La lettura dei newton migliora l'analisi della performance?

La lettura dei newton migliora l’analisi della performance?

09.12.2025
4 min
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Scriviamo di newton, l’unità di misura della forza, dopo il lancio del power meter Garmin (e del quale uscirà a breve un test dedicato). Si parla di un dato che ha prima di tutto l’obiettivo di aggiungere qualità ed analisi alla lettura della performance. Già in passato avevamo approfondito questo fattore, legandolo però al training indoor.

Torniamo dal Michele Dalla Piazza e puntiamo la lente su un fattore tecnico che assume i contorni di un gamechanger vero e proprio, in un ciclismo sempre più fatto di numeri, ma che a tratti torna a metodologie del passato. La grande differenza è che oggi come oggi ci sono competenze più ampie e un numero infinito di strumenti di analisi.

Cosa rappresentano i newton durante la pedalata?

Sono la forza tangenziale che si applica sul pedale e sono quella forza efficace e necessaria per far avanzare la bicicletta.

Quantificarli ed averli davanti su uno schermo è utile al ciclista?

Assolutamente. Non è un valore o meglio un campo fondamentale per chi si allena in modo sommario. Non è fondamentale per chi fa training considerando esclusivamente, o quasi, i watt. Può essere un valore che aumenta la qualità per l’atleta che non lascia nulla al caso. I newton dicono al ciclista quanto stress muscolare si sostiene ad ogni colpo di pedale. I newton aiutano l’allenatore a distinguere la fatica metabolica dalla fatica meccanica.

Fatica metabolica e fatica meccanica, cosa significa?

La fatica metabolica è quella del sistema cardiovascolare e respiratorio. Quella meccanica è maggiormente legata ai muscoli ed incide sul generare la forza efficace. Troppa fatica meccanica, significa un decadimento della qualità della forza efficace.

La lettura dei newton migliora l'analisi della performance?
Michele Dalla Piazza con il padre Alfiero, un vero punto di riferimento
La lettura dei newton migliora l'analisi della performance?
Michele Dalla Piazza con il padre Alfiero, un vero punto di riferimento
Per capire meglio, c’è una relazione tra newton e forza espressa dalle gambe?

La relazione c’è, ma va sempre capita. Quando si pedala si generano diverse componenti di forza. Quella tangenziale, quella menzionata in precedenza, quella davvero efficace e perpendicolare alla pedivella è quella misurata dal power meter. Le altre forze generate non rientrano nella misurazione. Una gamba può generare, ad esempio, 500 newton in totale, ma solo 300 sono tangenziali e quindi il power meter rileva e comunica 300.

Newton e grafici della pedalata sono connessi tra loro?

Sì. Anche in questo caso si parla di strumenti che, una volta appreso come funzionano e come devono essere letti, permettono di capire come viene generata la forza e quanta ne viene prodotta.

Puoi fare un esempio?

Mettiamo a confronto due ciclisti a 250 watt. La differenza è come vengono erogati questi 250 watt. Il primo atleta genera i 250 a 60 rpm medie, mentre il seconda a 100 rpm medie. Il primo ciclista produrrà una fatica meccanica più accentuata, il secondo è portato ad una fatica metabolica maggiore, ma con minore forza ad ogni giro di pedale.

I Newton applicati alla pedalata, un nuovo gamechanger?
Un primo approccio per capire come funzionano i newton allenandosi all’aperto
I Newton applicati alla pedalata, un nuovo gamechanger?
Un primo approccio per capire come funzionano i newton allenandosi all’aperto
Uno strumento per definire l’atleta?

Conoscere i newton, legando il dato al range di efficienza del corridore è uno strumento che permette ad un allenatore di profilare il ciclista.

Un dato utile per capire quale sia il range ottimale di pedalata?

Certamente. Nella letteratura scientifica esistono due concetti, la cadenza preferita e quella più efficiente. Non coincidono quasi mai.

Perché?

Per l’aspetto metabolico una cadenza più bassa che richiede maggiore forza per giro è di solito la più efficiente. Percependo una sorta di sovraccarico, non di rado il ciclista sceglie una cadenza più alta. Questa richiede meno forza e potremmo dire che è una specie di compromesso tra lo stress muscolare e quello metabolico.

I Newton applicati alla pedalata, un nuovo gamechanger?
Il grafico cartesiano menzionato da Dalla Piazza
I Newton applicati alla pedalata, un nuovo gamechanger?
Il grafico cartesiano menzionato da Dalla Piazza
E’ possibile capire realmente quali sono le rpm di un individuo/ciclista?

E’ possibile creando un modello prestativo, basato su gare ed allenamenti, un vero e proprio piano cartesiano. Da una parte i Newton medi, dall’altra le rpm. Incrociando i dati si capisce molto bene a quali range di forza pedala in modo ottimale, delta più efficiente di pedalata, combinazioni naturali di forza/velocità. Ovviamente da qui si parte per la costruzione di un training specifico, creato sul profilo del corridore.

Per concludere, quale è il ciclista più efficiente?

Quello che converte più forza totale in forza tangenziale, perché produce più watt a parità di sforzo.

Jayco AlUla, Filippo Conca, campione italiano 2025

Un viaggio nel motore di Conca: parola al preparatore

04.12.2025
5 min
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Il team Jayco-AlUla è già immerso nel primo ritiro di stagione, una settimana in Spagna, più precisamente a Denia. Un ritrovo per gettare le basi in vista del prossimo anno, nel quale si aprirà un triennio importante ed è fondamentale iniziare con il piede giusto. Tra coloro dai quali ci si attende una risposta c’è sicuramente Filippo Conca, il campione italiano che a Trieste ha messo nel sacco i professionisti. Dopo il titolo tricolore conquistato insieme allo Swatt Club per Conca è arrivata la chiamata della Jayco-AlUla. Un ritorno nel WorldTour per il corridore lecchese, che dopo quattro stagioni tutt’altro che facili era uscito dal professionismo. 

Fabio Baronti, preparatore Jayco AlUla
Fabio Baronti è entrato nello staff performance della Jayco AlUla come preparatore a inizio 2025
Fabio Baronti, preparatore Jayco AlUla
Fabio Baronti è entrato nello staff performance della Jayco AlUla come preparatore a inizio 2025

Cambiamenti e ritorni

Ora Filippo Conca sta vivendo la sua seconda chance e nel preparare la sua prima stagione con la Jayco AlUla sta lavorando con Fabio Baronti, preparatore che lo scorso anno è entrato nel team australiano dopo gli anni di formazione al Cycling Team Friuli

«Per me il 2025 – ci dice Baronti – è stato un anno importantissimo nel quale sono cresciuto tanto. Arrivavo con molta voglia di dimostrare che la fiducia riposta nelle mie capacità fosse giustificata. Personalmente ho fatto un grande passo in avanti e penso di poterne fare altri nella stagione che è alle porte. La squadra guarda avanti e ha già fatto dei cambiamenti. A capo del gruppo performance è arrivato, dal team femminile, Gene Bates. Ho avuto modo di lavorare con lui e sono felice di ritrovarlo anche nella formazione maschile. E’ tornato a far parte dell’organico anche Neil Stephens, diesse che era con il team agli inizi (poi passato in UAE Emirates e Bahrain Victorious, ndr) siamo consapevoli di doverci evolvere e guardare al futuro, per farlo però non vogliamo perdere un certo legame con il passato».

Conca ha conquistato il titolo italiano a fine giugno, durante l’inverno era rimasto senza squadra
Conca ha conquistato il titolo italiano a fine giugno, durante l’inverno era rimasto senza squadra
Nel tuo primo anno sei entrato in contatto con il campione italiano, Filippo Conca, com’è andata?

E’ entrato in squadra ad agosto, quindi il primo approccio è stato “soft”. Conca lavorava già con il suo preparatore, abbiamo deciso di non intervenire direttamente ma di seguirlo e dargli supporto. Alla base c’era un contatto giornaliero che serviva per coordinare allenamenti e gare. 

