Abbiamo già avuto modo di parlare di Lorenzo Masciarelli come grande prospetto azzurro per il ciclocross, ma su strada come stanno andando le cose? L’abruzzese è stato uno dei protagonisti azzurri del Gran Premio Liberazione a Roma, ma la sua stagione è poi andata avanti fra alti e bassi, non regalandogli finora quelle soddisfazioni che tanti, ma soprattutto lui si aspettavano. Partiamo però proprio da Roma e da quelle giornate così speciali.
«Gareggiare nella nazionale di ciclocross su strada è stato come sentirmi a casa – esordisce il corridore della Bert Containers Pauwels Sauzen – E’ un gruppo fantastico, non manca nulla, Scotti e Bielli sono quasi dei papà suppletivi. Peccato che quella gara non sia andata come speravo: nel primo giro sono caduto e ho rotto il disco posteriore, questo mi ha penalizzato molto».
Finora la tua stagione come sta andando?
Non bene come speravo, la condizione c’è ma probabilmente mi ha frenato la troppa voglia di fare. E’ anche vero però che rispetto agli altri sono svantaggiato perché gareggio da solo facendo parte di un team straniero, non ho compagni di squadra, ma gareggiare mi ha fatto comunque bene considerando che in Belgio le gare ancora non sono riprese.
Lorenzo Masciarelli vittorioso da allievo a Illasi nel 2018 (foto Francesconi)Lorenzo Masciarelli vittorioso da allievo a Illasi nel 2018 (foto Francesconi)
In questa primavera come sei riuscito a gestirti fra Belgio e Italia?
La pandemia ha spinto le autorità scolastiche belghe a allungare le vacanze di Pasqua, così sono rimasto in Italia e ho potuto gareggiare di più, poi sono tornato a casa per riprendere la scuola. Tornerò in Italia la settimana prossima per gareggiare, ma farò un po’ la spola con il Belgio per partecipare a qualche prova anche lì.
Con la scuola come ti sei organizzato?
Ne abbiamo parlato con i responsabili della squadra e hanno ottenuto il permesso per farmi lavorare in DAD nelle ultime settimane. In Belgio il periodo scolastico quest’anno si conclude a fine giugno, finora comunque i miei risultati sono stati buoni, quindi posso chiudere l’anno senza problemi.
L’abruzzese (numero 1) al via della seconda tappa del Giro d’Italia Ciclocross a CorridoniaL’abruzzese (numero 1) al via della seconda tappa del Giro d’Italia Ciclocross a Corridonia
Finora conosciamo bene il Masciarelli ciclocrossista, ma quello su strada ce lo puoi presentare?
Di regola sono uno scalatore, mi trovo bene sulle salite lunghe, ma l’esplosività che ho mutuato dal ciclocross mi consente di far bene anche nei circuiti con salite corte continuate, i tipici percorsi a saliscendi perché riesco a rilanciare continuamente l’azione. Avrei però bisogno di poter lavorare in squadra per sfruttare meglio le mie qualità.
Ti piacerebbe arrivare in nazionale anche su strada?
Moltissimo e non nascondo che ci penso. Quest’inizio di stagione ho ottenuto solamente piazzamenti (4° al Trofeo Amministrazione Comunale di Martignano nelle Marche e 3° al Trofeo Cicli Saccarelli in Umbria, ndr), speravo molto nella Strade Bianche di Romagna, ma ho peccato di inesperienza non alimentandomi bene.
La volata del Trofeo Saccarelli a Masciano, con Masciarelli terzo e deluso (foto Fruzzetti)La volata del Trofeo Saccarelli a Masciano, con Masciarelli terzo e deluso (foto Fruzzetti)
Oltretutto se riuscissi a guadagnarti la selezione azzurra per i mondiali in Belgio correresti “in casa”…
Sì e questo m’invoglia ancora di più. In Belgio è molto importante conoscere i percorsi e saper interpretare il vento, la situazione può cambiare in un attimo, passi da una strada molto larga a una stretta, oppure una folata di vento spacca il gruppo. Il tracciato influisce moltissimo, va studiato con attenzione, per questo penso che potrei fare bene.
Quali sono i tuoi prossimi obiettivi?
Continuerò a gareggiare in Italia fino all’appuntamento di Solighetto al quale tengo molto, anche perché potrò gareggiare con una squadra mista belga. Poi punterò direttamente ai Campionati Italiani d’inizio luglio.
La bici da ciclocross la stai usando ancora?
Per ora no, è messa un po’ da parte, ma conto di riprenderla presto in mano, almeno per un paio di sedute a settimana, per riprendere confidenza con il mezzo, anche perché la prossima stagione sarà molto delicata: passerò fra gli under 23 e in Belgio questo significa che avrò subito a che fare con i campioni della specialità, da Van Aert in giù, perché lì le gare sono Open. Quindi dovrò essere subito al 100% se vorrò iniziare a farmi conoscere…
Il terzo fratello Masciarelli, il più giovane: Francesco, classe 1986. Serviva un nipote forte nel cross come Lorenzo per riallacciare i rapporti con la famiglia abruzzese e scoprire che suo padre Simone, il primo della dinastia, ha trasferito la famiglia in Belgio per stare accanto al figlio. Che Andrea, quello di mezzo, lavora nel negozio di bici. Mentre Francesco, lo scalatore di talento che vinse il Giro del Lazio e domò il Mont Faron, è tornato dall’America e fa il preparatore. Il suo ruolo, appunto, è venuto fuori parlando con il fratello Simone e con Fidanza a proposito di Gaia Realini.
