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Il meccanico al Giro d’Italia. Con Cornacchione alla Ineos

10.05.2023
6 min
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CHIETI – Il meccanico al Giro d’Italia. O comunque in un grande Giro. Il lavoro non è solo in quelle tre settimane. Parte da più lontano ed è parecchio vasto. Matteo Cornacchione è uno dei meccanici storici della Ineos-Grenadiers, fidatissimo di Filippo Ganna. 

Questo lavoro è fatto prima ancora che di cacciaviti, brugole dinamometriche e catene… di ordini, di magazzino, di logistica. Perché se prima non si è lavorato in quella direzione, poi sono dolori. Il materiale per il Giro d’Italia è davvero tanto.

Per ogni corridore della Ineos ci sono pronte almeno due set di ruote per profilo (36, 50 e 60 millimetri)
Per ogni corridore della Ineos ci sono pronte almeno due set di ruote per profilo (36, 50 e 60 millimetri)

Matteo, quanto tempo prima inizi a preparare il materiale che pensi ti servirà al Giro?

Almeno 15-20 giorni dalla partenza. Diciamo che ad una ventina di giorni dal via si fa il punto della situazione, ma in realtà il materiale che serve è stato già ordinato.

E quando? In inverno?

Un paio di mesi prima. Ormai non partiamo da zero e più o meno sappiamo cosa ci serve. La cosa basilare è che non puoi permetterti di arrivare alla partenza di un grande Giro che ti manca qualcosa. E mi riferisco soprattutto al materiale di scorta. Quindi due mesi prima parte l’ordine e ad una ventina di giorni si “fa la conta”. In questo caso, noi meccanici del Giro ci siamo ritrovati una decina di giorni prima della partenza nel nostro magazzino.

Che sta?

A Deinze, a nord di Bruxelles. Eravamo tutti i meccanici del Giro. Ognuno prende in mano due corridori, quindi eravamo in quattro. E ognuno di noi segue in tutto e per tutto le bici dei suoi atleti: quella da crono, da strada, di scorta. Insomma lo segue dalla A alla Z.

Cornacchione (a sinistra) con gli altri meccanici del team inglese, nei pressi del loro (mega) motorhome
Cornacchione (a sinistra) con gli altri meccanici del team inglese, nei pressi del loro (mega) motorhome
In questo Giro chi segui?

Seguo Filippo Ganna e Salvatore Puccio. Gli italiani insomma… Pippo perché è così da tempo e Salvatore perché alla fine è più facile con la lingua, c’è un certo feeling. Così come l’altro meccanico inglese, segue due Geoghegan Hart e Swift. Ogni aspetto delle loro bici passa per lo stesso meccanico. A sera ognuno lava le due bici, le ricontrolla…

Il direttore sportivo fa il “giro delle camere” per sapere come stanno le cose. Voi meccanici fate una sorta di giro del motorhome?

No, perché i ragazzi sono talmente impegnati che fanno fatica a passare da noi. Magari passano per  ringraziarci. Dopo una vittoria passano sempre. I feedback tecnici nella maggior parte dei casi li prendono direttamente i diesse la sera dopo la gara. E se c’è un  problema sono gli stessi direttori che riferiscono a noi meccanici. E questo vale se per il giorno dopo c’è da cambiare una ruota, un rapporto…

Facciamo un passo indietro. Torniamo a quei materiali ordinati a due mesi dal Giro. Di che quantità parliamo? Facciamo una stima di bici, ruote, catene…

Riguardo alle ruote di scorta siamo sulla cinquantina di coppie che diventano 60 se ci mettiamo anche quelle da crono. Calcolate che ogni ragazzo ha cinque bici. In corsa ce ne sono otto, quindi abbiamo 40 bici al seguito. Ma non è tutto: chi punta alla classifica o un leader ha di solito la sesta bici. Tao e Geraint per esempio hanno due bici da crono e quattro da strada. Pippo ha tre bici da strada e tre bici da crono.

Ai team arrivano ogni anno centinaia di catene. E’ il meccanico che fa la conta prima del Giro
Ai team arrivano ogni anno centinaia di catene. E’ il meccanico che fa la conta prima del Giro
E quindi siamo a 43 bici…

In più abbiamo tutti già dei telai di scorta, due per taglia dei corridori che ci sono in corsa. E visto che alcuni hanno la stessa taglia sono “solo” dieci telai. Purtroppo bisogna pensare anche alle cadute, che speriamo non ci siano!

E poi c’è il resto…

Ci sono parecchi manubri, i Most di Pinarello, e le selle FizikAnche questi sono pezzi che bisogna sempre  avere dietro. E di solito ne abbiamo due per misura per ogni atleta. In teoria questo materiale essendo in Italia potremmo anche non averlo dietro, in quanto è facile da reperire: in caso di necessità arriverebbe abbastanza presto. Però meglio averlo con noi. Può capitare che il posto in cui serva non sia facile da raggiungere, che ci siano problemi durante il trasporto e allora lo portiamo con noi visto che la possibilità c’è.

I pezzi che più si usurano: catene e copertoni. Ogni quanto li sostituite?

Per la catena (Shimano 12 velocità, ndr) siamo arrivati a un punto che puoi farci tutto il Giro. Non le cambiamo, almeno che non mostrino grossi problemi chiaramente. Per esempio dopo giornate veramente brutte o dopo strade particolarmente sporche e fangose possiamo anche cambiarle. Ma se questo non succede e non ci sono problemi, nei giorni di riposo facciamo una valutazione dell’usura e valutiamo se cambiarle o meno.

E per quanto riguarda le le gomme?

Le coperture le sostituiamo un po’ di più. Magari c’è chi lima un po’ di più. Chi in partenza quando c’è nervosismo frena e “sgomma”, chi corre più al lato della strada e consuma il battistrada in modo non corretto… Quando vediamo che qualcosa non è più perfetto sulla gomma la sostituiamo senza badare a spese.

Ogni corridore ha a disposizione almeno cinque bici. Che diventano sei per i capitani. Il meccanico ha un bel da fare
Ogni corridore ha a disposizione almeno cinque bici. Che diventano sei per i capitani. Il meccanico ha un bel da fare
E la sostituzione è la stessa per anteriore e posteriore?

Anteriore un po’ meno. Ma bisogna pensare che abbiamo molti set di ruote: 36, 50, 60 millimetri. Ogni corridore ha disposizione tre coppie di ruote. E calcolando che in questo Giro ci sono tre crono, restano 18 tappe. Alcune sono di salita… Quindi le sostituzioni delle gomme e l’usura, alternandosi questi set di ruote, non sono poi così frequenti. Quando prepariamo le ruote, le prepariamo anche con gomme e rapporti. Sono pronte all’uso insomma.

Matteo, invece rispetto a 15-20 anni fa, tu meccanico come ti prepari al Giro? Cosa è cambiato?

