Trent’anni di storie, apriamo l’album di “Checco” Villa

08.12.2021
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Fra una cosa e l’altra, con Francesco Villa abbiamo cominciato insieme: anno 1992. Chi vi scrive, col taccuino in mano. Lui, con le chiavi da meccanico alla Gatorade di Bugno. E adesso che l’inverno sta scendendo e che la sua avventura nel ciclismo delle squadre sta per concludersi, una chiacchierata fra… veterani è quello che ci vuole per passare quest’8 dicembre decisamente freddino.

Per chi non lo conoscesse, smessi i panni del meccanico a fine 2002, Francesco è stato autista dei pullman, dal Team Bianchi con Ullrich, alla Quick Step con Bettini, al Team Cervelo di Sastre e Hushovd, alla BMC delle meraviglie, alla Tinkoff di Sagan e Contador e da ultimo alla Dimension Data, poi NTT e ora Qhubeka che, almeno in apparenza, sta lottando per non sparire. Dite che qualcosa da raccontare la troveremo?

Con Paolo Fornaciari nel fango della Roubaix, la corsa “università” per i meccanici
Con Paolo Fornaciari nel fango della Roubaix, la corsa “università” per i meccanici
Prima squadra?

Gatorade-Chateau d’Ax nel 1992, con Bugno, Corti e Stanga. Carminati guidava il bus. Ci sono rimasto fino al 1994, poi seguii Gianni alla Mg-Technogym e di lì passai alla Mapei. Sempre come meccanico. Poi ho lavorato alla Quick Step e, a parte un anno con la Vittoria, sono stato sempre con le squadre…

Parlaci di Bugno.

Per noi era un riferimento. Nel 1992 avevo 22 anni, ero suo tifosissimo: lavorare per lui era un sogno. Il capo era Giovanni Tonoli, suo meccanico di fiducia. Fu lui a volermi accanto, perché la tradizione era che i vecchi insegnassero il mestiere ai “bocetti”, ai ragazzini. Non lavoravano bene con altri d’esperienza, perché non avevano tempo né voglia di discutere, ma Tonoli era bravissimo a insegnare. Purtropppo morì nel 1993 per un brutto male, a soli 46 anni, e a quel punto Gianni volle portarmi con sé. Un campione cui eravamo affezionati. C’ero nel 1992 quando fece terzo al Tour e anche quando nel 1994 vinse il Fiandre.

Nell’anno di passaggio fra Team Bmc e Tinkoff, Villa ha lavorato per l’assistenza ufficiale Vittoria
Nell’anno fra BMC e Tinkoff, Villa ha lavorato per l’assistenza ufficiale Vittoria
Meccanico e autista del pullman, quali differenze?

Da meccanico entri nel cuore della corsa, sei sull’ammiraglia. Il bus ti dà il contatto più frequente con il corridore. Ci sono momenti in cui stare zitti e quelli in cui dargli coraggio e qualche consiglio, soprattutto ai più giovani. Ma ad esempio le Liegi di Bettini dall’ammiraglia sono indimenticabili.

Storia parallela a quella di Carminati, che abbiamo già raccontato. Cosa ricordi della Mapei?

Era una famiglia. Il dottor Squinzi era presente con il suo appoggio morale, non dava soldi e basta. Quella squadra ha rivoluzionato il ciclismo, anche per l’investimento tecnologico che facemmo con Colnago.

Negli ultimi anni, Villa ha guidato il pullman della Dimension Data, poi diventata Ntt e Qhubeka
Negli ultimi anni, Villa ha guidato il pullman della Dimension Data, poi Ntt e Qhubeka
Eri ancora meccanico, con chi legasti di più?

Molto con Bartoli, ero nell’ammiraglia dietro di lui quando vinse la Freccia Vallone del 1999 sotto la nevicata. Poi Bettini, si vide subito che aveva una gran classe. Paolo, come prima Gianni, devo ringraziarlo perché creò il suo gruppo e pensava prima a noi e poi a se stesso. Parlo di Bramati, Tonti, Zanini, i massaggiatori Cerea e Bignotti, Fausto Oppici come altro meccanico. Ci chiedeva se fossimo a posto e poi andava a firmare il suo contratto.

Iniziasti da autista alla Bianchi, chi ti aveva insegnato a guidare il pullman?

Giacomo Carminati. Mi ha insegnato a guidarlo e ad amarlo, prendermene cura. Mi ha insegnato un mestiere, per questo lo considero come un fratello maggiore.

Cosa ricordi di Ullrich?

Uno dei più grandi corridori che abbia mai incontrato, gradevole come persona. Anche lui, come Bugno, un po’ troppo sfruttato dall’entourage e purtroppo neanche lui aveva grande personalità, come purtroppo si è visto negli anni successivi. Nel 2003 andava fortissimo e gli fecero perdere il Tour dall’ammiraglia. Lui voleva attaccare, soprattutto essendosi accorto che Armstrong non era brillantissimo. Invece continuarono a dirgli di aspettare, così Armstrong tornò forte e vinse anche quella volta.

Alla Tinkoff nel 2016 ha lavorato con Peter Sagan e Alberto Contador
Alla Tinkoff nel 2016 ha lavorato con Peter Sagan e Alberto Contador
La Tinkoff di Contador e Sagan?