Il bar di Masciarelli, luogo di sport e divertimento
Sport bar, il ciclismo al centro di tutto
Decine di birre e quella bici sullo sfondo
Suo figlio Riccardo aveva due anni quando la famiglia è volata negli Usa
Un selfie sportivo nelle due sttimane di visita di Cassani
Un brindisi americano con il suocero che si chiama Francesco
Questo è lo svizzero che lo ha riportato allo sport
Bellezze al bar: la mora sulla destra è sua moglie Francesca
Questa foto fa venir voglia di partire
Il bar di Masciarelli, luogo di sport e divertimento
Sport bar, il ciclismo al centro di tutto
Decine di birre e quella bici sullo sfondo
Un selfie sportivo nelle due sttimane di visita di Cassani
Suo figlio Riccardo aveva due anni quando la famiglia è volata negli Usa
Un brindisi americano con il suocero che si chiama Francesco
Questo è lo svizzero che lo ha riportato allo sport
Bellezze al bar: la mora sulla destra è sua moglie Francesca
Questa foto fa venir voglia di partire
Fuga negli Usa
Insomma, la curiosità di farci raccontare quanto valgano i due giovani azzurri è forte, ma prima c’è la sua storia. Perché Francesco era forte davvero, ma smise di correre nel 2012, a causa di un piccolo tumore benigno che causava problemi sotto sforzo. Così, deluso e furibondo, appese la bici e sparì.
«Presi le mie cose e i soldi che avevo messo da parte correndo – racconta – e partii per la California. Mi piaceva andarci d’inverno in vacanza, ma quella volta fu per non tornare. Stavo lasciando il ciclismo con il rammarico per quello che sarebbe potuta essere la mia carriera. Fu una fuga dalla delusione».
Cosa sei andato a fare?
Ho investito in uno sport bar a Encinitas, località di mare a nord di San Diego. Venticinque gradi tutto l’anno, un paradiso. Ho fatto un’esperienza di quattro anni e ne è valsa la pena, anche se mi è costato tanto personalmente e sul piano economico. Non parlavo inglese. Ci sono stati giorni in cui temevo che non ci sarei mai riuscito, poi di colpo la ruota ha girato.
Che cosa significava sport bar e come si chiamava?
Si chiamava QBR, Quei Bravi Ragazzi. C’era la televisione sempre accesa con immagini di sport. Bici alle pareti. Cibo italiano, pizza e tanto ciclismo. All’inizio nessuno sapeva che fossi un ex atleta, anche perché io non l’avevo detto a nessuno. Poi si sparse la voce che avessi corso all’Astana e divenni un’attrazione. Finché un giorno arrivò uno svizzero, amico di Cancellara. Forse non credeva che avessi corso, perché cominciò a fare domande, ma alla fine diventammo amici. Fu lui a farmi tornare la passione per l’allenamento. Seguii dei corsi all’Università di San Diego, dove insegnano la multidisciplina a partire dal surf. E così cominciai ad allenare un gruppetto di atleti.
Francesco è il preparatore di suo nipote Lorenzo, figlio di SimoneFrancesco è il preparatore di suo nipote Lorenzo, figlio di Simone
Perché sei tornato?
Perché il business era legato al visto. Dovetti vendere l’attività. Mi trovai a passare da imprenditore a manager, da pizzaiolo a cameriere e capii che le cose non potevano andare. In più c’erano stati dei problemi di salute nella famiglia di mia moglie e alla fine tornammo. Era il 2016.
Iniziasti subito a fare il preparatore?
Un po’ con quello che avevo studiato là, un po’ facendo Scienze Motorie che dovrei finire per marzo e partecipando al corso dell’Uci a Aigle. Prima mi appoggiavo al negozio di famiglia, ora ho uno studio mio. Viene qualche pro’ della zona e continuo a fare coaching a distanza con alcuni americani. In più ci sono Lorenzo, Gaia Realini e per un po’ c’è stato anche Ciccone.
Quanto vale tuo nipote Lorenzo?
Sta crescendo con i freni tirati. E’ come se stesse ancora giocando. Si fa qualità senza troppa quantità, che dovrà iniziare a breve. Il mondo è cambiato. Quando ero junior, nel 2004, facevo 12 ore di allenamento a settimana, ora ne fanno anche 20 e distanze di 130-140 chilometri. Ne abbiamo parlato a Aigle.
Di cosa avete parlato?
E’ come se stessero schiacciando gli U23 verso gli juniores e alla fine la categoria sparirà. Si tratterà di capire quanto durano i fenomeni che vanno ora per la maggiore. Si diventerà professionisti dagli juniores. Poi ci sarà sempre qualcuno che farà eccezione come Valverde. Avevo il suo stesso preparatore. Faceva 7,3 watt/kg da febbraio a ottobre, un campione.
Nel 2010 con Gaia Realini, allora 8 anni: la avevate riconosciuta?Nel 2010 con Gaia Realini, 8 anni: l’avevate riconosciuta?