Più o meno allo stesso modo. Forse adesso che sono più esperto vivo tutto con maggior tranquillità, mentre prima ero più nervoso, sentivo di più la corsa perché ero più giovane. E poi almeno per me, che ero in squadre italiane, il Giro era di più l’evento dell’anno. Adesso invece tutte le gare sono eventi. Catalunya, Parigi-Nizza o Giro sono quasi la stessa cosa. L’unica differenza è la quantità di materiale che ci si porta dietro. Logicamente sappiamo benissimo che è un appuntamento a cui noi teniamo particolarmente, quindi ci mettiamo ancora più energie, ma non è che in una Tirreno uno si nasconde per lavorar meno. È sempre uguale: dal Laigueglia al Giro d’Italia, per noi il protocollo è lo stesso.

E in questi anni cosa è cambiato nel tuo mestiere? 

Forse un po’ più di maniacalità, di precisione in generale. Ma per noi italiani il Giro è sempre il Giro.

Dieci anni dopo, Oppici torna da Bramati e Lefevere

12.11.2022
5 min
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Fausto Oppici, che fu un buon dilettante e negli ultimi 10 anni è stato il capo dei meccanici al Team Bike Exchange-Jayco, lavorerà dal prossimo alla Quick Step, da cui era uscito nel 2012 per aiutare a creare il team australiano.

Il mercato degli uomini dello staff è meno frizzante di quello dei corridori e probabilmente fa meno notizia, però i direttori sportivi e i team manager sanno che gli uomini giusti nelle posizioni chiave permettono alla squadra di girare meglio. Perciò se con la chiusura della Drone Hopper-Androni la Bardiani si è presa tutto il suo staff della performance, il ritorno di Oppici sull’ammiraglia italiana di Bramati darà al tecnico bergamasco una sicurezza in più. Soprattutto alla vigilia di un anno in cui in Italia potrebbe arrivare in modo più massiccio baby Evenepoel.

E’ il 2004, Bettini non ha ancora vinto le Olimpiadi: qui siamo alla Tirreno
E’ il 2004, Bettini non ha ancora vinto le Olimpiadi: qui siamo alla Tirreno

Costruire un team

Fausto Oppici, classe 1970, vincitore di una Coppa Caduti Nervianesi e secondo alla Coppa San Geo del 1992, è stato una delle colonne portanti della Quick Step di Boonen. Per cui pensare al team belga ha sempre portato ottimi ricordi.

«Era un po’ che Bramati e Lefevere mi chiedevano di tornare – sorride –  e alla fine ho detto: ci provo. Volevo trovare altri stimoli dopo 10 anni qui alla Bike Exchange. Torno in un posto che conosco già. La struttura è rimasta quella, una parte del personale è la stessa. Ero venuto via per seguire il progetto di Alvaro Crespi e Shayne Bannan. Mi avevano offerto il posto di responsabile di tutta la parte legata alla meccanica e ho accettato, per provare anche la nuova sfida. Però adesso, dopo 10 anni, sono cambiate tante cose. Ci sono tante più incombenze e mi sono detto che forse è tornato il momento di fare nuovamente il meccanico. Quando torno da una corsa, ho bisogno di stare a casa…».

Mondiali 2010, lo staff dei meccanici azzurri: c’è anche il mitico Franco Vita
Mondiali 2010, lo staff dei meccanici azzurri: c’è anche il mitico Franco Vita
Invece negli ultimi anni?

Rientravo da una corsa e andavo in magazzino a lavorare. Non ci sono solo le biciclette. C’è da fare il programma, ci sono le macchine, i camion, ci sono tante cose da vedere e da fare. Magari vai per pensare solo alle biciclette, poi arrivi e trovi il tuo collega che lavora quasi solo in magazzino. Magari è lì che guarda i mezzi, quindi lo aiuti. Lo accompagni, perché sai che deve portarli in officina. Ogni volta che ci sono dei cambiamenti di programma, se per esempio arriva una nuova corsa da fare, devi organizzare gli spostamenti di tutti gli altri. Non sei da solo, ma ti metti lì col direttore sportivo. Erano le cose che di solito facevo con Vittorio Algeri o con Gene Bates. Ci mettevamo lì a vedere se c’era la possibilità di incastrare tutto.

E’ stata un’esperienza positiva?

Mi sono sempre trovato bene, mi è piaciuto, mi sono divertito. Mi sono tolto delle belle soddisfazioni. Non ho niente da recriminare. Ho voluto provare la nuova esperienza di una squadra nuova che nasceva completamente da zero. Ma erano già diversi anni che “Brama” mi chiamava e con Lefevere sono sempre rimasto in contatto. Non ho mai avuto problemi con lui. Quando mi vedeva, ci siamo sempre salutati, abbiamo sempre parlato. Anche solo per gli auguri di Natale o cose del genere. E così quest’anno ho detto di sì ed è stato come tornare a casa.

Cosa ricordi di quella Quick Step?

L’ultimo anno con loro fu il 2011. C’era Boonen e c’era Chavanel. Quell’anno arrivò Trentin, che venne a fare il Tour of Beijing da stagista. Poi l’anno dopo passò professionista con loro, ma io ero già andato. Però me lo sono ritrovato nel 2018 alla Mitchelton. Avevamo bici Specialized. Negli anni abbiamo cambiato un po’. All’inizio avevamo Time. Poi siamo passati a Merckx e dopo a Specialized.

Bramati è una delle colonne della Deceuninck. Qui con Tegner, responsabile marketing e comunicazione
Bramati è una delle colonne della Deceuninck. Qui con Tegner, responsabile marketing e comunicazione
Com’è fare il meccanico in una squadra così?

Fare il meccanico alla Quick Step, per quello che il ciclismo rappresenta in Belgio, è come essere alla Juventus. Nel mio piccolo, essere ancora ricercato da una squadra così importante vuol dire che, a parte l’amicizia, qualcosa posso dargli. Sennò certamente non avrebbero avuto bisogno di me. Con tutte le virgolette, forse qualcosa valgo anch’io.

Tanto onore e tanta responsabilità?

Non piccola. Più si alzano gli obiettivi, più si alza il valore dei corridori e più ce l’hai sulle spalle. Perché se poi qualcosa non funziona, tocca sempre a te. Durante la corsa hai sempre il timore che possa succedere qualcosa alla bicicletta che hai preparato. E poi quando magari qualcosa succede davvero, anche la più piccola, cominci a pensare a cosa possa essere successo. Ti fai venire mille paturnie.

Sai già che programma farai?

Bene o male, so il numero dei giorni. Se ne discute, nel senso che c’è il responsabile che farà il calendario. Però al momento di farlo, ti chiede se Ie corse che ha pensato vanno bene. Se hai qualche problema in un giorno particolare, in cui hai bisogno di stare a casa o cose del genere. Io ovviamente sarò orientato sulle corse in Italia. L’orientamento delle squadre è non far viaggiare troppo lo staff, se non è necessario. Sarebbe stupido che io andassi a fare le corse in Belgio, se lassù ci sono i meccanici belgi.

Oppici è stato per 19 anni meccanico della nazionale. Ha fatto anche 4 Olimpiadi: 2 con l’Italia e 2 con l’Australia
Oppici è stato per 19 anni meccanico della nazionale. Ha fatto anche 4 Olimpiadi: 2 con l’Italia e 2 con l’Australia
Solo Italia, dunque, per Oppici?

