Faulkner, dalle nevi dell’Alaska al sogno olimpico

05.03.2024
5 min
Salva

Due anni fa, Kristen Faulkner aveva colpito tanti appassionati realizzando un clamoroso uno-due al Giro Donne. Era così emersa la sua storia di ciclista americana arrivata al ciclismo molto tardi e proveniente da un territorio, l’Alaska, dove certo il ciclismo non è il primo sport a cui si pensa. La scorsa settimana la portacolori dell’EF Education Cannondale è tornata a far parlare di sé conquistando la Omloop van het Hageland, primo successo con la nuova maglia arrivato oltretutto dopo una stagione difficile.

Tanto quindi di cui parlare con la trentunenne ragazza a stelle e strisce. E alla vigilia della Strade Bianche, Faulkner si è prestata di buon grado a una serie di domande, partendo proprio da quanto siano cambiate le cose per lei avendo iniziato così tardi, nel 2020 quando già aveva 27 anni.

Trionfo solitario all’Omloop van den Hageland, con 1’41” sulle prime inseguitrici
Trionfo solitario all’Omloop van den Hageland, con 1’41” sulle prime inseguitrici

«Penso di essere progredita molto da allora. Credo che i miei risultati abbiano dimostrato che sono diventata una ciclista a tutto tondo. Sembra passato un secolo dal 2021 quando ad esempio ho pedalato per la prima volta su una bici da crono, con le difficoltà di guida iniziali. Ora è tutto cambiato, dalle mie capacità di equilibrio alla guida, ma anche nel rapportarmi con i compagni di squadra, leggere la corsa, mettere in pratica le strategie. Penso di essere molto più forte adesso e spero che questo si traduca anche con dei risultati».

Tu vieni dall’Alaska: quanto è diffuso lì l’uso della bicicletta?

Non è molto popolare in Alaska perché fa freddo per gran parte dell’anno. Quindi l’Alaska è davvero grande nello sci e nel pattinaggio sul ghiaccio e non tanto nel ciclismo. Così ho imparato ad andare in bicicletta a New York City.

Faulkner ha dimostrato grande adattabilità al pavé e ora punta forte alle classiche franco belghe
Faulkner ha dimostrato grande adattabilità al pavé e ora punta forte alle classiche francobelghe
Tu per l’appunto praticavi altri sport, che cosa ti ha fatto innamorare del ciclismo?

Adoro il suo significato di avventura. Puoi vedere così tanti posti diversi quando sei in bicicletta e ti alleni, sai che è molto diverso dal nuotare dove sei dentro l’acqua un’intera giornata non cambiando mai prospettiva se non nella tua testa, o correre dove puoi viaggiare solo per pochi chilometri. Con la bicicletta puoi fare molto di più. Poi, se penso al ciclismo, adoro tutto il carico strategico che c’è intorno. E’ sia una gara che un gioco, come una partita a scacchi. Trovo che sia qualcosa di fisico ma anche intellettuale. Mi piace davvero il suo aspetto avventuroso così come quello mentale.

Lo scorso anno hai gareggiato pochissimo, come mai?

Ho avuto un serio infortunio, sono stata investita da un’auto mentre mi allenavo a maggio e mi si è formato un coagulo di sangue nel polmone. Sono dovuta stare ferma per tre mesi, senza poter toccare la bici. Mi ha costretto a perdere il Tour de France e il campionato del mondo, riprendendomi in extremis per i Giochi Panamericani. Questo è un motivo davvero importante per me, la voglia di riprendermi quel che ho perso, quindi ora spero di non avere più infortuni e di essere pronta per un’intera stagione.

In un 2023 disgraziato, l’americana ha comunque vinto l’oro a cronometro ai Panamericani (foto Procyclinguk)
In un 2023 disgraziato, l’americana ha comunque vinto l’oro a cronometro ai Panamericani (foto Procyclinguk)
Quest’anno hai cambiato team: che cosa è cambiato dalla Jayco all’EF Education Cannondale?