Lorenzo correrà su strada con la stessa squadra?
Sì, col rischio di un calendario povero. Dovevano fare Gand e Fiandre juniores, ma a quanto pare non le organizzeranno. Sarebbe stato bello anche che avessero fatto il mondiale. La fortuna di essere in Belgio è che lassù le continental non sono come le nostre, le poche che sono rimaste, ma sono quasi tutte satelliti di grandi squadre. Per cui se da junior ti metti in luce, trovi quasi certamente un posto al sole. Qua invece se fai due anni da U23, poi fai fatica a uscirne.
Si è parlato della Deceuninck-Quick Step.
Ormai è uno della famiglia De Clercq, che ha agganci con tutti. Se dimostra quel che vale, non avrà problemi. Alla Deceuninck del cross non importa, ma è anche vero che i soldi veri ci sono su strada. Ed è anche vero che il cross grazie a VdP E Van Aert ora lo seguono tanti di più. Una volta il mondiale quasi non lo davano in diretta…
Che doti ha tuo nipote?
Non ha preso da nessuno dei tre fratelli, piuttosto dal nonno. Ciclista vecchio stampo, che ancora adesso a 68 anni esce in bici anche se fa freddo, coperto il giusto, con due dita di whisky nella borraccia. Lorenzo è un bello scattista, ha tanto da dire a crono e in salita va bene.
Simone, Palmiro, Andrea e Francesco Masciarelli in una foto del 2010Simone, Palmiro, Andrea e Francesco Masciarelli: è il 2010
Quanto bene?
Quando c’è Ciccone in Abruzzo, facciamo sempre il test di massa. Andiamo a Passo Lanciano con un gruppetto di 20 atleti, facciamo qualche lavoro e poi si prende il tempo, perché in Abruzzo quella è la salita in cui ci si tira il collo. Stare sotto i 30′ è già un bel tempo. Giulio ha fatto 26′, Lorenzo è sotto i 30′. Gaia Realini e i suoi 48 chili hanno 33′. Io da junior non ho mai fatto Passo Lanciano, per dire quanto è cambiato il mondo.
Gaia è così forte?
Gaia è l’atleta più cattiva e determinata che io conosca. Dice che sta sempre bene, qualsiasi lavoro le proponi, tanto che devi stare attento che non vada in overtraining. Non si fermerebbe mai. A lei la strada non piace tanto, ma sono convinto che in salita ci dimostrerà la sua forza.
Il cross le darà vantaggi?
La multidisciplina funziona, stando attenti alla periodizzazione. Si fanno più break durante la stagione perché possano recuperare. Con le donne, devi tirare il freno in allenamento perché sono particolari a livello ormonale. Invece con gli uomini devi dare qualità e quantità nella giusta misura, a costo di invertire le fasi di lavoro. La qualità prima della quantità, in stile Sky.
Lorenzo Masciarelli con suo padre Simone ai campionati italiani juniores di Lecce 2021Lorenzo Masciarelli con il padre Simone ai tricolori di Lecce
Spiega…
Con Lorenzo iniziamo a fare la base del cross con allenamenti medio/lunghi a luglio e agosto. A settembre-ottobre si fa la parte qualitativa e quando si deve passare su strada dopo il cross, si cala la qualità e si cresce la quantità. Quindi il contrario rispetto agli stradisti che fanno la base fino a dicembre e poi cominciano a fare i lavori specifici. Il rischio di overtraining è dietro l’angolo, per cui vanno seguiti bene.
Fidanza ha spiegato che Gaia cercherà di sfruttare su strada la condizione del cross…
Corretto, poi avrà bisogno di una fase di scarico per preparare il Giro d’Italia. Lavorare con lei e con Giulio, fa capire che non tutti hanno lo stesso motore.
Gallipoli 2020, Gaia Realini all’attacco. L’abruzzese è fortissima in salitaGaia Realini all’attacco. L’abruzzese è fortissima in salita
A proposito di Giulio…
Avevo iniziato a seguirlo nel 2017, ma quando è passato alla Trek ho dovuto interrompere e mi sono rimesso a studiare. L’idea potrebbe essere quella di entrare in una squadra, cercando di capire quali vincoli ci siano. Ci penserò dopo la laurea.
E tu puoi fare ancora sport? Quel problema è superato?
No, è sempre lì. Ma nel frattempo ho partecipato a tre Ironman, in uno sono arrivato secondo assoluto, in Inghilterra. A Cervia ho vinto la mia categoria, con un paio di mesi di allenamento, perché di più non posso. Per il resto, sto dietro ai miei ragazzi e non vado mai alle gare. Non mi piace stare troppo in mezzo.
Il podio di Luca Paletti fra gli juniores alle spalle di Dockx premia l'Italia negli europei di cross. Van der Haar beffa i levrieri belgi. Cresce Realini
In allenamento sia esso per il calcio, il ciclismo o lo sci… si tende a riprodurre e in alcuni casi ed estremizzare il gesto tecnico-atletico a cui si è chiamati. Tra le discipline del ciclismo, il ciclocross è forse quella che più è fedele a questa regola. Chi prepara una Sanremo farà 300 chilometri una volta o due, forse, ma chi punta al cross non solo spesso farà quell’ora a tutta, ma nel mezzo tenderà a riprodurre fedelmente i famosi picchi di potenza che dovrà ad esprimere.