E’ stato semplice?

Abbiamo la fortuna di lavorare in uno sport che si basa molto sui numeri e dal quale riusciamo a raccogliere molti dati riguardo all’atleta. Riusciamo a monitorare i ragazzi a 360 gradi, tuttavia rimane fondamentale l’aspetto umano, anche nel lavoro del preparatore. 

Tre Valli Varesine 2025, Filippo Conca
La Jayco-AlUla lo ha riportato nel WordTour e metà 2025, i primi mesi sono serviti per riprendere le misure
Tre Valli Varesine 2025, Filippo Conca
La Jayco-AlUla lo ha riportato nel WordTour e metà 2025, i primi mesi sono serviti per riprendere le misure
Cosa si è guardato nei primi mesi?

A tutti e due gli aspetti. Dal punto di vista tecnico ci siamo coordinati per capire quali fossero la struttura di lavoro di Conca e gli elementi funzionali al suo interno. D’altro canto ci siamo interrogati su cosa potesse essere cambiato, al fine di lavorare al meglio insieme. Un aspetto molto importante è la conoscenza personale, capire quali fossero le convinzioni e le idee radicate nella testa del corridore. Per fare il salto fisico a volte non basta il solo allenamento, serve anche uno step mentale.

Conca arrivava da una situazione particolare, come hai approcciato questa situazione?

Solitamente un corridore professionista vive una certa routine di progressione costante negli anni, fino ad arrivare a un livello nel quale rimane per diverso tempo. La situazione di Conca, uscito dal professionismo e ripartito con lo Swatt Club l’ho giudicata al pari di un infortunio. Lui è uscito dalla zona di comfort ed è ripartito da solo. Si è trovato a rimettersi in discussione, senza punti di riferimento. Però se sei capace di rialzarti sono quelli i momenti in cui cresci e crei resilienza, alzando il tuo livello.

Jayco AlUla, Filippo Conca, campione italiano 2025
Il long Covid ha condizionato il finale di stagione di Conca, che ora è ripartito per costruire il 2026
Jayco AlUla, Filippo Conca, campione italiano 2025
Il long Covid ha condizionato il finale di stagione di Conca, che ora è ripartito per costruire il 2026
Così è stato?

Il dubbio c’era ed era legittimo, anche perché Conca nella prima parte del 2025 ha corso pochissimo. I dati raccolti ci hanno confermato che pur senza correre i suoi valori sono aumentati. 

Te lo saresti aspettato?

Da un certo punto di vista, sì. Filippo senza un calendario certo ha avuto modo di fare tantissima base durante l’inverno, cosa che da professionista è impossibile perché a gennaio già si corre. Lui, invece, si è allenato molto e questo gli ha dato dei benefici evidenti. E’ come se avesse resettato tutto. Certo, gli manca l’aspetto competitivo, ma quello si crea.

Jayco AlUla, Filippo Conca, campione italiano 2025, Tour de Slovaquie
Conca è un corridore dal fisico imponente, ma delle ottime qualità atletiche che gli permettono di essere competitivo sui percorsi duri
Jayco AlUla, Filippo Conca, campione italiano 2025, Tour de Slovaquie
Conca è un corridore dal fisico imponente, ma delle ottime qualità atletiche che gli permettono di essere competitivo sui percorsi duri
Come avete impostato il lavoro?

Serviva programmare il tutto, senza estremizzare. Si deve trovare l’equilibrio tra blocchi di allenamento e di gare. Nei primi costruisci, con i secondi finalizzi. Solo in questo modo si migliora la forma fisica. Ricordiamo che Conca ha subito anche gli effetti di un long Covid a fine 2025, la cosa importante era farlo recuperare. Gli abbiamo concesso tre settimane di riposo completo ed è ripartito due settimane dopo gli altri, a metà novembre. Meglio così per me, non ci sono differenze. 

Ultima domanda, che motore è quello di Conca?

E’ un corridore atipico, con una stazza importante. Parliamo di un ragazzo alto 192 centimetri e con un peso che oscilla tra i 75 e i 77 chilogrammi. Non ha le caratteristiche di uno scalatore, ma ha un motore ottimo, mettendo insieme le sue caratteristiche fisiche viene fuori un corridore capace di essere competitivo nelle corse impegnative. Per questo non mi ha sorpreso che abbia vinto l’italiano a Trieste.

Polti, preparazione, ripartire zero

Off season sempre più corta: davvero bisogna ripartire da zero?

25.11.2025
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Siamo in una fase intermedia tra off season (quasi del tutto terminata) e ripresa. Già tra qualche giorno ricominceranno i ritiri, ma quando si sente dire «Riparto da zero» da parte di ragazzi che sono stati fermi un paio di settimane e hanno messo su forse due chili, viene spontaneo chiedersi se sia poi vero che si riparta davvero da zero.

E questo quesito lo abbiamo posto a Samuel Marangoni, preparatore della Polti-VisitMalta. Con lui, già a suo tempo, avevamo parlato dello stacco, del debriefing e di come questa fase fosse necessaria. Stavolta orientiamo il discorso sulla ripresa (in apertura foto Borserini).

Samuel Marangoni, preparazione, ripartire zero
Samuel Marangoni è uno dei preparatori della Polti-VisitMalta (foto Borserini)
Samuel Marangoni, preparazione, ripartire zero
Samuel Marangoni è uno dei preparatori della Polti-VisitMalta (foto Borserini)
Samuel, c’è dunque davvero bisogno di dire che si riparte da zero?

Io direi di sì. Prendo il nostro caso: quest’anno siamo arrivati a fine stagione con tante gare per quasi tutti. Così, insieme agli altri preparatori, abbiamo programmato uno stacco consistente. La maggior parte dei ragazzi ha fatto tre settimane praticamente senza alcuna attività.

Però si sente ancora di atleti che corrono a piedi, camminano, nuotano…

Poi qualcuno qualcosa se la concede per piacere personale, ma quasi tutti, anche quelli che hanno corso fino a fine stagione, hanno fatto tre settimane di stop. Vero, non si riparte da uno zero assoluto, però dopo tre settimane la condizione è al minimo e bisogna ripartire con calma, con una corretta gestione dei carichi. Da lì poi si riprende il programma di lavoro per arrivare ai ritiri pronti a lavorare un po’ più forte.

Però, se prendo un ragazzo di 22-27 o 25 anni, quindi nel pieno delle forze, che fino a tre settimane prima faceva SFR da 5’, perché dovrebbe ripartire da 3’? Perché dovrebbe fare solo un’ora e mezza? Quanto realmente si perde?

C’è una perdita fisiologica nello stare fermi, soprattutto perché noi dobbiamo considerare tutto questo discorso è rapportato ad un livello altissimo. Se io amatore mi metto in forma e poi sto tre settimane fermo, non mi cambia la vita. Ma quando il fisico è portato al limite, dal punto di vista metabolico e strutturale, tre settimane sono tante.

Ripartire con volumi e intensità basse, cioè “da zero”, serve al fisico e anche alla mente
Ripartire con volumi e intensità basse, cioè “da zero”, serve al fisico e anche alla mente
E cosa cambia?

Si perde dal punto di vista muscolare e metabolico. La FTP, per esempio: se fai un test a dicembre in ritiro non è la stessa che faresti a febbraio, marzo o luglio. Ci sono differenze soggettive, noi calcoliamo circa un 10 per cento di perdita nella fase di ripresa. Quindi abbassiamo la FTB e tutti gli altri parametri. Anche se nelle prime settimane non fai lavori specifici di FTP, è comunque il riferimento generale e lo adattiamo fino al ritiro, quando faremo i primi test.

Quindi un professionista di altissimo livello che non tocca la bici da tre settimane non dovrebbe fare subito quattro ore?