Una squadra che senza Riis (il danese fu allontanato da Oleg Tinkoff a marzo del 2015, ndr) si capiva non sarebbe durata. C’era il gruppo di Contador, quello di Sagan, gli italiani… Con Alberto legai parecchio. Nel 2016 fu sfortunato, era già in fase discendente, ma sempre una grande persona. Non si fidava di lasciare le scarpe sul pullman, al massimo lo faceva se le chiudevo a chiave in un armadietto. Aveva paura del sabotaggio, molto diffidente. Lasciava avvicinare inizialmente solo il suo meccanico Faustino, io me ne stavo sulle mie. Non sono un adulatore, se hanno bisogno chiedono loro e alla fine diventammo amici.

Riis però l’hai trovato alla Ntt l’anno scorso…

Una persona molto preparata, che non è stata capita. Io ero abituato a Ferretti e Stanga, non mi faceva paura e lavoravo bene, gli altri hanno fatto fatica e infatti non è durata. Al Tour del 2020 venne al bus e mi disse che dal giorno dopo non avrebbe più voluto vedere lattine di Coca e Fanta, perché i corridori erano grassi. Per me era un’osservazione giusta, gli altri non lo capirono.

Che rapporto hai con il pullman?

E’ la mia casa. Devo pulirla, tenerla in ordine. Ne sono molto geloso, discuto con i corridori che non mostrano rispetto. Per fortuna i campioni aiutano, loro sono sempre i più educati. Sastre era un modello, Cavendish se vedeva disordine, sgridava i compagni: «Siamo in una stalla?». Il pullman per un autista è come il camion officina per il meccanico: serve passione per il lavoro, sennò lo trascuri.

Che rapporto hai avuto con Cavendish?

Grandioso, come con Bettini. Alla Dimension Data si stava spegnendo, ha fatto bene ad andare via ed ero certo che sarebbe tornato. Con Lefevere e Bramati alla Deceuninck-Quick Step la sola ricetta è pedalare, conosco quell’ambiente. Sono contento che abbia firmato per un altro anno, anche con la clausola che non farà il Tour. E poi secondo me certe cose le dicono anche per dargli grinta

Hai scelto di mollare, ti dispiace?

Sicuramente mi mancherà tantissimo. Ma abbiamo due bimbe di 11 e 7 anni e a un certo punto sei costretto a fare delle scelte. Non potevo più fare 180 giorni via, in casa c’è bisogno del papà. Mia moglie non mi ha mai ostacolato, ma vedevo che la fatica per gestirle aumentava. Ho fatto per 30 anni la vita che qualunque tifoso di ciclismo sognerebbe, è giusto che adesso lasci spazio ad altri.

Le bici di Cipollini affidate a “Carube”. Un viaggio nella tecnica

23.11.2021
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Carube, al secolo Roberto Lencioni (in ammiraglia nella foto di apertura) è stato per anni lo storico meccanico di Mario Cipollini. Quante avventure insieme, quante vittorie e quante bici ha dovuto preparare per Re Leone, toscano come lui.

E certo stare vicino ad un personaggio istrionico come Mario non era facile. Cipollini dava molto e pretendeva anche molto dal suo staff. E poi con la tecnica aveva una sensibilità sopraffina. Ma Carube sapeva come prenderlo.

Mario, alla Del Tongo, sigla il primo dei 42 successi al Giro d’Italia 1989 sul traguardo di Mira
Mario, alla Del Tongo, sigla il primo dei 42 successi al Giro d’Italia 1989 sul traguardo di Mira

Carube davanti a Mario

«Ho iniziato con lui tra i professionisti nel 1989 alla Del Tongo – spiega Lencioni – ma lo conoscevo già da prima perché ero stato meccanico di suo fratello Cesare. E anche da ragazzino, non abitando lontano, lo vedevo spesso. Capitava anche al mio negozio».

«Mario – continua Carube – era pignolo sì, ma non diverso da altri. Certo, non era semplice stargli dietro, ma per me era più facile, poiché conoscendolo sapevo più o meno cosa voleva o avrebbe voluto e così mi “portavo avanti” se usciva qualcosa di nuovo o di particolare. Magari colorazioni delle bici, alcuni materiali da provare. Lui magari ti dava degli input su scelte o materiali e voleva che fossero messi in atto al più presto. 

«E capiva subito se una cosa andava oppure no. Mario saliva in bici, faceva dieci metri e magari ti diceva: questa sella è più bassa di un millimetro. Tu la misuravi ed era più bassa di un millimetro».

La Specialized di Zolder

Della sensibilità di Cipollini un po’ tutti ci hanno parlato. Mario era (ed è) un tecnico sopraffino. Sa come deve essere una bici e soprattutto cosa vuole… da una bici

«In tanti anni per lui ho allestito non so quante bici – dice Carube – ma ricordo in particolare le due del 2002. L’anno della Sanremo e del mondiale. Era la prima volta che lavoravamo con Specialized. Sostanzialmente Mario in quella stagione utilizzò due biciclette: quella appunto della Classicissima, della Gand e delle sei tappe al Giro e quella del mondiale.

«La prima tutto sommato era standard. Così l’avevamo richiesta e così la montai, a parte qualche piccolo intervento per le gare in Belgio, su gomme e ruote. Mentre per il mondiale di fatto fu stravolta».

