Merlier bestia nera di Milan. VdP show. E un pensiero a Savio

13.07.2025
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Caro Gianni Savio, vogliamo credere che oggi nell’ammiraglia della Alpecin-Deceuninck si siano ispirati a te. Che attacco quello di Mathieu Van der Poel e Jonas Rickaert! Con quel piattone davanti al manubrio nessuno si sarebbe mosso e invece… Due compagni, pronti via sin dal chilometro zero. Tutto perfetto: la macchina ad assisterli, le mille borracce a ripetizione per proteggerli dal vento, quella voglia di gettare il cuore oltre l’ostacolo in una tappa piatta. La gestione delle energie con uno dei due a sacrificarsi di più. E dietro, i compagni a rompere i cambi. Una sinfonia ciclistica. I fondamentali di una volta che valgono anche in questa era super tecnologica. E per poco, caro Gianni, non sono arrivati. Eh no, perché Tim Merlier ha messo tutti d’accordo.

La tappa forse più piatta del Tour de France, senza nemmeno un Gpm di quarta categoria, ha regalato una suspense incredibile e inaspettata soprattutto. Van der Poel e Rickaert hanno tenuto tutti sulle spine, mettendo in crisi le squadre dei velocisti, che nel finale si sono presentate con un solo uomo davanti al capitano… o addirittura con il velocista da solo.

Mathieu Van der Poel e Jonas Rickaert sono partiti subito dopo il via. Di fronte a loro 173 km nella pianura della Loira
Mathieu Van der Poel e Jonas Rickaert sono partiti subito dopo il via. Di fronte a loro 173 km nella pianura della Loira

Merlier, bestia nera di Milan

A Chateauroux, Merlier ha concesso il bis. E non lo ha fatto a caso: ancora una volta davanti a Jonathan Milan, confermandosi la sua bestia nera. Il finale, con la strada che calava impercettibilmente, ha reso lo sprint velocissimo. La sensazione non è tanto che Milan sia partito presto, quanto che gli mancasse un dente.

Il campione europeo è sembrato il solito gatto, pronto a scartare da una ruota all’altra. Ma oggi è apparso più potente che mai, forse anche più che nella sua prima vittoria qualche giorno fa. Ma è chiaro: lui e Milan viaggiano su un altro pianeta. Hanno più watt. Appartengono alla categoria degli over 1.800 watt, come ci diceva Andrea Pasqualon.

«E’ stata davvero difficile – ha detto Merlier – Ho avuto una buona giornata e anche in gruppo ci siamo mossi bene. Non abbiamo fatto rifornimento negli ultimi 60 chilometri per via del nervosismo e delle velocità, quindi ho sofferto parecchio il caldo. Per fortuna tutte le squadre hanno collaborato per chiudere sui due fuggitivi. Anche grazie a Remco Evenepoel siamo riusciti a evitare un ventaglio.
Lo sprint? Ero a ruota di Bert Van Lerberghe, è la prima volta che siamo insieme al Tour. Ho molta fiducia in lui e nella sua capacità di pilotarmi. Mi ha portato forte nell’ultimo chilometro e a circa 200 metri ho deciso di partire. Sono felice per questa seconda vittoria di tappa».

Velocità folli, il gruppo si è spezzato tra l’inseguimento ai due fuggitivi e il vento
Velocità folli, il gruppo si è spezzato tra l’inseguimento ai due fuggitivi e il vento

Parola a Bramati

Negli ultimi due anni Milan e Merlier si sono affrontati in molti in sprint: In 16 di questi, entrambi sono finiti nella top 10. In 11 casi ha vinto uno dei due, ma il bilancio pende nettamente verso il belga: 8-3. Anche quest’anno al UAE Tour se le sono date a suon di primi e secondi posti. E ora rieccoli, di nuovo, al Tour.

«Anche l’anno scorso – racconta Davide Bramati, diesse della Soudal-Quick Step – hanno duellato tanto e continuano a farlo. Tutti e due hanno mancato il primo giorno, a Lille, quando c’era in palio anche la maglia gialla, ma poi sia loro che noi abbiamo voltato pagina. Ieri ha vinto Milan, oggi ha rivinto Tim. Questo è lo sport, questo è il ciclismo. Sono gli sprinter più forti di questo Tour, specie dopo la caduta di Philipsen. Si sono dimostrati i più veloci».

Questa vittoria nasce dal passato. A Chateauroux, la Soudal (allora Deceuninck) aveva già vinto con Cavendish. E “Brama” svela un retroscena: «Più che impostare la volata in base al rivale, abbiamo studiato la nostra. Ieri, già nel trasferimento post tappa verso l’hotel, abbiamo iniziato a guardare il filmato del 2021, lo stesso arrivo in cui vinse Cav. Ma era tutta un’altra situazione: la squadra aveva preso in mano la volata. Nel treno c’erano Alaphilippe, Ballero (Ballerini, ndr), Morkov… Ci siamo fatti un’idea. Poi certo, la riunione la fai, ma la realtà è un’altra.

«Questo finale non era banale. Forse non ci si rende conto: oggi è stata la seconda tappa più veloce della storia del Tour. Nella seconda ora hanno fatto 54,5 di media. Van der Poel e Rickaert hanno fatto un grande numero e il gruppo, di conseguenza, è andato fortissimo. C’era anche vento. Bene così: siamo alla terza vittoria e siamo davvero contenti».

Merlier batte Milan. Il friulano però consolida la maglia verde
Merlier batte Milan. Il friulano però consolida la maglia verde

56 vs 54

Senza un vero treno, oggi i velocisti si sono dovuti arrangiare. L’esperienza contava più del solito. Più di ieri, quando era sì uno sprint di gruppo, ma più “di gambe” che di velocità, visto che l’arrivo tirava. E quindi si torna a parlare di tempistiche e di rapporti.

«Non so se lo abbia spinto, ma Tim aveva il 56×11 – dice Bramati – l’esperienza conta. Solo l’anno scorso ha fatto 16 vittorie e anche quest’anno siamo lì. Un corridore come lui sa quando ci sono momenti importanti e oggi si è mosso bene. A un certo punto, all’ultimo chilometro, sembrava ancora dietro. Ma poi si è visto come è risalito. Ha fatto una grande cosa».

Sappiamo invece che Jonathan aveva la corona da 54 denti, quella vista già a Dunkerque. E’ anche vero che con il gruppo SRAM possono usare il 10. Non crediamo abbia fatto lo sprint col 10, altrimenti sarebbe stato più “duro” di Merlier col 56×11. A meno che anche il belga avesse il pignone da 11. Ma l’agilità è il marchio di fabbrica del friulano, che viene dalle cadenze della pista.

«Come‘è Merlier in riunione? Si sapeva che c’erano punti pericolosi per il vento e penso che la squadra sia stata presente, Remco compreso. Anzi, a un certo punto proprio Evenepoel ha dato una mano ai ragazzi. E vedrete che Tim aiuterà Remco quando ce ne sarà l’occasione».

E domani? Parla ancora Bramati

Domani si sale. Velasco ci aveva detto in tempi non sospetti che era tostissima. In XDS-Astana erano andati anche a visionarla.
«Domani – conclude Bramati – è una tappa importante e poi finalmente ci sarà il giorno di riposo, che servirà tantissimo. Nella storia recente non ricordo dieci tappe consecutive, soprattutto a queste velocità. Ci sarà da soffrire sia davanti… che dietro».

Una tappa che doveva essere facile si è trasformata in un piccolo inferno del nord, ma con 32 gradi. Anche i giganti hanno faticato.
«Sono davvero stanco – ha detto Tadej Pogacar, un po’ triste per la perdita di Almeida – Van der Poel e Rickaert hanno fatto un lavoro fantastico. E’ stata una corsa infernale grazie a loro. Sono andati fortissimo. Chissà cosa gli passava per la testa. Noi dietro eravamo tutti in sofferenza».