Dal mio punto di vista no. Poi c’è chi lo fa e non ha problemi, perché quando ripartono spesso si sentono anche bene: sono riposati e freschi. Fisicamente ci riuscirebbero anche. Ma nella costruzione di un programma che li deve portare a performare a fine gennaio-inizio febbraio a mio avviso non è ideale. Per noi è più corretto partire con calma. Tanto alle 4-5 ore ci arrivano in due, massimo tre settimane. Dopo tre settimane di allenamento fanno già cinque ore e mezza. Non servono quattro mesi per tornare a fare sei ore.

Domanda che può sembrare sciocca: se finisco bene la stagione e dopo il riposo riparto dal livello a cui ero, non potrei crescere di più? E’ come non spezzare mai la linea di crescita…

Sì, nell’immediato avresti la sensazione di essere pronto prima. Ma oltre al fatto che la crescita non è infinita, devi pensare a lungo termine. La stagione è lunga: devo performare come detto a gennaio-febbraio. E poi in estate e a fine stagione, alternando i giusti carichi e scarichi. Questo è il momento in cui bisogna scaricare dalla fatica accumulata e ricreare la base su cui costruire una stagione intera. Il riposo e la sua graduale ripresa vengono spesso dimenticati, ma sono parti fondamentali dell’allenamento: in off-season soprattutto, ma anche durante l’anno. L’equilibrio tra carico e riposo è essenziale e in questa fase si lavora anche su quello.

Sin qui, Samuel, abbiamo parlato di fisiologia e numeri, invece a livello mentale quanto conta ripartire da un’ora e mezza invece che da quattro ore?

Il fattore mentale conta forse più di quello fisico. Le due-tre settimane di stop e la ripartenza dolce danno sicurezza. Il corridore si è staccato dalla bici e dal ciclismo per qualche giorno, riparte con voglia di lavorare e sa che grazie alla progressione quotidiana arriverà alle 5-6 ore con la giusta tranquillità.

La bilancia resta il “nemico” numero uno per i corridori durante lo stacco
La bilancia resta il “nemico” numero uno per i corridori durante lo stacco
Un tempo la parte più difficile dello stacco di fine stagione era non mettere su troppi chili. Lo è ancora? Anche perché dover rincorrere oggi è impossibile: bisogna essere al 100 per cento sin dalla prima gara…

Sì, è ancora una parte molto impegnativa. Qualcuno mette su anche un po’ di più di due chili. Credo che la gestione alimentare sia una delle cose più difficili per i ragazzi, molto più dell’allenamento. Chiunque abbia corso, anche a livelli inferiori, lo sa: mantenere l’attenzione sull’alimentazione non è semplice.

Anche per questo c’è chi va a correre, chi cammina, chi nuota?

Sì, anche per evitare di ritrovarsi a dicembre con cinque chili da perdere. Peggio ancora se ci si presenta a gennaio: in quel caso anche la squadra di certo qualcosa ti fa notare. Lo sforzo per rientrare nel peso ideale è minore se non si esagera nella pausa. Concedersi qualcosina è normale, ma nella ripresa diventa molto più semplice rimettersi in ordine. Però capita ancora che qualcuno si lasci andare un po’ troppo e debba poi lavorare oltre il dovuto tra dicembre e gennaio per rientrare nei parametri.

Pochi giorni fa, tra le righe, Tosatto ha detto che più o meno le cose che si fanno sono quelle: ebbene rispetto ai 20 anni cosa cambia tra stacco e ripresa?

Per me non molto a dire il vero. Forse l’unica vera differenza è che ci si poteva lasciare andare un pelo di più, soprattutto dal punto di vista del peso. Questo perché si aveva un po’ di margine in più per recuperare. Ma per il resto tempistiche e ripresa erano le stesse.

Kilojoule: Pozzovivo spiega questo “nuovo” parametro

19.11.2025
5 min
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Sempre più spesso quando parliamo di preparazione viene fuori questa parola: kilojoule.
«Si seguono i kilojoule». «Dipende da quanti kilojoule hai fatto». «Volume di kilojoule»… ma cosa sono? Che parametro è?

E’ una domanda ricorrente. E quando si parla di preparazione, magari strettamente legata all’atleta, uno dei migliori interlocutori in assoluto è Domenico Pozzovivo, che oltre a essere un coach affermato e molto aggiornato, è anche un fresco corridore. Insomma, è da entrambe le parti della barricata in qualche modo.

Domenico Pozzovivo (classe 1982) ha smesso di correre lo scorso anno. Oggi è un preparatore
Domenico Pozzovivo (classe 1982) ha smesso di correre lo scorso anno. Oggi è un preparatore
Innanzitutto, Domenico, di cosa parliamo: è un’intensità, è un’unità di misura?

La possiamo chiamare una metrica, un valore che serve a quantificare il lavoro meccanico svolto nell’unità di tempo. Basta moltiplicare i watt, che sono la misura del lavoro espresso, per il tempo. A quel punto otteniamo i joule. Per ottenere il kilojoule dobbiamo dividere il risultato per mille. E’ semplicemente questo e soprattutto è qualcosa che abbiamo già nei nostri archivi, dal punto di vista dei dati, per valutare l’intensità di un allenamento.

E perché adesso si usano questi kilojoule? Qual è il vantaggio?

Il vantaggio è avere un parametro immediato di quanto lavoro si è compiuto nell’allenamento. Va molto in parallelo, alla fine, con il training score o altri indici che spesso vengono forniti di default a fine training dalle varie piattaforme (tipo Trainingpeaks, ndr). Questo però è un valore assoluto. Attenzione però…

A cosa?

C’è la superficialità di considerarlo come un dato oggettivo, uguale per tutti. In realtà ognuno dovrebbe parametrare il kilojoule a se stesso. Ovviamente un corridore più leggero, esprimendo meno watt di un corridore più pesante, avrà sempre meno kilojoule. Il paragone in senso stretto sarebbe errato e andrebbe relativizzato. Il top del tutto è il kilojoule per chilo, se vogliamo avere un parametro davvero oggettivo e confrontabile.

Sul computerino, in basso a destra, il dato dei kilojoule consumati
Sul computerino, in basso a destra, il dato dei kilojoule consumati
Che differenza c’è allora rispetto al valutare solo i watt? Cosa c’è di diverso dal dire, per esempio: a fine allenamento ho fatto 200 watt medi?

Perché dentro c’è anche la durata. Con un numero hai sia l’intensità che il tempo. Riprendendo la vostra frase, per correttezza avreste dovuto dire: “Ho fatto 200 watt medi per tre ore”, mentre nel kilojoule il tempo è già incluso. Con quel numero sintetizzi due grandezze: hai la misura oggettiva di quanto è stressato il tuo organismo perché rappresenta il lavoro meccanico complessivo che hai svolto.

Ci sono relazioni con le calorie bruciate? Tanto più che siamo nell’era dell’uso massiccio dei carboidrati…

Viene associato alla caloria, ma parlando di consumo calorico bisognerebbe dividere per quattro il suo valore. Però non è correttissimo, perché otteniamo il dato dei kilojoule solo dalla pedalata. Abbiamo detto che è una misura del lavoro meccanico, della pedalata appunto. Ma quando un ciclista pedala non produce solo quel tipo di lavoro: i muscoli del tronco stabilizzano, se ti alzi sui pedali lavorano anche le braccia. C’è un lavoro generale dell’organismo, quello per mantenersi in vita, che non viene calcolato nel kilojoule. Per convenzione, se hai consumato 10 kilojoule si dice che hai bruciato 10 calorie, anche se termodinamicamente non sarebbe così.

Preparatori e atleti dicono che oggi l’importante non è solo avere tanti watt, ma riuscire a esprimerli a fine corsa. E fanno riferimento in qualche modo al kilojoule: perché?