Magari capiterà di andare al Nord o altrove. Ad esempio Bramati in Belgio ci va di sicuro, ma è altrettanto sicuro che le corse italiane toccano a lui. Si cerca di dividere i compiti, anche se di italiani nella squadra non ce ne sono tanti. Siamo in quattro. Bramati, Tegner che però è un dirigente, un massaggiatore (Yankee Germano, ndr) ed io.

Sei già andato in magazzino?

Non sono ancora stato su, anche perché fino al 31 dicembre sono stipendiato dalla Bike Exchange. In realtà ho parlato con Copeland e loro mi hanno dato la disponibilità, qualora ne avessi bisogno, di dare una mano di là. Allo stesso modo in cui gli ho detto che posso ancora aiutarli. Però al momento non sono ancora andato. Se posso dire la mia opinione, aspettare il 31 dicembre è una gran stupidata. A dicembre le squadre vanno già in ritiro e i corridori iniziano a usare i nuovi materiali. I contratti dovrebbero finire il 31 ottobre. 

Enrico Pengo alla Bahrain

Il meccanico, lavoro a tempo pieno: parola di Enrico Pengo

28.12.2021
6 min
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La bicicletta si è evoluta molto nel corso degli anni, i progressi sono stati continui e hanno riguardato tutte le componentistiche. Una delle prime novità ha riguardato le ruote che sono passate dallo sgancio rapido al perno passante. La tecnologia, però, non si è pian piano insinuata solamente negli allenamenti e nella programmazione della stagione, ma anche nelle bici. Il meccanico è uno di quei lavori che si è dovuto adattare ed aggiornare in maniera continua. Enrico Pengo è uno di quei meccanici che hanno attraversato generazioni di corridori e di bici. Non lavora più nel professionismo ma la sua passione non è diminuita, e anche nella sua officina ne vede delle belle.

Sulle bici da cronometro il lavoro di cablaggio si complica ulteriormente a causa del taglio sempre più sottile dei tubi
Il taglio obliquo dei tubi complica il lavoro di cablaggio nelle bici da cronometro
Com’è cambiato il lavoro del meccanico negli anni?

E’ un ruolo che nel corso del tempo si è complicato molto. Io ho iniziato nel 1993 con la prima esperienza nel professionismo ed all’epoca eravamo solamente due meccanici per team. I corridori avevano solamente due bici: una per la gara ed una per l’allenamento. Che si tenevano nel furgone della squadra perché ancora non esistevano i magazzini.

In che cosa consisteva la maggior parte del lavoro?

Prima del Giro d’Italia, o comunque delle grandi corse a tappe, il meccanico faceva il cambio bici facendo passare quella da gara per l’allenamento e viceversa. Si riportavano le misure e si controllavano i materiali ma era un lavoro circoscritto ad un dato periodo.

Nel corso degli anni sono cambiate tante cose…

Sì, le squadre hanno anche più di un magazzino ed ogni corridore ha a disposizione 4-5 bici: una da gara, una da allenamento e due o tre di scorta. Anche i materiali sono cambiati. Nel primo Giro d’Italia che ho fatto, nel 1993, avevamo i telai in acciaio ed era difficile che si rompessero. Ora ci sono i telai in carbonio e ad ogni caduta il lavoro da fare è tantissimo.

E’ diventato più complicato per i meccanici assecondare le richieste degli atleti vista la quantità di lavoro che passa dietro ad ogni modifica
E’ diventato più complicato per i meccanici assecondare le richieste degli atleti
Ad esempio?

Per prima cosa devi vedere se la bici ha subìto danni strutturali; controlli il manubrio ed il telaio per prima cosa. Dovete anche considerare che si rientra in hotel alle 20 e quindi puoi controllare solo la mattina dopo, la giornata ha sempre 24 ore ed il meccanico ne passa un bel po’ sveglio.

Anche le aziende si mettono in mezzo…

E’ entrato nell’ideologia delle squadre, ma soprattutto delle aziende, il senso dell’immagine, quindi anche se una bici non subisce danni visibili si preferisce cambiarla piuttosto che rischiare.

Il freno a disco è una delle novità tecniche che ha messo maggiormente in difficoltà i meccanici a causa del grande lavoro di manutenzione
Il freno a disco è uno dei componenti che richiede più lavoro per essere collaudato
Qual è stato il cambiamento più grande che voi meccanici avete dovuto affrontare?

I freni a disco, senza alcun dubbio. Il lavoro per montare un manubrio integrato per una bici con freni a disco è diventato anche di 3 ore. Il meccanico è diventato quasi un chirurgo, con una siringa devi inserire l’olio nell’impianto idraulico e devi stare attento a non far entrare aria altrimenti la bici non frena più.

Ed il passaggio dei cavi?

Quello richiede due meccanici se si vuole fare in tempo ragionevole, soprattutto se si è alle corse. Uno con il magnete fa scorrere i cavi ed il secondo lo segue con la guaina.

Immaginiamo che anche alle corse i meccanici siano tanti…

In una squadra WorldTour si prevede un team di dieci meccanici che si dividono per le varie attività. Alle corse a tappe sono almeno quattro. La mattina il capo meccanico sta sul camion officina e sistema le bici: controlla le batterie e le pressioni delle gomme, gli altri tre preparano le ammiraglie.

Siamo nel periodo dei primi ritiri, dove i corridori prendono le misure con i nuovi mezzi, anche qui il lavoro è cambiato…

Ai primi ritiri della stagione il lavoro è infernale. Se un corridore vuole eseguire anche la più piccola modifica per fare una prova in allenamento il lavoro è da rifare da capo. Considerate che per cambiare attacco manubrio o semplicemente la larghezza dello stesso si deve smontare la bici.

Il cablaggio di un manubrio integrato richiede molte ore di lavoro vista la grande quantità di cavi che passano al suo interno
Il cablaggio di un manubrio integrato richiede molte ore di lavoro
Perché è tutto collegato.

Sì, devi smontare il pezzo e di conseguenza i cavi. Con le componentistiche che si usano oggi, dove è tutto al millimetro, devi tagliare ed inserire nuovamente i cavi e le batterie. Per una modifica che poi magari non va nemmeno bene e si deve poi riportare tutto a com’era prima.

Poi i corridori sono estremamente esigenti.

E’ anche giusto sia così visto che è il loro lavoro. Devono avere tutto quel che chiedono e testare prodotti diversi per ottenere il massimo della prestazione. Alla fine dei primi giorni di ritiro i corridori ritornano dall’allenamento con il “menu” di quel che c’è da cambiare e a noi meccanici viene da piangere conoscendo le ore di lavoro che ci attendono (conclude ridendo, ndr).

La batteria del cambio elettronico viene caricata prima di ogni gara
Il cambio elettronico prevede un lavoro di installazione e manutenzione più meticoloso
Anche in officina il lavoro è aumentato?

Assolutamente, in una squadra WorldTour lavori con gli stessi componenti e marchi, mentre ora devo essere pronto e preparato su tutto. Ho notato che anche gli amatori ora faticano di più a mettere mano sulle bici perché gli accorgimenti sono molti ed è facile commettere un errore e che si rompa qualcosa.

A proposito di corridori, organizzi anche un’asta di beneficenza con i “cimeli” degli atleti.