A proposito di domani, caro Gianni Savio, non fa niente se i fuggitivi del primo chilometro non sono arrivati. Gli eroi sono loro. «Domani – come avresti detto tu – ci si riprova». Rickaert ha vinto il premio della combattività. Anche questo, caro Gianni, ne siamo sicuri, ti sarebbe piaciuto.

Il giorno di Healy e dei calcoli da mal di testa

10.07.2025
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Healy ha la faccia da furetto e quando sorride fa grande simpatia. Poi sarà per i capelli smossi e lo sguardo che a volte sembra da matto, gli hanno costruito addosso la fama dell’anarchico: difficile da imbrigliare e vittima del suo stesso estro. Oggi ha portato via la prima fuga a 178 chilometri dall’arrivo e poi se ne è andato da solo quando ne mancavano 40. Sul traguardo di Vire Normandie, il piccolo britannico che dal 2016 corre con licenza irlandese, è arrivato con 2’44” su Simmons. Più che il suo estro, oggi gli avversari non sono riusciti a imbrigliare lui.

Servono nuovamente le parole di Charly Wegelius che lo ha guidato verso la vittoria per far capire che quell’immagine scarmigliata e disordinata è sbagliata. Anche di fronte a un’impresa così estemporanea, che tanto estemporanea (vedremo) non è stata.

«Abbiamo parlato di una mossa del genere – racconta il tecnico britannico – sul pullman questa mattina. Conosciamo le caratteristiche dei nostri atleti e pensiamo sempre al modo migliore per sfruttarle. Ma tra pianificare una cosa del genere e farlo, c’è di mezzo il mare. Sono cose toste. Questo ragazzo ha alcuni punti in suo favore. Il primo è il suo cervello, perché riflette molto sulle cose che fa. Il secondo è che è molto aerodinamico. E poi ha una resistenza bestiale alla fatica. Ma di certo non è anarchico. Certo ha fantasia, però studia quello che fa e si muove sempre con un motivo. La conseguenza è spesso molto bella da vedere».

Le prime due ore si sono corse a una media elevatissima: un vero show per la tanta gente
Le prime due ore si sono corse a una media elevatissima: un vero show per la tanta gente

Ripagare la squadra

Di certo sorride tanto Ben Healy ed è come se oggi fosse uno di quei pochi giorni in cui abbia davvero voglia di mostrare quello che ha dentro. Come quando nel 2023 vinse la tappa di Fossombrone al Giro d’Italia e apparve raggiante come non l’avevamo mai visto prima. Parla da vincitore e da leader, da uno che sa dire grazie.

«E’ semplicemente incredibile – risponde Healy – è successo quello per cui ho lavorato non solo quest’anno, ma da quando ho iniziato a fare il corridore. E non io da solo, parlo di ore e ore di duro lavoro da parte di così tante persone e questa vittoria è il modo migliore per ripagarle. I passi avanti degli ultimi tempi sono stati una vera e propria rivelazione e questo mi ha davvero fatto credere che sarei potuto diventare un corridore per risultati importanti. Mi sono messo sotto. Ho lavorato duramente. Ho cercato di perfezionare anche il mio stile di gara. Poi ho guardato anche un sacco di filmati di gara e questo oggi ha dato i suoi frutti».

Un colpo a sorpresa

Decisamente tanto studio e tanto cervello: mai giudicare (superficialmente) qualcuno dal suo aspetto. Quando 9’30” dopo di lui passano sul traguardo appaiati Powless, Baudin e Sweeney, che hanno saputo della sua vittoria dalla radio, le loro braccia si alzano al cielo all’unisono. Healy è ancora in strada e li aspetta. Fra l’emozione, la stanchezza e la necessità di riprendere fiato, quel tempo non gli è parso neppure così lungo.

«La tappa ha avuto un inizio pazzesco – racconta ancora Healy – un ritmo altissimo dall’inizio alla fine e io mi sono acceso subito. Forse ho passato un po’ troppo tempo e tante energie per cercare di entrare nella fuga, ma penso che sia solo il modo in cui sono capace di farlo. Una volta che ci sono riuscito, abbiamo dovuto davvero lavorare per avere il vantaggio giusto, quindi è stato un giorno davvero impegnativo. E intanto pensavo. Sapevo che dovevo avvantaggiarmi e scegliere il mio momento. E penso di aver calcolato bene i tempi e di averli colti di sorpresa. A quel punto, ho capito cosa dovevo fare. Da solo, a testa bassa e fare del mio meglio fino al traguardo. C’era l’altimetria perfetta: era una tappa che avevo cerchiato sin dall’inizio. Sono cresciuto guardando il Tour e ho sempre desiderato di farne parte. Ed è vero che ho solo vinto una tappa, ma esserci riuscito è davvero così incredibile…».

Pogacar risponde così al tentativo di forcing della Visma sull’ultima salita: il padrone per ora è lui
Pogacar risponde così al tentativo di forcing della Visma sull’ultima salita: il padrone per ora è lui

I calcoli di Pogacar

Lo portano via perché sta arrivando Pogacar. E a chi si chiedeva se quest’ultimo strappo sarebbe servito ad accendere la miccia fra i primi della classifica, la risposta arriva puntuale come il forcing della Visma-Lease a Bike e la risposta della maglia gialla. Vingegaard è arrivato con lui, ma ne ha subìto il passo. Su questi strappi non c’è storia, vedremo sulle salite più lunghe. Oggi semmai era lecito aspettarsi Evenepoel, su strade simili alla Liegi. Invece Remco è rimasto buono nella scia, mentre sotto il cielo del Tour si è sparsa la voce del suo (probabile) prossimo passaggio alla Red Bull-Bora. La maglia gialla se la riprende Van der Poel, che in fuga ha faticato ben più di quello che si aspettava e quel primato così fragile (un secondo su Pogacar, ndr) sarà più un sollievo per il campione del mondo che un vanto per l’olandese.

«Pensavamo che avrebbero provato – dice Pogacar sorridente – non so a cosa sarebbe servito, ma sono andati forte e ci siamo limitati a seguire. Le prime due ore sono state velocissime e fortunatamente siamo sopravvissuti. A quel punto abbiamo pensato se valesse la pena correre per la tappa, ma abbiamo deciso di non sparare colpi a vuoto e abbiamo fatto il nostro passo. Forse la Visma ha accelerato per impedirmi di perdere la maglia gialla, ma alla fine l’ho persa per un solo secondo, perché comunque la fuga davanti ha fatto davvero un lavoro straordinario. Tutto merito loro. Non mi dispiace avere la maglia gialla, ma come ho detto, l’obiettivo per oggi era di spendere il meno possibile, mentre domani è un altro buon traguardo per me. Però attenti, abbiamo ancora bisogno di un po’ di gambe per la seconda e la terza settimana. Quindi il lavoro di oggi va considerato positivo soprattutto in questa prospettiva».

Van der Poel è stato a lungo maglia gialla virtuale con ampio margine. Il crollo nel finale gliel’ha portata con appena 1″ su Pogacar
Van der Poel è stato a lungo maglia gialla virtuale con ampio margine. Il crollo nel finale gliel’ha portata con appena 1″ su Pogacar

Roba da mal di testa

C’è tanto calcolo in questo ciclismo spaziale che ha visto svolgersi una tappa di 201,5 chilometri con 2.987 metri di dislivello a 45,767 di media. Il calcolo millimetrico di Healy nel prendere la fuga e poi nel lasciare i compagni con un attacco che unisse potenza e sorpresa. Quello di Van der Poel, stremato sull’asfalto a capo di una giornata che gli ha riportato la maglia gialla, ma forse lo priverà delle gambe per rivincere domani al Mur de Bretagne. Il calcolo di Pogacar, deciso a mollare il primato. E il calcolo di quelli dietro, con il tempo massimo di 52’50” che ha permesso a Milan di arrivare a 29’33”, salvando la gamba e la maglia verde per appena 4 punti. Chi pensa che sia solo un fatto di muscoli e cuore, alla fine di tappe come questa potrebbe aver bisogno di una pillola per curare il mal di testa.

