Moschetti, la vittoria fra un aereo e il successivo

22.03.2021
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Matteo Moschetti ha vinto a Sesto Fiorentino la corsa di Amici dedicata ad Alfredo Martini. Quello che pochi sanno è tuttavia che il milanese, che oggi ci risponde dal Belgio dove mercoledì correrà De Panne, la vera corsa ha dovuto farla per aeroporti tutta la settimana precedente. Questo racconto spiega per sommi capi che forma possa avere a volte la vita di un professionista, nonostante il tanto parlare che si fa di preparazione, alimentazione e tutto quello di cui abitualmente si scrive. L’ultimo giorno normale nella settimana di Moschetti è stato infatti il martedì, ultima tappa della Tirreno-Adriatico: il giorno della crono.

«Non avendo mire di risultato – sorride – l’ho corsa con impegno per chiudere bene la settimana, ma con lo spirito dell’ultimo giorno di scuola, quando tutti vogliono andare a casa. Per cui mi sono svegliato, ho fatto una colazione normale, neanche troppo abbondante…».

L’abbraccio con Mosca, che sabato ha aiutato Stuyven a Sanremo e domenica Moschetti in Toscana
L’abbraccio con Mosca, che sabato ha aiutato Stuyven a Sanremo
In cosa consisteva?

Avevamo due orari, quello per la colazione e quello per il pasto prima della crono. Io ho preferito fare un solo pasto 4 ore prima della partenza e ho mangiato cereali, un’omelette e una fetta di pane con la marmellata. Uno sforzo del genere, 15 minuti a tutta quindi violento, andrebbe fatto quasi a digiuno.

Dopo la crono subito a casa?

Ci hanno accompagnato in 5 ore di macchina fino a Malpensa e abbiamo dormito lì. Il giorno dopo avevamo il volo per Bruxelles, con scalo a Monaco e c’erano anche parecchi altri corridori. Per cui sveglia alle 6 e via con la valigia in aeroporto, mentre le bici erano state spedite con un mezzo via terra. Il primo volo è andato liscio, decollava intorno alle 7,30-8, e siamo arrivati a Monaco.

Da come lo racconti, adesso arriva il colpo di scena…

Lo scalo era di 30 minuti, per cui siamo arrivati, hanno preso il bagaglio ma la hostess si è accorta che il nostro tampone, fatto alla Tirreno-Adriatico, era scritto in italiano. Ha detto che ammettevano fra le altre lingue l’inglese, lo spagnolo e il tedesco, ma non l’italiano. Anche se negativo in inglese è negative e si capisce benissimo. Anche un corridore della Uae era nella stessa situazione. Ho chiamato subito il dottor Magni, ma nel tempo che lui sentiva il laboratorio, hanno chiuso il gate e scaricato i bagagli. Parlando con la squadra, abbiamo deciso di dormire a Monaco e di prendere lo stesso volo il giorno dopo.

Sul podio di Per Sempre Alfredo, Moschetti davanti ad Aristi e Zambelli
Sul podio, Moschetti davanti ad Aristi e Zambelli
Insomma, alla fine in Belgio ci siete arrivati?

Il giorno dopo alle 14. Ci hanno portato in hotel, abbiamo fatto 40 minuti di rulli e poi di corsa siamo andati a fare un altro tampone rapido, richiesto prima della corsa. E così si è fatto giovedì sera, il venerdì abbiamo corso.

Con le gambe belle morbide, ovviamente…

Cosa ve lo dico a fare? In più sono partiti subito a tutta con i ventagli, quindi non c’è stato nemmeno il tempo di riscaldarsi e considerato che non facevo un allenamento serio da tre giorni. Comunque siamo andati anche bene, Pedersen è arrivato secondo e la sera ci hanno portato di corsa a Bruxelles. Notte in hotel e la mattina dopo alle 11 del sabato ero di nuovo a Malpensa, dove un massaggiatore mi ha caricato e mi ha portato a Firenze.

Arrivato e subito in bici?

Mi vergogno un po’ a dirlo a questo punto, ma siamo arrivati che mancavano 20 chilometri alla fine della Sanremo e mi sono fermato a vederla. Ha vinto un compagno, Stuyven, per cui abbiamo aspettato il podio. E a quel punto si era fatto tardi, erano le 17. E d’accordo con il mio allenatore e con Paolo Slongo, che era lì come direttore sportivo, si è deciso di fare altri 40 minuti sui rulli per sudare un po’. Inserendo anche una fase bella intensa. E poi finalmente ho fatto i massaggi, che davvero mi mancavano.

