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Savoldelli e la scelta degli uomini per un grande Giro

11.01.2023
6 min
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Remco Evenepoel ha detto che avrebbe già in mente i compagni da portare con sé al Giro d’Italia. E infatti quattro, forse cinque, uomini sono già stati scelti. Nibali, invece in passato ci aveva detto che oggi il ciclismo è cambiato e che neanche un capitano come lui poteva pretendere tutti gli uomini a suo piacimento.

Fare una formazione non è facile. Ci sono molti equilibri in ballo. Spesso anche poco visibili ai più, tra cui quelli relativi agli sponsor. Ma restando più su un discorso tecnico, Paolo Savoldelli ci ha detto come funzionava ai suoi tempi. Paolo è stato un leader per le corse a tappe e anche un gregario di extra lusso. Ha vinto “da solo” e ha vinto con i compagni.

Paolo Savoldelli (classe 1973) è stato professionista per 13 stagioni
Paolo Savoldelli (classe 1973) è stato professionista per 13 stagioni

Fiducia nelle scelte

Ai tempi del Falco Bergamasco dunque come funzionavano le cose? Salvoldelli avrebbe potuto scegliere i suoi compagni?

«Di solito – spiega Savoldelli – gli uomini che formavano la squadra di un grande Giro li sceglieva il manager o il direttore sportivo. Erano loro che creavano la formazione. Ma in questa scelta aveva ovviamente un certo peso il campione, uno di quelli con la “C” maiuscola. In questo caso il suo parere contava molto.

«Poi c’era anche il corridore che poteva permettersi di fare la squadra. Per dire, quando ho corso per Armstrong già nel ritiro in California ad inizio anno si sapevano quali erano gli otto uomini che avrebbero fatto il Tour de France con lui. Nel corso dell’anno potevano sempre accadere degli imprevisti e qualcosa sarebbe cambiato. Ad esempio, un anno Ekimov ebbe un problema e non venne in Francia. E lo stesso un altro ragazzo. Furono sostituiti, ma di base la squadra era fatta a monte.

«Alla T-Mobile di Ullrich invece mettevano qualcuno vicino a lui sin da subito, in inverno. Quei 3-4 corridori sapevano che lo avrebbero seguito in Francia, ma gli altri no. Li facevano correre, vedevano chi andava bene, chi andava forte e poi sceglievano.

«Ma così è sbagliato perché alla fine quel corridore va a tutta per farsi vedere. Fa più di quel che deve per guadagnarsi il posto e nel momento clou magari non rende come dovrebbe. Se uno ha fiducia in una persona deve fare a priori la scelta e appunto avere fiducia in lui».

Agnoli, per anni, è stato il fedelissimo di Nibali. Il laziale, al Giro 2016 ritiratosi per caduta, raggiunse Vincenzo a Torino per festeggiarlo
Agnoli, per anni, è stato il fedelissimo di Nibali. Il laziale, al Giro 2016 ritiratosi per caduta, raggiunse Vincenzo a Torino per festeggiarlo

I fedelissimi

Quello che dice Salvoldelli è giusto. E di fatto è un po’ quel che oggi fa in modo accuratissimo la Jumbo-Visma (e non solo). Però è anche vero, e lo si vede quando ci sono dei trasferimenti importanti, che un capitano ha i suoi compagni super fidati… che si porta dietro al cambio di casacca. Non ultimo Carapaz alla EF Education con Amador. La fiducia dunque è importante, ma non solo quella della dirigenza. E’ importante anche quella da parte dei compagni…

E allora forse avere almeno i 3-4 fedelissimi può servire al leader.

«Averli non dispiace, è chiaro – prosegue Savoldelli – ma io per esempio quando facevo i Giri con Saeco la squadra veniva fatta più per Cipollini che per me. Lui era il più forte velocista in circolazione e  aveva bisogno degli uomini, anche perché poi con lui in gara tutto il lavoro della corsa finiva sulle sue spalle e quindi sulla sua squadra. E più o meno è stato così quando ho vinto il mio primo Giro con la Alexia. C’era Ivan Quaranta in squadra».