«Con Specialized preparammo un telaio speciale. Mario voleva una bici che assolutamente non disperdesse energia. E così, su sue indicazioni, i foderi posteriori furono maggiorati. Parliamo di un telaio in alluminio e questi foderi avevano un diametro di 22 millimetri.

«Ma il grande lavoro fu fatto sull’orizzontale. Questo fu abbassato di un centimetro e mezzo, ma soprattutto venne cambiata la sua forma. Specialized all’epoca faceva tubi ovali: questo invece dal piantone partiva tondo e man mano che si avvicinava al tubo di sterzo diventava quadrato. Non fu facile scendere quel centimetro e mezzo, perché poi all’anteriore Mario era molto basso e questo tubo era grande. Si era davvero al limite. Era una soluzione che irrigidiva un bel po’ la bici, ma la rendeva circa 150 grammi più pesanti. 

«Per ovviare a questo aumento di peso, intervenne sulle ruote. E decise di usare delle ruote che non erano in dotazione al team, delle Lightweight, ma anche queste erano state irrobustite per lui».

Nella corsa rosa del 2002 invece si porta a casa ben sei tappe. Qui la sesta a Milano
Nella corsa rosa del 2002 invece si porta a casa ben sei tappe. Qui la sesta a Milano

Re Leone tradizionalista

Davvero uno spettacolo questi aneddoti! Una volta si poteva intervenire con maggior facilità sulla personalizzazione delle bici. Non c’erano i monoscocca. Tanto più che si parla di alluminio…

«Cipollini non ha mai gareggiato con un telaio in carbonio, almeno da quel che so io o finché è stato con me. E ne ha provati… Una scelta sua. Anche dopo che lasciò la Domina Vacanze e passò alla Liquigas, ha utilizzato una bici in alluminio. A quei tempi il carbonio iniziava a fare gola, ma lui non ne voleva sapere. Il carbonio lo ha chiaramente iniziato ad usare dopo… dopo che ha smesso».

Con l’alluminio Re Leone poteva avere la bici a sua immagine e somiglianza: le sue geometrie, le sue misure, la quantità del materiale a seconda dei punti del telaio…

E sugli altri componenti com’era Cipollini? Carube risponde pronto…

«Stava attento a tutto, ma non era così eccessivo come si pensa… Soprattutto dopo che arrivò Specialized, azienda che decise d’investire molto e che aveva un altro modo di fare, ebbe la possibilità di provare molti più componenti, però al tempo stesso si doveva tenere conto delle sponsorizzazioni».

«E poi è vero che era sul pezzo, ma era anche tradizionalista. Le scarpe per esempio. Quando trovava il modello con cui stava bene, non le cambiava fino alla fine. O le selle. Magari ne provava 15, ma tanto alla fine tornava su quella con la quale si era trovato meglio. Pensate che io neanche la toglievo più dal cannotto. La smontavo con tutto il reggisella! Quando rientrava gli rimontavo subito la sua e già sapevo che era a misura».

Oggi Cipollini ha un suo marchio di bici e dietro la progettazione dei telai c’è sempre il suo zampino
Oggi Cipollini ha un suo marchio di bici e dietro la progettazione dei telai c’è sempre il suo zampino

Cipo e le bici di oggi

E oggi Mario Cipollini che bici userebbe? Il meccanico come il massaggiatore è colui che meglio entra nella testa del corridore, e Lencioni lo sa bene.

«Oggi – conclude Carube – Mario vorrebbe una bici che rispecchia quelle che produce (e infatti dietro ogni Mcipollini c’è la sua impronta). Se gareggiasse di certo vorrebbe due bici: una per le corse a cui tiene meno e una per quelle in cui punta.

«La prima sarebbe una bici leggera e confortevole che lo possa agevolare in salita, una bici pensata per risparmiare energie. La seconda sarebbe una bici super rigida, che possa esaltare le sue doti di velocista».

Enrico Pengo, il meccanico che sussurrava alle bici

22.11.2021
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Lo avevamo lasciato alla fine del 2020 quando, per motivi familiari, aveva salutato la carovana del ciclismo. Ma per Enrico Pengo, storico meccanico della Lampre e della nazionale, era solo un arrivederci. E’ tornato a casa sua, a Camisano Vicentino, per curare il negozio di famiglia, aperto dal padre tanti anni fa. La passione non l’ha persa Enrico, che è nato riparando bici e non vuole smettere di farlo. Tornare non lo preoccupa, come i veri campioni anche lui non perde lo smalto e le capacità tecniche (nella foto di apertura è con Damiano Cunego alla Tirreno-Adriatico del 2011).

Enrico Pengo nell’officina di papà Adriano con Alessandro Ballan: i due sono stati in Lampre dal 2004 al 2009
Enrico Pengo con Alessandro Ballan nell’officina di papà Adriano
Che anno è stato?

Lo definirei un anno di transizione, mi sono occupato della mia famiglia, in particolare di mio papà, che ha avuto un anno complicato ma ora sta meglio. Ho curato la sua attività, un’officina meccanica, nella quale ho imparato tanto all’inizio della mia attività.

Ti manca il professionismo?

Certo, sono stato in quel mondo 29 anni, è stata una fetta importante della mia vita, è logico che mi manchi. Mi sono fermato per una scelta non mia, ma assolutamente doverosa. La mia famiglia mi ha dato tanto ed è stato giusto restituire un po’ di quel tempo che ho sottratto loro negli anni.