Per me questo cambio ha rappresentato qualcosa d’importante. La EF è una squadra americana e io sono americana e mi piace davvero sentirmi a casa. Sento che la cultura è più simile a cosa amo di più, quindi quell’aspetto mi piace davvero. Faccio anche parte di una squadra con altri americani, il che è davvero carino perché sto molto legando con le mie compagne, ad esempio Natalie e Veronica (la Quinn e la Ewers, ndr). Ma c’è anche dell’altro…

Ossia?

Mi piace davvero andare d’accordo con Jonathan Vaughters, che era anche lui un ciclista. Penso che sia abbastanza significativo il modo in cui ha allestito la squadra. Capisce molto bene gli atleti e si preoccupa davvero di loro. Lo senti presente nella squadra, sia giorno per giorno che ad alto livello. Ed è importante per una squadra completamente rinnovata come la nostra. Anche le atlete sono davvero emozionate nel sentirsi parte di qualcosa di nuovo, poter avere un impatto davvero grande sul futuro di questa squadra.

L’attacco è la caratteristica principale della Faulkner, spesso vincitrice in solitudine
L’attacco è la caratteristica principale della Faulkner, spesso vincitrice in solitudine
Le tue vittorie arrivano sempre con fughe da lontano. E’ il tuo modo di correre, il tuo marchio di fabbrica?

Sicuramente, mi piace che sia definito così. Penso che probabilmente la mia più grande forza di corridore sia quella di poter attaccare da molto lontano. Ma non vedo l’ora di mostrare che ho sviluppato molte altre abilità che spero di utilizzare quest’anno. Cercherò di farmi vedere anche in altra maniera, anche se continuerò a fare ciò che faccio al meglio. Sì, il mio marchio di fabbrica…

Sei conosciuta per andare sempre all’attacco: questo rispecchia un po’ anche il tuo carattere?

Sì, assolutamente. Fa parte di me, della mia natura. Adoro essere coraggiosa. Mi piace correre dei rischi e mettermi alla prova fisicamente avendo sempre il controllo.

Due anni alla Jayco AlUla per la statunitense, con tappe vinte in Italia, Svizzera e Scandinavia
Due anni alla Jayco AlUla per la statunitense, con tappe vinte in Italia, Svizzera e Scandinavia
Quale ritieni la tua vittoria più importante?

Probabilmente le vittorie di tappa al Giro nel 2022, perché mi hanno fatto conoscere al mondo. Penso che sia stata la prima volta in cui la gente mi ha visto per quel che sono. Sai, non ho il fisico tradizionale di uno scalatore e quindi spesso non mi venivano date opportunità di giocare le mie carte in salita. Tutto è cambiato da quella corsa, ho assunto una nuova veste.

L’oro ai Giochi Panamericani e ora la vittoria nella classica belga: pensi che siano sufficienti per essere convocata per le Olimpiadi e che cosa significherebbe per te essere a Parigi?

Beh, è il mio sogno d’infanzia riuscire a portare la maglia americana alle Olimpiadi. Mi sentirei come un bambino di fronte a qualcosa di straordinario se fossi a Parigi in quel contesto. Per noi americani i Giochi sono qualcosa di speciale da sempre. Sentirei davvero di aver fatto la scelta giusta dedicandomi a questo sport.

Tutti per le tappe, senza Carapaz non cambiano i piani

09.07.2023
5 min
Salva

La EF Education-Easy Post è una delle squadre più interessanti di questo Tour de France e per assurdo lo è ancora di più dopo che aver perso il suo leader: Richard Carapaz. La squadra americana infatti è piena zeppa di grandi attaccanti. Corridori di qualità che possono andare a caccia di tappe.

Qualche giorno fa il loro team manager, Jonathan Vaughters, un po’ a sorpresa, ha detto che il ritiro del loro leader non ha poi sconvolto così tanto la squadra della Grande Boucle.