In tal senso il kilojoule è una misura molto utile. Dal punto di vista dell’analisi dei dati rende confrontabili prestazioni ottenute su percorsi o situazioni differenti. Ti dice che in condizioni diverse, però, dopo un certo numero di kilojoule sei riuscito a fare 20’ a 6,2 watt/chilo, oppure un altro valore. E puoi confrontarlo con un’altra prestazione svolta in un giorno diverso su un altro percorso.

Adesso si pone tanto l’accento sulla durability…

Appunto: riuscire a fare, dopo tanti kilojoule accumulati nel gruppone, determinate prestazioni ed è ciò che fa la differenza. E’ come un carico che continui ad aumentare sulle tue spalle durante l’attività: alla fine il kilojoule è questo.

Lorenzo Germani
Qualche giorno fa Germani ci disse dell’importanza di avere un’ottima durability. Non solo ma è uno dei suoi obiettivi in vista del 2026
Lorenzo Germani
Qualche giorno fa Germani ci disse dell’importanza di avere un’ottima durability. Non solo ma è uno dei suoi obiettivi in vista del 2026
Chiarissimo come sempre, Domenico. Ti senti di aggiungere qualcosa? Una chiosa?

Aggiungere no. Piuttosto, mi verrebbe da dire che ci sono anche un po’ le mode. E adesso il kilojoule, se non ce l’hai in bocca, quasi non sei un preparatore! E questo a me fa sorridere. Però è altrettanto vero che è un parametro molto utile e direi immediato. Insomma, non è solo una moda. Quel che voglio rimarcare è che è soggettivo. Faccio un esempio.

Vai…

Ho due ragazzi: uno pesa 70 chili e l’altro 60. Non posso dire a entrambi: «Fai il lavoro dopo 2.000 kilojoule», perché sono due parametri diversi per ciascuno. Sapendo cosa c’è dietro quel numero riesci a usarlo bene. Se lo usi senza capirlo puoi essere addirittura fuorviante.

Perché?

Perché il segreto è rapportarlo al peso dell’atleta. In bici non è una gara di pesi: è sempre uno sport in cui mettere in relazione la prestazione con il proprio peso fa la differenza, tranne negli esercizi puri di sprint. Diciamo che i kilojoule entrano in ballo soprattutto quando si parla di durabilità, cioè di riuscire a ripetere una prestazione anche dopo un determinato carico di lavoro.

Giacomo Notari, debriefing

Debriefing di fine stagione: con i giovani tanto dialogo, vero Notari?

18.11.2025
6 min
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Questo è il momento dell’off-season e per i preparatori è l’ora dei debriefing. Si tirano le somme di ciò che l’atleta ha fatto nel corso dell’anno: dati, numeri, lavori specifici ben riusciti e altri meno. Ma quando di mezzo c’è un ragazzo, come cambia questo debriefing? E com’è il confronto?

Con Giacomo Notari, coach della UAE Emirates Gen Z, cerchiamo di capire in che direzione si muove questa fase, soprattutto rispetto al confronto con la stagione precedente. Cosa valuta Notari? Da cosa parte? (In apertura foto Instagram)

Notari, debriefing
Giacomo Notari è il preparatore della UAE Team Emirates Gen Z. E’ con lui che parliamo di debriefing con i giovani
Notari, debriefing
Giacomo Notari è il preparatore della UAE Team Emirates Gen Z. E’ con lui che parliamo di debriefing con i giovani
Giacomo, dunque, cosa guardi in questo debriefing annuale?

Prima di tutto vorrei dire che non lo faccio solo con chi già c’era, ma anche con i nuovi che arriveranno, perché è un momento per conoscerli. Con i “vecchi”, invece, si valuta cosa è stato fatto bene e cosa si poteva fare meglio.

E cosa si fa in questo debriefing?

In linea generale, sebbene io sia un preparatore e quindi abituato a lavorare tanto con numeri, sigle e dati, quando faccio questi debriefing parlo molto. Cerco di capire cosa si aspettano da loro stessi, cosa pensano di aver fatto bene e dove ritengono di dover migliorare. Non cosa hanno sbagliato, ma dove credono di poter crescere. Con i nuovi cerco di capire che tipo di corridori pensano di essere, per farmi un’idea. Dopo, avendo i dati, qualcosa si capisce, ma è importante anche sapere che immagine hanno di sé, perché sono ancora in una fase in cui qualcosa può cambiare. La impronto più come un dialogo, anche psicologico: siamo focalizzati sui numeri, ma in gara non vince chi ha il wattaggio più alto. Essendo uno sport di situazione, contano il saper stare a ruota, prendere posizione, leggere la corsa, capire quando è il momento giusto. Poi è chiaro che un po’ si guardano anche i numeri.

Come?

Si guarda in particolare il volume di ore settimanali, ma è difficile contestualizzarlo. Uno può aver fatto 20 ore, ma cosa vuol dire? Potevano essere 20 ore in Z1, in Z2 o con molta intensità. Per questo preferisco parlare, capire come sono soliti allenarsi, se fanno palestra, se piace loro farla, se pensano che sia utile.

gruppo UAE GEN Z, allenamento debriefing
Ore di lavoro, test, FTP: ma nel debriefing di Notari resta centrale il dialogo con i ragazzi
gruppo UAE GEN Z, allenamento debriefing
Ore di lavoro, test, FTP: ma nel debriefing di Notari resta centrale il dialogo con i ragazzi
Ma la crescita fisiologica come la valuti?

Certamente valuto anche questo aspetto, ma non necessariamente il fatto che abbia migliorato la FTP mi dice che abbia corso più forte dell’anno precedente. Tendenzialmente le migliori prestazioni le fanno in condizioni di freschezza, mentre in gara l’azione vincente nasce dalla fatica. Quindi sarebbe utile vedere quanto migliorano dopo un certo carico di lavoro, misurato in kilojoule.

Perché?

Perché le gare si vincono in condizioni di fatica. A volte facciamo test proprio in fatica: creiamo affaticamento con salite a intensità alta e poi facciamo eseguire una prova massimale, per vedere quanto perde rispetto a quando è fresco. Non posso concentrarmi solo sui 12′, 15′ o 20′ in freschezza. Il mio scopo è migliorare la “durability”: arrivare meno stanchi alla fine. Quando parlo con loro mi interessa capire che volumi erano soliti fare, come arrivavano a fine gara, cosa soffrivano di più. Quelli sono i punti deboli su cui lavorare e che possono determinare il calo nel finale.

Tratti soprattutto under 23, quindi ragazzi di 18-19 anni in crescita. Quanto migliora un ragazzo per semplice sviluppo fisico?

E’ difficile quantificare perché ognuno ha fasi di crescita diverse, però tendenzialmente un miglioramento c’è. Tra i 17 e i 23 anni sono in un’età d’oro: non hanno i problemi di chi ne ha 26 o 27. Vivono in casa, non devono fare la spesa o fronteggiare responsabilità pesanti. L’unico stress è la scuola. Se togliessimo anche quello, avrebbero tutto il giorno per allenarsi e andrebbero ancora più forte.

Tattiche di corsa, pressioni, abilità in gruppo: anche questo conta… e i numeri non lo dicono (foto La Presse)
Tattiche di corsa, pressioni, abilità in gruppo: anche questo conta… e i numeri non lo dicono (foto La Presse)
Un aspetto semplice ma non banale…

A 26-27 anni sei prestativo, ma hai anche stress: casa, famiglia, figli, spese… E’ quindi difficile quantificare la crescita perché ci sono fattori esterni e quelli fisiologici che vanno di pari passo con lo sviluppo individuale.

Hai detto “parlo molto con loro”. E loro cosa ti chiedono? E come capisci, dalle loro risposte, che stanno maturando?

Tendenzialmente cerco di capire i punti di forza e quelli di debolezza. Guardando i dati e la curva di potenza capisco dove sono forti o carenti, ma voglio che lo dicano anche loro. Io dai numeri vedo solo la parte prestativa, ma magari il loro limite è altro.