Quindi vorresti tornare?

Sì, mi piacerebbe molto. Ho alcuni contatti, ma nulla di certo ancora. Non tornerei a pieno regime come prima, mi basterebbe fare un 40 giorni di corsa, così da non sottrarre troppo tempo agli impegni familiari. Prima ero sempre a blocco, essendo poi capomeccanico ero la figura di riferimento, sempre reperibile. Era giusto fosse così, ma ora non me la sento più di farlo.

Enrico Pengo alla Bahrain
L’ultima squadra nella quale Enrico Pengo ha svolto il ruolo di meccanico è stata la Bahrain. Qui con Agnoli
Enrico Pengo alla Bahrain
La Bahrain è stata l’ultima squadra di Enrico Pengo
Eri alla Bahrain quando hai lasciato, con loro sei rimasto in buoni rapporti?

Ho rescisso il mio contratto con la Bahrain-McLaren a metà 2020 dopo il ritiro sul Pordoi, prima dell’inizio del Tour. Il rapporto con il personale e i corridori è rimasto ottimo, quando Sonny ha vinto la Roubaix l’ho chiamato per complimentarmi…

Sonny ti ha chiesto di tornare?

Ride Enrico, ma non risponde. Glielo avrà chiesto sicuramente. «Tutti mi chiedono come mai io sia a casa – dice -non ho mai divulgato la notizia, sono uscito dalla porta sul retro».

Com’è passare dal WorldTour ad un’officina di paese?

Il mondo in cui ho lavorato e il modo con cui l’ho fatto mi ha dato la credibilità per lavorare serenamente. Non ho problemi, a livello regionale mi conoscono tutti. E’ strano perché anche se sono stato 16 anni in Lampre quando incontro qualcuno che segue il ciclismo mi dice: «Ecco il meccanico della nazionale».

Ti sei mai chiesto il perché?

Ho seguito i vari cittì per 15 mondiali, è la corsa più seguita del panorama ciclistico e quindi rimane nella mente dei meno appassionati.

Per Pengo ben 15 mondiali con la nazionale. Qui con Oppici, Archetti, Franco Vita e Nieri
Per Pengo ben 15 mondiali con la nazionale. Qui con Oppici e Archetti
Con i clienti che meccanico sei?

Mi piace fare questo lavoro in officina, perché entrano sempre persone nuove. Mi diverto a cercare di capire dagli occhi e da come mi presentano la bici che problema hanno e come posso aiutarli.

Aver “perso” un anno potrebbe averti creato dei problemi?

Non penso, dal punto di vista tecnico non ci sono stati molti aggiornamenti. Per esempio: il Dura Ace a 12 velocità è arrivato a fine stagione, quindi pochissimi miei colleghi ci hanno avuto a che fare. Se ci pensate nessun grande marchio (Campagnolo, Sram e Shimano, ndr) tra le stagioni 2020 e il 2021 ha lanciato novità.

Ci sarà qualche prodotto che ti ha “stupito”…

Sì, il tubeless. Sinceramente non mi aspettavo potesse raggiungere questi livelli di affidabilità, sarei curioso di usarlo in corsa.

Insomma, il lupo perde il pelo ma non il vizio.

Archetti, il Giro da casa e il ruolo del meccanico

12.05.2021
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«Simoni mi faceva impazzire – racconta Giuseppe Archetti, meccanico tra i più esperti del gruppo – “Quello lì” quando si metteva in mente una cosa… ciao! E la dovevi fare…

«La sua bici sulla quale feci più interventi fu quella per lo Zoncolan nel 2003. Certe cose ormai non le ricordo più con precisione, ma di sicuro montò il 38 davanti e mi sembra il 30 al posteriore. Aveva un telaio particolarmente leggero, solo per le salite. Credo che la sua sia stata la prima bici in assoluto dei pro’ a raggiungere il famoso limite dei 6,8 chili, 6,810 per la precisione. E sapete cosa mi disse? Ma quei 10 grammi li possiamo togliere?».

Simoni sullo Zoncolan nel 2003 con la sua Cannondale super leggera
Simoni sullo Zoncolan nel 2003 con la sua Cannondale super leggera

Meno “magie”

Archetti dopo molti anni non è al Giro d’Italia. Il motivo? Scelte tra lui, la Fci e la Uae, la sua squadra, che lo vogliono anche tra gli “azzurri” in partenza per Tokyo. Mastro Archetti infatti è anche il meccanico della nazionale. Quello è l’obiettivo principale e per il quale si sta preparando. Anche lui deve essere in forma per la trasferta a Cinque Cerchi. Con lui cerchiamo di capire se il suo lavoro cambia in vista delle tappe più dure, come ci ha raccontato per Simoni sullo Zoncolan.

Una volta, ma non un secolo fa, 10-15 anni fa, specialmente prima delle tappe più dure e a cronometro, il meccanico poteva essere l’arma in più per il corridore. Era quasi un inventore, forse un artista, di certo un vero artigiano.

«Oggi la figura del meccanico è molto cambiata – spiega Archetti con filo di nostalgia – C’è una tale quantità di materiali e di direttive, di regole da rispettare, che siamo molto più vincolati». Sono finiti i tempi in cui si limavano le viti, si tagliavano i reggisella, si foravano le pieghe manubrio. «Oggi tutto questo è impossibile. Almeno per noi in Uae è così, ma sono certo che vale anche per altri team. Ci sono norme sulla sicurezza e assicurative che certe cose non le puoi fare. 

