Tappa (un po’) noiosa e una domanda: chi vince il Tour?

16.07.2023
5 min
Salva

SAINT GERVAIS MONT BLANC – Chi lo vince il Tour? Se neanche la salita finale di questa tappa è servita a scavare un solco, significa che Vingegaard e Pogacar sono davvero identici. Speriamo che nessuno si offenda, ma la tappa è stata piuttosto noiosa e priva di pathos: ci siamo abituati forse troppo bene? Oggi intanto ha vinto Wout Poels, che ha tirato nei Tour di Froome e quello di Bernal e adesso si è preso il gusto di togliersi di ruota il Wout più famoso. Quando l’olandese della Bahrain Victorious ha attaccato, Van Aert ha preferito restare seduto e salvare il secondo posto.

Wouter Poels ha lavorato per tanti vincitori di Tour, ma non aveva mai vinto una tappa. Ci è riuscito a 35 anni
Wouter Poels ha lavorato per tanti vincitori di Tour, ma non aveva mai vinto una tappa. Ci è riuscito a 35 anni

Ellingworth: «Decide la crono»

Chi lo vince questo Tour? Abbiamo approfittato di un giro fra i pullman per chiederlo ad alcuni manager. Il primo è Rod Ellingworth, il capo della Ineos Grenadiers, che il Tour l’ha vinto per sei volte con Wiggins, Froome e Bernal e al momento è in lizza con Carlos Rodriguez per un posto sul podio.

«Penso sia abbastanza chiaro – dice – che Pogacar e Vingegaard sono davanti a tutti gli altri. Invece per il terzo posto, c’è una bella lotta. Carlos si sta solo concentrando sul fare il suo meglio ogni giorno, facendo bene le cose semplici, come si è visto oggi in salita. Non sta pensando al podio. E’ salito il più velocemente possibile e quando li ha presi non si è seduto. Pensavamo che fosse in grado di entrare tra i primi cinque e siamo sulla buona strada. Ma è il primo Tour e con questi giovani non si sa mai, può darsi che un giorno spenda troppo o commetta qualche piccolo errore di alimentazione.

«Credo che fra i primi due il lato fisico sia sempre l’elemento più importante. Ogni squadra ha la propria filosofia e anche noi siamo stati vicini a vincere il Giro. Chi vincerà fra loro due? Penso che siano entrambi simili. Penso che la cronometro mostrerà chi ha la forma migliore. E’ una corsa che piace, ci sono tutti gli ingredienti. Ogni Tour ha la sua storia, semplicemente bisogna accettarla come viene».

Anche oggi Rodriguez è rientrato sui primi due, rinforzando il suo terzo posto dall’assalto di Adam Yates
Anche oggi Rodriguez è rientrato sui primi due, rinforzando il suo terzo posto dall’assalto di Adam Yates

Matxin: «La battaglia continua»

Matxin è il team manager di Pogacar, la sua testa spunta da una selva di microfoni. Stamattina la riunione sul pullman del UAE Team Emirates è durata parecchio, segno che in pentola qualcosa bollisse.

«Non leggo il futuro – sorride – non potevo sapere che sarebbero arrivati alla crono quasi alla pari. Ovviamente per noi era una tappa importante. Abbiamo avuto una grandissima squadra che ha creduto in Tadej. Adam Yates prima ha provato a fare il podio, poi si è rimesso a disposizione. 

«Non sono stupito invece per il fatto che Tadej sia arrivato al Tour dopo due mesi senza correre e sia così competitivo. E’ il numero uno al mondo, è un corridore che quasi vince ogni corsa che fa. Però ha davanti il vincitore dell’ultimo Tour de France. Vingegaard è uno dei migliori corridori del mondo. La crono sarà davvero molto buona per entrambi, la battaglia continua. I 10 secondi che oggi sono pochi, magari a Parigi potrebbero essere tanti. La crono di martedì non è simile a quella con cui vincemmo il Tour del 2020. Questa sarà molto più tecnica».

Yates ha prima attaccataoo per puntare al podio, poi si è rimesso a disposizione di Pogacar
Yates ha prima attaccataoo per puntare al podio, poi si è rimesso a disposizione di Pogacar

Vingegaard: «Oggi un pareggio»

Gli uomini della Jumbo sono andati diretti in hotel, per cui il loro punto di vista ce l’ha dato direttamente Vingegaard, acchiappato dopo l’arrivo e poi nella conferenza stampa.