«Quando invece ho fatto le corse a tappe per la Discovery Channel le cose erano un po’ diverse. Avevano preso un paio di uomini appositamente per me. Due scalatori, uno però poi ha avuto dei problemi e si è ritirato e quindi ancora una volta mi sono ritrovato un po’ da solo. Ma in parte lo sapevo. Ero in squadra con Armstrong, l’obiettivo principale era il Tour e i corridori più forti andavano lì. Quindi io non ho mai avuto la possibilità di creare una grossa squadra intorno a me… Anche se mi sarebbe piaciuto!».

«E il fedelissimo che fa ridere il leader la sera in stanza quando le cose non sono andate bene?», chiediamo al bergamasco. «Non ho mai creduto molto nel confidente – replica Paolo – Ho sempre preferito uomini di sostanza più che di parole».

Forza dell’atleta e programmazione sono basilari nelle scelte degli uomini. Ma in alcuni casi al netto del leader (in questo caso Roglic o Vingegaard) si sa già che un corridore come Van Aert ci sarà
Ci sono casi particolari in cui al netto del leader (in questo caso Roglic o Vingegaard) si sa già che un corridore come Van Aert ci sarà

Responsabilità o stimolo?

«Ma una grossa squadra – prosegue Savoldelli – viene creata per un campione che ha dimostrato più volte di essere veramente forte. Nel caso di Remco lui è l’astro nascente. Ha poco più di vent’anni, ma ha già vinto un mondiale, la Vuelta, un sacco di corse di un giorno… e può permettersi di costruire una squadra».

Conta il campione dunque per Savoldelli. Noi crediamo che conti anche il contesto in cui opera quel  campione. Remco Evenepoel ha determinati margini di manovra perché, oltre ad essere fortissimo, è belga in una squadra belga, con sponsor belgi e un team manager belga. Di certo tutto ciò gli dà forza. Le due cose perciò vanno a braccetto.

Questo però non sempre è solo un vantaggio. Subentra anche un discorso di pressione, specie se anche gli uomini li sceglie il leader. E’ come se si caricasse di ulteriori responsabilità. E deve dimostrare che le scelte fatte siano giuste anche nei confronti di chi è rimasto a casa. 

«Io – riprende Savoldelli – credo che tutto questo sia più uno stimolo. La pressione il capitano ce l’ha a prescindere. Poi uno che si costruisce la squadra, ovviamente ha tutta la responsabilità, ma è normale. E, ripeto, ce l’avrebbe lo stesso».

Il peso del super campione

Marco Pantani è stato un apripista, nel ciclismo moderno, della squadra tutta per un capitano. Poi la stessa cosa c’è stata con Armstrong: si correva per un solo obiettivo. 

Loro hanno inciso anche sul modo di correre del team. Nessuno si muoveva o andava in fuga. Paolo stesso, quando vinse la tappa al Tour, ci raccontò di essersi ritrovato nella fuga quasi per caso. E una volta dentro la fuga, appunto, avesse chiesto all’ammiraglia se doveva fermarsi o continuare. La situazione per il leader texano era tranquilla e Salvoldelli ottenne il via libera. Ma fu un caso. E forse anche perché il “gregario” in questione aveva appena vinto il suo secondo Giro d’Italia…

Mario Traversoni, velocista e compagno di Pantani, veniva portato al Tour perché ottenesse dei buoni piazzamenti nelle volate iniziali e guadagnare posti in classifica affinché l’ammiraglia della Mercatone Uno non fosse troppo indietro, visto che la colonna delle auto rispecchia la classifica generale. E in caso di necessità gli interventi sarebbero stati più rapidi.

«Vero – conclude Salvoldelli – ma che nomi abbiamo fatto? Qui stiamo parlando di due fuoriclasse che davano spettacolo e sicurezze di successo. Quando questi andavano forte non ce n’era per nessuno. E loro potevano scegliere anche gli uomini.

«Se oggi è fattibile che il corridore batta i pugni sul tavolo per avere i suoi uomini? Al netto dei super campioni, credo che molto dipenda anche dal carattere del leader». 

L’incredibile volo in rosa di Savoldelli e della piccola Index

11.04.2022
4 min
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C’è una storia che risale ai primi anni 2000, giusto vent’anni fa, che vista oggi fa quasi sorridere e pensare ad un ciclismo che non esiste più. E’ quella della Index-Alexia Alluminio, squadra bergamasca con cui Paolo Savoldelli, bergamasco doc, vinse il suo primo Giro d’Italia, nel 2002 (in apertura sul podio finale con Tyler Hamilton e Pietro Caucchioli). 