Partendo da un file Strava di Lorenzo Masciarelli, con l’aiuto di Michele Bartoli (ora preparatore) abbiamo cercato di capire non tanto come si allena un crossista, ma cosa succede quando fa dei picchi. E Lorenzo, seppur giovane, 17 anni, ne ha di esperienza con il cross. Figlio di Simone (il maggiore dei tre fratelli) e nipote di Palmiro, un paio di anni fa si è trasferito in Belgio, proprio per dedicarsi corpo ed anima al ciclocross.
L’esploso dell’allenamento di Masciarelli. In azzurro la curva della potenza e i suoi picchiL’allenamento di Lorenzo Masciarelli. In azzurro i picchi di potenza
I picchi massimali
Dal file si evince come Lorenzo abbia fatto una mezz’oretta iniziale di riscaldamento e più o meno intorno ai 14 chilometri abbia iniziato a fare sul serio. In particolare è molto intensa la prima parte del lavoro. Ci sono 15 picchi, della durata di 10″-15” nei quali Masciarelli arriva anche oltre 1.300 watt. Un tipico lavoro intermittente. La “curva” della potenza tende poi a stabilizzarsi. Infine segue un’altra mezz’ora di scioltezza.
«Ad un primo sguardo – dice Bartoli – sembra più un allenamento per stradisti, quasi di un velocista che deve fare forza dinamica. Nel cross non si riproduce lo sforzo vero e proprio della corsa, ma si lavora sulla qualità che più serve, cioè i massimali. Quindi variazioni e lavori lattacidi, come ha fatto Masciarelli. Devi infatti saper convivere con l’acido lattico.
«Chiaramente a volte si fa anche la distanza, quella serve sempre, tanto più se il crossista è anche uno stradista. E’ la base delle preparazioni. I lavori massimali e specifici vanno bene anche per la strada e quando ne hai fatti due a settimana sono sufficienti».
Lorenzo Masciarelli vive in Belgio e corre nella Pauwels SauzenLorenzo vive in Belgio e corre nella Pauwels Sauzen
Come in una crono
«Il ciclocross – continua Bartoli – è quasi come fosse una cronometro, oggi più di ieri. Una volta infatti se i percorsi erano veloci si inserivano dei tratti a piedi proprio per rallentarli, oggi invece se sono veloci… tanto meglio. Di conseguenza l’allenamento diventa ancora più simile a quello della strada. Un’ora di sforzo massimale o quasi, che è quello che appunto accade in una crono.
«In quelle accelerazioni Masciarelli è stato al massimo per 15” con dei recuperi “ampi” (oltre il minuto, ndr), stava quindi cercando la “prestazione” e non stava simulando la gara. A mio avviso un allenamento ideale per la simulazione è quello di fare dei periodi di 10′-15′ in cui si spinge forte, si rilancia, si riparte da fermi… ».
L’importanza del recupero
Nell’interval training, che è forse l’allenamento simbolo del cross, è importantissimo il tempo di recupero tra una fase intensa e l’altra. Se bisogna abituarsi all’acido lattico questo deve essere inferiore alla durata della fase intensa, se invece si cerca la prestazione il recupero si allunga.
«Un velocista – spiega il toscano – che cerca di fare un grande sprint in allenamento deve essere il più fresco possibile o farlo con una piccola dose di acido lattico per riprodurre quel che avviene nei finali di corsa. Ma nei famosi 40″-20”, in quei venti, secondi si abitua il fisico a recuperare in breve tempo all’acido lattico. E questo nel cross succede spesso.
«Io lo dico ai miei ragazzi dell’Accademy, bisogna sempre gestirsi, anche in una disciplina da fare “a tutta” come il ciclocross. Nei primi 15′ di gara bisognerebbe stare un po’ sotto i propri valori, che poi non è altro quel che si fa in una crono. Se in una gara contro il tempo si deve viaggiare a 400 watt, nelle fasi iniziali meglio attestarsi sui 380 watt che sui 410. Perché altrimenti si crea quel dispendio elevato che nel finale si paga con gli interessi. Se parti a 380 watt, magari finisci a 420-430, ma se parti a 410 finisci a 360. Nelle fasi iniziali si consuma sempre di più. Lo stesso vale per il cross, certo se c’è da tenere un gruppetto in percorso veloce si tiene duro, ma nel limite delle possibilità bisogna gestirsi».
Van der Poel, esprime sempre grandi watt, ma in corsa il valore aumenta ulteriormenteLa potenza di VdP in corsa, eccolo a “caccia” di un avversario
Strada e cross, stessi watt
Dicevamo: due allenamenti specifici a settimana, molta intensità. Questa formula va bene sia per la strada che per il cross.
«I 1.300 watt di Masciarelli o i 1.500 di Van der Poel sono gli stessi che toccano su strada, solo che nel cross sono costretti a farli 20 volte e su strada una o due. E’ per quello che certe attitudini del cross vanno bene anche su strada, è per quello che Van Aert e Van der Poel spesso fanno molti attacchi su strada ed è per quello che ho deciso di creare l’Accademy. Credo molto a questa cosa: sono utili per formare l’atleta.
