Cornegliani sale in cattedra. Un giorno da prof universitario

18.12.2024
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Metti un giorno che una medaglia d’oro olimpica salga in cattedra a fare lezione e rispondere alle domande di una classe di studenti. E metti che parola dopo parola escano spunti inediti da approfondire con calma. Per una mattina Fabrizio Cornegliani, oro a crono alle Paralimpiadi di Parigi e ai mondiali di Zurigo nell’handbike, si è calato nella parte di professore al Corso Magistrale di “Scienze e Tecniche delle Attività Motorie Preventive e Adattate” dell’Università di Pavia (in apertura foto Team Equa).

Un ruolo insolito per lui e invece molto stimolante per la classe che ha potuto conoscere meglio una persona che ha dovuto iniziare letteralmente una seconda vita, diventando uno dei più forti atleti della sua disciplina. Una lezione umana e universitaria che servirebbe sempre per aprire la mente di tutti, sportivi e non, su come si possa vincere o arrivare in alto in qualunque condizione. E così abbiamo chiesto a Cornegliani di raccontarcela.

Cornegliani ha ricevuto il Collare d’Oro, la massima onorificenza del CONI e del CIP, per l’impresa alla Paralimpiadi di Parigi
Cornegliani ha ricevuto il Collare d’Oro, la massima onorificenza del CONI e del CIP, per l’impresa alla Paralimpiadi di Parigi

Collare d’Oro

Gli appuntamenti istituzionali di Cornegliani sono fitti. L’ultimo in ordine cronologico è il Collare d’Oro, la massima onorificenza del CONI e del CIP (Comitato Italiano Paralimpico).

«Lunedì ero a Roma all’Auditorium Parco della Musica – inizia Fabrizio – per ricevere questo graditissimo riconoscimento. Ne avevo già ritirati tre in passato, ma questo ha avuto un sapore particolare. Rispetto agli altri anni c’erano meno atleti, tra un impegno e l’altro, e quindi abbiamo avuto più attenzione. L’altra premiata del ciclismo assieme a me era Chiara Consonni (oro in pista nella madison con Guazzini, che è in ritiro in Spagna con la Fdj-Suez, ndr). Per me è stato un grande onore essere uno dei due rappresentanti del nostro sport».

Fabrizio con moglie e figlio alla fine della premiazione. Quello di quest’anno è stato il suo quarto Collare d’Oro
Fabrizio con moglie e figlio alla fine della premiazione. Quello di quest’anno è stato il suo quarto Collare d’Oro

In aula

Quasi due settimane fa Cornegliani ha vissuto un’emozione diversa da quella che solitamente prova quando gareggia. Parlare davanti a degli studenti non è così scontato come si potrebbe pensare. Bisogna essere pronti ad avere la risposta giusta o comprensibile, ma lui non si scompone e non va in affanno.

«L’occasione è nata – spiega – attraverso Agnese Romelli, una mia compagna di squadra nel Team Equa. Lei è l’allieva di un professore dell’Università di Pavia che ci teneva a fare una lezione diversa dal solito. Ho accettato subito con entusiasmo e mi sono messo a loro disposizione. Ognuno poteva chiedermi ciò che voleva. L’intento della lezione era smuovere l’interesse dei ragazzi e capire quali argomenti toccare. Onestamente sono stato molto sorpreso perché non mi aspettavo considerazioni e domande da lasciarti a bocca aperta. Ovvio quindi che diventi molto bello poter rispondere alle loro curiosità».

Il video dell’impresa a cinque cerchi di Parigi rompe il ghiaccio e pone subito l’accento sul mezzo utilizzato da Fabrizio. La bici è un concentrato di ingegneria e tecnica e i ragazzi si fanno sotto con le domande.