Tipo?

Ad esempio che non sono bravi a stare in gruppo o che hanno problemi in discesa, cose che da TrainingPeaks non emergono. In squadra abbiamo anche una psicologa: una volta un ragazzo aveva paura in discesa per via di una caduta. Abbiamo lavorato con lei e poi lo abbiamo affidato a un coach specifico proprio per la discesa che gli ha spiegato ingresso in curva, velocità, staccata, traiettoria… Queste cose non le vedi dai computerini. Siamo troppo fossilizzati sui numeri, ma c’è tutto un contesto attorno che fa tanta differenza.

debriefing
Il francese Fabries, la soddisfazione maggiore di Notari per questo suo 2025 (foto Instagram)
debriefing
Il francese Fabries, la soddisfazione maggiore di Notari per questo suo 2025 (foto Instagram)
Bello questo aspetto del dialogo nel debriefing…

Oggi i ragazzi sanno moltissimo di nutrizione e allenamento. Su internet possono raccogliere un’infinità di informazioni, ma questo gli crea stress: vogliono controllare tutto, quando ci sono persone che possono farlo per loro. Questo gli toglie stress.

Qual è stata la soddisfazione più grande dell’anno? Il miglioramento che ti ha dato più gioia?

Non abbiamo vinto tanto, ma neanche poco. La vittoria a tutti i costi non è ciò che cerchiamo. In UAE abbiamo la fortuna di poter far crescere i ragazzi: se sono con noi è perché crediamo in loro. Preferiamo farli maturare pensando al futuro. La soddisfazione più grande è arrivata da un corridore francese, Ugo Fabriès.

Raccontaci…

Praticamente non aveva mai vinto una corsa. Sapevamo che numericamente era forte, ma credeva poco in sé stesso. Ha fatto delle buone gare e a fine stagione ha vinto il campionato nazionale, correndo da solo, senza compagni. Meritava. Era uno che si è sempre fatto in quattro per i compagni: una volta Pericas ebbe un problema nel momento peggiore e lui, anziché giocarsi la corsa, si staccò dal gruppetto per riportarlo davanti. Sono contento che il titolo nazionale gli abbia consentito di restare in squadra e che potrò averlo anche il prossimo anno.

Vittoria Guazzini, Roubaix

Guazzini e la crescita su strada? Bragato l’aspetta a Roubaix

11.11.2025
6 min
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«Dopo il quartetto ho detto che la pista è la mia passione, però mi piacerebbe fare un salto di qualità anche su strada. Sicuramente devo continuare a lavorarci e a prenderlo come un obiettivo, però è anche difficile avere come obiettivo un mondiale, se il percorso è proibitivo». Parole di Vittoria Guazzini, atleta della FDJ-Suez, raccolte pochi giorni fa.

Si parlava soprattutto di cronometro, ma non solo. La “Guaz” sembra avere un potenziale enorme su più fronti, a partire dalla pista. E qui, tra parquet e preparazione, entra in gioco Diego Bragato, responsabile della performance della Federazione Ciclistica Italiana e tecnico delle donne su pista.

Diego Bragato, tecnico e preparatore della Federciclismo
Diego Bragato, tecnico e preparatore della Federciclismo
Diego, partiamo innanzitutto da cosa può fare. Cosa significa per lei fare un salto di qualità su strada? Che tipo di corridora è e cosa intende?

In realtà, glielo auguro anche io un salto di qualità su strada, perché secondo me ha le sue corde. Ha già vinto alcune gare interessanti, quindi le sue caratteristiche in qualche modo le ha già tirate fuori. Però secondo me può riuscirci anche in gare di un altro livello.

Cosa intendi per gare di un altro livello?

Secondo me può iniziare a essere competitiva anche su qualche classica. La Parigi-Roubaix Femmes è la prima che mi viene in mente, viste le sue caratteristiche. Può essere una gran finisher, vista la sua accelerazione e la sua potenza. Lei è una che in gare dure, non altimetricamente sia chiaro, alla fine può fare la differenza. Può fare attacchi importanti. Se penso alle sue caratteristiche, le rivedo anche semplicemente a Parigi, nella Madison, quando dopo una corsa tiratissima, a 40 giri dalla fine, ha fatto un attacco che ci ha portato alla medaglia. Quello ti fa capire chi è Vittoria Guazzini: una che ha un motore in grado di fare la differenza su gare molto dure. Ripeto, non dure per salite o dislivelli, ma per richiesta fisica e mentale a 360 gradi.

Andiamo un po’ più sul tecnico, Diego. Come può raggiungere questo obiettivo senza però perdere in pista?

Diciamo che è stata un po’ sfortunata, perché da qualche anno non riesce ad avere una grande continuità tra infortuni e cadute. Se penso alla Roubaix, quando si è distrutta piede o caviglia, o quest’anno al campionato italiano dove è caduta… Per emergere in quel tipo di gare servono volume e continuità e secondo me è proprio quello che le è mancato su strada. Mi auguro che riesca ad avere qualche stagione piena per poter fare quel salto di qualità. Le manca solo quello… e magari anche il prendersi un po’ di responsabilità in più con la squadra.

La crescita di Guazzini su strada passa anche dall’avere più spazi per sé stessa. In squadra spesso invece è chiamata ad aiutare
La crescita di Guazzini su strada passa anche dall’avere più spazi per sé stessa. In squadra spesso invece è chiamata ad aiutare
Cioè?

Vittoria la seguo, la vedo, la sento. E’ in una squadra importante e spesso ha ruoli di supporto, da gregaria. Si occupa soprattutto della prima parte di gara, dove fa il suo. Però bisogna saper cogliere le occasioni per far vedere che si è pronti a prendersi qualche responsabilità in più.

Quindi, da un punto di vista della preparazione, non deve cambiare molto secondo te?

Di base no. Guazzini sta lavorando bene con la sua squadra. Sono in contatto spesso col team e con il preparatore, perché monitoriamo insieme il lavoro che fa su strada e su pista. E devo dire che stanno lavorando con grande responsabilità. Secondo me è mancata solo la continuità, per i troppi infortuni.

Perciò, quando parli di salto di qualità su strada, non pensiamo a una rivoluzione tecnica o di preparazione o addirittura interventi che la vedrebbero perdere massa?

No, almeno per il tipo di gare di cui parlavamo prima non è necessario. Se poi un domani vorrà puntare di più su corse a tappe o su un profilo diverso di gara, allora sì. Ma quello è un altro discorso. In questo momento, in cui sta mettendo giustamente assieme strada e pista, quella non è la priorità.

Guazzini è molto forte a crono, tanto che ha vinto il titolo nazionale. Ma per quelle più lunghe in campo internazionale serve un altro lavoro secondo Bragato
Guazzini è molto forte a crono, tanto che ha vinto il titolo nazionale. Ma per quelle più lunghe in campo internazionale serve un altro lavoro secondo Bragato
Guazzini ha un grande motore, leve lunghe e la crono le piace. Dove può arrivare in questa disciplina? In soldoni: quanto è lontana da Marlen Reusser?

Le manca ancora qualcosina in termini di volume di lavoro. Finora abbiamo lavorato di più sull’inseguimento e sui quartetti. Sulle vere e proprie crono lunghe, secondo me non ha ancora un lavoro completamente definito. Bisognerebbe costruirlo in modo mirato. Perché anche lì, sia mentalmente che fisicamente, bisogna abituarsi a quel tipo di sforzo. E per ora, anche per le richieste che arrivano dalla pista, ci concentriamo su lavori più brevi.

Un giudizio spassionato su di lei: che “corridora” è Guazzini? E che margini ha?

Deve credere un po’ di più in se stessa. E’ forte, in pista lo sa, ma si sta un po’ perdendo la responsabilità di essere un’atleta forte anche su strada. Deve fare i passaggi giusti per acquisire questa mentalità da atleta consapevole. Secondo me è tutto lì il punto.