«Oggi c’è stato un pareggio – analizza la maglia gialla – nessuno è riuscito a guadagnare tempo. Era una tappa decisiva, come lo saranno la crono, mercoledì a Courchevel e sabato a Le Markstein. E’ stata una bella giornata, resa difficile dalla caduta che ha coinvolto tre compagni di squadra. Sarebbe bello che i tifosi capissero che le foto si possono fare ugualmente stando sul marciapiede e non in mezzo alla strada. 

«Crediamo ancora nel nostro piano. Si può sempre fare meglio, probabilmente nessuno di noi sa quale sia il suo limite, ma deve cercare di avvicinarsi il più possibile. Ora mi concentrerò su quello che devo fare, impegnandomi per andare più forte possibile nella crono. Ma prima mi riposerò e trascorrerò del tempo con la mia famiglia, che verrà a trovarmi».

La notizia del giorno è il distacco prematuro di Kuss, penalizzato però da una caduta
La notizia del giorno è il distacco prematuro di Kuss, penalizzato però da una caduta

Unzue: «Occhio al Col de la Loze»

Unzue è il grande capo del Movistar Team, che in avvio di Tour ha perso Enric Mas e adesso è qui che fa la corte a Carlos Rodriguez: un tema tuttavia su cui Eusebio non intende sbilanciarsi.

«Sono uguali – sorride – e superiori agli altri. Mi ricordano Fignon contro Hinault, oppure Fignon contro Lemond, però fra quelli c’erano comunque delle differenze che qui non ci sono. Il primo giorno ho pensato che fossero pazzi perché cercavano gli abbuoni, ma quelle piccole differenze sono il margine che li divide ancora oggi. Solo nel primo giorno sui Pirenei, Jonas ha guadagnato quasi un minuto, poi parità assoluta.

«La crono sarà importante, ma restano due grandi tappe di montagna. Il Col de la Loze è una salita lunga un’ora, la più lunga dell’intero Tour. E poi i Vosgi alla fine che, anche con il caldo, possono rendere bestiale la tappa numero 20. Le squadre sono equilibrate, ma rispetto allo scorso anno a Vingegaard mancherà Roglic, che fu decisivo nel giorno chiave. Credo però che quel giorno la maglia gialla abbia imparato tanto. Diciamo che la crono dirà chi dei due dovrà rischiare tutto con un attacco».

Pianeta giovani: con Matxin tra scouting, crescita e squadre

06.04.2022
5 min
Salva

Capitolo giovani e scouting, come non poteva esserci Joxean Fernandez, per tutti Matxin? Il basco è uno dei team manager della UAE Emirates ed è un vero esperto in quanto a ragazzi. Ha l’occhio lungo, una profonda conoscenza e una grande passione. Il suo modo nel giudicare un corridore è a 360°. I valori fisici dell’atleta sono importanti, ma la valutazione va fatta nel complesso e tiene conto anche della sensibilità della persona e del suo carattere… non solo in bici.

Sapevamo che Matxin aveva sotto controllo diretto almeno una ventina di corridori, beh… ci sbagliavamo: ne ha molti di più. 

Come accennato lo spagnolo non guarda solo gli ordini d’arrivo. Molto spesso infila il casco, sale in moto e con le staffette della corsa si butta nel gruppo dei ragazzi. Tempo fa ci disse: «E’ fondamentale osservarli in modo diretto. Come reagiscono ai momenti di difficoltà, come tengono il testa a testa, come si muovono in gruppo».

Matxin (classe 1970) è uno dei team manager della UAE Emirates. Ha scoperto molti talenti, l’ultimo è Ayuso
Matxin (classe 1970) è uno dei team manager della UAE Emirates. Ha scoperto molti talenti, l’ultimo è Ayuso
Ma adesso Matxin come fai a seguirli visto che sei sempre più impegnato con la UAE Emirates? 

E’ sempre più difficile infatti. Per questo parlo molto con i diesse delle squadre, con qualche organizzatore di fiducia e chiedo loro come è andata la corsa. Non guardo solo al risultato perché tra i giovani spesso la gara ha certo un andamento, non c’è il controllo come tra i professionisti. Tutti hanno e devono avere le loro chances. Spesso va via la fuga. Guardate anche l’altro giorno quando ha vinto Lorenzo Milesi. Quindi non conta solo il risultato, ma anche come questo arriva.

Come fai a capire qual è la squadra giusta per quel corridore? Come proponi il ragazzo al team?