«I 40″-20″ in allenamento li fai e cerchi di eseguirli al meglio, ma non hai coinvolgimento emotivo. Segui i tuoi valori, nel cross li fai in modo naturale, ma con lo stimolo dell’avversario».
Appena arriva Pontoni e gli sussurra qualcosa nell’orecchio, Bryan Olivo scoppia a piangere a dirotto. Il campionato italiano juniores di Lecce è appena finito e il friulano si sta togliendo di dosso il fango prima di andare a indossare la sua maglia tricolore. E mentre fuori dal percorso si svolge l’inatteso regolamento di conti fra genitori, che probabilmente farebbero meglio a lasciare la discussione ai figli, nel box della DP66-Giant-Smp va in scena una festa rumorosa.
«A metà giro mi sono scivolate le mani e sono caduto – dice Bryan – e dall’ottava posizione ho dovuto recuperare. Dopo ho gestito la gara, ho fatto del mio meglio e ci sono riuscito. Stamattina il percorso era come asfalto, però, appena partiti, abbiamo visto che era tutto diverso. Si scivolava molto di più. Però era un bel percorso».
Lorenzo Masciarelli e Bryan Olivo hanno subito preso la testa della corsaMasciarelli e Olivo subito al comando
Più forte del Covid
La sua ragazza lo osserva dall’esterno del box, mentre dentro è arrivato Tommaso Tabotta che si tiene il polso e piange e diventa subito il centro dell’attenzione, perché in certi momenti bisogna pensare anche a chi non ha troppa voglia di festeggiare. E Bryan intanto si veste, con la manica che non vuo saperne di entrare.
«Dire che sia venuto per vincere – racconta – è un azzardo. In verità ho avuto un problema a metà stagione. Ho avuto il Covid che mi ha condizionato tutto il programma di allenamento. Però ho vinto mercoledì e mi sono detto: «Ok, forse è il mio anno!». E infatti ce l’ho fatta».
Poi lo spingono verso il podio, mentre lo speaker rinnova gli inviti a evitare gli assembramenti, che dopo un paio di denunce sono lo spauracchio degli organizzatori, terrorizzati di dover fermare tutto.
Bryan Olivo, riscaldamento prima del via
Si scalda anche Lorenzo Masciarelli, il padre accanto
Controllo sulla possibile presenza di motorini nelle bici
Il percorso era scorrevole, con pochi balzelli e ostacoli artificiali
Sul podio con Olivo, Luca Paletti (Team Paletti) e Gabriel Fede (Guerciotti)
Olivo concentrato prima del via
Masciarelli si scalda con il padre Simone
Scanner di controllo anti-motorini
Percorso veloce, con ostacoli artificiali
Sul podio con Olivo, Paletti e Fede
Caratteri forti
Pontoni con la sua voce tagliente fa da solo il baccano di tutti gli altri, ma si vede che nei suoi occhi brilla un orgoglio smisurato.
«Io Bryan lo conosco da G6 – dice – quindi abbiamo un rapporto quasi come padre e figlio. Ci siamo anche scornati, perché ognuno ha le sue convinzioni. Lui è un ragazzo forte, ma come tutti ha anche le sue debolezze. Credo, dalla mia parte, di aver usata la parte psicologica giusta per farlo arrivare qua nelle migliori condizioni e far vedere quello che veramente è. Oggi non gli abbiamo detto quasi niente. Aveva tutto chiaro».
Olivo, dopo l’arrivo, una bottiglia d’acqua per lavarsi: questo è il crossDopo l’arrivo, una bottiglia d’acqua per lavarsi
Tattica vincente
Daniele non sa della caduta in partenza di cui ha parlato Olivo, ma il racconto è comunque efficace e fa trasparire la sua grande regia.
«E’ partito in seconda fila – spiega – per cui sapevamo di dover recuperare pian pianino. Avevo detto ai miei collaboratori, perché siamo in quattro che gestiamo la corsa, che non avesse fretta di rientrare nel primo giro, perché immaginavo che nel pezzo sul rettilineo si sarebbero fermati. Quando siamo rientrati, abbiamo provato a capire le facce degli altri corridori. Perché i corridori li vedi quando scatti e poi ti volti. Abbiamo fatto il penultimo giro in seconda posizione, poi sapeva di dover entrare in testa nell’ultimo. Bastava uno scivolone e perdevi la corsa. Bryan e Masciarelli erano leggermente superiori e ci è andata anche bene, perché Masciarelli è scivolato. E rientrare era impossibile».
E quando arriva Pontoni, il campione italiano scoppia a piangereE quando arriva POntoni, Olivo crolla
Rammarico Masciarelli
Masciarelli ha il morale sotto gli scarpini anche dopo la doccia, ma contrariamente alle polemiche, il suo rammarico è limitato alla corsa.
«Avrei preferito un tracciato più duro – ammette – ma se avessi vinto, avrei detto che era il miglior percorso. Queste sono le gare. Olivo mi aveva superato all’inizio dell’ultimo giro ed ero concentrato per stargli a ruota e dare tutto per passarlo. Ma quando Agostinacchio è caduto, non ho fatto proprio in tempo a evitarlo. Sono finito a terra e si è storto il deragliatore. E a quel punto, non c’è stato più nulla da fare».