Troppi rischi negli sprint intermedi e Philipsen ne fa le spese

08.07.2025
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Non è facile immaginare la delusione in casa Alpecin-Deceuninck dopo il ritiro di Philipsen. Ci siamo passati pochi giorni fa con Ganna, su cui avevamo appuntato ben più di una speranza, caduto prima di aver dato una forma al grande lavoro. Ma il belga aveva già vinto una tappa, indossato la maglia gialla ed era il detentore della verde: ieri avrebbe certamente lottato per concedersi il bis.

Philipsen è caduto in un traguardo volante, abbattuto da Brian Coquard per una manovra al limite dell’incomprensibile. Il francese della Cofidis prima si è toccato con Laurenz Rex della Intermarché, poi è rimbalzato a centro strada e ha trascinato nella rovina il belga che risaliva per i fatti suoi, preparando la volata sul traguardo a punti. Philipsen è stato trasportato in ospedale e ha riportato la frattura della clavicola e di almeno una costola. Per essere operato, verrà trasferito all’ospedale di Herentals.

«Jasper è stato vittima di una caduta stupida – ha commentato il suo team manager Philip Roodhooft – completamente fuori dal suo controllo. Non voglio puntare il dito contro gli altri due corridori. Le conseguenze per Jasper e la nostra squadra sono particolarmente gravi, ma cosa si può fare? A volte succedono cose brutte».

Philipsen era partito da Dunkerque con la maglia verde, che costituiva il primo obiettivo per la Alpecin
Philipsen era partito da Dunkerque con la maglia verde, che costituiva il primo obiettivo per la Alpecin

La squadra raggelata

La rabbia dei primi momenti ha lentamente lasciato il posto alla rassegnazione. Poteva andare molto peggio e in fondo la clavicola rotta non cancellerà il successo nella tappa inaugurale e la prima maglia gialla.

«Questo smorza l’atmosfera all’interno della squadra – ha detto Mathieu Van der Poel che da Philipsen aveva ereditato il primato – abbiamo iniziato così bene ed è un peccato, soprattutto per Jasper. Sono situazioni molto frenetiche in cui tutti corrono per i punti. In queste tre settimane solo due o tre corridori riusciranno a vincere, ma tutti hanno il diritto di partecipare alle volate. Quando ho visto Jasper seduto a terra, ho capito subito che non stava bene. Ma penso che dovrebbe essere molto orgoglioso di aver vinto la prima tappa e di aver potuto indossare la maglia gialla. Conoscendolo, sarà molto deluso, ma potrà anche concentrarsi rapidamente sul suo prossimo obiettivo. Abbiamo perso il nostro velocista, ma anche il nostro obiettivo per il Tour: dare il massimo per la maglia verde con lui. Oggi (ieri, ndr) abbiamo cercato di ritrovare la concentrazione e di puntare su Kaden Groves, ma si capiva che nessuno di noi fosse davvero sereno».

E’ stato Coquard a colpire Philipsen, ma il francese (pur scusandosi) ha parlato di un incidente
E’ stato Coquard a colpire Philipsen, ma il francese (pur scusandosi) ha parlato di un incidente

Le scuse di Coquard

Coquard ha impiegato un po’ per recuperare la lucidità e spiegarsi. Il francese che per una caduta ha chiuso la tappa fra gli ultimi, ha ammesso l’errore, ma respinto le accuse di essere stato scorretto

«Una giornata dura – ha detto – immaginate quanto sia spiacevole che Philipsen abbia dovuto arrendersi. Non volevo causare una caduta, non volevo correre rischi. Non è stato intenzionale, ma voglio scusarmi con Philipsen e la Alpecin. Non sono cattivo e tantomeno scorretto e alla fine sono caduto anche io nello sprint finale. Ho dolori ovunque, ma vedremo».

Da lui si è presentato inzialmente con propositi bellicosi Jonas Rickaert, compagno di squadra di Philipsen, che poi ha aggiustato il tiro, pur sollevando una corretta osservazione. «Sono andato subito da Coquard – ha detto – per chiedergli cosa fosse successo e lui mi ha detto che non era colpa sua. Era stato solo uno stupido incidente. Ma quando sei settimo o ottavo nella classifica a punti, non dovresti correre rischi totali in una volata intermedia. Capisco che si faccia all’arrivo, anche se a volte è fastidioso assistere a certe scene, ma questo è il Tour, no?».

Oggi potrebbe toccare nuovamente a Van der Poel sul traguardo nervoso di Rouen
Oggi potrebbe toccare nuovamente a Van der Poel sul traguardo nervoso di Rouen

Oggi occasione per VdP

«Stavamo guardando la gara sul pullman – ha raccontato ancora Roodhooft – quando abbiamo visto Jasper cadere e abbiamo capito subito che era una cosa seria. In un attimo siamo passati dall’euforia alla delusione. Jasper è emotivamente devastato e sta soffrendo».

La squadra belga ha un piano di riserva che per molti altri sarebbe quello principale, con Kaden Groves che ha il livello per vincere le volate di gruppo. L’australiano sarà guidato da Van der Poel, che ieri non è riuscito a portarlo oltre il settimo posto, quando però tutti i corridori della Alpecin avevano negli occhi l’immagine di Philipsen che piangeva seduto sull’asfalto. Per loro fortuna, oggi potrebbe essere un altro giorno buono per Van der Poel. Riuscire a vincere in maglia gialla e dedicare il successo all’amico ferito è una di quelle molle che rende l’olandese una bestia selvaggia e imbattibile.

Van der Poel, tappa e maglia. Show di forza e tattica

06.07.2025
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BOULOGNE SUR MER (Francia) – Mentre Mathieu Van der Poel tagliava per primo la linea del traguardo, l’urlo più forte che si è sentito in tutta la città è stato quello di Roxane Beterls, la compagna di VdP. Un urlo acuto, tipico da donna.

E’ così che si chiude l’astinenza di Van der Poel al Tour de France, che durava dal 2021: un’eternità per un vincente come lui. Anche in quell’occasione, a Lachen conquistò la frazione e prese la maglia. Il campione della Alpecin-Deceuninck vince come in una classica, solo che stavolta i rivali non sono Pedersen o Van Aert, ma Pogacar (quello c’è sempre), Vingegaard, Remco…

Philipesn (in giallo) ha parlato di una squadra compatta. E lo stesso ha detto Van der Poel
Philipesn (in giallo) ha parlato di una squadra compatta. E lo stesso ha detto Van der Poel

Philipsen e la Alpecin

E a proposito di Alpecin-Deceuninck, l’inizio della squadra dei fratelli Roodhooft è a dir poco perfetto: due tappe, due vittorie, due maglie gialle con i due corridori più rappresentativi. Loro sono formidabili a puntare ai singoli obiettivi. E ancora una volta lo fanno muovendosi alla perfezione in certe corse. Non dimentichiamo Dillier, Vermeersch, Groves…

Infatti proprio Jasper Philipsen, contento nonostante abbia appena perso la maglia gialla, ha detto: «Abbiamo avuto un ottimo feeling e un’ottima fiducia sin da ieri, abbiamo preso il controllo della corsa. I ragazzi hanno lavorato molto duramente e bene. E non era semplice. Ma con un capitano forte come Mathieu, che si è messo a disposizione, è stato tutto più semplice.
Oggi è stato differente. Si correva per lui, con la stessa fiducia e compattezza di ieri, ma con un altro leader».

Tutto sommato, Philipsen era felice anche la propria prestazione. Neanche lui, che è un velocista, si aspettava di andare così forte nei 15 chilometri finali, duri sia tecnicamente (e quello per lui non sarebbe un problema) che altimetricamente.

«E’ stato un giorno incredibile e lungo, a volte sentivo quasi freddo. Nel penultimo strappo ero davvero a blocco, sapevo che se avessero continuato così per me sarebbe stato impossibile. Ma l’importante è che abbiamo ancora vinto noi e che la maglia gialla sia rimasta in casa». E non è finita qua per lui e la sua squadra. Domani si annuncia ancora una tappa per sprinter, ma il meteo inciderà moltissimo.