E il giorno dopo hai vinto…

Chiaramente mi rendo conto che il campo dei partenti non fosse eccezionale, ma per i ragazzi delle continental quelle sono le poche occasioni per mettersi in luce, ci sono passato anche io. E quando tutti vogliono vincere, vincere non è mai facile. A livello psicologico è stato importantissimo. Qualcuno ha criticato questo andare su e giù, preferivano non corressi domenica, ma era un’occasione e ho voluto coglierla.

Nonostante il lungo stop, le capacità di Moschetti sono intatte (foto Instagram)
Nonostante lo stop, le capacità di Moschetti sono intatte (foto Instagram)
Come stai adesso?

Bene, ovviamente un po’ stanco per via dei viaggi, ma sento di stare meglio che nelle settimane passate e che il lavoro di una corsa come la Tirreno-Adriatico sta dando comunque i suoi frutti. Ero già partito benino. Al Tour de la Provence avevo centrato due top 10 e alla Tirreno ho fatto una grande fatica, anche perché era la prima corsa dall’incidente fatta a quel modo e con corridori di quel livello. Adesso non posso dire di aver recuperato, ma se non altro domani non devo viaggiare e mercoledì si corre, prima di tornare ancora una volta a casa.

Ma allora tanto parlare di preparazione e alimentazione in certi casi va a farsi benedire?

Bisogna sapersi arrangiare. Sugli aerei chiaramente non si mangia, perché sono voli corti e a meno che tu non sia un vip, là dietro non ti danno neanche più la bottiglietta d’acqua. Non è facile gestirsi. Si va avanti con insalate e panini e soprattutto nei giorni prima della corsa devi saper fare con quello che trovi e che possa in qualche modo essere funzionale alle tue necessità.

Moschetti in allenamento, preparando la prima vittoria (foto Instagram)
Moschetti in allenamento, preparando la prima vittoria (foto Instagram)
Ad esempio, la sera dopo la corsa in Belgio?

Ero in hotel all’aeroporto di Bruxelles, con il ristorante chiuso e il room service non era troppo adatto a uno sportivo. In quei casi mangi ciò che capita oppure vai a letto digiuno.

E dopo la vittoria di Firenze, di nuovo hotel a Malpensa?

No, questa volta sono andato a casa dei miei, così ho potuto salutarli e poi l’indomani sono partito.

Prossime corse?

Torno in Italia dopo De Panne e poi torno su per fare Scheldeprijs, che si corre tra il Fiandre e la Roubaix, se la Roubaix davvero si farà. Mi sento finalmente bene, anche se sono lontano dal mio top.

Hai più sentito Fabrizio Borra, con cui hai fatto la rieducazione?

Ci siamo sentiti a inizio stagione per fare il punto e l’altra sera dopo la vittoria gli ho mandato la foto dell’arrivo, perché ci tenevo. L’anno scorso di questi tempi ero nel suo studio per ricostruirmi e abbiamo vissuto insieme l’inizio del lockdown. Dopo la vittoria il mio pensiero è andato a lui, ai medici e a tutti quelli che mi sono stati accanto in questo periodo. E speriamo d’ora in avanti, toccando ferro, di fare interviste solo per raccontare belle vittorie e non più rieducazioni o cadute.

Matteo Moschetti, Challenge Mallorca 2020

Come è fatto un velocista? Chiediamolo al maestro

28.12.2020
5 min
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Proseguiamo il nostro incontro con Paolo Rosola, i capelli ingrigiti e l’energia di sempre, parlando del velocista. Negli anni Ottanta, più che le sue vittorie (27, di cui 12 solo al Giro d’Italia), era stato il suo essere fuori dalle righe, la sua empatia trascinante a renderlo popolare, vero esempio di quel che è un velocista. Perché velocisti si è innanzitutto con la testa, con il carattere, poi con le gambe. Come abbiamo già detto a proposito del suo ruolo alla Gazprom, Rosola non si è mai allontanato dal ciclismo e ha visto cambiare anche la figura dello sprinter. Una volta ogni squadra aveva il suo, ora è diventato un ruolo talmente specifico che il team deve dedicarcisi totalmente, costruendo il miglior treno possibile, oppure è molto probabile che vi rinunci.