C’è una gara in particolare che ti ha fatto capire dove manca qualcosa?

Non proprio una gara, ma quando ci confrontiamo tra strada e pista noto due mentalità diverse. E ci sta, va bene, è ancora giovane e sta maturando. Però, se parliamo di un salto di qualità, quello mentale è l’aspetto più importante.

Potenza, accelerazione: Guazzini ha tutte le carte in regola per essere un’ottima finisseur
Potenza, accelerazione: Guazzini ha tutte le carte in regola per essere un’ottima finisseur
Domanda apparentemente banale: tutti voi preparatori parlate spesso di continuità. E basta vedere i corridori che fanno fatica a rientrare anche dopo un semplice malanno. Perché dunque oggi è così fondamentale la continuità?

Perché le prove su strada ormai richiedono espressioni di qualità e gesti di intensità molto elevati, ma dopo un determinato volume. Alcuni lo misurano in ore di lavoro, altri in watt, ma il concetto è lo stesso: serve accumulare tanto nel tempo. Fare tutto assieme è impossibile. Il volume di lavoro per la pista lo spalmiamo su tre o quattro anni, per dire. E anche sulla strada il percorso è pluriennale. Le richieste del ciclismo moderno, sia femminile che maschile, sono altissime, le gare sono tutte di livello e non ci si può improvvisare.

Non ci sono più gare “di preparazione”, insomma…

Si va sempre più forte. Le richieste specifiche oggi sono quelle di fare gesti di alta qualità dopo ore intense, dopo parecchi kilojoule. E questo si ottiene solo lavorando con continuità.

Chiarissimo. Chiudiamo con uno slogan, Diego: dove l’aspetti la Guaz dopo questa crescita?

L’aspettiamo al velodromo… quello della Roubaix! Direi che quel velodromo è il punto di congiunzione ideale tra strada e pista.

Alessandro Borgo, Dario Belletta, Under 23 (Photors.it)

Da under 23 a pro’: come cambia la preparazione?

10.11.2025
5 min
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Il passaggio da under 23 a professionisti è uno scalino che sembra essere sempre meno alto, ma così non è. La differenza tra correre in quella che è l’ultima delle categorie giovanili e i grandi è tanta, molte cose cambiano, una di queste è la preparazione. L’inverno in cui da under 23 si diventa atleti professionisti è delicato, qui si inizia a costruire un cammino di adattamento alla massima categoria. 

Lo spunto è nato dopo la nostra intervista con Dario Belletta (in apertura a ruota di Borgo, Photors.it), il neo corridore della Polti VisitMalta ci aveva detto: «I primi di novembre dovrei ripartire, e voglio farlo al 100 per cento. Anche perché dovrei partire a correre dalla Spagna a fine gennaio, mentre da under le prime gare sono a marzo. Quindi c’è da entrare in forma presto».

Dario Igor Belletta, Solme Olmo 2025 (Photors.It)
La differenza principale nel passare da U23 a pro’ sta nel volume di lavoro (Photors.it)
Dario Igor Belletta, Solme Olmo 2025 (Photors.It)
La differenza principale nel passare da U23 a pro’ sta nel volume di lavoro (Photors.it)

Volume

Siamo andati così da Giuseppe De Maria, preparatore del team di Ivan Basso, che ha risposto alle nostre domande e curiosità.

«Il cambiamento più grande per un ragazzo che diventa professionista – spiega il preparatore – è il volume. Prendiamo un under 23 “maturo” quindi con almeno due anni di esperienza nella categoria e di lavoro costante. Un atleta del genere in una settimana di carico arriva a fare ventidue o ventitré ore di allenamento, un professionista ne fa trenta. Altro aspetto è la durata del periodo di carico, per un under 23 basta una settimana, un professionista ne fa un paio».

Dario Igor Belletta, Solme Olmo 2025 (Photors.It)
Aprile è un mese cruciale sia da U23 che da professionisti, il cammino di avvicinamento è però molto diverso (Photors.It)
Dario Igor Belletta, Solme Olmo 2025 (Photors.It)
Aprile è un mese cruciale sia da U23 che da professionisti, il cammino di avvicinamento è però molto diverso (Photors.It)
Qual è la differenza maggiore durante la preparazione invernale?

Che si devono anticipare le intensità perché le gare arrivano prima. Belletta ad esempio ha sempre ripreso a correre a marzo (anche quando era nel devo team della Visma, ndr) mentre ora a fine gennaio. Non cambia tanto il momento in cui si iniziano a fare le prime uscite in bici, piuttosto i giorni di lavoro si compattano.

Ci spieghi meglio?

Un corridore under 23 ha tanto tempo per fare allenamenti in cui concentrarsi su fondo e volume, poi si focalizza sull’intensità con l’arrivo delle corse. Mentre da professionista hai sicuramente un periodo in cui ti concentri sul volume, però si deve fare anche intensità nel periodo che precede le gare. Un’altra cosa che cambia è la palestra. 

De Cassan, qui in azione, disse che la maggior difficoltà nel passaggio tra under e pro’ sta nel ritmo in pianura
De Cassan, qui in azione, disse che la maggior difficoltà nel passaggio tra under e pro’ sta nel ritmo in pianura
Ovvero?

Se un corridore è fisicamente maturo, e un professionista ci si aspetti che lo sia, fa sempre un lavoro in palestra ma in maniera differente. Un under 23 deve formarsi e costruire il fisico, quindi magari in preparazione va tre volte a settimana in palestra con sessioni da oltre un’ora. Se guardiamo a un professionista allora le sessioni possono essere due a settimana con lavori di forza mirati.

Come si gestiscono i periodi della preparazione?

Partiamo da metà novembre al primo ritiro di dicembre, noi in Polti VisitMalta facciamo fare a tutti un periodo con una ventina di ore a settimana e tutte legate al volume. Poi quando si arriva al ritiro di dicembre facciamo una distinzione. 

Dario Igor Belletta, Solme Olmo (Photors.it)
La differenza tra devo team e formazioni continental o di club risiede principalmente nel metodo di lavoro (Photors.it)
Dario Igor Belletta, Solme Olmo (Photors.it)
La differenza tra devo team e formazioni continental o di club risiede principalmente nel metodo di lavoro (Photors.it)
Quale?

Chi è già professionista si allena una trentina di ore a settimana, mentre per i neo pro’ facciamo un adattamento graduale con un totale di ventisei ore più o meno. Il metodo di adattamento non cambia anche nel ritiro di gennaio. Con le prime corse a tappe con i professionisti, più lunghe e impegnative c’è un altro scalino. In questo modo si arriva al ritiro di luglio in cui non si ha più paura a fargli fare trenta ore. Ma sono i piccoli dettagli che costruiscono le cose fatte bene. 

Torniamo sull’esempio di Belletta, si vede che ha lavorato in un devo team?

Tra i devo team e le formazioni continental c’è un abisso, non è che nelle squadre development si lavora come i professionisti. Semplicemente sono più avanti, si lavora a periodi. Blocco di allenamento, corse e periodo di riposo. Così facendo ogni volta che l’atleta riprende ad allenarsi potrà aggiungere un mattoncino e piano piano costruire. Al contrario se un ragazzo corre tutte le domeniche come fa a migliorare?

Nei vari colloqui De Maria ha notato in Belletta una conoscenza approfondita dei concetti alla base dell’allenamento, frutto degli anni al devo team Visma
Nei vari colloqui De Maria ha notato in Belletta una conoscenza approfondita dei concetti alla base dell’allenamento, frutto degli anni al devo team Visma
Il cammino è più lento.

Chiaro che quando a noi team professionistici ci arrivano due ragazzi da contesti diversi ci troviamo in difficoltà. Con Belletta abbiamo parlato di allenamento e si vede che ha un’impostazione tecnica importante. Ad altri ragazzi, invece, dobbiamo insegnare tutto e il progresso è decisamente più lento e la maturazione arriva dopo. A volte troppo tardi.