«Anche per le tappe di montagna il lavoro è lo stesso di una qualsiasi altra tappa, soprattutto se si ha l’uomo di classifica. Si prepara tutto prima di partire. Il giorno che precede il tappone si decidono giusto i rapporti ed eventualmente le ruote da utilizzare. Ormai si fanno i sopralluoghi, si sa tutto prima di partire. A volte è capitato che ci sia andato anche il meccanico a farli, ma ormai lui è più un esecutore di ciò che gli dicono il preparatore e il corridore. Non dico che siamo dei manovali, ma quasi. Una volta per avere una particolare cassetta posteriore per Ivan Basso impazzimmo con Campagnolo, ma riuscimmo a dargliela. Adesso dobbiamo montare ciò che ci danno».

Il peso conta sempre

Movimenti limitati, dunque. Strettamente legati anche alle imposizioni del marketing, però il lavoro del meccanico conta ancora. Specie quando si parla di peso che con i freni a disco è tornato leggermente a salire.

«I 6,8 chili sono la normalità per tutti. O almeno così era prima dei freni a disco. A noi della Uae, Colnago dà la possibilità di utilizzare i freni tradizionali per le tappe di salita proprio per limare quei pochi etti di differenza. Le bici le carichiamo sul camion già prima di partire per il Giro e alla vigilia di quella tappa le tiriamo fuori. Sono già tutte a misura».

Una volta si alzava leggermente la sella, per favorire il riporto della gamba in salita, questione di millimetri che servivano quasi più per la testa che per i muscoli, però si faceva.

«No, nessuno cambia più nulla. Oggi il 99% dei corridori parte con delle misure e le mantiene, anche perché avendo molte bici hanno meno “fisse mentali”. Una volta ne avevano una sola. Pensate che venivano alle corse con la bici con cui si allenavano! Poi ne hanno avute due, una a casa e una alle corse. Adesso ne hanno molte e quindi passano da una specialissima ad un’altra senza troppi problemi. Non utilizzando sempre la stessa avvertono meno eventuali differenze. Differenze che poi con i moderni strumenti per la misurazione praticamente non esistono. L’unica cosa a cui sono ancora sensibili è la sella nuova. Essendo più “dura”, flette meno e può capitare di abbassare il reggisella, ma di un millimetro».

rapporti
Esigenze di alte cadenze portano a pacchi pignoni sempre più ampi: da Sram il 10-33
Rapporti
Esigenze di alte cadenze portano a pacchi pignoni sempre più ampi: da Sram il 10-33

Ruote e rapporti

Ma se non ci si può più inventare nulla e si deve utilizzare il materiale originale che viene fornito, si può scegliere cosa utilizzare. E quando ci sono tappe molto dure o salite estreme il primo intervento chiaramente riguarda i rapporti.

«Oggi in tanti usano il 34 e il 36, la tendenza è quella. Aumenta l’utilizzo del 32 al posteriore. Vedo che però a volte me lo riportano pulito, segno che poi non lo usano. Vale il discorso che più la catena lavora dritta e più si riducono gli attriti. Dicono…

«Mentre sulle ruote noi in Uae abbiamo una regola semplicissima: alto profilo per le tappe di pianura e medio profilo per quelle di montagna. Quindi 45-60 millimetri per chi utilizza i tubeless e 50 i tubolari. Mentre diventano 33 millimetri per i tubeless e 35 per i tubolari. Il set con i tubolari è un po’ più leggero ma la scelta è totalmente soggettiva, spetta al corridore».

La regola di Archetti in questo caso è vera per quel che riguarda la soggettività delle scelte, ma neanche così netta. Come abbiamo visto nelle foto in precedenza solo ieri, verso Sestola, in Uae c’erano almeno quattro setup diversi. E pur essendo salita qualcuno ha usato i freni a disco e l’alto profilo.

«Anche per lo sterrato ormai non si cambia più molto – conclude il meccanico – La bici è quella. Cambiano le coperture. Noi in Uae usiamo orami sempre il 25 o 26 millimetri, magari qualcuno monterà il 28 salendo verso Campo Felice».

Soprattutto quando si parla di tecnica bisogna essere realisti e bisogna prendere atto che nel mondo del ciclismo che si evolve a velocità mai viste prima, anche il ruolo del meccanico sta cambiando. Le “invenzioni” particolari sono sempre meno. Ma come abbiamo visto con i corridori della Uae, per esempio, sono le scelte del tanto materiale a disposizione a fare la differenza e a rendere in qualche modo ancora “naif” l’intervento del meccanico.

Saliamo “nell’ufficio” di diesse e meccanici

09.04.2021
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Non si viaggia certo comodi in ammiraglia! Le vetture che danno supporto ai corridori sono un’officina vagante per i meccanici e un ufficio per i diesse.

Da un paio di stagioni ormai, in virtù del Covid, si può stare solo in due almeno in certe corse. In Belgio era così. Mentre dietro, sul sedile destro siede il meccanico.