Richard Carapaz sul traguardo di Bilbao col ginocchio sanguinante. Vaughters ha detto che Carapaz è tornato subito in Ecuador
Richard Carapaz sul traguardo di Bilbao col ginocchio sanguinante. Vaughters ha detto che Carapaz è tornato subito in Ecuador

Tutti per le tappe

Moreno Moser fa ci aveva detto di comprendere bene le scelte fatte dallo stesso team manager, vale a dire, portare tutta questa qualità anche a scapito di aiutare Carapaz.

«Siamo al Tour, ci sono due corridori che già prima del via si sapeva che si sarebbero giocati la generale, meglio puntare dunque sui traguardi parziali».

E tutto sommato il manager ha dato ragione al nostro esperto. Qualche giorno dopo il ritiro aveva detto a Cyclisme Actu che: «Vero, il morale dopo la perdita di Carapaz non è al 100 per cento, ma non è basso. E’ al 90 per cento».

L’americano aveva ribadito che la squadra era a caccia di tappe e che la loro corsa sarebbe cambiata ben poco dopo l’abbandono del campione olimpico, rivelando che anche Carapaz infatti puntava alle tappe.

Neilson Powless è per ora il leder della classifica dei Gpm, ma riuscirà a tenere questa maglia fino a stasera? (foto Instagram)
Neilson Powless è per ora il leder della classifica dei Gpm, ma riuscirà a tenere questa maglia fino a stasera? (foto Instagram)

Maglia a pois

E così tutto appare più lineare. Neilson Powless che va alla ricerca della maglia a pois. E ci va con criterio. Attacca, guadagna terreno e una volta agguantati tutti i punti dei Gpm necessari si ferma e si fa riprendere dal gruppo per non sprecare energie. Con l’incredulità del suo compagno di fuga. Questa è storia della terza frazione.

Powless ha cercato di restare davanti anche sui Pirenei, cercando di tenere le ruote di quel treno chiamato Wout Van Aert. Allo scollinamento del Tourmalet non è riuscito a fare la volata, ma è comunque transitato in quarta posizione, sufficiente per rivestirsi di bianco e rosso.

«Quando ho visto quella fuga dovevo esserci – ha detto l’americano ai microfoni del Tour – ma sapevo che sarebbe stata dura. Quando assaggi la maglia a pois è difficile farne a meno. So che sarà difficilissimo mantenerla. Vorrei farlo fino a domenica (oggi, ndr)». Nel pomeriggio si va sul Puy de Dome, salita storica e durissima.

Da Bettiol ci si attendono grandi cose. Il toscano sta correndo bene sin qui
Da Bettiol ci si attendono grandi cose. Il toscano sta correndo bene sin qui

Bettiol e Uran

C’è poi Alberto Bettiol, che in più di qualche occasione ha messo il naso davanti. E’ successo a San Sebastian e in parte ieri, seppur non ha trovato il varco – e forse le gambe – giuste. Alberto è un diesel ed è uno dei pochissimi ad aver corso anche il Giro d’Italia. La squadra ha grande fiducia in lui e le occasioni non gli mancano.

E da un veterano, perché tale è ormai Alberto per questa squadra, ad un altro: Rigoberto Uran. In gruppo i suoi colleghi ci dicono che va forte, ma i Pirenei lo hanno respinto. E dicono anche che dopo la prima frazione di montagna, avendo capito di non averne, “Rigo” si sia messo in modalità cacciatore di tappe.

Ha incassato un grande ritardo e risparmiato energie. Il problema è che i big qui vogliono tutto. Anche quando lasciano spazio – e non lo lasciano – alla fuga, poi vanno talmente forte che recuperano distacchi enormi in pochi chilometri.

Magnus Cort scatta un selfie coi compagni. L’atmosfera è buona: ora serve “solo” la vittoria (foto Instagram)
Magnus Cort scatta un selfie coi compagni. L’atmosfera è buona: ora serve “solo” la vittoria (foto Instagram)

Garanzia Cort?