Rulli Elite 2025

Quali rulli per l’autunno-inverno 2025? Ne parliamo con Elite

25.10.2025
5 min
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Con l’autunno è iniziata la stagione più complicata per chi va in bicicletta. I capi d’abbigliamento moderni permettono di pedalare in relativa tranquillità anche con le basse temperature, è vero. Ma quando il meteo è davvero avverso, e le giornate sono davvero corte, per molti praticanti è il momento di tirare fuori (o comprare) i rulli.

Come va il mercato di questo strumento, croce e delizia dei ciclisti? Come è cambiato da prima a dopo il boom del periodo del Covid? Quali sono i modelli più richiesti? Per parlarne abbiamo contattato Marta Segato, dell’ufficio marketing di Elite, una delle aziende leader al mondo nel settore.

L’inverno è per definizione la stagione dei rulli, anche gli agonisti li utilizzano anche durante l’anno
L’inverno è per definizione la stagione dei rulli, anche gli agonisti li utilizzano anche durante l’anno
Marta, la stagione dei rulli è già iniziata?

Diciamo che è ancora agli inizi, anche se il rullo ormai non è più solo uno strumento da usare in inverno. Però il clima comunque influisce molto, perché finché è bel tempo la gente preferisce uscire. Anche col freddo ormai molti pedalano all’aperto, cambia tutto invece con la pioggia. Oppure per chi abita in città, in zone dove è difficile trovare in pochi chilometri dei percorsi su cui allenarsi. Comunque diciamo che tra novembre e inizio dicembre abbiamo il picco di vendite, perché per Natale tutti gli interessati li vogliono avere. E solitamente poi li usano fino a febbraio-marzo, a seconda della zona ovviamente.

Quali sono i rulli più richiesti?

Sicuramente quelli smart e a trasmissione diretta, cioè quelli che si usano senza la ruota posteriore. Sono più pratici, più stabili, più precisi, non c’è il problema dell’usura dello pneumatico. Da quando lavoro in Elite, cioè da 25 anni, il mondo dei rulli è cambiato moltissimo, e questa della trasmissione diretta è stata la prima pietra miliare. La seconda è stata l’interattività, che rende l’esperienza molto più godibile.

Rulli Elite 2025
Il nuovo modello Rivo è venduto anche con il “Cog”, una particolare cassetta da 8 a 12 velocità pensata per essere utilizzata con Zwift
Rulli Elite 2025
Il nuovo modello Rivo è venduto anche con il “Cog”, una particolare cassetta da 8 a 12 velocità pensata per essere utilizzata con Zwift
Quindi i rulli non smart sono in via di estinzione?

Quel mercato è praticamente sparito. Noi in gamma abbiamo ancora qualcosa, ma molto poco. Tutto quello che non è smart non si vende più. Il modello roller, quello aperto su cui stare in equilibrio, resiste ancora ma è appannaggio degli agonisti che lo usano per riscaldarsi prima delle gare.  

Andiamo più nello specifico. Avete nuovi modelli per questa stagione?

Abbiamo presentato un nuovo rullo alla fiera di Eurobike a giugno, il modello Rivo. Quindi inizieremo a vendere in questo periodo. E’ un rullo smart, naturalmente, che si aggiunge ai nostri modelli Justo 2 e Avanti, ma più semplice. Lo vendiamo in due possibilità. La versione base oppure con un setup “Zwift ready”, cioè con l’allestimento chiamato “Cog and Clic”. Si tratta di una cassetta universale da 8-12 a velocità che sostituisce quella tradizionale e rende tutto più semplice, soprattutto nel caso si usi il rullo con diverse bici

Elite è al fianco di diverse squadre WorldTour, tra cui la UAE e la Groupama-FDJ
Elite è al fianco di diverse squadre WorldTour, tra cui la UAE e la Groupama-FDJ
Possiamo dire che Rivo è quello che con il miglior rapporto qualità-prezzo?

Rivo ha certamente un prezzo interessante, vorremmo che diventasse una porta d’accesso, più snella nel prezzo e nelle caratteristiche rispetto a Justo 2 e Avanti. E’ comunque un prodotto di qualità, con un simulatore di pendenza che arriva al 18% e molto preciso, ma meno estremo dei modelli top di gamma.

Per top di gamma intendi Justo 2, corretto? Cosa cambia rispetto a Rivo?

Sì Justo 2 è il nostro prodotto di punta. Viene usato dai professionisti, come per esempio dalla UAE di Pogacar, una collaborazione che per noi è molto importante. Ed è anche il rullo scelto per i campionati mondiali UCI di esport che si terranno il 15 novembre ad Abu Dhabi. In quell’occasione tutti i finalisti pedaleranno su quel modello. Il prezzo è sui 1000 euro, cioè circa il doppio di Rivo, arriva a simulare una pendenza del 24% e ha il misuratore di potenza integrato, con un grado di errore di meno del 1%. 

Il modello Justo 2 è il top di gamma dell’azienda veneta
Il modello Justo 2 è il top di gamma dell’azienda veneta
Facciamo qualche passo indietro. Come è andato il mercato dopo il grande picco del periodo del Covid? 

Quel periodo era una bolla, e sapevamo che non potesse durare. Le persone erano disposte a pagare qualsiasi cifra per un rullo. Siamo stati lungimiranti e siamo riusciti a gestire bene il contraccolpo, inevitabile, che c’è stato nel 2022, riuscendo a sostenere comunque il marketing. Diciamo che quei due anni “magici” per noi hanno compensato quelli più difficili venuti dopo. I segni di un miglioramento si sono visti l’anno scorso e quest’anno

Rispetto al pre-Covid ora le vendite sono comunque aumentate? 

Sì, c’è stato un incremento, perché quel periodo ha avvicinato molte persone che poi ne hanno fatto uno strumento di allenamento. Anche persone che magari prima non ci avevano mai pensato. Il Covid ha spinto molto in questo senso.

Rulli Elite 2025
Il mercato dei rulli si sta aprendo anche alle donne, grazie al ciclismo femminile sempre più in crescita
Rulli Elite 2025
Il mercato dei rulli si sta aprendo anche alle donne, grazie al ciclismo femminile sempre più in crescita
Ad usare i rulli sono solo gli agonisti o c’è un mercato anche tra altri tipi di persone?

Sicuramente lo zoccolo duro rimane quello degli stradisti classici, che usano i rulli per allenarsi d’inverno ma non solo. Per il mondo della mtb invece è ancora difficile, loro escono sempre e comunque, mentre col gravel già qualcosa in più. Ma la forbice si sta accorciando. Adesso ci sono anche molte più donne e utenti un po’ più giovani. Una volta il target era sui 35-40 anni, ora si sta abbassando perché è diventato sempre più divertente. E la comunicazione delle piattaforme come Zwift, che per esempio è sponsor del Tour femminile, in questo ha certamente aiutato

Tadej Pogacar e Remco Evenepoel, Europeo 2025

Come deve lavorare Remco per chiudere il gap su Pogacar?

14.10.2025
6 min
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«Non sono mai riuscito a tenere così a lungo un attacco di Pogacar». Così Remco Evenepoel dopo il Campionato Europeo. Quel giorno, sulla salita più lunga, il belga si era messo a ruota dello sloveno e poi, dopo un minuto o poco più, si è letteralmente spostato. L’altro giorno, al Giro di Lombardia, non ha neanche provato a rispondere all’affondo di Tadej Pogacar: «Il ritmo era già alto da troppo tempo», ha detto ancora Remco.

Allora viene da chiedersi come potrà fare Evenepoel a contrastare Pogacar. E su quali percorsi? Su che tipo di salite? Perché, se le cose stanno così, anche una Liegi-Bastogne-Liegi con côte lunghe come Rosier o Redoute, o al limite anche Roche-aux-Faucons, diventa un terreno proibitivo. Va bene una Sanremo? Una Freccia del Brabante? Ne abbiamo parlato con il preparatore Pino Toni.

