono può difendersi alla grande.

«Santiago è alto 174 centimetri per 60 chili e quando sta bene ha più di 400 watt alla soglia nel test Conconi. Come anticipato se ben messo può fare bene a crono, come il Quintana dei tempi migliori. In più non ha bisogno di mezzo gruppo per restare davanti. In tal senso lo hanno aiutato molto le corse in Toscana. Lì i percorsi sono nervosi, le salite sono corte e vanno prese davanti. Pensate che ha ancora il Kom sul Lamporecchio. Ce l’hanno lui e Fiorelli, che non è propriamente scalatore! Per me potrà presto arrivare nella top ten di un grande Giro».

Buitrago, avendo corso in Italia, aveva la tessera sanitaria e grazie all’aiuto di Alberati è riuscito a fare il vaccino per il Covid a Pedara (Ct)
Buitrago, avendo corso in Italia, aveva la tessera sanitaria e grazie all’aiuto di Alberati è riuscito a fare il vaccino per il Covid a Pedara (Ct)

Serietà al massimo 

Dicevamo di un ragazzo, classe 1999, molto educato e rispettoso.

«Anche taciturno direi – confida Alberati – preferisce stare zitto che spararle grosse. In più ascolta. Qualche sera fa eravamo a cena. Tutti hanno preso la pizza e lui un’insalata e del prosciutto. Stessa cosa in piscina. Tutti hanno fatto il bagno, lui no. Non vuole uscire dai binari. Vuol fare bene, ha voglia. Rispetto a molti nostri ragazzi non hanno la casa e la famiglia a 10′ di macchina. Sanno che hanno una sola grande opportunità e se la vogliono giocare bene».