Van der Poel in giallo. Rispetto all’ultima volta, col nonno, Raymond Poulidor, appena scomparso ha messo che c’è stata meno emozione
Van der Poel in giallo. Rispetto all’ultima volta, col nonno, Raymond Poulidor, appena scomparso ha messo che c’è stata meno emozione

Tappa e maglia

E poi c’è lui, Mathieu Van der Poel. Tra la partenza posticipata del mattino per il caos tra l’arrivo dei bus dei team e la partenza della carovana pubblicitaria, sono quasi le 19 quando Van der Poel si presenta ai microfoni. Fa qualche smorfia, è felice, ma anche stanco.

«Era davvero difficile vincere oggi – attacca Van der Poel – contro Tadej e Jonas che sono in super forma per la conquista del Tour. Stamattina ho visto un video della linea d’arrivo e quindi sapevo cosa volevo fare e come dovevo farlo. Arrivare qui nel Nord della Francia è stato un po’ come correre le classiche, ma con qualche avversario differente.

«Avere la giusta posizione era fondamentale e infatti c’era un grande nervosismo, grande la lotta per le buone posizioni. Ma con una squadra come Alpecin-Deceuninck è qualcosa a cui siamo abituati e bravi, e questa guerra delle posizioni l’abbiamo vinta».

Sull’arrivo c’era anche suo padre, il grande e ancora in forma Adrie Van der Poel. Era felice, ma con la sua solita schiettezza ripeteva che loro (va a capire il plurale) preferiscono le classiche. E che nonostante lui queste strade le avesse battute, al figlio non aveva detto una parola. «Non metto bocca nelle tattiche del team».

Dubbi sulla forma?

Dopo l’incidente in MTB e la conseguente microfrattura al polso, ci poteva essere qualche dubbio sulla condizione di Van der Poel. Ma già averlo visto al Delfinato aveva tolto quasi del tutto i dubbi. Lo stesso Mathieu ha parlato del Delfinato e di come ha ricostruito questo stato di forma stellare. Di fatto ripetendo il metodo che usano per le classiche.

«Rispetto ai miei altri Tour – riprende Van der Poel – stavolta ho avuto un approccio diverso. Per una volta abbiamo fatto il Delfinato ed è stata una buona scelta. Ogni anno facciamo un’esperienza diversa per arrivare al meglio al Tour de France, ma direi per arrivare a tutti i nostri obiettivi nella migliore condizione possibile.

«Per esempio, quest’anno abbiamo capito che avremmo dovuto fare un periodo di allenamenti in altitudine prima della Tirreno-Adriatico, che è la corsa che mi piace di più prima delle classiche, e lo abbiamo fatto. E di nuovo ci siamo resi conto che serviva un altro training camp in quota prima del Tour de France. Anche perché questa edizione ha un percorso sul quale io e i miei compagni possiamo eccellere. Abbiamo molte tappe e questo fa una grande differenza rispetto al percorso dell’anno scorso. E anche sulle motivazioni».

«La nostra squadra si muove sempre con un obiettivo perfettamente chiaro a seconda del leader. E tutto ciò che succede durante la giornata e le difficoltà che si presentano, le affrontiamo uniti. E’ il nostro spirito di squadra e credo sia questo a fare la differenza. Ognuno sa cosa deve fare».

In pratica, le stesse parole che ci aveva detto poco prima Philipsen. «Nell’ultimo chilometro – continua VdP – ero concentrato sul fatto di non fare nessun errore. Volevo prendere l’ultima curva davanti. Non ci sono riuscito in pieno, ma ero comunque in buona posizione. Stare vicino a Tadej andava benissimo. E quando lui è partito, ho potuto fare il mio sprint senza problemi».

Pogacar in maglia a pois. Lo sloveno è parso divertito dal vestire questa maglia
Pogacar in maglia a pois. Lo sloveno è parso divertito dal vestire questa maglia

Pogacar e la centesima rimandata

Meno se lo aspettava a corsa in corso Michele Pallini, massaggiatore della XDS-Astana, che ci aveva detto: «Sapete chi vince oggi? Pogacar oppure Van der Poel. Ma credo più Van der Poel perché tatticamente è più intelligente». Nessuna profezia fu più azzeccata. E Tadej Pogacar stesso in qualche modo dà ragione a Pallini.

Il clima in casa UAE Emirates è sereno e se questo secondo posto non brucia è solo perché a vincere è stato uno dei supereroi di questo ciclismo.

«Direi che è stata una buona giornata nel complesso – ha detto Pogacar – E’ stata una tappa dura e lunga, con un po’ di tutto: pioggia, tensione, strappi… Mi sentivo bene nel finale e anche la mia squadra ha lavorato bene. Il secondo posto va bene, Mathieu è stato più forte in volata, quindi tanto di cappello. E’ difficile batterlo allo sprint.
«A dire il vero, ho giocato un po’ male tatticamente, perché avevo un po’ paura di sprintare contro di lui e ho aspettato troppo a lungo nella sua ruota».

«La maglia a pois e l’attacco di Vingegaard? La prima non me l’aspettavo, il secondo sì. Non credevo di vestire questa maglia. Ho vinto la classifica della montagna al Tour due volte, ma l’ho indossata un solo giorno. Mi fa piacere.
«Da parte di Jonas ci aspettavamo un attacco, specie dopo quello che abbiamo visto al Delfinato. E’ bello vederlo all’attacco. Ci ha fatto soffrire».

Polso rotto e accoglienza timida: il ritorno di VdP non è stato super

28.05.2025
5 min
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Ipse dixit. Marco Aurelio Fontana era stato più che profetico sul ritorno di Mathieu Van der Poel nella mtb. Chiaro, non aveva previsto che il fenomeno olandese si sarebbe rotto lo scafoide e avrebbe riportato anche una lesione al legamento del polso, ma di certo aveva intuito che VdP avrebbe incontrato delle difficoltà tecniche.

Andiamo con ordine e vediamo come sono andati i fatti. E anche come è stato accolto Van der Poel dal circus della mtb (in apertura foto UCI Mtb).

VdP in azione in gara (foto @sythartha)
VdP in azione in gara (foto @sythartha)

Il ritorno amaro di VdP

Van der Poel torna in gara nella mtb a quasi due anni di distanza dall’ultima apparizione, mondiali di Glasgow 2023. Ad inizio stagione non aveva negato che il suo obiettivo era di vincere l’unico titolo iridato che gli manca: quello nella mountain bike, appunto.
Doveva quindi rientrare dapprima in un cross country, la specialità olimpica, in Germania a metà maggio, poi il tutto è stato posticipato a domenica scorsa, direttamente nella massima competizione: la Coppa del mondo.

Chi segue la mtb sa bene che le gare di Coppa sono di un altro livello rispetto a tutte le altre. I percorsi, oltre che duri, sono anche molto tecnici. E la tecnica, sia del mezzo che della guida, nella mtb è in evoluzione costante. Così ecco che dopo un via tumultuoso, l’atleta della Alpecin-Deceuninck cade. Alla tornata successiva cade di nuovo e da lì arriva il ritiro, dolorante.

Su strada abilità impressionanti per VdP, in mtb deve acquisire la stessa scioltezza di guida
Su strada abilità impressionanti per VdP, in mtb deve acquisire la stessa scioltezza di guida

L’avvertimento di Fontana

Fontana, quando aveva commentato con noi il ritorno di Mathieu, aveva detto che sarebbe stato fondamentale per lui usare la mtb. Usarla e usarla ancora. Allenarcisi, passarci delle ore, perché avrebbe trovato gente che gli sarebbe passata sopra e di fianco. Ed esattamente così è andata.
Van der Poel, invece, prima del via aveva dichiarato di aver utilizzato la mtb solo due volte… un po’ pochino.