Restano il giovane James Shaw, Esteban Chaves, l’esperto Andrei Amador e forse l’atleta più forte, Magnus Cort. Anche lui ha disputato il Giro e ha lasciato il segno a Viareggio, tappa molto simile a tante di quelle che ci sono nella porzione centrale di questo Tour de France.

Sin qui non si è mosso. Al Giro aveva fatto la stessa cosa. Lui è uno che fa male. Lo scorso anno aveva vinto a Megeve, nel cuore delle Alpi. Tuttavia la sua condizione non sembra essere al top e su di lui circolano voci di mercato che lo vorrebbero in direzione del connazionale Vingegaard.

«I ragazzi stanno bene – ha proseguito Vaughters – chiaramente non abbiamo più nessuno per la classifica generale, ma le tappe erano il nostro obiettivo sin dall’inizio. Cercheremo di stare attenti e di correre bene nelle tappe in cui la fuga avrà più possibilità di arrivare».

E non è un caso che ieri i suoi ragazzi, visto che la fuga non ha avuto scampo, e non sono riusciti a prenderla, nel finale si siano rialzati. Solo Bettiol, 47°, e Chaves hanno provato a tenere duro, gli altri hanno fatto gruppetto e sono arrivati ad oltre 6′. Energie risparmiate. Il Tour si corre anche così, con la strategia di Vaughters.

Il test da Bartoli, la firma con la EF Education. Ecco Padun

11.02.2022
6 min
Salva

Due tappe al Delfinato, tra l’altro con due azioni formidabili e poi niente Tour. Un qualcosa d’insolito per chi brilla nell’antipasto della Grande Boucle. E questa storia insolita è stata quella di Mark Padun.

Una storia che aveva attirato grandi attenzioni mediatiche. Un silenzio quasi assordante che nel mondo del ciclismo, ahinoi (un po’ di mea culpa dobbiamo farla), corrisponde sempre ai sospetti.

Perché non portare un atleta in tali condizioni al Tour de France? Queste domande se le è poste Padun stesso.

La vittoria di Les Gets. Padun non è nuovo ad imprese in salita. Da U23 ha vinto corse davanti a scalatori quali Mas, Higuita, Vlasov, Hindley
La vittoria di Les Gets. Padun non è nuovo ad imprese in salita. Da U23 ha vinto corse davanti a scalatori quali Mas, Higuita, Vlasov, Hindley

L’addio alla Bahrain

L’ucraino, ora alla EF Education-EasyPost, ha raccontato a L’Equipe la sua storia di corridore e di uomo.

Ha parlato di come da poco più che ragazzino ha dovuto lasciare l’Ucraina e la sua Donetsk. Si stava allenando e si è ritrovato i carri armati di Putin lungo la strada. Era la guerra di Crimea del 2014. Ha raccontato delle sue difficoltà a mantenere il peso e ha raccontato della clamorosa esclusione dal Tour dopo i trionfi di  La Plagne e Les Gets.

«Mi hanno dato dell’imbroglione, ma non è vero – ha detto Padun a L’Equipe – La Bahrain Victorious era contenta dei miei risultati. Dopo il Delfinato sono andato da solo in ritiro al Passo San Pellegrino, per dieci giorni. Ho ricevuto un’e-mail nella quale mi dicevano che ero nel primo gruppo selezionato per il Tour. Qualche giorno dopo mi hanno chiamato e mi hanno detto: scusa Mark, ma abbiamo deciso di portare un altro».

«Quel giorno stavo facendo una distanza, 200 chilometri, mi sono fermato due volte. Nella prima ho mangiato una pizza, nella seconda una torta. A quel punto, anche se avevo un altro anno di contratto, ho cercato un’altra squadra». Con la squadra americana ha firmato per tre stagioni (fino al 2024).