Nel corso della mia carriera ho conosciuto molti atleti e con loro ho sempre avuto un ottimo rapporto. Dieci anni fa è partita un po’ per gioco, l’idea di fare un’asta di beneficenza con i materiali donati dagli atleti: body, caschi, magliette e chi più ne ha più ne metta. Nel tempo anche le aziende hanno iniziato a mandarci oggetti.

Come si chiama quest’asta?

Regala un sogno e partirà il 30 dicembre e si concluderà in tre date: 7, 9 ed 11 febbraio, così chi non riesce ad aggiudicarsi qualcosa può riprovarci i giorni successivi. Si svolge on-line ed ogni anno abbiamo un testimone digitale, quest’anno tocca a Sonny Colbrelli. Sul sito di riferimento trovate tutto. L’intero importo viene devoluto all’associazione Casa del sogno di Camisano Vicentino, il mio paese.

Nibali? Sempre sul pezzo anche con le bici, parola di “Toso”

11.12.2021
4 min
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Dopo cinque stagioni Gabriele Tosello ritrova Vincenzo Nibali. Con il meccanico dell’Astana avevamo parlato di cambiamenti tecnici riguardanti lo Squalo durante questo arco temporale, adesso invece vogliamo sapere quanto (e se) il siciliano è cambiato dal punto di vista “umano”, cioè per quel che concerne fissazioni varie o richieste particolari.

Lo Squalo sembra apprezzare molto il nuovo Shimano
Lo Squalo sembra apprezzare molto il nuovo Shimano

Vecchi “vizi” (o virtù?)

«No, no… Vincenzo è sempre lo stesso – esordisce Tosello – E questa cosa mi ha stupito! Credevo che dopo tanti anni, tante vittorie, avesse perso un po’ il suo piglio. Non dico che mi aspettassi di trovare un ragazzo a cui non gliene fregasse più niente, ma magari che fosse meno concentrato. Invece è il solito pignolo!».

Chi lo conosce, sa che Nibali è un vero appassionato della tecnica a tal punto da essere un buon meccanico. Una volta eravamo al Passo San Pellegrino, lui era in ritiro lassù proprio con l’Astana. Finite le interviste (quella volta toccò a Kangert) ne approfittammo per pedalare tra le Dolomiti anche noi e prima di saltare in sella lui stesso ci regolò il cambio. Fu Agnoli a suggerirci di chiedere a Nibali.

«Vincenzo è il curioso di sempre – riprende Tosello – Osserva ovunque, prende in mano le chiavi, scruta ogni tipo di ruota, esprime la sua su questo o quel cambio».

Gabriele Tosello vede un Nibali sereno, merito anche di un ambiente familiare che evoca grandi imprese
Gabriele Tosello vede un Nibali sereno, merito anche di un ambiente familiare che evoca grandi imprese

Salottino dai meccanici

«Si vede – continua il “Toso” – che è contento di ritrovare quell’ambiente che aveva lasciato e nel quale si era trovato bene. Io lo vedo molto sereno, molto rilassato. Anche qui in Spagna, una volta presi i materiali e avergli sistemato le bici è saltato in sella e non ha avuto nulla da dire. Solo il primo giorno ha abbassato la sella di un paio di millimetri.

«Poi da marzo, con l’avvicinarsi delle sue gare e tutte le altre cose più importanti magari sarà più serio, ma per ora che siamo in ritiro è davvero tranquillo. C’è un buon feeling. Pensate, magari fa quattro ore, rientra e si mette a parlare con noi meccanici. Pochi altri corridori lo fanno».

Tosello parla di un Nibali che chiede. Che dice la sua…

«Abbiamo parlato del nuovo gruppo di Shimano. Mi ha detto che quello nuovo gli piace molto, che lo ha trovato più veloce rispetto a quello dell’anno scorso. Abbiamo discusso delle rotelline di questo cambio».

Filante o 0 SLR?

In questi giorni di ritiro in Spagna Nibali sta provando le diverse bici che Wilier mette a disposizione dell’Astana.

«I ragazzi – continua Tosello – hanno tutti a disposizione una sola bici. Alcuni hanno la Filante, altri hanno la 0 SLR, ma i leader, Moscon, Lutsenko e appunto Nibali, le hanno a disposizione entrambe. Non solo, ma a gennaio, materiali permettendo, loro tre dovrebbero avere anche la versione gravel, la Rave SLR.

«Vincenzo in questi giorni sta cambiando bici a circa metà uscita. Dopo un paio d’ore si ferma e prende la Filante, se è partito con la 0 SLR e viceversa.

«Quale gli piace di più? Credo la 0 SLR, per guida e leggerezza. La sento bene, mi ha detto. Ma ha detto anche che la Filante è meglio per le gare un po’ più veloci. Le misure sono identiche su entrambe.

«Tranquilli, Nibali è sempre sul pezzo!».

Trent’anni di storie, apriamo l’album di “Checco” Villa

08.12.2021
6 min
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Fra una cosa e l’altra, con Francesco Villa abbiamo cominciato insieme: anno 1992. Chi vi scrive, col taccuino in mano. Lui, con le chiavi da meccanico alla Gatorade di Bugno. E adesso che l’inverno sta scendendo e che la sua avventura nel ciclismo delle squadre sta per concludersi, una chiacchierata fra… veterani è quello che ci vuole per passare quest’8 dicembre decisamente freddino.

Per chi non lo conoscesse, smessi i panni del meccanico a fine 2002, Francesco è stato autista dei pullman, dal Team Bianchi con Ullrich, alla Quick Step con Bettini, al Team Cervelo di Sastre e Hushovd, alla BMC delle meraviglie, alla Tinkoff di Sagan e Contador e da ultimo alla Dimension Data, poi NTT e ora Qhubeka che, almeno in apparenza, sta lottando per non sparire. Dite che qualcosa da raccontare la troveremo?

Con Paolo Fornaciari nel fango della Roubaix, la corsa “università” per i meccanici
Con Paolo Fornaciari nel fango della Roubaix, la corsa “università” per i meccanici
Prima squadra?

Gatorade-Chateau d’Ax nel 1992, con Bugno, Corti e Stanga. Carminati guidava il bus. Ci sono rimasto fino al 1994, poi seguii Gianni alla Mg-Technogym e di lì passai alla Mapei. Sempre come meccanico. Poi ho lavorato alla Quick Step e, a parte un anno con la Vittoria, sono stato sempre con le squadre…

Parlaci di Bugno.

Per noi era un riferimento. Nel 1992 avevo 22 anni, ero suo tifosissimo: lavorare per lui era un sogno. Il capo era Giovanni Tonoli, suo meccanico di fiducia. Fu lui a volermi accanto, perché la tradizione era che i vecchi insegnassero il mestiere ai “bocetti”, ai ragazzini. Non lavoravano bene con altri d’esperienza, perché non avevano tempo né voglia di discutere, ma Tonoli era bravissimo a insegnare. Purtropppo morì nel 1993 per un brutto male, a soli 46 anni, e a quel punto Gianni volle portarmi con sé. Un campione cui eravamo affezionati. C’ero nel 1992 quando fece terzo al Tour e anche quando nel 1994 vinse il Fiandre.