Andrea Guardini, Le Tour de Langkawi 2018
Andrea Guardini, vittoria a Le Tour de Langkawi 2018
Andrea Guardini, Le Tour de Langkawi 2018
Guardini, Tour de Langkawi 2018

«Il ciclismo è cambiato come sono cambiate le nuove generazioni rispetto alla mia – esordisce il tecnico della Gazprom – ormai ogni corridore ha il suo preparatore specifico che lo fa lavorare perché diventi un corridore che va bene su tutti i terreni e questo è sbagliato. Vogliono che un velocista tenga in salita, ma perché? Non è quello il suo ruolo, che viene svilito. Il corridore perde le sue caratteristiche precipue e diventa un comune ciclista, che fa tutto ma niente in maniera importante».

Il movimento italiano ha velocisti di spicco, basti pensare al campione europeo Nizzolo o allo stesso Viviani suo predecessore, ma non sono così dominanti come avveniva ad esempio con Cipollini o Petacchi.

Ritieni che sia più un problema tecnico che di concorrenza internazionale?

Secondo me sì, imputabile innanzitutto ai dirigenti sportivi e ai preparatori, perché vogliono che gli atleti vadano bene dappertutto, togliendogli smalto. Gli sprinter di buon livello attualmente non mancano, ma sono perfetti per arrivi in gruppi ristretti, massimo 40 corridori. Quando si tratta di volate di massa, soffrono perché non hanno la preparazione specifica. Non hanno lavorato su pista. Non hanno neanche preparato mentalmente, anzi strategicamente l’atto conclusivo.

Cosa vuoi dire?

La volata ha un preambolo lunghissimo, un buon velocista deve saperla impostare se ha a disposizione compagni che lo pilotano, una squadra a lui dedicata come può essere la Groupama per Demare o la Lotto Soudal per Ewan. Ma deve anche sapersi adattare rispetto agli altri, magari sfruttare il lavoro altrui. Mi viene in mente un nome: Andrea Guardini. Era un ottimo velocista, ma ha perso le sue migliori caratteristiche proprio perché gli hanno chiesto di migliorare in salita.

Jakub Mareczko, Tour of Hainan 2017
Jakub Mareczko, tappa al Tour of Hainan 2017
Jakub Mareczko, Tour of Hainan 2017
Jakub Mareczko, Tour of Hainan 2017
Proviamo a passare in rassegna alcuni dei migliori velocisti giovani del panorama nazionale, quelli che hanno maggiori margini di miglioramento. Iniziamo da Jakub Mareczko…

Dopo quello che aveva fatto fra gli under 23 sicuramente ci si attendeva qualcosa di più, ma nel ciclismo attuale l’attività che si fa prima di passare pro’ ti spreme troppo. Una volta era una scuola, serviva per imparare, ora si chiede tutto subito e tanti arrivano spremuti. Sicuramente Jakub ha le fibre del velocista, perché io sono sempre stato convinto che velocisti si nasce. Certo si può migliorare, ma devi avere dentro di te la predisposizione. E’ un corridore valido per le volate nei giri a tappe, finora ha avuto qualche difficoltà ma può fare molto bene.

Un altro dal quale ci si attende molto è Alberto Dainese dopo il suo titolo europeo U23…

Non lo conosco molto, ma se ne parla molto bene. E’ importante il rapporto con la squadra, soprattutto se sfrutta queste prime stagioni per imparare. Approfitto di Dainese e della sua vittoria per esprimere un concetto molto importante che ho sempre cercato di inculcare ai miei ragazzi: una vittoria ha valore fino a mezzanotte, dopo è un altro giorno e non devi pensarci più. E’ importante per non montarsi la testa, non pensare che dopo una vittoria hai ottenuto tutto. Appena passato il traguardo è finita, nel bene come nel male, devi voltare pagina.

Alberto Dainese, Jayco Herald Sun Tour 2020
Alberto Dainese, tappa al Jayco Herald Sun Tour 2020
Alberto Dainese, Jayco Herald Sun Tour 2020
Dainese, Jayco Herald Sun Tour 2020
Passiamo a Matteo Moschetti…

Gran talento. Sai chi mi ricorda? Stefano Allocchio, perché la sua caratteristica è la volata lunga, la tenuta delle alte velocità che lo rende difficile da rimontare. Inoltre ha una buona squadra, il che per un velocista significa avere un buon treno a propria disposizione (Moschetti è ritratto nella foto di apertura). 

Davide Ballerini?

E’ molto bravo, ma non lo ritengo un velocista puro. Va bene per gruppi di 20-40 corridori, ma è espressione del ciclismo moderno. E’ quel tipo di corridore di cui parlavo prima, che va bene dappertutto. Sicuramente può vincere in un grande Giro, ma la tappa deve andare secondo certe modalità, in uno sprint a ranghi compatti non è quello su cui punterei.