Questa è una cosa molto importante. Trovare una squadra adatta significa molto. Se ho tra le mani un ragazzo norvegese non lo piazzo, nel limite delle possibilità, in una squadra latina. Fa fatica ad ambientarsi. Ma uno spagnolo che già parla bene inglese, magari lo mando nella squadra di Axel Merckx. Dipende molto dal ragazzo stesso e non solo dal suo essere corridore.

Cioè?

Nicolas Gomez, che ora è alla Colpack-Ballan, per esempio aveva bisogno di un ambiente latino. In teoria, essendo un velocista poteva anche stare bene in una squadra belga. Ma probabilmente quello non era il suo ambiente migliore, non lo era per il suo carattere.

La Bardiani Csf Faizanè ha iniziato un progetto giovani, ma il loro scouting mira più al “mercato” italiano
La Bardiani Csf Faizanè ha iniziato un progetto giovani, ma il loro scouting mira più al “mercato” italiano
Si parla spesso di juniores che fanno subito il salto tra i pro’, magari pensiamo ad una Bardiani-Csf-Faizanè che ha messo su il settore U23, come fai a capire chi è pronto e chi no?

Non siamo tutti belli, né tutti brutti: non si può generalizzare. Per qualcuno può essere presto, per altri prestissimo, ma puoi provare. Anche per Ayuso era presto per passare in un grande team, forse anche per la Colpack, ma poi ci parli e ti rendi conto che non stai dialogando con uno di 16-18 anni, ma con un ragazzo che è almeno due passi più avanti degli altri. Devi quindi fare un “Doc” (una documentazione, ndr) per ognuno. E capire: chi può andare in Belgio, chi può passare pro’, chi deve restare dov’è, chi andare tra gli under 23. Devi ascoltare anche i loro manager, per trovare il posto giusto.

Hai nominato la parola manager: però loro hanno altri interessi riguardo ai ragazzi. Per loro sono tutti forti…

E’ importante avere un buon rapporto con loro, i manager. Le squadre vogliono i migliori. Devi parlare con fiducia e riuscire ad individuare la scelta giusta e questo poi si ripercuote anche a livello contrattuale. Spesso succede che un ragazzo proprio nel passaggio, nei primi tre anni, sbagli squadra. Non riesce ad esprimersi e perde due, tre stagioni. E questo è un ostacolo alla sua crescita, ma anche alla sua forza contrattuale. A 26 anni, infatti, ti pagano per quello che hai fatto (nel bene e nel male, ndr), a 21-22 per quello che puoi fare.

Tu controlli circa 20 juniores, giusto?

Venti? Venti per Paese almeno…

Quindi ormai hai una tua rete chiaramente: non puoi seguirli tutti da solo?

No, ho dei contatti. Con qualcuno parlo direttamente, altri mi contattano, parlo come ho detto con i vari direttori sportivi. Per esempio, in questi anni abbiamo osservato 100 colombiani. C’è un ragazzo che va bene e voleva venire in Europa. L’ho portato in una squadra spagnola anziché in un altro Paese. E poi anche il team dove va deve essere convinto di prenderlo.

La fuga è un elemento fondamentale per l’osservazione dei ragazzi: impossibile giudicare le categorie giovanili solo dagli ordini d’arrivo
La fuga è un elemento fondamentale per l’osservazione dei ragazzi: impossibile giudicare le categorie giovanili solo dagli ordini d’arrivo
In che senso?

Se prendi un colombiano devi assicurarti che la squadra abbia un buon budget, perché se il ragazzo ha bisogno di tornare a casa due, tre volte l’anno gli si deve pagare il volo (o comunque deve potervi far fronte, ndr). Poi magari c’è anche quello che riesce a stare fuori casa tutto il tempo. Io come tecnico valuto il corridore, ma devo vedere anche il lato umano.

Tra la esperienza e la tua vasta rete di ragazzi visionati, non avete pensato di fare un team giovanile in UAE Emirates?

Lo abbiamo pensato e l’idea piace, però ci sono dei pro e dei contro. Fra i pro c’è che chiaramente riesci a controllare e a visionare i ragazzi in modo più semplice e diretto. Il contro è che non sempre porti tutti quei corridori in prima squadra. Faccio un esempio. Io di quel gruppo ne ho tre bravi, ma ho spazio solo per due. Alla fine il terzo va da un altro e gliel’ho cresciuto io. O al contrario sei tu che ne vai a pescare uno da un altro team. E poi devi fare anche un bilancio sportivo.

Cioè?