«Rispetto alla pedalata alternata della bici tradizionale – prosegue Cornegliani – dove si fa forza spingendo, nella mia specialità, la H1, il movimento centrale gira in sincrono e la potenza si fa tirando. Quindi mentre stavo continuando a spiegare, un ragazzo mi interrompe e mi chiede se può nel frattempo disegnare come si immagina il sistema tecnico delle corone. Io divertito e piacevolmente stupito, gli rispondo che stavolta è lui ad aver attirato la mia curiosità. Alla fine del mio discorso, il ragazzo mostra il suo disegno ed era riuscito a riprodurre la corona ellittica che usiamo per non avere punti morti, assieme a tutto il resto della trasmissione».

Il video dell’oro olimpico di Cornegliani ha stimolato gli studenti a domande, considerazioni e disegni (foto Team Equa)
Il video dell’oro olimpico di Cornegliani ha stimolato gli studenti a domande, considerazioni e disegni (foto Team Equa)

Occhio sui dettagli

Guardando le immagini del video di Parigi, la classe nota tanti altri temi tecnici e morali.

«Ad esempio la seduta della handbike – ci dice Cornegliani – non resta la stessa per la salita e per la discesa. Infatti un ragazzo, continuando il contest del suo compagno, ha ipotizzato se esiste un modo per trovare una posizione della seduta più redditizia. Così come mi hanno chiesto informazioni sui tutori che uso per tenere le manovelle, visto che le mie mani non possono chiudersi fino in fondo e stringere bene. Ho spiegato a loro che vent’anni fa si usava un tape per tenere le mani attaccate alle manovelle. Qualcuno lo fa ancora adesso, perché nel frattempo, da un’idea nata in Italia, gli ausili che usiamo ora sono diventati costosi. Vanno dai 500 ai 4.000 euro a seconda delle necessità personali. Senza questi non possiamo praticare il nostro sport».

L’aspetto psicologico è stato invece l’argomento richiesto dalle ragazze. «Loro si sono domandate – va avanti – come funzioni la capacità del sistema italiano per aiutare una persona a ripartire dopo un incidente come il mio. In Italia non siamo avanti come in Inghilterra. Da loro chi ti assiste si immedesima nell’avere il tuo stesso problema. C’è stato uno studio che ha dimostrato come cambi il punto di vista da un medico normodotato che si mette in carrozzina per aiutarti nel recupero rispetto ad un medico normodotato ti segue in piedi. Anche questo è un aspetto importante che non si può sottovalutare».

Durante la lezioni in aula, Cornegliani ha spiegato l’importanza del tutore alle mani e come funziona la trasmissione del movimento centrale
Durante la lezioni in aula, Cornegliani ha spiegato l’importanza del tutore alle mani e come funziona la trasmissione del movimento centrale

Specializzazioni per paralimpici

Il tempo scorre veloce, però per Cornegliani e i suoi ragazzi c’è spazio per un ulteriore spunto, prima magari di ritrovarsi ancora.

«Abbiamo fatto riferimento alla bici e ai tutori – conclude Fabrizio, felice di averci potuto descrivere la sua esperienza in facoltà – ed è emerso parlando che la figura del laureato per queste situazioni particolari è e sarebbe fondamentale. Stiamo vedendo che ci sono sempre più studenti che scelgono queste specializzazioni e varrebbe la pena che gli facessero fare un monte ore di tirocinio in ambito sportivo. Magari studiando l’aspetto agonistico e prestazionale oppure su materiali leggeri, sicuri e performanti».

Gli studenti universitari hanno ragionato su come rendere più redditizia la seduta della handbike sia in discesa che in salita
Gli studenti universitari hanno ragionato su come rendere più redditizia la seduta della handbike sia in discesa che in salita

Cornegliani guarda poi al suo mondo, dove gli piacerebbe vedere in nazionale e nei club meccanici specializzati solo per handbike.

«E’ stata una chiacchierata di due ore con cervelli freschi, attivi, che possono costruire tesi o fare studi sulla nostra disciplina. Sono usciti molti temi, ma non tutti. Non abbiamo parlato di alimentazione, di peso, di vestiario e aerodinamica. Ma è stato meglio così, perché ci siamo già ripromessi che ci sarà un seguito».