Toni 2022
Il coach toscano, Pino Toni oggi lavora sia con i giovani che con i professionisti
Toni 2022
Il coach toscano, Pino Toni oggi lavora sia con i giovani che con i professionisti
Pino, partendo dalla frase tra il soddisfatto e il rassegnato di Remco sull’essere riuscito a tenere Pogacar tanto a lungo, dove lo può sfidare?

Remco è un “animale da gara” particolare, non è il solito campione. In quell’intervista, fatta a un giornale belga, ha detto anche di sentirsi vincente e lo è, anche di testa. Corre sempre per vincere, ma secondo me soffre un po’ Pogacar e soprattutto soffre molto di più la sconfitta rispetto a lui.

Chiaro…

Io sono convinto che Pogacar sia anche un pochino più forte di lui mentalmente. Tadej sa trasformare i momenti di difficoltà in stimolo, per lavorare ancora meglio.

Ma in cosa consiste lavorare meglio? Questo dovrebbe valere anche per Remco…

Lavorare meglio significa continuare a fare quello che fai se sei Pogacar, perché gli altri sono ancora un po’ lontani da lui. E lo sono a ogni livello. Riguardo a Remco, mi stupisce che cambiando squadra non abbia voluto cambiare anche lo staff.

Perché ti stupisce?

Perché un atleta non deve restare nella comfort zone. Deve sempre trovare nuovi stimoli. Se sei un vincente e sei intelligente, capisci che in questo momento, per vincere ancora, devi fare qualcosa di diverso. Per carità, ha fatto delle cronometro superbe, ma il suo lavoro non è solo quello. Dove, tra l’altro, è avvantaggiato da numeri aerodinamici molto migliori di Pogacar. Insomma, cambiando team avrei cambiato qualcosa di più. Mi sarei messo più in gioco.

Giro di Lombardia 2025, Remco Evenepoel, Ganda
Sul Ganda ritmo altissimo da oltre 5′, Remco sa già che non ne avrà per rispondere all’imminente attacco di Tadej
Giro di Lombardia 2025, Remco Evenepoel, Ganda
Sul Ganda ritmo altissimo da oltre 5′, Remco sa già che non ne avrà per rispondere all’imminente attacco di Tadej
Però attenzione: lo stesso Remco ha dichiarato che il fatto di staccarsi di fronte agli attacchi violenti di Pogacar è un problema del suo nuovo allenatore…

Okay, il coach è nuovo, ma tutto il resto no. Bici, materiali, meccanico, il direttore sportivo che lo conosce… Si è portato dietro “la corte”.

Ma Pino, è davvero un problema del suo nuovo allenatore o anche di limiti fisiologici? Pogacar parte da una soglia aerobica pazzesca: si dice che la sua Z2 sia la Z3 alta di molti altri…

Questo è vero e va preso in considerazione. Se fa la Z2 a 320-350 watt e quindi va a 40 all’ora in condizioni di totale normalità, diventa un problema per gli altri. Anche per questo dico che Evenepoel si è portato dietro troppe persone per poter cambiare davvero. Sapendo che è in rincorsa, cioè che deve chiudere un gap, avrebbe dovuto osare di più.

Anche a costo di andare più piano?

Sì, anche a costo di andare più piano. Se poi quella strada fosse stata sbagliata, almeno ci aveva provato. Lui, come ha detto, è un vincente. Ma una cosa è certa: se continua così, con Pogacar non vince. E se parliamo di Grandi Giri, ne ha almeno un altro davanti: Jonas Vingegaard.

Remco Evenepoel, Paul Seixas, Europei 2025
Europei 2025: dopo aver tentato di resistere all’attacco di Pogacar, Remco recupera e aspetta il gruppetto di Seixas
Remco Evenepoel, Paul Seixas, Europei 2025
Europei 2025: dopo aver tentato di resistere all’attacco di Pogacar, Remco recupera e aspetta il gruppetto di Seixas
Almeno?

Almeno, perché ci sono ragazzini che stanno crescendo forte. Il francesino Paul Seixas è ancora un po’ immaturo, ma è un fenomeno. Più fenomeno di tutti questi, a livello di precocità. E poi, uno come Joao Almeida, anche se ha valori inferiori, ha mostrato più solidità, mentre Remco ha ancora un modo di gestire la corsa un po’ particolare nei Grandi Giri: ha ancora dei vuoti di una giornata.

Pino, quale può essere attualmente un terreno di sfida, un punto di incontro tra i due? Quale tipologia di corsa?

Nelle gare di un giorno li vedo abbastanza alla pari un po’ in tutti i tipi di percorso. Consideriamo che non sono macchine, ci sono i giorni migliori e quelli peggiori. Poi certo, se ci sono salite lunghe…

Al Lombardia neanche ha risposto, all’Europeo invece si è proprio spostato, come se fosse scattato l’allarme rosso. Perché?

Perché aveva capito che poco dopo sarebbe saltato. Il problema di questi sforzi è che se eccedi di pochi secondi, recuperi in un determinato tempo. Se invece eccedi troppo, ti serve molto di più per recuperare. E alla fine, pur spostandosi, Remco e gli altri inseguitori dopo la salita non erano lontanissimi. Il fatto è che poi Pogacar si è regolato sul loro passo. Non era mica a tutta. Uno così, ragazzi, non si è mai visto.

Da preparatore, se tu fossi il coach di Evenepoel, lo faresti lavorare di più sul fuorigiri o prima alzeresti il VO2 Max?

Per dire come lavorare con una persona, la devi conoscere davvero bene. Devi avere i dati per capire quali sono i suoi limiti. Da quello che posso dire da fuori, lavorerei sull’intensità, sulla capacità massima di prestazione.

Potendo ingerire grandi quantità di carbo, in parte “viene meno” il concetto di endurance
Potendo ingerire grandi quantità di carbo, in parte “viene meno” il concetto di endurance
Perché?

Alla fine ciò che conta è la resistenza. Con i nuovi tipi di alimentazione puoi integrare fino a 120 grammi l’ora di carboidrati, qualcuno è arrivato anche a 140, e in questo modo il concetto di endurance cambia. Chiaramente stiamo parlando di atleti dotati, con valori fuori dal comune e molto economici nella loro azione. Proprio per questo motivo, se fossi il suo coach, lavorerei sulla capacità di massima prestazione, cercando di migliorare quegli sforzi intensi che lo mettono in difficoltà.

Chiaro…

Noi prendiamo come riferimento una particolarità: Pogacar stesso. Se andiamo a vedere bene, a Remco non manca nulla. E’ l’altro che ne ha di più. Però, per avvicinarsi, andrei proprio a migliorare i valori sui 5 minuti in particolare. Ma anche sul minuto e sui 20′. Insomma, come dicevo, sulla massima prestazione. Lì Pogacar è micidiale: esprime 7 watt per chilo… dopo 5 ore di corsa!

Ma anche di più. All’Europeo l’attacco in salita è durato oltre 16 minuti, nei quali ha espresso quasi 7,3 watt/chilo…

E ci sta tutto. Vi dico, fatte le debite proporzioni, che qualche giorno fa ero a una gara di juniores e hanno fatto 14 minuti a 6,3 watt/chilo… E sono arrivati in 20 allo sprint. Questo rafforza il discorso che ormai lavorare sulle ore serve fino a un certo punto: bisogna lavorare sulla qualità. E anche i giovani che lo fanno raggiungono presto queste prestazioni. Oltretutto, se li alimenti bene, mettono sempre “benzina” nei muscoli, non vanno in crisi di fame, non entrano in catabolismo. Uno come Seixas va già così forte perché oggi non deve prima diventare economico in bici, non deve abituare il corpo a certe distanze o stress. Non ne ha bisogno. Oggi non deve essere economico.