Per esempio ho tre scalatori forti, ma serve un velocista e tu non ce l’hai, sei costretto a prenderlo da un altro. Servono tutti i tipi di corridori: chi tira, chi porta avanti lo sprinter, lo scalatore… Deve essere bilanciato un team. Anche così decidi chi prendere e chi no.

Soler e Pogacar: un binomio vincente fin da subito

22.03.2022
4 min
Salva

Una frase di Marc Soler al termine di una tappa della Tirreno-Adriatico, vinta dal suo compagno Pogacar, ha acceso il nostro interesse. Lo spagnolo ha detto che lavorare per Pogacar è facile e che è contento di essere alla UAE Team Emirates. Incuriositi da queste parole abbiamo chiesto a Matxin, team manager della UAE, come sono andati i primi mesi di Marc Soler accanto a Tadej. 

Matxin e Soler si conoscono da molti anni, da quando Marc vinse il Tour de l’Avenir nel 2015
Matxin e Soler si conoscono da molti anni, da quando Marc vinse il Tour de l’Avenir nel 2015

Un lungo corteggiamento

Uno scudiero accanto al principe sloveno, questa è la descrizione pensata dopo l’approdo di Soler alla corte di Matxin. Ma l’interesse per il corridore spagnolo parte da lontano…

«Non c’è stato un vero e proprio primo contatto per portarlo qui – dice Matxin – io Marc lo conosco da quando correva nei dilettanti e vinse il Tour de l’Avenir (nel 2015, ndr). L’ho sempre ritenuto un corridore forte, tant’è che ho provato a portarlo da me già anni fa, ma senza riuscirci».

Soler è stato fondamentale per la conquista della Tirreno da parte di Pogacar, soprattutto nelle tappe di Bellante e del Carpegna
Soler è stato fondamentale per la conquista della Tirreno da parte di Pogacar

Accanto da subito

Nella conferenza stampa di presentazione si era parlato di cercare un feeling con Pogacar, provando ad entrare subito in sintonia.

«Marc e Tadej – riprende il team manager – si sono ritrovati in stanza insieme fin dal primo ritiro. E’ stata una mia decisione, volta a farli conoscere e metterli subito in contatto. Dovranno stare parecchio vicini nel corso della stagione. I due si sono subito trovati bene insieme, me lo ha detto lo stesso Marc. Non è difficile stare accanto a Pogacar, anzi direi che è molto facile, lui ha un carattere gentile e molto umile che ti mette una gran voglia di lavorare con lui e per lui».

Non mancheranno le occasioni per cercare il successo personale, ora è al Catalunya dove ha chiuso la prima tappa al 30ª posto
Non mancheranno le occasioni per cercare il successo personale, ora è al Catalunya

Ad ognuno i suoi spazi

Per Marc però non mancheranno le occasioni per mettersi in mostra e provare a fare risultato. In questi giorni correrà la Volta Ciclista a Catalunya provando a prendersi un po’ di spazio.

«Lo si era già detto nella conferenza stampa di inizio stagione – prosegue Matxin con voce viva – per Marc ci saranno anche le occasioni per provare a vincere. La nostra filosofia di squadra è differente, siamo consapevoli delle qualità di Tadej, ma non per questo lui è il nostro unico capitano. Il trattamento in squadra deve essere uguale per tutti, dal primo al migliore, non dico ultimo perché qui non c’è una gerarchia.

«La nostra è una filosofia che paga – riattacca immediatamente – considerate che abbiamo ottenuto 20 vittorie con 9 corridori diversi fino a questo momento. Il programma per Marc prevedeva di fare la Parigi-Nizza da protagonista (corsa che ha già vinto nel 2018, ndr). Tuttavia lui stesso ci ha detto che avrebbe preferito fare la Tirreno accanto a Tadej per aiutarlo a conquistare uno dei primi obiettivi della stagione».

L’arrivo di Soler è un rinforzo importante in vista della prossima sfida del Tour
L’arrivo di Soler è un rinforzo importante in vista della prossima sfida del Tour

Spalle larghe

L’arrivo in squadra di un corridore come Soler è legato anche al fatto di avere un maggior supporto durante il Tour de France. La UAE negli anni ha subìto qualche critica per il poco supporto fornito a Pogacar.