Nell’anno di passaggio fra Team Bmc e Tinkoff, Villa ha lavorato per l’assistenza ufficiale Vittoria
Nell’anno fra BMC e Tinkoff, Villa ha lavorato per l’assistenza ufficiale Vittoria
Meccanico e autista del pullman, quali differenze?

Da meccanico entri nel cuore della corsa, sei sull’ammiraglia. Il bus ti dà il contatto più frequente con il corridore. Ci sono momenti in cui stare zitti e quelli in cui dargli coraggio e qualche consiglio, soprattutto ai più giovani. Ma ad esempio le Liegi di Bettini dall’ammiraglia sono indimenticabili.

Storia parallela a quella di Carminati, che abbiamo già raccontato. Cosa ricordi della Mapei?

Era una famiglia. Il dottor Squinzi era presente con il suo appoggio morale, non dava soldi e basta. Quella squadra ha rivoluzionato il ciclismo, anche per l’investimento tecnologico che facemmo con Colnago.

Negli ultimi anni, Villa ha guidato il pullman della Dimension Data, poi diventata Ntt e Qhubeka
Negli ultimi anni, Villa ha guidato il pullman della Dimension Data, poi Ntt e Qhubeka
Eri ancora meccanico, con chi legasti di più?

Molto con Bartoli, ero nell’ammiraglia dietro di lui quando vinse la Freccia Vallone del 1999 sotto la nevicata. Poi Bettini, si vide subito che aveva una gran classe. Paolo, come prima Gianni, devo ringraziarlo perché creò il suo gruppo e pensava prima a noi e poi a se stesso. Parlo di Bramati, Tonti, Zanini, i massaggiatori Cerea e Bignotti, Fausto Oppici come altro meccanico. Ci chiedeva se fossimo a posto e poi andava a firmare il suo contratto.

Iniziasti da autista alla Bianchi, chi ti aveva insegnato a guidare il pullman?

Giacomo Carminati. Mi ha insegnato a guidarlo e ad amarlo, prendermene cura. Mi ha insegnato un mestiere, per questo lo considero come un fratello maggiore.

Cosa ricordi di Ullrich?

Uno dei più grandi corridori che abbia mai incontrato, gradevole come persona. Anche lui, come Bugno, un po’ troppo sfruttato dall’entourage e purtroppo neanche lui aveva grande personalità, come purtroppo si è visto negli anni successivi. Nel 2003 andava fortissimo e gli fecero perdere il Tour dall’ammiraglia. Lui voleva attaccare, soprattutto essendosi accorto che Armstrong non era brillantissimo. Invece continuarono a dirgli di aspettare, così Armstrong tornò forte e vinse anche quella volta.

Alla Tinkoff nel 2016 ha lavorato con Peter Sagan e Alberto Contador
Alla Tinkoff nel 2016 ha lavorato con Peter Sagan e Alberto Contador
La Tinkoff di Contador e Sagan?

Una squadra che senza Riis (il danese fu allontanato da Oleg Tinkoff a marzo del 2015, ndr) si capiva non sarebbe durata. C’era il gruppo di Contador, quello di Sagan, gli italiani… Con Alberto legai parecchio. Nel 2016 fu sfortunato, era già in fase discendente, ma sempre una grande persona. Non si fidava di lasciare le scarpe sul pullman, al massimo lo faceva se le chiudevo a chiave in un armadietto. Aveva paura del sabotaggio, molto diffidente. Lasciava avvicinare inizialmente solo il suo meccanico Faustino, io me ne stavo sulle mie. Non sono un adulatore, se hanno bisogno chiedono loro e alla fine diventammo amici.

Riis però l’hai trovato alla Ntt l’anno scorso…

Una persona molto preparata, che non è stata capita. Io ero abituato a Ferretti e Stanga, non mi faceva paura e lavoravo bene, gli altri hanno fatto fatica e infatti non è durata. Al Tour del 2020 venne al bus e mi disse che dal giorno dopo non avrebbe più voluto vedere lattine di Coca e Fanta, perché i corridori erano grassi. Per me era un’osservazione giusta, gli altri non lo capirono.

Che rapporto hai con il pullman?

E’ la mia casa. Devo pulirla, tenerla in ordine. Ne sono molto geloso, discuto con i corridori che non mostrano rispetto. Per fortuna i campioni aiutano, loro sono sempre i più educati. Sastre era un modello, Cavendish se vedeva disordine, sgridava i compagni: «Siamo in una stalla?». Il pullman per un autista è come il camion officina per il meccanico: serve passione per il lavoro, sennò lo trascuri.

Che rapporto hai avuto con Cavendish?

Grandioso, come con Bettini. Alla Dimension Data si stava spegnendo, ha fatto bene ad andare via ed ero certo che sarebbe tornato. Con Lefevere e Bramati alla Deceuninck-Quick Step la sola ricetta è pedalare, conosco quell’ambiente. Sono contento che abbia firmato per un altro anno, anche con la clausola che non farà il Tour. E poi secondo me certe cose le dicono anche per dargli grinta

Hai scelto di mollare, ti dispiace?

Sicuramente mi mancherà tantissimo. Ma abbiamo due bimbe di 11 e 7 anni e a un certo punto sei costretto a fare delle scelte. Non potevo più fare 180 giorni via, in casa c’è bisogno del papà. Mia moglie non mi ha mai ostacolato, ma vedevo che la fatica per gestirle aumentava. Ho fatto per 30 anni la vita che qualunque tifoso di ciclismo sognerebbe, è giusto che adesso lasci spazio ad altri.

Le bici di Cipollini affidate a “Carube”. Un viaggio nella tecnica

23.11.2021
5 min
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Carube, al secolo Roberto Lencioni (in ammiraglia nella foto di apertura) è stato per anni lo storico meccanico di Mario Cipollini. Quante avventure insieme, quante vittorie e quante bici ha dovuto preparare per Re Leone, toscano come lui.

E certo stare vicino ad un personaggio istrionico come Mario non era facile. Cipollini dava molto e pretendeva anche molto dal suo staff. E poi con la tecnica aveva una sensibilità sopraffina. Ma Carube sapeva come prenderlo.

Mario, alla Del Tongo, sigla il primo dei 42 successi al Giro d’Italia 1989 sul traguardo di Mira
Mario, alla Del Tongo, sigla il primo dei 42 successi al Giro d’Italia 1989 sul traguardo di Mira

Carube davanti a Mario

«Ho iniziato con lui tra i professionisti nel 1989 alla Del Tongo – spiega Lencioni – ma lo conoscevo già da prima perché ero stato meccanico di suo fratello Cesare. E anche da ragazzino, non abitando lontano, lo vedevo spesso. Capitava anche al mio negozio».

«Mario – continua Carube – era pignolo sì, ma non diverso da altri. Certo, non era semplice stargli dietro, ma per me era più facile, poiché conoscendolo sapevo più o meno cosa voleva o avrebbe voluto e così mi “portavo avanti” se usciva qualcosa di nuovo o di particolare. Magari colorazioni delle bici, alcuni materiali da provare. Lui magari ti dava degli input su scelte o materiali e voleva che fossero messi in atto al più presto. 