Forse, e sottolineiamo il forse, VdP ha sentito un po’ di pressione. In tanti lo aspettavano al varco e più di qualcuno sui social lo ha sbeffeggiato. Cosa alla quale non è certo abituato.
Fatto sta che la prima caduta è stata quasi un copia e incolla di quella di Glasgow. Un incidente che ha coinvolto anche David Valero, biker importante: lo spagnolo è infatti salito sul podio olimpico di Tokyo. La seconda caduta, se vogliamo, è stata ancora più goffa per come è arrivata, spettacolare per come è avvenuta. Mathieu è caduto su un salto. Nel cercare di recuperare stava risalendo il gruppone e la foga lo ha condotto al secondo errore. A quel punto ha insistito ancora un po’ e all’inizio del terzo giro ha detto basta.

Ecco un frame che gira sui social della seconda caduta di Van der Poel. Si intuisce l’atterraggio sulle mani. Da lì la frattura
Ecco un frame che gira sui social della seconda caduta di Van der Poel. Si intuisce l’atterraggio sulle mani. Da lì la frattura

Frattura e rispetto

Ha detto basta anche perché il dolore alla mano evidentemente si faceva sentire. Un comunicato stampa della squadra ha poi confermato che Van der Poel ha riportato “una lieve frattura da avulsione dello scafoide, indicativa di una lesione legamentosa al polso”.

Questa sua apparizione, per quanto criticata o osannata, non è stata mal vista dai rivali in mtb, ma neanche festeggiata. Proprio Valero ha scritto sui suoi social: «Apprezzo che partecipino e diano visibilità alla Coppa del mondo mtb, è molto importante. Ma lo è anche il rispetto!».
Non ha citato Van der Poel, ma il riferimento è chiaro.

Van der Poel sui rulli con il tutore al polso destro: la sua stories di ieri su Instagram

E ora?

E’ chiaro che i programmi dell’olandese cambiano. Cambiano di certo nel breve termine.
Se il Tour de France non sembra essere a rischio (in fin dei conti lui non deve fare classifica), è in forte dubbio la sua presenza al Delfinato, in programma dall’8 al 15 giugno. Non solo: Mathieu non sarà presente nemmeno al ritiro in quota con la squadra, previsto a La Plagne. Almeno per la prima settimana non si vedrà da quelle parti.

Tra l’altro, secondo nostre informazioni, a La Plagne avrebbe dovuto affinare qualcosa anche con la mtb in vista della sfida iridata di Crans Montana a settembre e degli appuntamenti in mtb post Tour de France.

Van der Poel giusto ieri ha pubblicato un video che lo vede già pedalare. E’ sui rulli e indossa un tutore. Secondo Joris Duerinckx, il chirurgo che ha operato anche Pogacar due anni fa dopo la caduta alla Liegi, il Tour non dovrebbe essere a rischio per VdP. Tuttavia, per un completo recupero della frattura servono sei settimane e per questo vede praticamente impossibile (se non controproducente) una sua partecipazione al Delfinato.

La domanda che tutti si pongono adesso è: Mathieu Van der Poel ha capito che è una sfida impossibile (e per lui pericolosa ai fini dell’attività su strada) e getterà la spugna? Oppure insisterà?
Dalle sue parole non sembra proprio voglia finirla qui: «Mi sono divertito un mondo a tornare in mountain bike la scorsa settimana. Non è andata proprio come previsto, ma la vita sarebbe noiosa se tutto andasse alla perfezione, no? Non vedo l’ora di tornare presto sui sentieri!».

Pogacar e VDP al vaglio di De Vlaeminck, maestro severo…

25.05.2025
6 min
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E pensare che lo consideravano un burbero, uno strafottente. Ma dove lo trovi un campione che in una domenica pomeriggio di Giro d’Italia prende il cellulare e ti chiama da migliaia di chilometri di distanza, guardando anche lui la corsa rosa e si mette a chiacchierare amabilmente? Lui è Roger De Vlaeminck, “monsieur Roubaix, considerato ancora oggi un maestro delle Classiche. Uno dei tre capaci di fare il Grande Slam, vincendo tutte e 5 le Monumento.

«Io sono sempre stato onesto – sorride – ho sempre detto tutto con sincerità senza ipocrisie. Mi criticano perché dico che quasi tutti i campioni di oggi ai miei tempi non avrebbero vinto una corsa. Ma pensate che anche gli altri, anche lo stesso Eddy Merckx non pensino la stessa cosa? E’ che per quieto vivere non lo dicono, ma io a 78 anni non devo rendere conto a nessuno…».

L’ultima sua Monumento, la Milano-Sanremo del 1979, battendo Saronni, Knudsen e Merckx
L’ultima sua Monumento, la Milano-Sanremo del 1979, battendo Saronni, Knudsen e Merckx

Passista veloce? No, molto di più…

Non è un’intervista, quella che prende il via guardando le imprese della carovana rosa è più una chiacchierata fra presente e passato. De Vlaeminck è stato capace di vincere 3 Sanremo, 4 Roubaix, 2 Lombardia più un Fiandre e una Liegi. L’esempio del ciclista completo, eppure tutti, pensando a lui lo ricordano come un semplice passista veloce.

«Passista veloce io? Ma io vincevo anche le crono, ho battuto gente come Moser contro il tempo. Sai qual è la vittoria più bella per me? Non è una classica, ma il Giro di Svizzera del 1975 perché in un giorno battei Merckx 3 volte: in linea, a cronometro e nella classifica finale. Eddy era un riferimento per tutti: con lui in gara non c’era bisogno di fare strategie, bastava seguirlo e se ne avevi, provare a batterlo. A me riuscì, anzi quando completai la mia collezione con il Fiandre del ’77 avrei voluto che secondo fosse lui, non Teirlinck».

De Vlaeminck insieme a Merckx: «Tutti lo imitavamo, nell’alimentazione come negli allenamenti» (foto Rouleur)
De Vlaeminck insieme a Merckx: «Tutti lo imitavamo, nell’alimentazione come negli allenamenti» (foto Rouleur)

Quel Giro perso per la sella…

Eppure pensare a De Vlaeminck vincitore del Lombardia sembra quasi una contraddizione in termini: «Ma l’ho fatto due volte, nel ’74 e ’76. Non ero proprio negato per le salite, solo che nel mio curriculum non ci sono Grandi Giri. Io però penso che il Giro d’Italia del ’75 avrei anche potuto vincerlo, se non è successo è a causa di un errore di  un meccanico, che nella quarta tappa mi alzò la sella di un paio di centimetri. Col risultato che mi vennero i crampi sulla salita di Prati di Tivo e persi 4 minuti. Vinsi 7 tappe e su 23 in totale fui fuori dai primi 8 solo due volte. Avevo una gamba eccezionale e nel Giro di Svizzera successivo lo dimostrai».

Ma c’è anche un’altra ragione: Roger era figlio di un ciclismo dove si pedalava sempre, si era al top all’inizio come alla fine della stagione. Un po’ come avviene oggi: «Non facciamo di questi paragoni. Uno solo è di quel tipo e si chiama Tadej Pogacar. Lo sloveno mi piace, emerge dappertutto, a marzo come a ottobre. Si vede che ha fame di successo. Gli altri? Confermo quel che ho detto, non avrebbero vinto una corsa ai miei tempi».

Van der Poel e Pogacar. Entrambi a caccia del Grande Slam, ma per Roger solo lo sloveno può…
Van der Poel e Pogacar. Entrambi a caccia del Grande Slam, ma per Roger solo lo sloveno può…

Giudizi impietosi sul ciclismo di oggi

Neanche Van der Poel? «Van der Poel lo vedi emergere nelle classiche, fa la volata e vince, ma poi? Dove lo vedi più? Come va a cronometro? E quando la strada si rizza sotto le ruote? Non è completo, sicuramente la Roubaix sa interpretarla, ma d’altronde è un campione del ciclocross. Anch’io facevo ciclocross, ho anche vinto il mondiale del ’75. Ne facevo 15 proprio per preparare la stagione su strada e anche lì c’era gente forte. Correvo senza particolare preparazione, soprattutto per guadagnare, eppure ne ho vinti 112…».