Imerio Cima, Damiano Cima 2020
Imerio Cima e Damiano Cima, entrambi alla Gazprom
Imerio Cima, Damiano Cima 2020
Imerio e Damiano Cima, entrambi alla Gazprom
Parliamo del tuo pupillo: Imerio Cima…

Questo è uno sprinter puro e spero vada lontano, ma io per quanto posso voglio preservare le sue caratteristiche. Se mi seguirà si toglierà belle soddisfazioni. Deve però insistere sulle sue qualità di sprinter senza snaturarsi. 

In sostanza chi è il velocista?

Uno che non deve aver paura di nulla e che prima di lasciare la ruota che lo sta pilotando verso lo sprint, devono passare sul suo corpo… Uno sprinter deve sempre essere corretto, ma rispettando le regole deve farsi rispettare, magari anche con un po’ di follia. Uno sprinter è uno estroverso, che se la cava in ogni situazione, che impara i trucchi del mestiere e che sa sempre inventare qualcosa: io ho vinto corse dove non pensavo neanche di arrivare al traguardo…

Fabrizio Borra, Fernando Alonso 2012 (foto Motori Online)

Borra, l’angelo custode di Moschetti

28.11.2020
4 min
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Fabrizio Borra saltò fuori nel mondo del ciclismo tra il 1995 e il 1996. Caschetto nero, slang mezzo americano sull’accento romagnolo, raffiche di mille parole al secondo. Ma soprattutto mise le mani su quello che un tempo era insieme un amico ferito e il messia del ciclismo italiano: Marco Pantani nei mesi successivi all’incidente di Torino. I pomeriggi con loro nel vecchio centro di Forlì a fare rieducazione in acqua riempivano gli occhi. E anche se quelle immagini sono rimaste negli archivi di un tempo, nulla potrà portarsi via il ricordo e il rapporto costruito negli anni.

L’uomo delle stelle

Da allora Borra è diventato una sorta di salvatore degli atleti feriti e intanto si dedicava alla preparazione fisica di Jovanotti, prima dei concerti, e allo stato di forma di Fernando Alonso, quando lo spagnolo era ancora un riferimento in Formula Uno (i due sono insieme nella foto d’apertura di Motori Online). Rimase persino… impigliato nella squadra che Alonso avrebbe voluto fare con Paolo Bettini, ma questa è un’altra storia.

Matteo Moschetti, giorno di riposo, Vitoria, Vuelta Espana 2020
Matteo Moschetti un caffè nel giorno di riposo della Vuelta a Vitoria
Matteo Moschetti, giorno di riposo, Vitoria, Vuelta Espana 2020
Moschetti, un caffè alla Vuelta nel giorno di riposo

Arriva Moschetti

Più recentemente di Borra abbiamo parlato con Matteo Moschetti, reduce a sua volta dalla frattura dell’acetabolo del femore destro rimediata il 7 febbraio all’Etoile de Besseges. E quando, riferendosi sua rieducazione, Fabrizio ha detto che non fosse niente di troppo complesso per un ciclista, ci è venuta voglia di chiamarlo.

«A livello clinico ero guarito – aveva detto Moschetti – però mi mancava la condizione per tutte quelle settimane immobile. Non ho dolori, manca un po’ di forza e ho la sensazione che la muscolatura del gluteo destro si affatichi più del sinistro».

Comanda la testa

Borra va subito al sodo. Per cui dopo averci raccontato l’evoluzione nel mondo della riabilitazione, con gli europei che hanno superato i maestri americani, spiega perché a Moschetti è andata tutto sommato bene.

«Quando si subisce una frattura come quella – dice – e poi si riprende, il rischio è uno solo: che il corpo netta in atto quelle famose compensazioni che lo spingono a sostenere con la parte sana il carico di quella ferita. La sensazione che la muscolatura del gluteo destro si affaticasse più dell’altra deriva proprio da questo. Non si tratta di un fatto ortopedico, perché nel frattempo la scienza è andata avanti a studiare certi fenomeni. Ed è venuto fuori, come si era sempre intuito, che il vero problema sia a livello del cervello. Banalizzando, è la testa che determina certe compensazioni. Per cui quello che si è fatto con Matteo è stato essenzialmente impedire al suo cervello di farci lo scherzetto».