Merito a Olivo
La chiusura è per Pontoni, prima che si diriga anche lui verso il podio.
«Siamo partiti martedì dal Friuli – racconta – e lui secondo me gli obiettivi ce li aveva già chiari. Quest’anno ha fatto gli europei in pista ed è arrivato al finale di questa stagione più fresco rispetto agli altri. E’ rimasto tre settimane senza correre, ha patito quando è rientrato. Sono contento soprattutto per lui. Se lo merita. Farà un secondo anno importante. E’ seguito dal Cycling Team Friuli, da un’equipe di ragazzi molto valida e credo che i meriti vadano suddivisi fra tutti. Il 33 per cento fra gli altri, il resto a lui, che pedala, che fa fatica e si impegna. Lui quest’anno ha vissuto il momento più brutto della stagione e ora sta vivendo quello più bello».
Lorenzo Masciarelli è l’ultimo talento di un’autentica dinastia ciclistica. Molti pensano che il decano sia Palmiro, in apertura con i tre figli (da sinistra, Simone, Andrea e Francesco) storico luogotenente di Francesco Moser: 12 anni di professionismo con 8 vittorie tra cui 2 tappe al Giro, ma non è così.
«Iniziò tutto da Giulio – racconta nonno Palmiro, il cui primo nome è Lorenzo – che era mio zio. Negli anni Cinquanta non solo gareggiava, ma ci portava a vedere Coppi e Bartali nelle kermesse in pista a Lanciano. Poi venne mio fratello, arrivato fino agli allievi, poi io».
Simone Masciarelli, con i figli Lorenzo e StefanoSimone Masciarelli, con Lorenzo, Stefano
I 3 figli di Palmiro
Non solo Palmiro è passato professionista, ma anche i suoi tre figli. Francesco ha corso per 6 anni: 5 vittorie tra cui il Giro del Lazio 2008, poi uno stop prematuro per un tumore benigno che chiuse la sua carriera. Dieci anni da pro’ per Andrea, ben 13 per Simone, il padre di Lorenzo.
«Il ciclismo ce l’abbiamo nel sangue– ricorda Palmiro – Lorenzo è il nono della famiglia a gareggiare, ma soprattutto abbiamo sempre voluto trasmettere la nostra passione, non solo per la strada. Ai mondiali di Mtb al Ciocco, alla fine degli anni Ottanta, partimmo in 7 da casa per esserci».
Ora Palmiro è rimasto solo a gestire il negozio di bici di San Giovanni Teatino (un riferimento per tutto il Centro Italia) e la società ciclistica.
«Andrea si occupa di biomeccanica applicata al ciclismo – dice – e ogni tanto mi aiuta. Francesco fa il preparatore atletico per squadre professionistiche. Simone è andato in Belgio, ricominciando tutto da capo per seguire Lorenzo. So però che fanno parte di un bel gruppo. Mattan e De Clercq sono venuti spesso a casa mia, li ho ospitati. De Clercq ha disegnato anche un percorso da ciclocross dietro casa».
Lorenzo e VdP
L’avventura di Lorenzolo riempie d’orgoglio: «Ricordo che quand’era bambino incontrò Van der Poel, il padre. Lo fermò per chiedergli una foto. Tempo dopo si ritrovarono a un evento e l’olandese gli disse: “Ma tu non sei quello della foto?”».
Simone e Andrea Masciarelli in uno scatto del 2012Simone e Andrea Masciarelli, è il 2012
Il paragone, per chi ricorda le imprese di Palmiro ai tempi delle sfide Moser-Saronni, viene automatico.
«No, Lorenzo in prospettiva va molto più forte – dice – al primo anno junior ha scalato il Blockhaus solo 3” più lento di Ciccone. Nel ciclocross ha forza esplosiva, dopo ogni ostacolo prende sempre 5 metri a tutti».
Qual è la sua arma segreta? «La serietà, ha capito che questo sport è sacrificio. Quando si riscaldava, per esempio, era solito usare le cuffiette, un giorno lo vidi e gli dissi di metterle da parte perché la concentrazione inizia già da lì. Dopo la gara venne a ringraziarmi, aveva notato la differenza…».
Lui invece è Framcesco, con Szmyd a ruota, al Giro del Trentino 2010Francesco Masciarelli al Giro del Trentino 2010
Il gesto di Simone
Il distacco dalla famiglia non è stato semplice, ma soprattutto non è stato semplice per Simone, chiamato a reinventarsi in Belgio.
«Inizialmente – racconta il papà di Lorenzo – ho dato una mano alla squadra di De Clerqc come meccanico, ma la lontananza da casa si faceva sentire. Inoltre sentivo il peso di non avere un lavoro tale da permettermi di portare qui la famiglia. Un giorno Mario mi ha detto che da un suo amico, che ha una fabbrica di bibite, si era liberato un posto. Ora lavoro lì, al contatore numerico. E al contempo continuo a collaborare con la squadra. Devo dire che ci hanno accolto davvero bene, dimostrano di tenerci molto».
