L’ultima volta che l’Italia vinse le Olimpiadi correndo con tre atleti, come accadrà a Parigi il 3 agosto prossimo, era il 1992. Un altro ciclismo, tanto che la corsa a cinque cerchi era campo di battaglia dei dilettanti. Gli azzurri, in corsa a Barcellona con Rebellin, Casartelli e Gualdi conquistarono l’oro con Casartelli (foto di apertura). Una gara di 194 chilometri disputata in tre e per questo dall’andamento particolare. Insieme a Mirko Gualdi ragioniamo di tattiche e di come si possa affrontare una corsa di quel calibro con soli tre atleti a disposizione.
«Giosuè Zenoni, il cittì di quella nazionale – racconta Gualdi – aveva un acume tattico incredibile. I giorni prima degli appuntamenti importanti parlava con ognuno di noi e disponeva una tattica singola. Poi ragionava e metteva insieme tutto, creando una tattica di squadra. Ad esempio in un mondiale, lungo 14 giri, avevamo deciso che Caruso e io ci saremmo mossi nei giri pari per entrare in qualche fuga. Lo stesso avrebbero fatto Manzoni e Nicoletti nei giri dispari. Tarocco, invece, sarebbe entrato in azione nel finale e Baldato sarebbe stato coperto per aspettare la volata».
Nel 2021 Bettiol, nel gruppo dei primi, fu costretto a fermarsi per i crampi (immagini Eurosport)Secondo Gualdi il toscano è cresciuto parecchio in questi anni dimostrando una maggiore soliditàNel 2021 Bettiol, nel gruppo dei primi, fu costretto a fermarsi per i crampi (immagini Eurosport)Secondo Gualdi il toscano è cresciuto parecchio in questi anni dimostrando una maggiore solidità
Però si correva in più di tre, l’Olimpiade com’è stata gestita?
La tattica è diventata di essere presenti nelle fughe, quelle con più di quattro corridori. C’erano Nazioni da “marcare” come Francia, Germania, Spagna e Belgio. Se un atleta di queste squadre fosse entrato nella fuga anche noi ci saremmo dovuti muovere.
Anticipare insomma.
Pensare di organizzare un inseguimento in tre è impensabile. A Barcellona ci fu un primo attacco che andò via, poi un secondo nel quale entrai io. In un momento successivo rientrò un altro gruppo nel quale era presente Casartelli, che poi vinse. Io parlai con Zenoni prima della corsa e gli dissi che avrei preferito anticipare, perché ero convinto che si spendesse meno davanti piuttosto che dietro.
Anche perché diventa una corsa a sfinimento…
Zenoni ebbe una bella idea. Le ultime gare di selezione prima delle Olimpiadi ci chiese di correre senza il supporto della squadra. Io andai a delle gare con la maglia della Zalf e tre compagni giovani che però non erano in grado di darmi un supporto in corsa. Zenoni voleva capire il nostro acume tattico e la capacità di battagliare da soli. Infatti dalla spedizione a cinque cerchi furono esclusi corridori più forti di me, ma che avevano corso con l’appoggio della squadra.
Viviani, quasi certamente sarà uno dei tre stradisti di Parigi, sarà l’arma da giocare in volata o sarà di supporto?Viviani, quasi certamente sarà uno dei tre stradisti di Parigi, sarà l’arma da giocare in volata o sarà di supporto?
Servono corridori intelligenti tatticamente.
Sì e anche bravi nel correre davanti, non di rincorsa, gente che sa stare in testa al gruppo. Provare a fare azioni di rientro, in tre, è impossibile, ci si brucia un compagno subito.
Per questo dicevi che correre davanti diventa meno dispendioso?
Anticipare, soprattutto in un percorso come quello di Parigi con uno strappo abbastanza duro nel circuito, permette di fare una gara regolare. Mentre chi resta dietro vive di fiammate oppure si trova ad andare a ritmi folli fin dai primi passaggi. Non so l’Italia chi potrà portare, io Ganna lo avrei visto bene.
Lui e Milan sono esclusi di partenza, visto che saranno impegnati con il quartetto pochi giorni dopo la corsa su strada.
Gli incastri saranno difficili, come sempre. Ganna diventa una perdita importante, mentre Milan non mi sembra il corridore adatto a queste corse. E’ forte, ma vincolante, deve avere una squadra che gli dà supporto, in tre non può accadere una cosa del genere. A lui preferirei Mozzato.
Mozzato, se dovesse fare il Tour, potrebbe essere una carta spendibile per Bennati (foto DirectVelo)Trentin, che invece ha appena terminato il Giro, potrebbe non arrivare in perfetta condizione per ParigiMozzato, se dovesse fare il Tour, potrebbe essere una carta spendibile per Bennati (foto DirectVelo)Trentin, che invece ha appena terminato il Giro, potrebbe non arrivare in perfetta condizione per Parigi
Perché?