Centro Phisiology Fabrizio Borra Forlì
La piscina del centro di Borra a Forlì che si chiama entro Fisiology
Centro Phisiology Fabrizio Borra Forlì
La piscina del centro di Forlì

Tempi eroici

La rilettura dell’intervista di Moschetti assume ora un altra sfumatura. Soprattutto laddove il milanese parla delle attenzioni osservate alla Vuelta, nel fare stretching per curare il bilanciamento fra destra e sinistra. Prima di finire fuori tempo massimo per pochi secondi Villanueva de Valdegovia, settima tappa.

Borra sorride, perché quel tipo di lavoro glielo ha suggerito lui, non potendo completare il lavoro in palestra.

«E’ stato però buono poterlo seguire dall’inizio – riprende – perché di fatto è arrivato che non camminava. E’ salito sui rulli e poi è tornato a pedalare sotto stretto controllo. Intanto era quasi marzo e l’Italia iniziava a chiudere. Un mio amico gli aveva prestato un piccolo appartamento vicino al Centro e mio figlio e mia moglie lo accompagnavano avanti e indietro e anche a fare la spesa. E’ un peccato non essere riusciti a finire il lavoro perché a un certo punto è dovuto andare a casa, ma credo che averlo preso prima che quegli adattamenti si verificassero ha permesso di abbreviare la sua ripresa. Quello che gli è mancato è stato semmai un problema di preparazione, ma l’attenzione al fatto che restasse simmetrico gli ha permesso di rientrare. Ormai rispetto a tante tematiche siamo super avanti. Il lavoro con Marco, la stessa attenzione a evitare posture scorrette, il lavoro in acqua… mi rendo conto che eravamo davvero dei pionieri. Oggi quello che una volta si faceva in modo quasi empirico è molto più schematizzabile. Per questo ho parlato di un infortunio serio ma non impossibile da gestire.

Dopo l’ultimo controllo di una decina di giorni fa, ci ha scritto Moschetti: Borra gli ha detto che è dritto e pronto a iniziare il lavoro invernale. E allora che l’inverno abbia inizio…

Matteo Moschetti, giorno di riposo, Vitoria, Vuelta Espana 2020

Moschetti, all’inferno e ritorno…

10.11.2020
5 min
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La strada per Villaneuva de Valdegovia è un calvario di salite e pioggia e Moschetti, staccato in fondo, sta litigando con la bicicletta. I velocisti sono già lontani. Anche Romain Siegle della Groupama-Fdj, con cui Matteo ha condiviso qualche chilometro, se ne è andato. A breve il francese deciderà di salire in ammiraglia, però Matteo non lo sa. Non gli sembra giusto mollare e così tira dritto. L’ammiraglia scandisce i tempi e stima il tempo massimo su una media di 42 orari. Sembra fatta. Ma quando il corridore della Trek-Segafredo taglia il traguardo, la media di Michael Woods che ha vinto è di 41,980. Per 20 metri dopo 159,7 chilometri, la Giuria applica una percentuale minore e i 41 minuti di ritardo mettono il lodigiano fuori tempo massimo.

Matteo Moschetti, Trofeo Playa de Palma 2020
Il 2020 di Moschetti era iniziato con due vittorie a Palma de Mallorca
Matteo Moschetti, Trofeo Playa de Palma 2020
Il 2020 iniziato con due vittorie a Mallorca

«Mancavano 100 chilometri quando mi sono staccato – racconta Moschetti – era una giornata pessima. Prima senza gambe e poi anche la testa. In quei momenti ti passano tanti pensieri. Sensazioni negative. E’ frustrante, demotivante. Ti rendi conto che sei ultimo a ore dai primi. Però quell’ultimo tifoso che ti dà una voce dopo che il gruppo è passato da un quarto d’ora ti fa amare quello che stai facendo. Fa parte del ciclismo. Ma per me questo non è stato un anno normale…»

Un anno duro

La memoria va indietro. La caduta del Giro 2019 e il ritiro. La frattura dello scafoide dopo neanche un mese. Il ritorno vincente ai primi del 2020 e le due vittorie a Mallorca sembrano aver scacciato tutti i fantasmi. Moschetti è il futuro delle volate e forse anche delle classiche. Non lo vedi alla Roubaix? Ne ha il fisico e potrebbe già essere pericoloso alla Sanremo…

L’aria di inizio stagione è frizzante, l’Europa non coglie ancora la portata del dramma in cui sta per piombare quando di colpo, nella terza tappa dell’Etoile de Besseges, ecco un’altra caduta. Più seria, questa volta. Frattura dell’acetabolo del femore destro. Un colpo durissimo per il corpo ed il morale, con il lockdown di mezzo a congelare ogni sensazione.