Michela, Simone e Stefano, il più giovane della dinastiaSimone e Stefano, il più giovane della dinastia
Vivendo da dentro la realtà belga, a Simone torna un filo di nostalgia: «Magari avessi potuto vivere un’esperienza simile… E’ bellissimo, tutto ruota intorno alla bici, non viene trascurato nulla e il talento viene curato nei minimi particolari. Per questo la pandemia qui si sente di più, perché le gare senza pubblico, senza tutto il contorno non sono le stesse. Noi poi viviamo a Oudenaarde, dove c’è l’arrivo del Giro delle Fiandre, qui il ciclismo si respira fino in fondo».
Non c’è solo Lorenzo a cui badare, ora che è arrivato anche Stefano, il più piccolo: «Corre per la squadra dei ragazzi di Nico Mattan: la dinastia dei Masciarelli prosegue…».
Questa è la storia di Lorenzo Masciarelli (in apertura nella foto Blieck), che a 16 anni ha lasciato tutto per trasferirsi in Belgio. Immaginate che cosa significa a quell’età cambiare vita, ambiente, amici, lasciare la stessa famiglia per andare a vivere in un Paese straniero, seguendo i propri sogni. E’ quel che ha fatto il giovane abruzzese, parte di una dinastia di corridori. Per diventare quel che vuole essere, un campione del pedale. Oggi, che è passato neanche tanto tempo, poco meno di due anni, gli viene da ridere a ripensarci.
Lorenzo Masciarelli, 6 anni, la bici è già un destino di famigliaLorenzo Masciarelli, 6 anni, la bici nel destino
«E’ nato tutto quasi per scherzo. Avevamo conosciuto alle gare il gruppo di Nico Mattan e Mario De Clercq (tre volte campione del mondo di ciclocross, non uno qualunque, ndr). Vedendomi gareggiare mi invitarono a prendere parte a una prova in Belgio. Sembrava quasi una gita. Poi però videro che andavo bene anche lì, che è la patria del ciclocross. Così mi hanno chiesto se me la sentivo di correre per il loro team Callant Doltcini Cycling, ma questo significava che dovevo trasferirmi. Il primo anno è stata davvero duro. Mio padre Simone era con me, ma gli altri della famiglia potevo vederli solo quando tornavo a casa, poi c’era la lingua…».
In Belgio, alla corte di Mario De Clercq, 3 ore, 3 argenti e un bronzo ai mondiali di crossCon Mario De Clercq, 3 volte iridato nel cross
Come hai superato le difficoltà?
Mi hanno aiutato tanto. Mario, Nico e gli altri. Pian piano inizio a prendere confidenza con il fiammingo, mi sono fatto nuovi amici. Poi c’è la bici, tutta la giornata ruota attorno ad essa. Anche la scuola è dedicata al ciclismo. Si studia al mattino e ci si allena al pomeriggio. L’ultimo anno potrò decidere l’indirizzo da prendere, se meccanica, managering o altro, ma tutto gira intorno al ciclismo. In Belgio c’è veramente un modo diverso di vivere questo sport. E’ uno sport nazionale, il ciclocross in particolare. Quando ho iniziato a gareggiare qui, la cosa che mi ha fatto impressione è stata vedere tutto il contorno. I maxischermi per seguire le gare, i baracchini che vendevano di tutto, ma soprattutto la gente, quanta gente… Però devo dire che oggi anche in Italia le cose stanno migliorando.
Con mamma Michela. La famiglia Masciarelli si è trasferita in Belgio per assecondare i figliCon mamma Mchela, tutta la famiglia vive in Belgio
Ciclocross o strada?
Non lo so, sinceramente non ho deciso e non so dove mi porterà questo cammino. Le gare su strada mi piacciono, sia le salite che le cronometro, penso di avere le caratteristiche del passista-scalatore. Il fisico mi aiuta (è alto 1,76 per 62 chili, ndr), ma il ciclocross mi piace davvero tanto. Vorrei diventare come Van der Poel, che vince dappertutto, mi ispiro un po’ a lui.
Qual è il più bel ricordo legato alla bici?
Sono due. Il primo è legato alla mia prima vittoria in Belgio, a Zonhoven. Gara del Superprestige, un evento enorme, pubblico da tutte le parti. Gareggio fra gli allievi di 2° anno e vinco, su un percorso pieno di fango, con la neve tutto intorno. Mi emoziono ancora a pensarci. Il secondo è la mia prima bici, una Masciarelli rossa con scritta bianca e i segni dell’iride sul telaio. E’ rimasta in Italia, credo che ora la utilizzi qualche ragazzino del vivaio…
Certamente… Mi manca il clima, mi manca il mare, mi mancano gli amici. Ci sono i social, stiamo in contatto e quando torno giù ci vediamo, ma non è lo stesso. A ciò vanno aggiunte le difficoltà del periodo, gareggiare senza pubblico, senza tutto quel che circonda le gare in Belgio non è lo stesso. E’ quello che si chiama “sacrificio”. In famiglia mi hanno sempre detto che il ciclismo è legato a stretto filo con passione e sacrificio e se voglio che i sogni si avverino non si può farne a meno. Quindi andiamo avanti così…
Quello di Lucia Bramati è in chiave femminile il risultato più fulgido della giornata azzurra Tabor. Il suo podio finale ha un sapore dolcissimo. Non è solo la conferma del suo valore, ma ha anche un sapore di rivalsa verso chi non ha condiviso alcune sue scelte. O per meglio dire le scelte del suo papà Luca, che guida anche la sua squadra e che finora ha preferito farle svolgere maggiore attività all’estero, con una sola apparizione al Giro d’Italia Ciclocross. Nell’occasione di Coppa però il cittì Scotti l’ha chiamata in nazionale e la lombarda ha risposto da par suo, con un terzo posto di grande valore.