Padun con Antonio Bevilacqua. Il tecnico della Colpack-Ballan (in cui Mark ha militato per due stagioni) era certo che sarebbe emerso
Padun con Bevilacqua. Il tecnico della Colpack-Ballan (in cui Mark ha militato per due stagioni) era certo che sarebbe emerso

L’arrivo alla EF

E la squadra l’ha trovata. A farsi avanti è stato il team manager della EF Education-EasyPost, Jonathan Vaughters. Vaughters chiama Padun quasi all’improvviso e lo manda in Toscana per dei test “a sorpresa” se vogliamo. I test rivelano valori eccezionali nonostante fosse già fermo e fuori forma (era 76 chili, 9 in più del suo peso ideale): quelle imprese di Padun al Delfinato non sono un caso.

Semplicemente l’ucraino aveva messo tutti i tasselli al posto giusto: condizione fisica, stato mentale, peso… Verificato quindi anche il passaporto biologico Vaughters lo fa firmare.

Più o meno nei giorni delle imprese di Padun al Delfinato, c’era il Giro d’Italia U23. In quell’occasione parlammo con Antonio Bevilacqua, che lo aveva accolto alla Colpack. Antonio ci raccontò dell’enorme potenziale di Padun e non era affatto sorpreso di quelle sue vittorie

Alla luce di tutto ciò abbiamo raggiunto Padun, che tra l’altro in questi giorni si trova in Italia, in Veneto. Chiaramente con la sua nuova Cannondale. Padun è cordiale e racconta la sua nuova avventura con interesse.

Padun (26 anni a luglio) agli ultimi europei. Eccolo al fianco di Pogacar
Padun (26 anni a luglio) agli ultimi europei. Eccolo al fianco di Pogacar
Mark, come è andato il tuo approdo in EF?

Vaughters mi ha fatto una bella proposta e l’ho colta. Poi questa era la squadra dove volevo andare. Prima di prendermi mi ha mandato da un preparatore in Toscana (Mark è partito da Andorra, dove vive) per eseguire questo test. Un test sul Vo2Max, il massimo consumo di ossigeno. Visti i dati, la sera stessa Vaughters ha preparato il contratto. Noi ti vogliamo, mi disse.

Da un preparatore in Toscana: chi è?

Michele Bartoli.

E ti segue lui?

Sì. Mi ha iniziato a seguire lui. Mi piace molto Michele. E’ sempre presente, se gli mandi un messaggio risponde subito, un bel rapporto… E poi vedo anche come sto crescendo, come procede la mia forma. Sto lavorando in modo diverso dallo scorso anno. 

In cosa è diverso il lavoro?

Faccio più lavori di prima. Lavori più lunghi per ora.

Mark, tornando alla storia della esclusione dal Tour, pensi che se ti avessero portato ci sarebbe stata meno “confusione” intorno a te?

Non lo so. Sì, forse se fossi andato al Tour sarebbe stato diverso e non ci sarebbero state polemiche. Sinceramente non so perché non mi abbiano portato. Ma ormai è successo otto mesi fa. E’ una storia vecchia…

Alla Vuelta Burgos, l’ucraino è salito sul podio dietro Landa (suo compagno) e Aru
Alla Vuelta Burgos, l’ucraino è salito sul podio dietro Landa (suo compagno) e Aru
Dopo però hai continuato a correre, non hai chiuso subito con la Bahrain Victorious…

Dopo il Delfinato non ho corso per 40 giorni. Ho ripreso alla Settimana Internazionale Italiana in Sardegna, San Sebastian, Burgos e Vuelta.

Come ti trovi in questo nuovo team?

Adesso sono felice. Un nuovo ambiente in cui mi trovo bene. Non che alla Bahrain Victorious non stessi bene, ma sono stato contento di cambiare. E’ diverso. Ho i miei bei obiettivi da raggiungere.

In che cosa è diverso?