«Ora sto bene – racconta – ho ricominciato a correre a fine luglio come gli altri. A livello clinico ero guarito, però mi mancava la condizione per tutte quelle settimane immobile. Non ho dolori, manca un po’ di forza e ho la sensazione che la muscolatura del gluteo destro si affatichi più del sinistro. I dottori dicono che serve tempo, ma inconsciamente mi sarebbe piaciuto tornare subito a un buon livello e non è stato facile per un agonista come me prendere atto del fatto che non ce la facevo. In pianura okay. Nelle corse dure dove già avrei faticato, una pena».

Arriva il lockdown

Una rieducazione semplice, accenna Fabrizio Borra che l’ha raddrizzato, niente di troppo complicato per un ciclista. Certo, se pensi a quando in quella piscina lavorava Pantani con una gamba spezzata, tutto il resto viene dopo. Eppure Matteo era lì che soffriva, stringeva i denti e intanto sperava.

«Siamo stati quasi un mese – racconta – a coordinare il bilanciamento. Non conoscevo Fabrizio e mi sono molto stupito entrando nel suo studio, nella sua… gardaland. Ma col tempo l’ho scoperto, abbiamo vissuto insieme la fase iniziale del lockdown. Iniziavano le restrizioni nella zona di Lodi, poi il Centro ha iniziato a svuotarsi e siamo rimasti in quattro, cinque. E alla fine, quando l’Italia era ormai tutta chiusa e prima che anche io scappassi verso casa, eravamo rimasti Fabrizio, la sua famiglia ed io».

Matteo Moschetti, Nokere Koerse 2019
Nel 2019, fresco di passaggio nel WorldTour, aveva debuttato al Nord
Matteo Moschetti, Nokere Koerse 2019
Nel 2019, debutto al Nord

Voglia di fatica

Si tende a dimenticare e per questo, scorrendo i risultati di Moschetti, si potrebbe essere tentati di bocciare la seconda parte della sua stagione, contandone soltanto i ritiri.

«Rianalizzando il tutto – riprende Matteo – è stato bello già solo essere tornato. Sapevo che il percorso della Vuelta era durissimo, ma l’obiettivo era terminare la stagione con più corse nelle gambe. Volevo correre, fare qualche sforzo in più, anche se sono venuto a casa a malincuore. Ogni giorno tanta fatica e poi i massaggi. Non sempre c’era con noi l’osteopata, ma andava bene essere trattato normalmente. L’unica cosa, ho fatto delle sedute leggere di stretching ogni giorno per curare il bilanciamento fra destra e sinistra. I giorni più duri sono stati quelli con l’umido e col freddo. Sarà un inverno classico, lavorando di più sui piccoli aspetti che ho tralasciato durante la chiusura della scorsa primavera. Che poi… Quello che ci è pesato è stato non poter uscire. Poterlo fare adesso sembra un lusso. In fondo la vita del corridore è semplice, bicicletta e poco altro. Vabbè, qualcuno si lamenta delle vacanze che non ha potuto fare, ma si sta bene anche a casa».

Matteo Moschetti, tricolore strada Cittadella 2020
Ai tricolori di Cittadella, stringendo i denti in salita
Matteo Moschetti, tricolore strada Cittadella 2020
Ai tricolori, stringendo i denti in salita

Venerdì il via libera

La bici tornerà intorno al 20 di novembre, per un inverno che da un lato minaccia di essere lungo e dall’altro ti fa pensare che siamo già a metà novembre.

«La prossima stagione – dice Matteo – dovrebbe iniziare a febbraio, quindi non c’è tanta ansia di bruciare le tappe. Mi hanno consigliato di restare fermo per due settimane e mezzo, ma dalla fine della prossima settimana comincerò anche a correre a piedi. E anche quello sarà un passaggio delicato. Il chirurgo me l’ha detto che l’obiettivo era sì tornare in bici, ma anche riavere una vita normale. Quindi camminare e correre. Me ne andrò per i boschi intorno casa, in questo novembre di zona rossa che però da casa mia sembra meno duro di marzo. Ci sono le restrizioni, le tocchiamo con mano, ma il fatto di accompagnare mia sorella a scuola rende tutto più normale. Venerdì sarò da Borra per l’ultima verifica e sarà un momento fondamentale. Poi potrò cominciare a recuperare il lavoro e impostare il 2021».