Su un aspetto, De Vlaeminck è particolarmente “battagliero”: «Tutti paragonano Pogacar a Merckx, ma c’è una cosa profondamente diversa: la caratura degli avversari. Eddy aveva veri campioni che lo contrastavano e che non hanno vinto e sono diventati celebri come avrebbero potuto proprio perché c’era lui che si prendeva tutto. Oggi Tadej chi ha come rivali?».

Il belga di Eeklo, classe 1945, in sella alla sua Gios. Con la famiglia ha una forte amicizia (foto Barlaam)
Il belga di Eeklo, classe 1945, in sella alla sua Gios. Con la famiglia ha una forte amicizia (foto Barlaam)

L’assenza di campioni italiani

Eppure si dice sempre che questa è l’epoca d’oro del ciclismo, quella fatta di grandi fenomeni… «Tutti settoriali. Vingegaard lo vedi al Tour e basta, se va bene magari emerge in un altro Grande Giro e qualche corsa a tappe, ma nelle classiche dov’è? Van Aert si sta spegnendo, Evenepoel gareggia col contagocce. Pogacar mi piace perché fa tante corse e le fa sempre al massimo. Lui ha lo spirito che avevamo noi».

E’ un ciclismo che ti piace? «No, per nulla, lo trovo noioso. Alla Roubaix si sapeva che ce n’erano solo due che potevano vincere, alla Sanremo tre perché c’era anche Ganna. Il ciclismo di oggi soffre molto l’assenza degli italiani, cinquant’anni fa ce n’erano almeno 15 fortissimi, che potevano vincere dappertutto, oggi tolto Filippo a cronometro chi c’è? Ve lo posso assicurare: vincere contro Gimondi, Moser e Saronni non era per nulla facile…».

Insieme a Francesco Moser, rivale di tante battaglie ma anche compagno alla Sanson nel ’78
Insieme a Francesco Moser, rivale di tante battaglie ma anche compagno alla Sanson nel ’78

Tadej e un Grande Slam legato alla fortuna

Pogacar e Van der Poel sono a due vittorie dal Grande Slam, potranno farcela? «Tadej penso di sì, è il migliore in tutte le corse, tra Sanremo e Roubaix avrà solo bisogno di un po’ di fortuna, soprattutto nella prima che è più difficile da interpretare. VDP no, lui è solo per le Classiche del Nord. Lo vedi tra Sanremo e Roubaix, poi diventa uno dei tanti».

Rispetto ai suoi tempi però quel che è cambiata profondamente è la preparazione: «Io non credo che tanti si allenino più di quanto facevamo noi. Io dopo la Gand-Wevelgem, che allora era l’antipasto della Roubaix, facevo altri 140 chilometri, arrivando a 400 a fine giornata. E per allenarmi per bene per la Roubaix, con mio fratello Erik (7 volte iridato di ciclocross, ndr) andavamo in campagna cercando i contadini che avevano appena passato il trattore sul campo e pedalavamo il più possibile dentro il solco. Oppure andavamo sui binari dei treni, per acquisire maneggevolezza della bici. Dicevano che in bici ero il più elegante, adesso sapete perché…».

VdP in mtb, riparte da Nove Mesto. Sentiamo Fontana

17.05.2025
5 min
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Mathieu Van der Poel è pronto a tornare nella MTB. Sebbene con una settimana di ritardo rispetto a quanto dichiarato, il formidabile atleta della Alpecin-Deceuninck di fatto dà il via all’operazione “terzo mondiale”. Dopo quelli su strada e nel ciclocross, l’olandese vuole coronare questo sogno, questa sfida.

Van der Poel si sta allenando al sole della Spagna per questo rientro in mountain bike, che appunto doveva avvenire in Germania ma poi è stato spostato a Nove Mesto (nella foto di apertura di Andreas Dobslaff-Vojo), classicissima della Coppa del mondo prevista per il 25 maggio.

Ora un assaggio per rompere il ghiaccio, magari per fare il punto sulla situazione tecnica, e poi dopo il Tour de France, dare il vero e proprio assalto all’impresa iridata.

Del suo ritorno e del suo percorso di avvicinamento, a dire il vero piuttosto riservato (VdP non pubblica più neanche su Strava), ne parliamo con colui che resta il faro della mountain bike italiana, Marco Aurelio Fontana.

Per oltre dieci anni Marco Aurelio Fontana (classe 1984) è stato il miglior biker italiano. Vanta un bronzo olimpico e uno iridato
Per oltre dieci anni Marco Aurelio Fontana (classe 1984) è stato il miglior biker italiano. Vanta un bronzo olimpico e uno iridato
Allora Marco, VdP è pronto a tornare. Sono due anni che non prende parte a una gara di mountain bike. E sappiamo che c’è un’evoluzione tecnica continua. Cosa troverà di diverso? Quanto troverà di diverso?

Troverà un mix diverso di personaggi e di percorsi. Ho visto che stanno lavorando e quindi anche sul percorso ci saranno novità. Troverà diverso il modo in cui corrono i biker oggi, che magari è un modo che a lui piacerà di più o di meno. Però, secondo me, e l’abbiamo visto dalle prime due prove di Coppa: c’è un modo di correre nuovo, più “astratto”, più altalenante. Si lima tanto, c’è un po’ di gioco di squadra, dinamiche che lui ha già visto e vissuto nel ciclocross e su strada.

In teoria è un micro vantaggio questo per lui?

Sì, però qualche cambiamento lo troverà rispetto alle sue ultime apparizioni e quindi sarà bello vedere come si adatterà subito oppure se ci metterà un po’ di tempo.

Marco, Van der Poel appartiene alla categoria “Dei in bici”, però quale potrà essere per lui un vantaggio e uno svantaggio? Pensando anche alla sua attitudine al cross e alla strada…

Il vantaggio è quel grande motore che ha e quelle ore e quella forza che ti dà la strada. Lo svantaggio sicuramente lo avrà se non userà abbastanza la mountain bike perché, come ha già dimostrato, è sicuramente una delle divinità del ciclismo, ma la MTB è un po’ il suo “tallone d’Achille”. Nella guida non è scioltissimo. In qualche occasione ha mostrato piccole incertezze. Quindi deve acquisire quella fluidità che solo l’uso della mtb gli può dare.

Il ruzzolone di VdP ai Giochi di Tokyo. Secondo Fontana l’olandese deve usare molto di più questa bici
Il ruzzolone di VdP ai Giochi di Tokyo. Secondo Fontana l’olandese deve usare molto di più questa bici
Perché?

Perché il tallone ce l’ha lì: è caduto poco dopo il via ai mondiali di Glasgow e anche a Tokyo, alle Olimpiadi, è andato giù su un ponte che al netto di tutto non era impossibile. Quindi penso che si preparerà a dovere con la mtb per essere pronto quest’anno, soprattutto per il mondiale. Mentre ci ha fatto vedere ancora una volta di essere incredibile sul pavé, di avere una guida con la bici da strada che è allucinante. Veramente incredibile. Però sulla mountain bike l’avevamo visto in leggera difficoltà già due anni fa, almeno rispetto ad alcuni piloti. Oggi si ritroverà dei biker ancora più stilosi, ancora più veloci, ancora più determinati.

Chiaro…

Poi è anche vero che se dal ciclocross si porta il ritmo e dalla strada una forza e un chilometraggio che nessuno di quelli che corrono in MTB ha, resta un grande atleta anche in questa disciplina. Però ecco, io l’unico punto di domanda lo vedo legato al fatto che deve usare di più la MTB.

Ed è oggettivamente difficile sapere quanto la usa… Però sappiamo che Canyon ha stretto una forte collaborazione con lui.

Sì, vedremo. Ma è chiaro che anche un gigante come lui deve affinare una guida che richiede sempre di più abilità tecniche.