Le sue doti da discesista erano già ben note. Paolo era pro’ già dal 1996
Le sue doti da discesista erano già ben note. Paolo era pro’ già dal 1996

Arriva Pedruzzi

A far nascere questa realtà – costruita con un budget estremamente ridotto in un’epoca dove in Italia regnavano “dream team” come Mapei, Saeco, Fassa Bortolo e Lampre Daikin – fu Pier Carlo Pedruzzi, che dirigeva un’agenzia di comunicazione di Bergamo. Riuscì a convincere dopo un’estenuante trattativa due imprenditori a investire: Gabriele Caliandro con la Index (azienda che stava galoppando nel mondo dei servizi informatici) e la famiglia Agnelli impegnata nella produzione di metalli con il ramo d’azienda Alexia. Attorno, un gruppo di altri sponsor, quasi tutti bergamaschi.

Si chiamerà Index

Caliandro, pugliese d’origine ma bergamasco d’adozione, di investire non ne aveva nessuna voglia. Gli Agnelli di ciclismo erano appassionati e nel tessuto sociale ed economico bergamasco erano inseriti. Eppure, per uno strano gioco del destino, fu proprio Caliandro che riuscì a mettere il nome della sua Index come main sponsor.

«Si crearono situazioni favorevoli – racconta Caliandro – per le quali mi ritrovai in quella situazione. Non capivo niente di ciclismo e anche nei primi mesi di corse seguii la cosa con distacco».

Savoldelli prese la maglia rosa a Folgaria e la difese nella crono di Monticello Brianza
Savoldelli prese la maglia rosa a Folgaria e la difese nella crono di Monticello Brianza

Il primo tifoso

Poi, però, arrivò il Giro e le cose iniziarono a mettersi bene per l’uomo di punta, Paolo Savoldelli.

«Mi accorsi che questa sponsorizzazione poteva avere un ruolo centrale per l’azienda – spiega Caliandro – ma soprattutto mi accorsi che il ciclismo mi conquistava. Iniziai a seguirlo con maggiore interesse, feci di tutto per capirne di più e mi resi conto che avevo iniziato a fare il tifo. Incrementammo la pubblicità della squadra e coinvolgemmo emotivamente tutti i dipendenti».

Il ruolo di Fidanza

Fu un Giro ad eliminazione. I big come Gilberto Simoni, Stefano Garzelli, Francesco Casagrande vennero squalificati, chi per storie di doping e chi per motivi disciplinari. Paolo Savoldelli, già secondo al Giro ’99, fu bravo a restare nelle primissime posizioni.

«La squadra – racconta il Falco – era per il nostro velocista, Ivan Quaranta che in salita faceva fatica. Io ero solo, ma la mia forza fu quella di avere in Giovanni Fidanza (bergamasco, ndr) un direttore sportivo che mi ha sempre aiutato a preparare bene la corsa e a darmi fiducia».

Nella tappa finale di Milano, vinta da Cipollini, la sfilata in rosa integrale.
Nella tappa finale di Milano, vinta da Cipollini, la sfilata in rosa integrale.

La visita del patron

«Vedevo che scalavamo la classifica di giorno in giorno – incalza Caliandro – e ad un certo punto arrivammo al momento decisivo. Mancavano poche tappe e mi dissero che la squadra aveva bisogno di vedermi, che in quell’ambiente si faceva così, che se li avessi incontrati si sarebbero caricati».

Emerse tutta la sua capacità di imprenditore, visionario per i suoi tempi: «Mi dichiarai subito – spiega Caliandro – dicendo ai corridori che di ciclismo non ne capivo nulla. Così li stimolai a raccontarmi le loro imprese e a farmi spiegare il ciclismo. Mi comportai come con i miei clienti, riuscii ad empatizzare con loro e si creò un bel clima».

Impresa a Folgaria

Savoldelli prese la maglia sfruttando la cotta di Cadel Evans (in rosa) sul passo Coe nella tappa di Folgaria. Staccò l’altro diretto avversario, Tyler Hamilton, e così si affacciò a Milano con la vittoria in tasca.