«Sinceramente – dice Matxin – non ho mai dato peso alle critiche, che poi non le chiamerei così, sono opinioni ed ognuno ha la sua. Come si dice nel calcio: “Ogni volta che gioca la nazionale siamo tutti cittì”, questa cosa vale anche nel ciclismo. Soler è un corridore di grande esperienza e con una grande capacità di lettura della corsa. Nella squadra non abbiamo solo lui, ma il suo arrivo ci ha permesso di aggiungere un tassello importante al nostro puzzle».

«In Spagna un corridore come Marc lo definiamo come “talante” ovvero un mix di talento e carattere. Lui, di entrambe le cose ne ha da vendere e questo mi piace molto. E’ un corridore che non teme le sfide anzi, lo esaltano».

In viaggio con Matxin nel mondo di Ayuso, maglia rosa del Giro

08.06.2021
6 min
Salva

Siamo sicuri che Ayuso non sia italiano? Magari qualche nonno… Matxin si fa una risata, ma la bandiera non cambia.

«E’ spagnolo – dice – ma l’ho mandato a correre da voi perché impari realmente la mentalità italiana. Correre con furbizia. Correre con intelligenza. Vedere le cose prima che succedano. Vedere che se uno ti attacca sulla cima dello strappetto e ti dà un minuto in discesa, anche se hai le gambe come è successo ieri, è un po’ tardi. Queste cose è importante che le capisca bene…».

La vittoria di ieri a Sestola, che ha reso a Juan Ayuso la maglia rosa (foto Scanferla)
La vittoria di ieri a Sestola, che ha reso a Juan Ayuso la maglia rosa (foto Scanferla)

A San Pellegrino Terme, dove… qualche anno fa Roberto Menegotto infilzò Beppe Guerini nel Giro d’Italia del 1992 che avrebbe premiato Marco Pantani, questa volta ha vinto Alois Charrin, francese ventenne della Swiss Racing Academy, alla prima vittoria di rilievo. La maglia rosa è rimasta invece sulle spalle di Juan Ayuso, che dopo la vittoria di ieri a Sestola, ha perso due secondi da Johannesen e Vandenabeele, ma resiste saldamente al comando.

In gruppo lo spagnolo del Team Colpack viene guardato con rispetto e crescente soggezione. E se il suo allenatore Inigo San Millan a inizio stagione ce ne aveva parlato come di un piccolo fenomeno, ci è venuta la curiosità di parlarne con colui che l’ha scoperto e portato alla Uae Team Emirates, dove approderà subito dopo il Giro d’Italia U24: lo stesso Matxin Joxean Fernandez, uno dei dirigenti del Uae Team Emirates.

Matxin è uno dei dirigenti del Uae Team Emirates: qui con Pogacar alla Vuelta 2019
Matxin è uno dei dirigenti del Uae Team Emirates: qui con Pogacar alla Vuelta 2019
Quando l’hai conosciuto

Quando era allievo. Io seguo tutte le categoria da una vita. C’era Carlos Rodriguez che vinceva tanto, mentre lui che aveva un anno in meno ogni tanto portava a casa le sue corse. Al secondo anno da allievo però ha cominciato a vincere tanto anche lui, così l’ho mandato in una squadra che mi ha sempre aiutato, che si chiama Club Ciclista Besaya-Bathco e sta in Cantabria, in cui correva anche Oscar Freire da junior.

E da junior sempre vincente?

Alla vigilia del primo anno l’ho invitato al training camp di dicembre con noi. Lo facevamo nella zona di casa sua, vicino Alicante. Era tutto a posto, ma due giorni prima mi telefona e mi dice che lo ha chiamato anche la Movistar per invitarlo al loro ritiro. Non sapeva cosa fare, perché aveva parlato sempre con me. E io gli ho detto: «Vai pure, così conosci altre squadre e altre mentalità. Va bene anche per te». Doveva stare con noi per due settimane, aveva un bel periodo di vacanze. Lui studia con il sistema inglese. Suo papà è responsabile di un’azienda americana e per un po’ l’ha portato a vivere negli Stati Uniti, per quello nella sua famiglia tutti parlano un inglese… perfettissimo.

Dunque è venuto da voi o con Unzue?

E’ stato un po’ con noi – sorride Matxin – quindi è andato alla Movistar per un paio di giorni e poi è tornato con noi. Raccontò che gli erano stati vicini, senza parlare mai di contratto. Così, quando ha cominciato a vincere le corse da junior, abbiamo fatto un test e abbiamo visto i suoi numeri.

A San Pellegrino Terme oggi vittoria del francese Charrin (foto Isolapress)
A San Pellegrino Terme oggi vittoria del francese Charrin (foto Isolapress)
Buoni numeri?