Bici sul tetto, ammiraglia pronta a partire
Bici sul tetto, ammiraglia pronta a partire

Il regno del meccanico

Sedile posteriore destro, dicevamo. Quella è la posizione strategica per poter intervenire sulle bici sporgendosi dal finestrino, o per saltare al volo giù dalla macchina e prenderne una dal tetto. A fianco del meccanico, quindi alla sua sinistra, ci sono ruote, non meno di due coppie, e gli attrezzi, almeno quelli di pronto intervento.

Qui la sistemazione è molto personale e a volte anche legata all’auto stessa. A volte si sfrutta il bracciolo posteriore per porre gli attrezzi di prima necessità: nastro isolante, brugole, olio… E, sotto alle ruote, si mette la cassetta degli attrezzi vera e propria. Altri invece preferiscono tenersi a portata di mano direttamente la cassetta. Anche una pompa o un “trapano”, come è definito in gergo il compressore portatile, non manca mai.

Il meccanico ha il promemoria con la disposizione delle bici sul tetto dei rispettivi corridori
Il meccanico ha il promemoria con la disposizione delle bici sul tetto dei rispettivi corridori

Radiocorsa obbligatoria

Nella parte anteriore dell’auto, chiaramente al posto di guida, siede il direttore sportivo. Gli strumenti principali del suo “ufficio” sono le radio. Sì, sono al plurale: una è quella di radicorsa che le squadre sono obbligate a tenere e l’altra è la radiolina.

L’organizzazione fornisce in sede di riunione tecnica le frequenze di radiocorsa e il team si sintonizza. Da qui si conoscono distacchi, andamento della gara, situazioni di pericolo e soprattutto si è avvertiti se un proprio corridore richiede l’intervento in fondo al gruppo. In quel caso l’ammiraglia richiamata può risalire la colonna e andare verso il corridore stesso e anche le altre vetture sanno che l’auto di quel team risalirà la fila.

Tasche piene di barrette nello sportello del guidatore
Tasche piene di barrette nello sportello del guidatore

Le regole non scritte

«Con le radioline il corridore viene un po’ meno in ammiraglia – dice Giovanni Ellena, diesse dell’Androni Giocattoli – e tutto diventa più veloce. Lui ti chiama per dirti che vuole l’acqua e tu in macchina già ti muovi. Tuttavia per regolamento il corridore deve alzare il braccio altrimenti il giudice non chiama l’ammiraglia in coda al gruppo e le altre vetture non ti lasciano passare facilmente. C’è poi una regola non scritta, di fair play, secondo cui in caso di guasto meccanico e ancora di più di caduta, le altre ammiraglie agevolano il passaggio di quella interessata».

Ruote e attrezzi a fianco al meccanico
Ruote e attrezzi a fianco al meccanico

La radio del team

La seconda radio è, appunto, quella con cui il diesse comunica con i propri corridori. Anche questo strumento è ormai un must. 

In più spesso si monta un tablet (le auto più moderne hanno direttamente un video) per seguire le gare dalla tv, un ulteriore modo per essere costantemente aggiornati in tempo reale. A volte gli schermi possono essere due: in uno c’è la gara e in un altro l’altimetria o la planimetria del percorso collegata al Gps per avere sempre sotto controllo il punto in cui ci si trova e magari dare indicazioni ai corridori. Per esempio: fra cinque chilometri inizia la salita. Oppure: attenzione perché dopo quella svolta troviamo vento laterale.

Ma se il meccanico non se la passa benissimo al diesse non va meglio. Lui deve anche pensare ad un rifornimento di soccorso. Ormai tutti i team riempiono la tasca dello sportello sinistro di barrette e gel. Tra l’altro, in alcune gare è imposta la regola del separé: si tratta di una “tendina” di plastica trasparente che divide i sedili anteriori da quelli posteriori a causa del Covid.

Il bagagliao con il frigo portatile e le borse del freddo
Il bagagliao con il frigo portatile e le borse del freddo

Bagagliaio full

E poi c’è il bagagliaio. Nella parte a ridosso dello schienale, quindi “facilmente” raggiungibile dal meccanico, viene posto un frigo “stile campeggio” con acqua e borracce. Questo in alcuni casi si trova anche nel sedile anteriore del passeggero, nella parte dei piedi, se si viaggia solo in due. 

Ci sono poi tutte le borse del freddo dei corridori in gara. Borselli tipo portascarpe, ma un po’ più grandi, nei quali ogni corridore prepara del vestiario di emergenza in caso di pioggia, freddo, caduta, ritiro. E sopra alle borse del freddo ancora altre coppie di ruote.

Bianchi Specialissima 2021

Da Scott a Bianchi, inizia il cambio di stagione

24.11.2020
5 min
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Nella Mitchelton-Scott è cambiato quasi tutto. E alla fine, oltre al nome e ai dirigenti, cambieranno anche le bici, che saranno Bianchi. L’annuncio è arrivato poco dopo metà ottobre in pieno Giro d’Italia. L’azienda di Treviglio ha ringraziato e salutato la Jumbo-Visma, che pochi giorni prima aveva abbandonato in massa il Giro d’Italia, prima di vincere la Vuelta. Mentre Scott ha impacchettato le sue cose per trasferirsi alla Sunweb, che a sua volta ha ceduto le Cervelo proprio alla Jumbo di Roglic. In questa girandola di nomi da Fiera dell’Est, qualcuno ha pensato a chi fisicamente ha spostato le bici da una casa all’altra?