«E capiva subito se una cosa andava oppure no. Mario saliva in bici, faceva dieci metri e magari ti diceva: questa sella è più bassa di un millimetro. Tu la misuravi ed era più bassa di un millimetro».

La Specialized di Zolder

Della sensibilità di Cipollini un po’ tutti ci hanno parlato. Mario era (ed è) un tecnico sopraffino. Sa come deve essere una bici e soprattutto cosa vuole… da una bici

«In tanti anni per lui ho allestito non so quante bici – dice Carube – ma ricordo in particolare le due del 2002. L’anno della Sanremo e del mondiale. Era la prima volta che lavoravamo con Specialized. Sostanzialmente Mario in quella stagione utilizzò due biciclette: quella appunto della Classicissima, della Gand e delle sei tappe al Giro e quella del mondiale.

«La prima tutto sommato era standard. Così l’avevamo richiesta e così la montai, a parte qualche piccolo intervento per le gare in Belgio, su gomme e ruote. Mentre per il mondiale di fatto fu stravolta».

«Con Specialized preparammo un telaio speciale. Mario voleva una bici che assolutamente non disperdesse energia. E così, su sue indicazioni, i foderi posteriori furono maggiorati. Parliamo di un telaio in alluminio e questi foderi avevano un diametro di 22 millimetri.

«Ma il grande lavoro fu fatto sull’orizzontale. Questo fu abbassato di un centimetro e mezzo, ma soprattutto venne cambiata la sua forma. Specialized all’epoca faceva tubi ovali: questo invece dal piantone partiva tondo e man mano che si avvicinava al tubo di sterzo diventava quadrato. Non fu facile scendere quel centimetro e mezzo, perché poi all’anteriore Mario era molto basso e questo tubo era grande. Si era davvero al limite. Era una soluzione che irrigidiva un bel po’ la bici, ma la rendeva circa 150 grammi più pesanti. 

«Per ovviare a questo aumento di peso, intervenne sulle ruote. E decise di usare delle ruote che non erano in dotazione al team, delle Lightweight, ma anche queste erano state irrobustite per lui».

Nella corsa rosa del 2002 invece si porta a casa ben sei tappe. Qui la sesta a Milano
Nella corsa rosa del 2002 invece si porta a casa ben sei tappe. Qui la sesta a Milano

Re Leone tradizionalista

Davvero uno spettacolo questi aneddoti! Una volta si poteva intervenire con maggior facilità sulla personalizzazione delle bici. Non c’erano i monoscocca. Tanto più che si parla di alluminio…

«Cipollini non ha mai gareggiato con un telaio in carbonio, almeno da quel che so io o finché è stato con me. E ne ha provati… Una scelta sua. Anche dopo che lasciò la Domina Vacanze e passò alla Liquigas, ha utilizzato una bici in alluminio. A quei tempi il carbonio iniziava a fare gola, ma lui non ne voleva sapere. Il carbonio lo ha chiaramente iniziato ad usare dopo… dopo che ha smesso».

Con l’alluminio Re Leone poteva avere la bici a sua immagine e somiglianza: le sue geometrie, le sue misure, la quantità del materiale a seconda dei punti del telaio…

E sugli altri componenti com’era Cipollini? Carube risponde pronto…

«Stava attento a tutto, ma non era così eccessivo come si pensa… Soprattutto dopo che arrivò Specialized, azienda che decise d’investire molto e che aveva un altro modo di fare, ebbe la possibilità di provare molti più componenti, però al tempo stesso si doveva tenere conto delle sponsorizzazioni».

«E poi è vero che era sul pezzo, ma era anche tradizionalista. Le scarpe per esempio. Quando trovava il modello con cui stava bene, non le cambiava fino alla fine. O le selle. Magari ne provava 15, ma tanto alla fine tornava su quella con la quale si era trovato meglio. Pensate che io neanche la toglievo più dal cannotto. La smontavo con tutto il reggisella! Quando rientrava gli rimontavo subito la sua e già sapevo che era a misura».

Oggi Cipollini ha un suo marchio di bici e dietro la progettazione dei telai c’è sempre il suo zampino
Oggi Cipollini ha un suo marchio di bici e dietro la progettazione dei telai c’è sempre il suo zampino

Cipo e le bici di oggi

E oggi Mario Cipollini che bici userebbe? Il meccanico come il massaggiatore è colui che meglio entra nella testa del corridore, e Lencioni lo sa bene.

«Oggi – conclude Carube – Mario vorrebbe una bici che rispecchia quelle che produce (e infatti dietro ogni Mcipollini c’è la sua impronta). Se gareggiasse di certo vorrebbe due bici: una per le corse a cui tiene meno e una per quelle in cui punta.

«La prima sarebbe una bici leggera e confortevole che lo possa agevolare in salita, una bici pensata per risparmiare energie. La seconda sarebbe una bici super rigida, che possa esaltare le sue doti di velocista».

Enrico Pengo, il meccanico che sussurrava alle bici

22.11.2021
4 min
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Lo avevamo lasciato alla fine del 2020 quando, per motivi familiari, aveva salutato la carovana del ciclismo. Ma per Enrico Pengo, storico meccanico della Lampre e della nazionale, era solo un arrivederci. E’ tornato a casa sua, a Camisano Vicentino, per curare il negozio di famiglia, aperto dal padre tanti anni fa. La passione non l’ha persa Enrico, che è nato riparando bici e non vuole smettere di farlo. Tornare non lo preoccupa, come i veri campioni anche lui non perde lo smalto e le capacità tecniche (nella foto di apertura è con Damiano Cunego alla Tirreno-Adriatico del 2011).

Enrico Pengo nell’officina di papà Adriano con Alessandro Ballan: i due sono stati in Lampre dal 2004 al 2009
Enrico Pengo con Alessandro Ballan nell’officina di papà Adriano
Che anno è stato?

Lo definirei un anno di transizione, mi sono occupato della mia famiglia, in particolare di mio papà, che ha avuto un anno complicato ma ora sta meglio. Ho curato la sua attività, un’officina meccanica, nella quale ho imparato tanto all’inizio della mia attività.

Ti manca il professionismo?

Certo, sono stato in quel mondo 29 anni, è stata una fetta importante della mia vita, è logico che mi manchi. Mi sono fermato per una scelta non mia, ma assolutamente doverosa. La mia famiglia mi ha dato tanto ed è stato giusto restituire un po’ di quel tempo che ho sottratto loro negli anni.

Quindi vorresti tornare?

Sì, mi piacerebbe molto. Ho alcuni contatti, ma nulla di certo ancora. Non tornerei a pieno regime come prima, mi basterebbe fare un 40 giorni di corsa, così da non sottrarre troppo tempo agli impegni familiari. Prima ero sempre a blocco, essendo poi capomeccanico ero la figura di riferimento, sempre reperibile. Era giusto fosse così, ma ora non me la sento più di farlo.