Doveva correre in un cross country in Germania ma poi ha cambiato idea…

In Germania avrebbe trovato una salita molto lunga, dove si poteva distendere. La discesa, specie se asciutta, non è niente di che. Se fosse stata bagnata sarebbe stata un po’ più complicata, però in realtà il problema di Van der Poel non è sul bagnato. Il problema è il tipo di tecnicità del percorso e la sua modernità. Diciamo che il percorso del “Bike the Rock” di Heubach gli sarebbe stato ideale per prendere un po’ di feeling.

Sulla bici da strada invece, sempre secondo l’occhio esperto di Fontana, Van der Poel è un fuoriclasse assoluto
Sulla bici da strada invece, sempre secondo l’occhio esperto di Fontana, Van der Poel è un fuoriclasse assoluto
E Nove Mesto invece che percorso troverà?

Nove Mesto la conosce bene anche lui, anche se ci sono stati dei cambiamenti. Di buono c’è che su quel tracciato, anche se parti dietro e hai gamba, chiaramente puoi recuperare. Ci sono tratti molto larghi per risalire. Nove Mesto da sempre è una gara in cui, se hai un tempo sul giro basso, puoi essere al quarantesimo il primo giro, ma arrivare nei primi cinque.

E sul mitico rock garden nel bosco, con le radici?

E’ sempre bellissimo, moderno, ma è sempre lo stesso, quindi diventa un po’ mono-traiettoria. Mi aspetto qualche cambiamento del percorso, ci saranno novità per tutti, ma Mathieu dovrà essere pronto a vedere gente che gli volerà ai lati! In generale però fatemi dire che fa comunque piacere vedere un campione del suo calibro tornare nella MTB.

La caccia al Grande Slam. Papà Van der Poel ci crede…

20.04.2025
6 min
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Il ciclismo non è fatto solo di record. Le vittorie di Pogacar e Van der Poel valgono di per sé, lo spettacolo offerto dai due dominatori delle ultime Classiche Monumento è un concentrato di storie e di immagini che illumina gli occhi. E’ anche vero però che lo sport passa per primati, imprese, numeri: i due campionissimi del nostro tempo possono avvicinarci a quel Grande Slam (la vittoria in tutte e cinque le Monumento della stagione) finora conquistato solo da tre belgi: Van Looy, Merckx, De Vlaeminck.

Entrambi sono a tre vittorie. Van der Poel ha impedito allo sloveno di completare la sua collezione con due prestazioni eccezionali, alla Sanremo e alla Roubaix, ma anche lui ha la possibilità di completare la collezione, se sarà capace di vincere se stesso e i suoi limiti alla Liegi-Bastogne-Liegi e al Lombardia.

Domenica Van der Poel ha colto la terza vittoria consecutiva a Roubaix, come fece Moser
Domenica Van der Poel ha colto la terza vittoria consecutiva a Roubaix, come fece Moser

L’ultima Roubaix, la gioia più grande

D’altronde, il corridore della Alpecin Deceuninck ha in casa chi di queste gare s’intende molto bene perché suo padre Adrie la Liegi la vinse nel lontano 1988, oltre a una lunga serie di altre classiche tra cui anche un Fiandre. E chi più di lui quindi può sapere se il figlio ce la può fare? Intanto però si gode l’ultima impresa.

«Penso che l’ultima Roubaix sia stata davvero speciale. E’ stata una gara davvero emozionante – dice papà Van der Poel – proprio perché l’ultimo capitolo di una sfida fra due grandi campioni, che regala sempre incertezza sul suo esito finale. Penso che sia stata una grande gara e vedere il suo esito finale mi ha riempito d’orgoglio».

Mathieu, in una foto del 2019, con suo padre Adrie: come lui vincitore di classiche su strada e titoli mondiali nel ciclocross
Mathieu, in una foto del 2019, con suo padre Adrie: come lui vincitore di classiche su strada e titoli mondiali nel ciclocross
Secondo te il Mathieu attuale è al suo limite o può ancora crescere?

Io penso che possa ancora migliorare. Certo, ha ormai trent’anni, ma è abituato al duro lavoro e a questo punto serve cambiare qualcosa nella sua preparazione. Penso che possa ancora migliorare un po’, non molto ma deve farlo per continuare a vincere perché il livello sale sempre.

Si parla tanto della ricerca di Pogacar del Grande Slam delle Classiche Monumento. A Mathieu mancano Liegi e Lombardia. Tu la Liegi l’hai vinta, può farlo anche lui e come dovrebbe correrla?

E’ una domanda che molti mi hanno fatto domenica scorsa. Potrebbe vincerla, ne ha tutte le possibilità, ma molto influisce il percorso. Gli organizzatori amano rendere le loro gare sempre più difficili e così facendo restringono sempre di più il lotto dei favoriti, di coloro che possono vincere. Il Lombardia è una gara bellissima, solo che la rendono troppo difficile. Quindi così facendo escludi molti corridori, corridori da classiche, dalla lotta per il successo. Oggi come oggi penso che solo 2-3 corridori possono vincere la classica delle foglie morte. Quando correvo io era il regno dell’incertezza, ce ne potevano essere 50 che partivano con la possibilità di vincere e questo la rendeva più incerta e interessante.

Alla Liegi VDP ha sorpreso tutti lo scorso anni vincendo lo sprint per il 3° posto
Alla Liegi VDP ha sorpreso tutti lo scorso anni vincendo lo sprint per il 3° posto
Escludi quindi Mathieu dal lotto?

No, dico solo che gare come le Monumento dovrebbero essere terreno di battaglia per tutti, non andrebbero rese troppo difficili già nella loro costruzione, andrebbe lasciato più spazio alle strategie delle squadre e alla fantasia dei corridori.

Quale pensi sia più difficile per lui tra Liegi e Lombardia, in base alle sue caratteristiche?

Io credo che Mathieu possa vincere entrambe. Servono una buona giornata e un pizzico di fortuna, ma nelle condizioni in cui è ha tutte le possibilità per farlo, io sono ottimista. E’ chiaro però che le altre tre classiche sono fatte a pennello per lui, si adattano meglio alle sue caratteristiche e le vittorie alla Milano-Sanremo sono davvero un fiore all’occhiello.

Al Lombardia l’olandese ha corso una sola volta, nel 2020, finendo al 10° posto a 6’28” da Fuglsang
Al Lombardia l’olandese ha corso una sola volta, nel 2020, finendo al 10° posto a 6’28” da Fuglsang
Tu dici che al Giro di Lombardia può essere competitivo: come andrebbe preparato?

Il Lombardia l’ha fatto una sola volta, nel 2020. Ed è arrivato decimo. Io dico che con le giuste condizioni potrebbe giocarsela. Deve arrivare con il peso giusto, magari perdere qualcosa come aveva fatto lo scorso anno prima dei mondiali ed è salito sul podio in una corsa durissima. Sa che può farlo, quindi, che il fisico poi risponde. Sarebbe importante per prepararlo andare alla Vuelta e poi affrontare alcune gare collinari, impegnative dal punto di vista altimetrico per abituarsi. E’ chiaro che sul terreno di Pogacar sarebbe durissima, ma ci si può provare.

Tuo figlio può raggiungere un altro traguardo storico: 4 titoli mondiali in 4 diverse specialità. Lo vedi competitivo nella mountain bike attuale?

E’ difficile cambiare bici durante la stagione. Ma penso che in passato abbia già dimostrato di esserne capace. Ha vinto gare di Coppa del mondo, significa che è un vincente anche lì. Io penso che la sua scelta sia giusta, considerando il mondiale su strada troppo duro e impegnativo anche come trasferta. E’ un obiettivo da inseguire quest’anno. Quindi penso che darà il massimo. Ci proverà, senza mettersi troppa pressione addosso, diciamo che è un “plus” nella sua stagione. Fa parte di quei target posti da qui alla fine della sua carriera, come anche conquistare una medaglia olimpica.