Le handbike, come delle auto di Formula 1

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Abbiamo approfittato dell’incontro con Vittorio Podestà per approfondire alcune tematiche tecniche legate alla handbike e alle categorie paralimpiche.

Ci spieghi come sono divise le categorie?

Inizialmente erano tre: A, B e C. Poi, aumentando il numero dei praticanti, sono diventate cinque, dall’H1 all’H5. Gli atleti sono divisi in base alle capacità residue, dopo essere stati classificati da una commissione medica. Quattro categorie gareggiano da sdraiate, mentre nella quinta, che è quella di Zanardi, gli atleti pedalano su un mezzo definito “inginocchiato”, ovvero con il tronco in avanti.

A Rio, i tre azzurri d’oro nella staffetta: Podestà, Zanardi e Mazzoni (foto Mauro Ujetto)
A Rio, i tre azzurri d’oro nella staffetta (foto Mauro Ujetto)
E’ vero che l’handbike ha avuto così tanto successo da attrarre anche i normodotati?

Sì, è stata creata la categoria H0: la Federciclismo italiana ha avuto un’ottima intuizione. D’altronde, pedalare con le mani non è una scelta obbligata, ma può essere un’opportunità. Così è stata creata questa categoria sperimentale, che ovviamente è promozionale e non influenza le gare paralimpiche.

Quanto lavoro d’officina c’è dietro le vostre prestazioni?

Io sono ingegnere e ho capito da subito che c’era tanto da fare perché il nostro è uno sport molto tecnico, in cui molti componenti sono mutuati dal ciclismo, mentre i telai sono più simili a quelli dei kart. Ricordo che la mia prima handbike somigliava a una carrozzina con una ruota in più davanti alla quale era attaccata una catena coi pedali. 

E ora?

Negli anni, è diventata una Formula 1 a pedali, nel vero senso della parola. Sia la mia handbike sia quella di Alex sono state costruite dalla Dallara, con la stessa tecnologia e stessi materiali delle monoposto più famose. Anzi, vista l’esigenza di quantità inferiori, a volte utilizziamo materiali più costosi. Ad esempio, usiamo lo stesso carbonio, con lo stesso tipo di fibre, che viene utilizzato sulla Bugatti. Come le biciclette di altissimo livello, anche le migliori handbike sono disponibili sul mercato, col difetto però che i costi sono maggiori. Sono considerate mezzi ortopedici e non vengono vendute nei negozi tradizionali.

La hand bike è un concentrato di tecnologia di derivazione automobilistica (foto Mauro Ujetto)
La hand bike è un concentrato di tecnologia (foto Mauro Ujetto)
A questo proposito, a chi vuole cominciare, cosa consigli?

Su internet ci sono tanti mezzi usati disponibili. I prezzi sono in proporzione minori, però ci vuole qualcosa di più rispetto ai 400-500 euro che si spenderebbero per una bici usata. Prima di investire sul mezzo, bisogna concentrarsi sull’allenamento perché è l’atleta che fa la differenza.

E come approccio fisico?

Rispetto al ciclismo, in corsa non si fanno salite esagerate, ma percorsi perlopiù pianeggianti. Il chilometraggio poi, è ridotto, e le gare durano al massimo due ore per la prova in linea e mezz’ora per la crono. Come esplosività dello sforzo prestativo e percorsi è simile, con le debite proporzioni, al ciclocross o alla mountain bike Xc.

Per quanto riguarda gli allenamenti su strada, sicuramente c’è ancora molto da fare in tema di sicurezza…

Ci sono gli stessi problemi della bicicletta, con in più il fatto che noi siamo un po’ più bassi, che si può ovviare con luci lampeggianti o bandierine. Più che la visibilità, il problema è che in macchina ormai si fa tutto tranne che essere attenti alla guida. Un conto è non vedere, un altro non guardare. Stanno aumentando le ciclabili ma, come per i ciclisti normali, le velocità da mantenere in allenamento non sono compatibili con il traffico promiscuo che si incontra. Così si rischierebbe soltanto di trasferire il problema e i rischi d’incidente: le ciclabili non sono fatte per l’allenamento degli atleti.