Intanto al Fiandre ha dimostrato di saper andare forte. E’ un regolarista, vero, ma che sa stare sempre davanti e spendere il giusto. Diventa il corridore che può seguire diversi contrattacchi o comunque restare con i migliori. Ma l’uomo certo per me è Bettiol, ha passo, regge in salita e sa muoversi anche da lontano. Le convocazioni sarebbero anche “facili” perché insieme a questi due si potrebbe portare Trentin, un altro che sa attaccare da lontano e non ha paura a farlo.
Però sembra ormai certa la presenza di Viviani, e questo abbassa a due i posti liberi.
Partiamo dal presupposto che la tattica di gara diventa quella di anticipare. Bettiol è imprescindibile. Viviani invece può giocare due ruoli: quello di tappabuchi oppure di attendista e aspettare l’eventuale volata. Ci sarebbe da decidere se portare Mozzato o Trentin, forse meglio il secondo.
C’è da considerare anche che Trentin non farà il Tour, Mozzato probabilmente sì.
Come ha detto Mozzato nella vostra intervista, il Tour può dare una gamba importante. Trentin non facendolo rischia di essere un passo indietro, ma lui ha le qualità per prepararsi bene. Poi è uno che sa liberarsi dalla mentalità attendista degli stradisti. Corridori che arrivano dal cross come Van Der Poel e Van Aert non hanno paura nell’uscire allo scoperto. Servirà una grande intelligenza tattica, cosa che non tutti i corridori possiedono.
Il camionista. Le telecamere. I testimoni. La giustizia. La Germania. I cicloturisti che portano fiori, le telecamere, ma il vuoto resta. Da mercoledì, ogni chiamata o messaggio inizia da Rebellin che non c’è più. Per questo con Gualdi vogliamo provare a sentirlo più vicino. Il suo messaggio di quel giorno continua a risuonare nella testa come un grido di aiuto: «Sono distrutto. I miei 2 amici di Barcellona in cielo…».
Mirko è l’ultimo dei tre: Casartelli, Gualdi e Rebellin. Le maglie celesti chiare per combattere il caldo spagnolo, i vent’anni. E di colpo ti rendi conto che il bergamasco è il custode di quei ricordi e hai quasi paura di dirglielo, temendo come potrebbe reagire.
«Guarda quando penso a questo – le lacrime arrivano e la voce si strozza – quando penso a questo, dico che mi sarebbe piaciuto davvero sedermi ancora una volta con loro due e anche con Fusi e Zenoni. Rifare quella cena con la paella che avevamo mangiato la sera della vittoria alle Olimpiadi, tutti insieme a Barcellona. Ti dici che un giorno lo faremo, invece alla fine non se ne fa mai niente. E quando succedono questi disastri, poi ti chiedi perché non l’hai fatto…».
Mirko compirà 54 anni il prossimo 7 luglio: lo stesso giorno di Zabel, scherza, ma al Tour facevano gli auguri soltanto al tedesco. Fabio ne avrebbe avuti 52, Davide ne aveva compiuti 51 ad agosto (in apertura sul traguardo dei mondiali di Stoccarda 1991, chiusi con l’argento).
Nel 1990 in Giappone, Gualdi vinse l’oro ai mondiali dilettanti. Argento per Caruso, alla sua sinistraNel 1990 in Giappone, Gualdi vinse l’oro ai mondiali dilettanti. Argento per Caruso, alla sua sinistra
Cosa hai pensato quando hai saputo che Davide era morto?
La prima reazione è stata chiedersi perché. Poi monta la rabbia. Quindi cerchi di metabolizzare e cominci a ragionare. Finché a un certo punto ti dici di essere stato fortunato, perché tutto sommato dopo tanti anni in bici, t’è andata bene. Io ho smesso perché un’auto di fronte ha girato nella strada laterale e mi ha preso in pieno. Io però posso raccontarlo e ringrazio il cielo.
Come l’hai saputo?
Avevo appena finito l’influenza ed ero a casa in smart working. A un certo punto mia moglie arriva e mi dice: «Hai visto? E’ morto Rebellin!». Cosa dici? Ho aperto subito internet e ho visto tutto, saranno state le tre del pomeriggio. E da quel momento, non ho fatto più nulla fino alle sei di sera. Ero in una sorta di trance. La cosa assurda è che ero sullo stesso divano di quando morì Fabio. Ero arrivato dall’allenamento. Mia moglie era davanti alla tele in lacrime. «Si è fatto male Fabio – mi dice – è caduto al Tour». Mi ricordo che deve essere tornata la sera alle 20 per dirmi che bisognava cenare e di andare prima a farmi la doccia, perché ero ancora vestito da bici. Penso che dopo tante cose e tante fatiche, nessuno dei due ha potuto godersi la propria storia. Nessuno di loro ha avuto la fortuna di godersi la paternità…
Da quanto non parlavi con Davide?