«La mia fortuna – spiega Savoldelli – fu quella di prendere la maglia a poche tappe dal termine. Dopo la tappa di Folgaria c’era solo un trasferimento verso Brescia, la crono e la passerella di Milano. Dovevo solo guardarmi da Hamilton che nella prima crono mi aveva rifilato quasi due minuti, ma andò bene perché arrivai addirittura davanti. Se nel ciclismo di oggi potrebbe ricapitare? Se si verifica una condizione come la mia, ovvero di prendere la maglia a poche tappe dal termine, forse sì…».

Per Savoldelli, che correva nella piccola Index-Alexia, fu la prima vittoria al Giro. Il bis nel 2005
Per Savoldelli, che correva nella piccola Index-Alexia, fu la prima vittoria al Giro. Il bis nel 2005

Un anno e stop

Savoldelli arrivò a Milano in trionfo. «Capii solo quel giorno – ricorda Caliandro – che c’erano imprenditori che avevano speso una vita ad investire per vincere il Giro e non ci erano riusciti. Io al primo anno, senza nemmeno volerlo, ce la feci. Decisi però durante quel Giro che sarebbe stata la mia prima e unica esperienza. Vivere tutte quelle storie di doping fu angosciante, pensare che l’immagine della mia azienda era di fatto legata all’onestà dei corridori non mi faceva dormire la notte».

Savoldelli discesa

Savoldelli: «In discesa si può fare la differenza…»

29.05.2021
2 min
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Il Giro volge ormai al termine, oggi ultime montagne a disposizione per chi vuole ancora provare a cambiare la classifica. Certe volte però le montagne andrebbero lette in senso contrario, il che significa che non sempre sono le salite a fare la differenza, anche le discese possono rappresentare un fattore. Nessuno come Paolo Savoldelli può testimoniarlo, dall’alto delle due vittorie al Giro d’Italia nel 2002 e 2005. Il corridore bergamasco è sempre stato considerato uno dei migliori discesisti del panorama ciclistico e sa soprattutto quanto peso le picchiate possano avere nell’economia del Giro.

Guardando il profilo della tappa Savoldelli spiega che cosa conta di più nell’affrontare la discesa: «Intanto è importante com’è strutturata, che tipo di curve ci sono, poi dove la discesa è posizionata: se vicino all’arrivo si possono fare anche importanti differenze, lontano la situazione è diversa. Poi non bisogna dimenticare quanto possa influire il tempo: con la pioggia può cambiare tutto».

Quanto influisce la tattica nell’affrontare una picchiata?

Tantissimo, se sai che qualcuno è attaccabile e con la discesa non ha molta dimestichezza, allora sfrutti tutte le possibilità per metterlo in difficoltà sin dall’inizio. Oggi però è davvero difficile vedere qualcuno che fa la differenza.

Savoldelli Giro 2005
Due vittorie per Paolo Savoldelli, nel 2002 e 2005, grazie anche alle sue doti di discesista
Savo Giro 2005
Due vittorie per Paolo Savoldelli, nel 2002 e 2005, grazie anche alle sue doti di discesista
Come si affronta una discesa?

E’ fondamentale capire in anticipo come sarà la curva successiva e impostarla nella maniera giusta: spesso il percorso non si conosceva ai miei tempi, adesso magari con le app le cose possono essere cambiate. Si faceva qualche precedente escursione sul percorso per capirlo meglio. Il discesista deve capire dove va la curva e che cosa c’è dopo, dove rilanciare la bici.

Quali sono le discese dove si può guadagnare di più?

A differenza di quel che si può pensare, quelle con tornanti non consentono di fare la differenza perché sei sempre un riferimento per chi è dietro. Nelle discese con tante semicurve, se vai forte puoi invece guadagnare di più. Dipende molto dal “manico”: quella ideale secondo me è dal Fauniera con tante semicurve sin dalla cima, dove se mantieni alta la velocità puoi davvero staccare gli avversari.

Quanto influisce la pioggia?