Luca Bramati, terza, subito dopo l’arrivo di Tabor Luca Bramati dopo l’arrivo di Tabor
Il tempo per crescere
Un terzo posto mai in discussione, anzi a metà gara la minaccia maggiore veniva da un’altra azzurra, Beatrice Fontana, primo anno di categoria, poi leggermente in calo, ma alla fine comunque settima. Davanti la vittoria era affare privato di un’altra figlia d’arte, Zoe Backstedt, figlia di quel Magnus trionfatore a sorpresa della Parigi-Roubaix 2004. Proprio in quell’anno nasceva Zoe, che ha la nazionalità britannica e non svedese come il padre, che si era spostato per motivi lavorativi nella terra albionica. La Backstedt ha chiuso con 11” sulla lussemburghese Marie Schreiber. La Bramati le ha perse di vista solo nella fase finale finendo a 1’05”, ma tenendo a debita distanza le francesi Olivia Onesti e Line Burquier, considerate alla vigilia più forti della nostra. Mancavano belghe e olandesi, ma questo è un discorso che Luca non vuol sentire.
«Lucia le conosce bene, quelle che l’hanno preceduta, sono due fuoriclasse che ha già incontrato in Belgio e le altre, anche le olandesi, arrivano dietro. A Lucia manca… lo sviluppo legato all’età. Hanno fisici più formati e guadagnano su asfalto e dove conta spingere. Anche oggi è stato così, ma è normale per ora».
Lorenzo Masciarelli (foto Carla Garofalo)Lorenzo Masciarelli (foto Carla Garofalo)
Masciarelli, quasi…
Si ha un bel dire che la prima di Coppa del mondo a Tabor (Cze) aveva nelle categorie giovanili un senso relativo, per l’assenza di Belgio e Olanda. Quando i risultati arrivano, è un’iniezione di fiducia per tutti. D’altronde Lorenzo Masciarelli (in apertura nella foto di Carla Garofalo) belgi e olandesi li conosce bene, ci corre praticamente ogni settimana. Il fatto che a Tabor sia arrivato secondo fra gli junior, a 7” dal padrone di casa Matej Stransky, ha un grande valore.
«Lorenzo poteva anche vincere, è partito indietro – riprende Luca Bramati – inizialmente è rimasto nel gruppo di testa, poi dopo metà gara la spinta del danese Gustav Wang, che faceva un po’ da pilota, si è esaurita e l’azzurro è rimasto sempre a tiro di Stransky, trovatosi da solo in testa. Io dico che lo poteva prendere…».
Profumo d’azzurro
La giornata azzurra fra gli junior poteva essere ancora più… azzurra, ma onestamente a Matteo Siffredi non si può rimproverare nulla, se non la pessima partenza. L’azzurro, che concilia al meglio ciclocross e Mtb, ha raggiunto e superato Wang nel penultimo giro e ha chiuso ai piedi del podio a 27”. Ottima prova anche per Flippo Agostinacchio, ultimo entrato nella squadra azzurra, 8° a 51”. E’ vero, belgi e olandesi non c’erano, ma per il resto erano tutti presenti, britannici e francesi, tutti battuti dagli azzurri, pronti a ripetersi anche nella prossima occasione: sarà il 20 dicembre a Namur (BEL) e allora sì che se ne vedranno delle belle…
Rispetto all’esordio di Jesolo, Corridonia ha evidenziato una variabile impazzita: l’abruzzese Lorenzo Masciarelli (Callant Pauwels), alla prima gara stagionale in Italia.
Masciarelli, che vive, si allena e gareggia in Belgio, inizialmente ha preso il largo insieme alla coppia del Team Terenzi formata da Ettore Loconsolo e Vittorio Carrer. Poi ha sfruttato un passaggio particolarmente tecnico per guadagnare il minimo vantaggio che ha saputo amplificare, resistendo ai tentativi di rimonta di Carrer. Tentativi che sono costati al pugliese molte energie, venute a mancare nel finale di fronte alla rimonta veemente di Enrico Barazzuol (Team Rudy Project) che gli ha strappato il secondo posto e soprattutto la maglia rosa.
«Su un percorso così veloce il rischio di una caduta al minimo errore è alto – ha raccontato all’arrivo il vincitore Masciarelli – per questo ho preso subito l’iniziativa. Poteva sembrare semplice, invece il tracciato di Corridonia, proprio per la sua scorrevolezza, è difficile da interpretare. Come inizio comunque non c’è male, sono contento soprattutto per il forte tifo che ho sentito».
Le pari età come sempre hanno gareggiato insieme alle colleghe più grandi. La migliore questa volta è stata Alice Papo (DP66 Giant SMP) che si è presa la rivincita sulla compagna di colori Elisa Rumac, terza Romina Costantini, ancora del team friulano vero serbatoio di talenti rosa. La maglia di leader resta sulle spalle della Rumac, ma il cammino per la vittoria finale è ancora lungo.