Quest’anno VDP ha optato per i mondiali di mtb, correrà il 14 settembre a Crans Montana (SUI)
Quest’anno VDP ha optato per i mondiali di mtb, correrà il 14 settembre a Crans Montana (SUI)
Tu che lo conosci bene, ha per la mountain bike la stessa passione che nutre per ciclocross e strada?

Oh, non credo. Ciclocross e strada sono nel suo DNA, come è un po’ per la nostra famiglia. Mathieu d’altro canto ha un pregio: vivere ogni evento in maniera abbastanza rilassata. Conscio di essere ben preparato, di stare in salute e e di non avere nulla di cui preoccuparsi. Non è spesso nervoso per una gara e questa è un’ottima cosa.

Nel ciclocross ha vinto 7 mondiali. Continuare a competere sui prati è legato solo alla passione o lo ritiene anche fondamentale per preparare la strada?

Io penso che lo faccia perché gli piace proprio. La mountain bike è forse più un vezzo, un divertissement, ma penso che per lui il ciclocross in inverno sia un’ottima preparazione e penso anche che, con le modalità e i tempi come l’ha interpretato negli ultimi due anni, sia un’ottima cosa.  Quindi penso che non debba cambiare molto, fare qualche ciclocross, prendersi una piccola pausa e poi dare il massimo per il mondiale.

Con Pogacar. I due sono in caccia del Grande Slam ciclistico, con 3 successi su 5 per ciascuno
Con Pogacar. I due sono in caccia del Grande Slam ciclistico, con 3 successi su 5 per ciascuo
E’ più probabile che Mathieu vinca le due classiche mancanti o che Pogacar vinca Sanremo e Roubaix?

Penso che per Tadej sia un po’ più facile rispetto a Mathieu, i risultati di quest’anno a Sanremo e Roubaix dicono che è molto vicino al vertice anche in quelle due prove, senza Mathieu le avrebbe vinte, credo. Obiettivamente è quello davvero in grado di fare il Grande Slam.

Tu sei stato campione in bici e sei padre: la gioia per i suoi successi è diversa da quella che provavi per i tuoi?

Sì, è piuttosto diverso e credo sia più emozionante. Vedere le sue corse mi rende più nervoso di quando correvo, è un modo completamente diverso di godersi le gare. Una gioia molto più profonda e intensa.

Stili di guida sul pavé: la differenza la fanno i campioni

17.04.2025
5 min
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La caduta di Pogacar ha messo fine al duello testa a testa tra il campione del mondo in carica e quello uscente, Mathieu Van der Poel. Ancor prima che la corsa potesse metterci davanti l’ennesimo duello tra due campioni una curva sbagliata ha messo fine allo spettacolo. L’errore dello sloveno ha aperto una curiosità e qualche dubbio sulla sua posizione in sella. Non che la sua pedalata manchi di efficacia, ma il pavé della Roubaix non sono le salite del Tour de France. 

Tadej Pogacar è stato messo in sella con tutte le accortezze del caso, ma la sua posizione estremamente avanzata lo porta ad usare spesso il manubrio in presa alta. Un fattore che si è notato in maniera particolare durante la Parigi-Roubaix. Nei vari settori di pavé il corridore del UAE Team Emirates-XRG era l’unico dei favoriti a non usare il manubrio in presa bassa. Al contrario Van der Poel con una posizione più compatta in sella ha avuto una guida più fluida

Van der Poel, alla terza Roubaix consecutiva in bacheca, sa sfruttare ogni spazio e questo è un vantaggio enorme
Van der Poel, alla terza Roubaix consecutiva in bacheca, sa sfruttare ogni spazio e questo è un vantaggio enorme

Funamboli

Ci siamo rivolti così a un ex-corridore che di pavé ne ha masticato parecchio: Filippo Pozzato

«Sono due stili di guida e di pedalata – spiega – che evidenziano la differenza di come i due sono stati messi in sella. Pogacar sa guidare molto bene la bicicletta e lo ha dimostrato, ma Van der Poel è di un’altra pasta. Penso che sia il migliore in gruppo. Sia l’anno scorso che quest’anno ha affrontato le curve del Carrefour de l’Arbre con un’agilità incredibile. Faceva il pelo agli spettatori, alle transenne e a tutto ciò che delimitava il percorso. Sicuramente il fatto che arrivi dal ciclocross gli dà quel qualcosa in più a livello di confidenza nell’usare tutta la strada a disposizione e anche qualcosa in più».

La differenza di fuori sella tra Pogacar e Van der Poel è evidente, così come i modi di stare in bici
La differenza di fuori sella tra Pogacar e Van der Poel è evidente, così come i modi di stare in bici
Pensi che la differenza tra gli stili di guida possa aver fatto la differenza sul pavé?

Ne parlavo con i ragazzi con cui ho visto la gara. Io ero uno che guidava allo stesso modo di Pogacar, con le mani alte. Tom Boonen, ad esempio, era molto vicino a Van der Poel, sempre in presa bassa. Fabian Cancellara aveva un altro stile ancora, con le mani appoggiate spesso sulla parte centrale del manubrio. 

Cosa hai notato ancora?

Che Van der Poel è molto basso e compatto sulla bicicletta, ha un’escursione di sella molto limitata e per questo è più facile per lui usare il manubrio in presa bassa. Pogacar invece è più alto e spostato in avanti. 

Un fattore che può aver influenzato la caduta?

Non direi. Può succedere di cadere alla Parigi-Roubaix. Poi in realtà Pogacar non è caduto, ha sbagliato una curva e poi è finito a terra. Quell’errore lo attribuisco più alla traiettoria sbagliata a causa della moto davanti.

L’olandese sul pavè utilizza spesso la presa bassa, al contrario lo sloveno usa le manopole dei freni
L’olandese sul pavè utilizza spesso la presa bassa, al contrario lo sloveno usa le manopole dei freni
Dici?

In quei momenti di gara sei a tutta, inoltre Pogacar stava spingendo per tentare un allungo. La bicicletta sbatte da tutte le parti, la gente ti urla nelle orecchie, hai l’adrenalina a mille, è facile sbagliare. Penso che lui stesse seguendo la moto, a un certo punto ha abbassato lo sguardo sulla strada e quando lo ha alzato ha visto l’altra moto del fotografo parcheggiata in quel punto strano. Non un disturbo concreto, però inganna la prospettiva della curva. 

Quindi la posizione in sella non ha influito?

No. Ogni corridore ha la sua e se pedala in quel modo è perché si trova bene. Io stesso avevo le mie misure e le mie geometrie. Van der Poel e Pogacar ci hanno mostrato due stili tanto diversi, ma l’efficacia della loro azione sul pavé è evidente. Erano comunque loro due davanti a tutti. 

Pogacar è l’unico tra i primi dieci della Roubaix a pesare meno di settanta chili
Pogacar è l’unico tra i primi dieci della Roubaix a pesare meno di settanta chili
Nell’intervista prima del Fiandre ci avevi detto che Pogacar non avrebbe fatto bene alla Roubaix, ora che lo hai visto in azione cosa pensi?

Era l’unico corridore che fisicamente non c’entrava nulla con quelli davanti, tra i primi dieci è l’unico che pesa meno di settanta chili. Mi chiedevo come potesse andare forte e lui ha risposto arrivando secondo. Al Fiandre te lo puoi aspettare, ci sono delle salite e lì può certamente fare la differenza. 

L’evoluzione tecnica dei mezzi può averlo avvantaggiato?

Sicuramente questa cosa di utilizzare copertoni sempre più larghi, si è arrivati a montare il 32 millimetri alla Roubaix, lo aiuta. Le pressioni si abbassano e la maggior larghezza del battistrada crea più comfort in sella. Però poi bisogna pedalare e Pogacar lo fa alla grande. Per il resto credo che l’evoluzione tecnica c’è ma anni fa era la bici ad adattarsi al corridore. Ora è il contrario, le aziende fanno dei telai standard gli atleti vengono messi su giocando con i vari componenti. Pogacar ha fatto vedere di cosa è capace, ed era solo alla sua prima partecipazione alla Roubaix.