Chiaramente tantissimo, devi in quel caso avere una guida pulita altrimenti i rischi sono molto alti perché non puoi correggere le traiettorie, le gomme possono non far presa sul terreno. Resto comunque dell’idea che sia sempre buona cosa andare in avanscoperta per capire com’è una discesa e come affrontarla, le sensazioni che hai sul posto nessuna app te le può dare…

L’inverno di Savoldelli? Scatto fisso e prime alture

12.01.2021
6 min
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Preparazione: capitolo immenso e in continua evoluzione. Oggi i professionisti (e non solo più loro)  hanno una “scaletta” ben definita: la parte con l’attività alternativa, i due ritiri, il blocco della forza, i lavori specifici, gli strumenti… Ogni cosa è ponderata al dettaglio. Eppure basta andare indietro di 20 anni che le differenze ci sono. E forse proprio in quel momento le cose stavano cambiando, come ci dice Paolo Savoldelli, il quale ci racconta la sua esperienza.

Il bergamasco sapeva graffiare e non solo per le sue due vittorie al Giro d’Italia, ma anche nelle singole tappe e nelle gare di un giorno. Lui stesso, come vedremo, è passato attraverso un cambiamento della sua preparazione.

Paolo Savoldelli in rosa sul Colle delle Finestre al Giro 2005
Paolo Savoldelli in rosa sul Colle delle Finestre al Giro 2005
Paolo, quando riprendevi ad allenarti in vista della stagione successiva?

Se l’obiettivo era il Giro, come accadeva quasi sempre, a novembre ero in sella, cioè un mese dopo, ma anche più, aver chiuso la stagione. Però se si puntava alle classiche bisognava saperlo già prima del termine della stagione, per anticipare il più possibile la chiusura e soprattutto la ripresa, visto che queste gare arrivavano prima. Io ho sempre corso abbastanza presto in ottica Giro e poi sì, facevo anche qualche classica (ha vinto anche un Laigueglia, quello del 1999, ndr). Alla fine la Sanremo mi “capitava” sempre e arrivavo anche davanti, ma non essendo veloce sapevo che non l’avrei vinta.

Quando iniziavi facevi attività alternative o saltavi subito in bici?

Un po’ di palestra la facevo, ma non troppa e con carichi leggeri, altrimenti mettevo su massa. Poi avrei perso troppo tempo per togliere quei chili. 

A proposito di chili: ingrassavi molto?

Quei 4-5 chili che ci stanno (va considerato che Savoldelli è alto 1,80, ndr). La svolta avvenne nell’inverno tra il 2001 e il 2002, quando iniziammo ad andare al caldo. In quel modo potevi allenarti di più, spendere meno energie e di conseguenza mangiavi anche meno. Fummo i primi ad andare a cercare quei climi e l’altura: Namibia e Teide. Ferrari (il medico emiliano è stato fra i preparatori più lungimiranti nel ciclismo, ma nel 2012 per le note vicende legate al doping, l’agenzia americana antidoping lo inibì a vita dall’esercizio della professione sportiva, ndr) ci arrivò prima degli altri e lo aveva già fatto con la sua esperienza nell’atletica leggera.

Savoldelli tira in salita al Tour 2005 per Armstrong
Savoldelli tira in salita al Tour 2005 per Armstrong
In effetti con temperature maggiori si tende a mangiare meno, poi una volta era anche più freddo. E tu hai sentito subito la differenza?

Sotto ai cinque gradi non migliori la tua condizione in bici. Ogni seduta è poco allenante perché il muscolo è più “pesante”, è troppo duro. Molte volte prendevo la macchina e andavo con Ivan Gotti in Liguria o verso Montecarlo. Lì il clima era più mite anche se si pedalava sempre a bassa quota. 

Quindi riprendevi con un po’ di palestra e ore di sella. Quando facevi i lavori specifici?

Dopo un po’ che avevo iniziato. Ai tempi facevamo anche la ruota fissa, che oggi si è persa. Lavori di cadenza e frequenza, anche con la bici normale. Poi a gennaio iniziavano i ritiri e lì si faceva qualcosa di più come chilometri e lavori. Ma con il passare degli anni s’iniziava sempre prima. Anche perché si era visto che se tu arrivavi preparato alle prime corse, allora ti allenavi e queste ti davano benefici. Se invece arrivavi indietro erano solo frustate e fuorigiri che non facevano bene. Gli altri non ti aspettavano mica! Una volta s’iniziava tutti al Laigueglia o al Giro del Mediterraneo, poi le cose iniziarono a cambiare e arrivavi a queste gare con gente che aveva già 15 giorni di corsa nelle gambe.