Ottimi, abbinati a un atteggiamento a livello personale e di attitudine personale, per cui sembrava un uomo fatto nonostante avesse 16 anni. Era già un ragazzo con molta intelligenza e con carattere. A quel punto, visto che sapeva anche vincere, gli ho detto: «Ci conosciamo da due anni e mezzo, se vuoi ora ti facciamo un contratto».

E lui?

Ha voluto sapere altro. Così gli ho spiegato: «Per me la situazione perfetta sarebbe fare la pianificazione sportiva della tua carriera. Non della tua carriera con noi, ma della tua carriera in generale». Per cui gli abbiamo proposto un contratto di cinque anni, in cui il primo sarebbe stato in una continental. Non una professional, per cercare di continuare la sua mentalità vincente. Andare alle corse per vincere, fare un passo intermedio prima di una WorldTour. «Non voglio che perdi la mentalità vincente, la grinta vincente».

L’ha accettato subito?

Ha capito. Voleva passare direttamente, ma sarebbe stato irrealistico pensare che potesse vincere subito. «Invece se vai a correre con gli U23 – gli ho detto – puoi controllare i rivali e avere ancora le aspettative e la prospettiva di vincere».

Quindi non ti stupisci che sia già così vincente?

Vi meravigliate voi – ghigna Matxin – io no!

Secondo San Millan è presto per definire i suoi ambiti.

Lui di base è uno scalatore. E’ un corridore che ha uno spunto di velocità abbastanza alto, tanto da aver vinto un campionato spagnolo in una volata di gruppo, perché ha anche una visione di corsa spettacolare. Abbiamo parlato di venire in Italia, perché volevo che imparasse il ciclismo italiano. A vedere le cose prima che succedano, a essere furbo, a posizionarsi bene.

Ayuso è venuto al Giro per provare a vincerlo, dice Matxin: farà il suo meglio (foto Scanferla)
Ayuso è venuto al Giro per provare a vincerlo: farà il suo meglio (foto Scanferla)
Perché la Colpack?

Ti dico la verità, questo non lo sa nessuno. La prima volta che si è parlato di squadra, lui doveva andare con Axel Merckx, come avevamo fatto con Narvaez, con Almeida e con Remco Evenepoel, anche se poi lui non ci è andato. C’è un bel rapporto con Axel, l’accordo di portargli alcuni bei corridori e Ayuso doveva essere uno di quelli. Ma Axel in quel momento non aveva squadra e così abbiamo deciso di sentire Valoti.

E lui?

Mi viene da sorridere. Lo chiamo e gli dico: «Ti do un corridore fatto così e così». E lui comincia a dire che non sa se hanno posto. Gli ho detto che non era una questione di spazio, che questo era un regalo.

Credi possa vincere il Giro U23?

Senza essere arrogante, credo che abbia i numeri per farlo. Quello è l’obiettivo di cui abbiamo parlato all’inizio: andare al Giro d’Italia per vincerlo. Poi passerà con noi e dopo andrà a correre il Tour de l’Avenir, ovviamente con l’aspettativa di fare il meglio possibile. Che vinca o no, dipende dalle circostanze, una caduta, un episodio. L’altro giorno per me poteva vincere anche la crono, se non gli si sposta la sella al primo chilometro… E’ già buono che non abbia subito danni muscolari pedalando con la sella all’insù, che gli avrebbero impedito di fare bene il giorno dopo. Credo che avrebbe vinto. E’ un corridore con livelli per fare bene tutto.

A San Pellegrino stasera la visita di Mauro Gianetti, general manager Uae Emirates
A San Pellegrino stasera la visita di Mauro Gianetti, general manager Uae Emirates
Si sa già cosa farà dopo il Giro?

E’ tutto definito per i prossimi cinque anni. Doveva fare l’Austria, che è stato cancellato. Andrò negli ultimi due giorni di Giro a parlare con lui. Farà corsette e corse WorldTour per scoprirne il livello. Non la Vuelta, ma San Sebastian, Plouay, Canada. Corse di un giorno e altre più piccole per vedere quale sia il suo livello.

Non sembra uno che abbia paura…

Sentite: ha una testa spettacolare. Una cosa che pochi corridori hanno. Non solo pensa come un campione, questo è un leader. Pensa come tale. Pensa per se stesso e per i compagni. Se deve dire una cosa, si prende la responsabilità. Non soffre la pressione e parte sempre per vincere. Godetevelo, è bello anche da seguire.