In questo video del 2018, Alberto Chiesta descrive la Scott Addict Rc PRO di Simon Yates

Noi abbiamo parlato con Alberto Chiesa, meccanico della squadra australiana che da Scott è passata a Bianchi e che assieme ai suoi colleghi ed un furgone ha ritirato le Scott e consegnato le Bianchi.

Cambia tutto o non cambia niente, a parte il nome?

Normalmente non c’è molta differenza, se non individuare la taglia giusta. Ogni brand ha le sue misure, angoli e lunghezze, e il lavoro da fare è sistemare al meglio i corridori che rimangono, nel nostro caso quelli che avevano le Scott. Per i nuovi è diverso, perché cambiando squadra sanno anche di doversi adattare alla nuova bici. Mentalmente è differente.

Tante differenze di centimetri?

Scott, vado a memoria, fa 47-49-52-54-56-58-61. Bianchi fa 47-50-53-55-57-59-61-63. Sembra poca roba, ma quando ci sei sopra, un po’ si sente.

Partite dalle schede o partite da zero?

Partiamo da quello che abbiamo su carta e poi facciamo il meglio possibile con i vari componenti

Simon Yates 2020
Simon Yates ha vinto la Tirreno-Adriatico 2020 conquistando la tappa di Sassotetto
Simon Yates 2020
Simon Yates su Scott, primo alla Tirreno
Quando avviene questa prima fase?

Di solito si fa un pre-ritiro a fine stagione. Quest’anno si è fatto poco dopo la Vuelta, anzi ne abbiamo fatti due. Una parte in Spagna, una a Varese. Si accontentano tutti, anche se non si può dire che tutti avranno la stessa posizione dell’anno precedente.

Cambia soltanto il telaio o i componenti seguono a ruota?

Telaio, selle e attacchi, perché Scott portava con se la sua parte accessori.

Di quali bici parliamo dunque?

I più correranno con la nuova Specialissima, presentata alla fine del Giro d’Italia. Altri avranno anche l’Oltre. Gruppi Shimano Dura Ace Di2 disco, attacchi Vision di Fsa e selle Fi’zi:k ma di questi si occupa direttamente Bianchi che ha il contatto con le aziende fornitrici.

La Jumbo-Visma non usava freni a disco, però…

Esatto, mentre noi con Scott sì. Non so se Bianchi spingesse per questa soluzione e loro non volessero, queste a volte sono scelte dei team. Anche Pinarello ha le bici pronte con i dischi, ma Ineos vuole i rim-brakes.

Manubrio Vision Metron 5D
Le nuove Bianchi del team avranno manubrio Metron 5D di Vision
Manubrio Vision Metron 5D
Vision Metron 5D per le nuove Bianchi
Dal tuo punto di vista?

Capisco che un’azienda voglia sviluppare quel che sul mercato sembra tirare di più. Dal punto di vista del meccanico, il disco va bene fra gli amatori, meno per il professionista.

Come mai?

Sicuramente funziona benissimo e ormai abbiamo anche imparato a cambiare le ruote velocemente con il perno passante. Ma quando arrivi in hotel la sera, è sempre tardi. Se non ci sono problemi, la bici è perfetta. Ma se qualcosa non funziona, non finisci più. Se c’è stata una caduta e qualcosa si è storto il lavoro si complica di molto.

Mitchelton aveva già usato selle Fi’zi:k in precedenza?

Sì e questo è positivo, anche se i modelli nel frattempo sono cambiati. Per cui i nostri hanno individuato dei modelli a catalogo e abbiamo fatto la nostra richiesta, mentre loro hanno proposto di provare anche un modello nuovo che si chiama Argo. Adesso siamo nella fase in cui i corridori provano e poi scelgono.

Attacchi e manubri?
Roglic Vuelta Bianchi
Con la Vittoria della Vuelta, Roglic ha salutato il marchio Bianchi
Roglic Vuelta Bianchi
Con la Vuelta, Roglic ha salutato Bianchi

Si userà l’integrato, il Metron 5D, ma anche una combinazione di attacco più manubrio, ugualmente aero. La scelta è soggettiva, ma tante volte dipende dalle misure. Ad esempio per le ragazze, che usano manubri più stretti da 38, l’integrato non viene fatto. Va da 40 a 44.

Ci sono differenze di montaggio fra Scott e Bianchi?

Non troppe. Il nostro responsabile è stato in Bianchi e gli sono state indicate le particolarità di cui tenere conto, per cui imparato il sistema Bianchi, si procede spediti. Detto questo, facciamo questo lavoro da così tanto tempo, per cui già alle corse ci siamo informati con i colleghi che usavano Bianchi. Abbiamo chiesto e osservato. Nessuno di noi è novellino e alla fine le bici nel montaggio sono abbastanza simili fra loro.

Da quanto tempo lavori nel professionismo?

Con le squadre dal 2007, ma faccio il meccanico da 40 anni.

Nel 2020 la Jumbo-Visma ha usato per le crono (qui Roglic alla Vuelta) la Bianchi Aquila Cv
Per le crono Roglic ha usato l’Aquila Cv
Avete già messo mano anche alle bici da crono?

Stiamo cominciando. Gli atleti hanno la prima bici da strada, che a norma non potrebbero ancora utilizzare, ma sappiamo come funziona. Quelle da crono vengono subito dopo. Ci sono anche qui geometrie un po’ diverse, ma ho visto che con le misure arriviamo vicini al passato. Sono io che faccio il primo montaggio e valuto queste cose. Le prime vanno agli atleti australiani, che fra poco tornano a casa e devono fare il campionato nazionale. Agli altri più o meno arrivano tutte insieme.