Oggi vediamo che molti atleti di vertice preferiscono allenarsi e poi puntare a quella determinata gara, qualcuno lo chiama “metodo Contador”: tu eri per questo approccio oppure preferivi correre?

Io avevo bisogno di correre perché quello che ti dà la gara non te lo dà nessun allenamento. Oggi con gli strumenti che ci sono e con tutta la conoscenza che si è accumulato con l’altura si svolge un lavoro ideale, soprattutto per chi punta alle corse a tappe. E così arrivano pronti. Pensiamo solo alle salite. Andavi al Giro che di fatto non avevi mai affrontato scalate di 20 chilometri, ma per tutti era così. Poi sono iniziati i ritiri in quota. Sul Teide potevi fare salite anche di 30 chilometri. Arrivavi al Giro che eri pronto. I primi a capirlo fummo noi. Fu un vantaggio. Poi lo fecero anche gli altri. Le prime volte saltavi dopo 15 chilometri, poi dopo 20, poi 22… ma se al Giro c’era lo Stelvio tu eri pronto.

Pierino Gavazzi vince la Sanremo del 1980 davanti a Saronni
Pierino Gavazzi vince la Sanremo del 1980 davanti a Saronni
Pensando alla tua preparazione e a quelle attuali cosa ti colpisce?

Oggi i ragazzi sono tutti molto più magri di noi. Noi non avevamo un dietologo o un nutrizionista. Mangiavamo molta pasta, nessuno sapeva nulla d’intolleranze… oggi tutto è molto più scientifico. E nessun aspetto, anche oltre l’alimentazione, è lasciato al caso. Ogni 5-6 anni cambia tutto. Anche ai miei tempi, ne ho vissuti almeno due di cambiamenti. E più è grande è il motore e più hai bisogno di allenarti.

Perché?

Perché un corridore piccolo e magro non deve fare troppo, altrimenti entra subito in condizione e poi tende a sfinirsi. Uno più grande recupera di più, ha più forza e quindi deve fare di più.

Prima hai accennato agli strumenti. Tu hai usato sia il cardio che il potenziometro, però ti affidavi anche alle sensazioni?

L’Srm arrivò nel 2000 e fu una svolta. Ha fatto capire a tutti che con i rapporti più agili si sviluppavano più watt. Restai colpito quando feci le Sfr e avevo watt più bassi di quando andavo agile in salita a 90 rpm. Indurain lo ha capito prima degli altri, Armstrong ne è stato il più grande interprete. Avevo anche il cardio, ma questo era più altalenante. Ricordo che un giorno feci una salita nelle vicinanze di casa. Salivo a 400 watt con 175-178 battiti, un bel lavoro. Il giorno dopo feci la stessa salita, sempre a 400 watt ma avevo 155 pulsazioni. Se fossi andato dietro al cardio avrei sbagliato allenamento. Poi è chiaro che le sensazioni erano e sono importanti e che il corridore deve conoscersi e saperle interpretare.

E con l’abbigliamento? Oggi ci sono capi tecnologici. Come ti vestivi?

I capi erano migliorati molto già ai miei tempi, soprattutto sul fronte del freddo. Ma per me la vera differenza oggi si è fatta con quelli estivi: quelli sì che sono leggeri, traspiranti, comodi. Come mi vestivo? A strati. Indossavo i gambali e i copriscarpa. E sopra non indossavo la termica perché il sudore mi si appiccicava addosso e sarebbe stato un problema per la discesa. Usavo una maglia intima pesante e sopra una più leggera, quindi manicotti e uno smanicato in Gore-Tex. In questo modo ero in grado di spogliarmi in salita in vista della discesa, per la quale avevo una mantellina a maniche lunghe.

Con quanti chilometri arrivavi alla prima corsa?

Non ricordo di preciso, ma se iniziavo il 10-11 febbraio credo 5.000-6.000 chilometri ce li avevo. A cambiare davvero le cose, a dare un impulso forte, fu Pierino Gavazzi. A fine carriera non vinceva più, faceva tanta fatica. Aveva la Sanremo in mente e così un anno decise di non fermarsi dopo il finale di stagione. Nelle prime gare dell’anno andò fortissimo. Questo per me ha inciso moltissimo.