Enrico Pengo alla Bahrain
L’ultima squadra nella quale Enrico Pengo ha svolto il ruolo di meccanico è stata la Bahrain. Qui con Agnoli
Enrico Pengo alla Bahrain
La Bahrain è stata l’ultima squadra di Enrico Pengo
Eri alla Bahrain quando hai lasciato, con loro sei rimasto in buoni rapporti?

Ho rescisso il mio contratto con la Bahrain-McLaren a metà 2020 dopo il ritiro sul Pordoi, prima dell’inizio del Tour. Il rapporto con il personale e i corridori è rimasto ottimo, quando Sonny ha vinto la Roubaix l’ho chiamato per complimentarmi…

Sonny ti ha chiesto di tornare?

Ride Enrico, ma non risponde. Glielo avrà chiesto sicuramente. «Tutti mi chiedono come mai io sia a casa – dice -non ho mai divulgato la notizia, sono uscito dalla porta sul retro».

Com’è passare dal WorldTour ad un’officina di paese?

Il mondo in cui ho lavorato e il modo con cui l’ho fatto mi ha dato la credibilità per lavorare serenamente. Non ho problemi, a livello regionale mi conoscono tutti. E’ strano perché anche se sono stato 16 anni in Lampre quando incontro qualcuno che segue il ciclismo mi dice: «Ecco il meccanico della nazionale».

Ti sei mai chiesto il perché?

Ho seguito i vari cittì per 15 mondiali, è la corsa più seguita del panorama ciclistico e quindi rimane nella mente dei meno appassionati.

Per Pengo ben 15 mondiali con la nazionale. Qui con Oppici, Archetti, Franco Vita e Nieri
Per Pengo ben 15 mondiali con la nazionale. Qui con Oppici e Archetti
Con i clienti che meccanico sei?

Mi piace fare questo lavoro in officina, perché entrano sempre persone nuove. Mi diverto a cercare di capire dagli occhi e da come mi presentano la bici che problema hanno e come posso aiutarli.

Aver “perso” un anno potrebbe averti creato dei problemi?

Non penso, dal punto di vista tecnico non ci sono stati molti aggiornamenti. Per esempio: il Dura Ace a 12 velocità è arrivato a fine stagione, quindi pochissimi miei colleghi ci hanno avuto a che fare. Se ci pensate nessun grande marchio (Campagnolo, Sram e Shimano, ndr) tra le stagioni 2020 e il 2021 ha lanciato novità.

Ci sarà qualche prodotto che ti ha “stupito”…

Sì, il tubeless. Sinceramente non mi aspettavo potesse raggiungere questi livelli di affidabilità, sarei curioso di usarlo in corsa.

Insomma, il lupo perde il pelo ma non il vizio.

Archetti, il Giro da casa e il ruolo del meccanico

12.05.2021
6 min
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«Simoni mi faceva impazzire – racconta Giuseppe Archetti, meccanico tra i più esperti del gruppo – “Quello lì” quando si metteva in mente una cosa… ciao! E la dovevi fare…

«La sua bici sulla quale feci più interventi fu quella per lo Zoncolan nel 2003. Certe cose ormai non le ricordo più con precisione, ma di sicuro montò il 38 davanti e mi sembra il 30 al posteriore. Aveva un telaio particolarmente leggero, solo per le salite. Credo che la sua sia stata la prima bici in assoluto dei pro’ a raggiungere il famoso limite dei 6,8 chili, 6,810 per la precisione. E sapete cosa mi disse? Ma quei 10 grammi li possiamo togliere?».

Simoni sullo Zoncolan nel 2003 con la sua Cannondale super leggera
Simoni sullo Zoncolan nel 2003 con la sua Cannondale super leggera

Meno “magie”

Archetti dopo molti anni non è al Giro d’Italia. Il motivo? Scelte tra lui, la Fci e la Uae, la sua squadra, che lo vogliono anche tra gli “azzurri” in partenza per Tokyo. Mastro Archetti infatti è anche il meccanico della nazionale. Quello è l’obiettivo principale e per il quale si sta preparando. Anche lui deve essere in forma per la trasferta a Cinque Cerchi. Con lui cerchiamo di capire se il suo lavoro cambia in vista delle tappe più dure, come ci ha raccontato per Simoni sullo Zoncolan.

Una volta, ma non un secolo fa, 10-15 anni fa, specialmente prima delle tappe più dure e a cronometro, il meccanico poteva essere l’arma in più per il corridore. Era quasi un inventore, forse un artista, di certo un vero artigiano.

«Oggi la figura del meccanico è molto cambiata – spiega Archetti con filo di nostalgia – C’è una tale quantità di materiali e di direttive, di regole da rispettare, che siamo molto più vincolati». Sono finiti i tempi in cui si limavano le viti, si tagliavano i reggisella, si foravano le pieghe manubrio. «Oggi tutto questo è impossibile. Almeno per noi in Uae è così, ma sono certo che vale anche per altri team. Ci sono norme sulla sicurezza e assicurative che certe cose non le puoi fare. 

«Anche per le tappe di montagna il lavoro è lo stesso di una qualsiasi altra tappa, soprattutto se si ha l’uomo di classifica. Si prepara tutto prima di partire. Il giorno che precede il tappone si decidono giusto i rapporti ed eventualmente le ruote da utilizzare. Ormai si fanno i sopralluoghi, si sa tutto prima di partire. A volte è capitato che ci sia andato anche il meccanico a farli, ma ormai lui è più un esecutore di ciò che gli dicono il preparatore e il corridore. Non dico che siamo dei manovali, ma quasi. Una volta per avere una particolare cassetta posteriore per Ivan Basso impazzimmo con Campagnolo, ma riuscimmo a dargliela. Adesso dobbiamo montare ciò che ci danno».

Il peso conta sempre

Movimenti limitati, dunque. Strettamente legati anche alle imposizioni del marketing, però il lavoro del meccanico conta ancora. Specie quando si parla di peso che con i freni a disco è tornato leggermente a salire.

«I 6,8 chili sono la normalità per tutti. O almeno così era prima dei freni a disco. A noi della Uae, Colnago dà la possibilità di utilizzare i freni tradizionali per le tappe di salita proprio per limare quei pochi etti di differenza. Le bici le carichiamo sul camion già prima di partire per il Giro e alla vigilia di quella tappa le tiriamo fuori. Sono già tutte a misura».

Una volta si alzava leggermente la sella, per favorire il riporto della gamba in salita, questione di millimetri che servivano quasi più per la testa che per i muscoli, però si faceva.

«No, nessuno cambia più nulla. Oggi il 99% dei corridori parte con delle misure e le mantiene, anche perché avendo molte bici hanno meno “fisse mentali”. Una volta ne avevano una sola. Pensate che venivano alle corse con la bici con cui si allenavano! Poi ne hanno avute due, una a casa e una alle corse. Adesso ne hanno molte e quindi passano da una specialissima ad un’altra senza troppi problemi. Non utilizzando sempre la stessa avvertono meno eventuali differenze. Differenze che poi con i moderni strumenti per la misurazione praticamente non esistono. L’unica cosa a cui sono ancora sensibili è la sella nuova. Essendo più “dura”, flette meno e può capitare di abbassare il reggisella, ma di un millimetro».

rapporti
Esigenze di alte cadenze portano a pacchi pignoni sempre più ampi: da Sram il 10-33
Rapporti
Esigenze di alte cadenze portano a pacchi pignoni sempre più ampi: da Sram il 10-33

Ruote e rapporti

Ma se non ci si può più inventare nulla e si deve utilizzare il materiale originale che viene fornito, si può scegliere cosa utilizzare. E quando ci sono tappe molto dure o salite estreme il primo intervento chiaramente riguarda i rapporti.