Chi ha portato le Bianchi ha anche ritirato le Scott?

Esatto, abbiamo fatto tutto nello stesso viaggio. Noi da Varese siamo andati dai due italiani, Konychev e Colleoni. Poi Matthews, Stannard e Mezgec in Slovenia. E da Zeits che sta a Montecarlo.

Ci sarà una bici a parte per la Roubaix?

No, la normale bici da strada. Del resto quando vincemmo con Hayman nel 2016, aveva una bici da strada. Di sicuro parecchi anni fa con i telai su misura era diverso. Potevi personalizzare in base ai singoli corridori e ai percorsi. Partivi dalla scheda e ognuno aveva la sua bici.

Ancora qualcosa da sapere sulla Bolide dorata

27.10.2020
3 min
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Ma torniamo ancora sulla Pinarello Bolide di Filippo Ganna. In Ineos-Grenadiers più che in altre squadre tutto è studiato al “decimo di millimetro”. Per questo oltre al discorso delle ruote ci sono altri aspetti che meritano di essere approfonditi.

Affidabilità Shimano

Vediamo dunque il resto di questa Bolide. La componentistica è Shimano. La catena è quella normale Dura Ace, ma trattata da Muc-Off (il loro fornitore di lubrificanti). La trasmissione Shimano Dura Ace Di2 è una garanzia. Qualche tempo fa avevano provato altre catene, ma poi c’è chi ne utilizzava un tipo e chi altre. Avevano persino rivisto i perni delle maglie, ma alla fine quelli Shimano restavano i più affidabili.

«I tecnici Shimano non erano contenti della scelta di montare il 58 (o il 60 come a Palermo) con il 39 – dice Matteo Cornacchione, meccanico Ineos – c’era uno sbalzo di denti troppo elevato. Loro non garantivano. Così ci siamo presi i nostri rischi. Sullo strappo di Monreale con i sampietrini e quegli sbalzi sudavamo freddo. Se fosse successo qualcosa eravamo fregati. Ma per vincere bisogna rischiare. Inoltre Pippo sa come cambiare, ha una certa sensibilità».

Ganna sullo strappo di sampietrini di Monreale
Ganna sullo strappo di sampietrini di Monreale
Ganna sullo strappo di sampietrini di Monreale
Ganna sullo strappo di sampietrini di Monreale

Manubrio o fantascienza?

Il manubrio è l’ormi famoso Most 3D in titanio. Ma Cornacchione ci dice qualcosa ancora. Per questo sembra più fantascientifico. Merito soprattutto del lavoro e della passione del costruttore trevigiano.

Un pool guidato da un ingegnere Pinarello scansiona il corridore sulla bici con le mani sulle protesi. La base di partenza è quella della posizione in pista, ma un po’ più larga. Sul parquet lo sforzo dura meno, su strada il corridore deve essere “comodo”. Inoltre deve anche attutire qualche buca o imperfezione dell’asfalto. Una base d’appoggio più ampia pertanto è necessaria.

«Quando questo manubrio – riprende il meccanico – è arrivato per la prima volta ci siamo messi le mani nei capelli. In realtà ogni vite entrava alla perfezione, non è stata data una limata e anche la verniciatura era okay. Tanto che all’italiano ho fatto i complimenti a Fausto (Pinarello, ndr), che scherzando mi ha risposto: e certo che è perfetto, l’ho verniciato io! Lui è davvero iper appassionato e ha un feeling particolare con il team e con Pippo. Campione italiano su bici italiana è un bel vedere. 

«E’ stato fatto molto lavoro sui comandi. Per mettere quei bottoncini in carbonio abbiamo smontato il classico comando Shimano per bici da crono e lo abbiamo inserito all’interno delle protesi. Sembrava impossibile, ma siamo riusciti poi ad inserire i pezzettini di carbonio e ad azionare il comando normalmente».

Il manubrio Most 3D
Il manubrio Most 3D
Il manubrio Most 3D
Il manubrio Most 3D

La dorata va in pensione

Matteo Cornacchione interviene anche sui freni: «Molte bici da cronometro che non hanno i dischi, credetemi, frenano davvero male. Ne ho viste di storie. Sulla Bolide il freno, anch’esso fatto da Pinarello, è molto efficiente. Risulta potente quasi come fosse a disco. Merito di un perno rigido e di una bacchetta che tende il filo. La forza così arriva bene sulla pista frenante».

Infine il peso. «Ci credete – conclude Cornacchione – se vi dico che non abbiamo mai pesato la bici di Pippo? Perché non è quello il suo scopo. Deve essere veloce. L’unica bici da crono che avevamo pesato era la Bolide di Egan Bernal. Era stata preparata per la crono finale del Tour che arrivava in salita. Su quella siamo arrivati a 7,2 chili. Ma per le crono del Giro che erano veloci, non era importante il peso. Poi quella dorata che avete visto avrà su almeno due etti di vernice, come minimo. Quella livrea è stata un’idea di Fausto, in collaborazione con Ganna. A Valdobbiadene avrà perso almeno 1,5” in salita! Pensate che quella Bolide d’oro dopo Milano va in pensione…».