Ci scambiavamo messaggi su Instagram. La settimana scorsa mi chiama Mauro Consonni e mi dice: «Mirko, guarda, qua a Como nessuno ha ricordato i trent’anni dalle Olimpiadi. Voglio organizzare una serata al Panathlon, una cena con te, Rebellin e Giosuè Zenoni, per parlare di quel mese». Gli ho risposto subito: «Guarda, è bellissimo. Giosuè vado a prenderlo io, così non guida di notte. E Davide, se vuoi cerco il numero da qualche parte, lo contattiamo». Ero felicissimo di poterlo vedere.
Olimpiadi di Barcellona, tre azzurri in gara: qui Casartelli e a sinistra il cittì Giosuè ZenoniOlimpiadi di Barcellona, tre azzurri in gara: qui Casartelli e a sinistra il cittì Giosuè Zenoni
Cosa ricordi della preparazione alle Olimpiadi?
Ho in testa l’immagine di loro due sul letto e io in fondo, perché dormivo in un’altra stanza. Eravamo in altura al Maloja, c’erano i letti matrimoniali alla tedesca coi sacchi sopra. Io ero in singola, quindi andavo da loro a rompere le balle. Fabio era simpaticissimo, una macchietta. Si rideva, si scherzava e si sparavano le solite cavolate da ventenni. Davide rideva sempre e stava al gioco. Eravamo dei ragazzi che in quel momento condividevano lo stesso sogno. Ognuno sapeva di avere le proprie carte. E sapevamo anche che unendo le forze, uno dei tre avrebbe potuto riuscirci.
Ci riuscì Casartelli…
Fu festa grande, per tutti e anche per me, anche se non vinsi. Anzi, vi dirò di più. Dopo la premiazione, accompagnai Fabio e Annalisa alle televisioni e feci un po’ da tutore. Gli dicevo che cosa gli avrebbero chiesto, cosa avrebbe dovuto fare, perché avendo vinto il mondiale due anni prima, ricordavo le cose. Li mettevo anche un po’ in guardia.
Davide forse era il più controllato…
Inizialmente c’era un grande divario. Invece col passare dei giorni, lui forse aveva più fondo, ma per un percorso come quello di Barcellona, la condizione di Fabio e la mia iniziarono a diventare più affidabili. Pensavamo che il caldo avrebbe fatto più differenza, invece no. Quando attaccavo sulla salita e arrivava il momento di dare la botta decisiva, la salita era già finita. Perciò, quando nella fuga in cui ero io rientrò Fabio e poi attaccò, feci di tutto per stoppare gli inseguitori. Erano in fuga in tre, pedalavano verso una medaglia. Nessuno si voltò. La foto dei tre a braccia alzate sull’arrivo è l’essenza delle Olimpiadi.
Barcellona 1992, Casartelli vince la volata della fuga a tre. La tattica degli azzurri è perfettaBarcellona 1992, Casartelli vince la volata della fuga a tre. La tattica degli azzurri è perfetta
Quanto eravate professionisti nel vostro essere dilettanti?
Ai tempi, c’era un dilettantismo bello. Però a suo modo era già un professionismo, nel senso che comunque eravamo tutti in ritiro con le nostre squadre, facevamo tutti uno o due allenamenti settimanali con i compagni. C’era chi, come Fabio, era costretto da Locatelli. Chi come me che era costretto a stare in ritiro dalla distanza. E poi Davide che tutto sommato aveva un gruppo di corridori vicino a casa, che si aggregavano a lui quando dovevano fare chilometri.
Era forte?
Era nato per essere un atleta e poi un ciclista. Io penso che la sua colazione da atleta l’avrebbe fatta sempre e comunque in ogni momento della sua vita. La colazione, la ginnastica per la schiena, lo stretching… Non era un sacrificio per lui e io per questo lo ammiravo tantissimo. Era veramente forte e lo vedevi che si stava già preparando per il professionismo. La regola era che finivi le superiori, poi facevi il militare e dal secondo/terzo anno cominciavi a stringere i tempi. Dovevi menare, passare entro il quarto anno al massimo, sennò dopo eri vecchio. Poi successe che nel 1990 fermarono me e tutti quelli di interesse azzurro con il blocco olimpico, altrimenti saremmo passati prima.
C’era fiducia che poteste vincere una medaglia?