«Oggi in tanti usano il 34 e il 36, la tendenza è quella. Aumenta l’utilizzo del 32 al posteriore. Vedo che però a volte me lo riportano pulito, segno che poi non lo usano. Vale il discorso che più la catena lavora dritta e più si riducono gli attriti. Dicono…

«Mentre sulle ruote noi in Uae abbiamo una regola semplicissima: alto profilo per le tappe di pianura e medio profilo per quelle di montagna. Quindi 45-60 millimetri per chi utilizza i tubeless e 50 i tubolari. Mentre diventano 33 millimetri per i tubeless e 35 per i tubolari. Il set con i tubolari è un po’ più leggero ma la scelta è totalmente soggettiva, spetta al corridore».

La regola di Archetti in questo caso è vera per quel che riguarda la soggettività delle scelte, ma neanche così netta. Come abbiamo visto nelle foto in precedenza solo ieri, verso Sestola, in Uae c’erano almeno quattro setup diversi. E pur essendo salita qualcuno ha usato i freni a disco e l’alto profilo.

«Anche per lo sterrato ormai non si cambia più molto – conclude il meccanico – La bici è quella. Cambiano le coperture. Noi in Uae usiamo orami sempre il 25 o 26 millimetri, magari qualcuno monterà il 28 salendo verso Campo Felice».

Soprattutto quando si parla di tecnica bisogna essere realisti e bisogna prendere atto che nel mondo del ciclismo che si evolve a velocità mai viste prima, anche il ruolo del meccanico sta cambiando. Le “invenzioni” particolari sono sempre meno. Ma come abbiamo visto con i corridori della Uae, per esempio, sono le scelte del tanto materiale a disposizione a fare la differenza e a rendere in qualche modo ancora “naif” l’intervento del meccanico.

Saliamo “nell’ufficio” di diesse e meccanici

09.04.2021
4 min
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Non si viaggia certo comodi in ammiraglia! Le vetture che danno supporto ai corridori sono un’officina vagante per i meccanici e un ufficio per i diesse.

Da un paio di stagioni ormai, in virtù del Covid, si può stare solo in due almeno in certe corse. In Belgio era così. Mentre dietro, sul sedile destro siede il meccanico.

Bici sul tetto, ammiraglia pronta a partire
Bici sul tetto, ammiraglia pronta a partire

Il regno del meccanico

Sedile posteriore destro, dicevamo. Quella è la posizione strategica per poter intervenire sulle bici sporgendosi dal finestrino, o per saltare al volo giù dalla macchina e prenderne una dal tetto. A fianco del meccanico, quindi alla sua sinistra, ci sono ruote, non meno di due coppie, e gli attrezzi, almeno quelli di pronto intervento.

Qui la sistemazione è molto personale e a volte anche legata all’auto stessa. A volte si sfrutta il bracciolo posteriore per porre gli attrezzi di prima necessità: nastro isolante, brugole, olio… E, sotto alle ruote, si mette la cassetta degli attrezzi vera e propria. Altri invece preferiscono tenersi a portata di mano direttamente la cassetta. Anche una pompa o un “trapano”, come è definito in gergo il compressore portatile, non manca mai.

Il meccanico ha il promemoria con la disposizione delle bici sul tetto dei rispettivi corridori
Il meccanico ha il promemoria con la disposizione delle bici sul tetto dei rispettivi corridori

Radiocorsa obbligatoria

Nella parte anteriore dell’auto, chiaramente al posto di guida, siede il direttore sportivo. Gli strumenti principali del suo “ufficio” sono le radio. Sì, sono al plurale: una è quella di radicorsa che le squadre sono obbligate a tenere e l’altra è la radiolina.

L’organizzazione fornisce in sede di riunione tecnica le frequenze di radiocorsa e il team si sintonizza. Da qui si conoscono distacchi, andamento della gara, situazioni di pericolo e soprattutto si è avvertiti se un proprio corridore richiede l’intervento in fondo al gruppo. In quel caso l’ammiraglia richiamata può risalire la colonna e andare verso il corridore stesso e anche le altre vetture sanno che l’auto di quel team risalirà la fila.

Tasche piene di barrette nello sportello del guidatore
Tasche piene di barrette nello sportello del guidatore

Le regole non scritte

«Con le radioline il corridore viene un po’ meno in ammiraglia – dice Giovanni Ellena, diesse dell’Androni Giocattoli – e tutto diventa più veloce. Lui ti chiama per dirti che vuole l’acqua e tu in macchina già ti muovi. Tuttavia per regolamento il corridore deve alzare il braccio altrimenti il giudice non chiama l’ammiraglia in coda al gruppo e le altre vetture non ti lasciano passare facilmente. C’è poi una regola non scritta, di fair play, secondo cui in caso di guasto meccanico e ancora di più di caduta, le altre ammiraglie agevolano il passaggio di quella interessata».

Ruote e attrezzi a fianco al meccanico
Ruote e attrezzi a fianco al meccanico

La radio del team

La seconda radio è, appunto, quella con cui il diesse comunica con i propri corridori. Anche questo strumento è ormai un must. 

In più spesso si monta un tablet (le auto più moderne hanno direttamente un video) per seguire le gare dalla tv, un ulteriore modo per essere costantemente aggiornati in tempo reale. A volte gli schermi possono essere due: in uno c’è la gara e in un altro l’altimetria o la planimetria del percorso collegata al Gps per avere sempre sotto controllo il punto in cui ci si trova e magari dare indicazioni ai corridori. Per esempio: fra cinque chilometri inizia la salita. Oppure: attenzione perché dopo quella svolta troviamo vento laterale.

Ma se il meccanico non se la passa benissimo al diesse non va meglio. Lui deve anche pensare ad un rifornimento di soccorso. Ormai tutti i team riempiono la tasca dello sportello sinistro di barrette e gel. Tra l’altro, in alcune gare è imposta la regola del separé: si tratta di una “tendina” di plastica trasparente che divide i sedili anteriori da quelli posteriori a causa del Covid.

Il bagagliao con il frigo portatile e le borse del freddo
Il bagagliao con il frigo portatile e le borse del freddo

Bagagliaio full

E poi c’è il bagagliaio. Nella parte a ridosso dello schienale, quindi “facilmente” raggiungibile dal meccanico, viene posto un frigo “stile campeggio” con acqua e borracce. Questo in alcuni casi si trova anche nel sedile anteriore del passeggero, nella parte dei piedi, se si viaggia solo in due. 

Ci sono poi tutte le borse del freddo dei corridori in gara. Borselli tipo portascarpe, ma un po’ più grandi, nei quali ogni corridore prepara del vestiario di emergenza in caso di pioggia, freddo, caduta, ritiro. E sopra alle borse del freddo ancora altre coppie di ruote.