Corremmo in tre il Giro dell’Umbria del 1992, facendo battaglia. C’era Pantani che aveva appena vinto il Giro d’Italia, ma cadde prima della crono di apertura e nemmeno partì. Era la corsa a tappe dopo il ritorno dall’altura e quindi dovevamo metterci in crisi. Voleva dire soprattutto non guardare al risultato e cercare di far fatica. Quindi attaccare, andare in fuga, correre di squadra. Non si andava fortissimo e noi percepivamo di aver fatto tanto carico. Così erano già cominciate le voci su cosa avremmo potuto combinare alle Olimpiadi, ma noi sapevamo che il lavoro sarebbe venuto fuori. Vedevamo la tranquillità di Zenoni e di Fusi. E avendo vissuto negli anni precedenti quello che succedeva a livello di condizione atletica, ero tranquillo anche io. Sapevamo che la gamba sarebbe arrivata.
L’anno prima delle Olimpiadi, Rebellin aveva corso un grande mondiale di Stoccarda. Gualdi era campione uscenteL’anno prima delle Olimpiadi, Rebellin aveva corso un grande mondiale di Stoccarda. Gualdi era campione uscente
Aver condiviso questa avventura ha creato un rapporto prezioso?
C’era come un filo che ci teneva uniti, anche se poi si stava a lungo senza vedersi. Davide lo vissi quando venne alla Polti e facemmo anche un Giro d’Italia insieme. Fabio a quel punto non c’era già più, ma ero sempre rimasto in contatto con Annalisa. In realtà più Maria, mia moglie. Scherzando diciamo che Annalisa vuole più bene a lei che a me. Quando morì Fabio, pochi giorni dopo Maria andò a casa da lei che era là da sola col bambino. E lei si lasciò andare, parlavano di tantissime cose, senza che mia moglie mi abbia mai raccontato niente. E probabilmente in quei momenti si creò anche questo doppio legame. Che poi, diciamocelo chiaramente, eravamo tre esponenti di tre squadre molto rivali fra loro. Io poi ero andato via da Locatelli e avevo vinto il mondiale, quindi quando ci si incontrava alle gare, c’era proprio una guerra aperta. Non potevi essere amico dei corridori di Locatelli.
Chi era Fabio Casartelli?
Fabio era un bravo ragazzo, determinato come noi altri due. Eravamo una squadra e sebbene fossimo stati scelti da un altro tecnico, alla fine in quella camera nacque la complicità per vincere le Olimpiadi.
C’erano punti in comune fra voi?
Anche se sotto diversi punti di vista, eravamo tutti e tre simili. Un po’ della mitezza di Davide me la sento anch’io nel carattere e ce l’aveva sicuramente anche Fabio. Si rideva e si scherzava, eravamo sempre gentili con i meccanici. C’era un bel tasso di bontà d’animo, ma non crediate che fossimo remissivi. Davide era sagace, sottile. Eravamo tutti e tre innamorati di quello che facevamo e intelligentemente sottili nel nostro modo di essere. Avevamo il fuoco che ardeva dentro e la serenità nell’affrontare le cose.
Secondo Gualdi, con un po’ di convinzione in più, Rebellin avrebbe potuto vincere il mondiale1991Secondo Gualdi, con un po’ di convinzione in più, Rebellin avrebbe potuto vincere il mondiale1991
Di quei tre sei rimasto soltanto tu…
Ho smesso nel 2000 e Fabio non c’era già più. Davide aveva la sua strada. Ho tifato per lui da lontano. Sapete quante volte ho pensato che sarebbe stato bello lavorare per lui quando era alla Gerolsteiner? Sarebbe stato bellissimo e l’ho pensato tante volte quando ho smesso, ma non l’ho mai detto nessuno. Lui era uno che gratificava i compagni, basta vedere quello che hanno detto tutti in questi giorni. Aveva un bel modo di fare
Era davvero così buono Rebellin?
L’unico difetto che aveva, una caratteristica che rifletteva il suo essere mite, era che in alcuni casi era portato ad attendere per paura di aver sopravvalutato la propria forma, la propria condizione. Non si rendeva conto di essere lui uno dei più forti del gruppo. Una volta ai Paesi Baschi nella riunione pre gara disse che si sarebbe mosso quando anche quelli forti fossero partiti. Lo guardammo e gli dicemmo che era lui il più forte e che gli altri aspettavanolui. Però era la traslitterazione del suo carattere, nel suo atteggiamento in gara. Se avesse avuto il coraggio di perdere, il mondiale 1991 l’avrebbe vinto lui. Quando è partito Ržaksinskij, se gli fosse andato dietro lui, l’altro si sarebbe rialzato e Davide avrebbe potuto anche vincere la volata di quelli dietro.
Hai parlato con Zenoni?
A lui ho detto: «Giosuè, accetta il mio abbraccio, come quello di un figlio che abbraccia un padre». Io non ho più un papà, lui non ha avuto figli, ma so che Davide era particolare. Ho voglia di vederlo e di stare insieme anche a Fusi che non vedo da tantissimo. Credo che andremo insieme al funerale. Il viaggio verso Madonna di Lonigo sarà il momento di stringersi ancora di più.
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