Beh, ogni gruppo è diverso, ha le sue abitudini, i suoi metodi di lavoro. Dipende dal suo capo, dall’impronta che dà al personale. Qui ci sono molti giovani e di tante Nazioni. Abbiamo fatto tutti amicizia presto. I gruppi di lavoro sono sempre stati mischiati, non c’è mai stato un gruppo fisso. E ancora dobbiamo conoscere i ragazzi degli altri Continenti che a causa del Covid non sono venuti. E’ un ambiente più tranquillo. 

E c’è Bettiol: che ci dici di Alberto?

Ero in camera con lui! Ragazzo tranquillo, simpatico… Lo conoscevo poco.

Mark, hai parlato anche di tuoi obiettivi: quali sono?

Voglio lavorare su me stesso. Conosco ormai i miei punti deboli e su quelli devo insistere. So che se li supero posso volare.

Lo scorso anno alla Vuelta, Padun si è messo a disposizione del team e di Haig in particolare
Lo scorso anno alla Vuelta, Padun si è messo a disposizione del team e di Haig in particolare
E quali sono questi punti deboli?

Beh, ormai li conoscete. Lo avete scritto.

Ti riferisci al peso?

A quello, ma anche all’essere costante negli allenamenti, nei risultati, nelle sensazioni positive…

Qual è il tuo calendario?

Voglio andare forte in primavera. Inizio in Spagna con la Gran Camino, poi Tirreno-Adriatico, Paesi Baschi, classiche delle Ardenne e Romandia. Poi in estate andrò al Tour… almeno per adesso è così. E il mio obiettivo di quest’anno è vincere una tappa in un grande Giro.

E invece il sogno da bambino?

Vincere il Tour de France, come tutti i bambini.

Ma quindi ti senti un corridore da corse a tappe, uno scalatore?

Tecnicamente sì, mi sento da corse a tappe. Quelle di una settimana sicuro, per i grandi Giri vedremo passo dopo passo.

La storia di Higuita: spunto per i manager, monito per gli atleti

17.11.2021
4 min
Salva

Higuita licenziato per essere apparso durante El Giro de Rigo in sella a una Specialized e non alla sua Cannondale. Provvedimento storico, ma intanto per una settimana non s’è parlato d’altro. Stessa storia e lettera di licenziamento per un altro corridore della Ef Education-Nippo, Lawson Craddock, che passerà alla Bike Exchange e apparso su una Giant.

Poi il passo indietro, per entrambi. Riassunti o comunque provvedimento ritirato in cambio di una lettera di scuse. E così il piccolo colombiano destinato a correre nel 2022 con la Bora-Hansgrohe e il compagno americano hanno salvato gli ultimi mesi di stipendio. Conoscendo Jonathan Vaughters e il suo estro, il doppio gesto non voleva essere una vera sanzione, ma il modo per educare i corridori colpendone un paio. E il messaggio, gli va riconosciuto, è arrivato. Ciò non toglie tuttavia che la regolamentazione dei contratti sia cervellotica e meriterebbe una revisione.

Anche Craddock ha ricevuto la lettera di licenziameno (poi ritirata) per aver usato una bici Giant
Anche Craddock ha ricevuto la lettera di licenziameno (poi ritirata) per aver usato una bici Giant

Un’esigenza concreta

Ivan Basso è sceso di sella nel 2015 e anche a lui, nell’iniziare la nuova preparazione, è capitato di allenarsi con una bici non consentita. Così oggi, nel gestire situazioni analoghe con i suoi atleti, ha qualche consapevolezza in più rispetto a manager che magari non sanno che cosa significhi allenarsi. Non è chiaramente il caso di Vaughters, il cui obiettivo era palesemente un altro.

«Il discorso ha due aspetti – spiega Ivan – uno contrattuale e uno di buon senso. Tutti sanno che quando inizi la preparazione per il nuovo anno è opportuno usare la bici, la sella e le scarpe dell’anno successivo. Lo sanno i corridori e lo sanno i due manager: quello che lascia e quello che prende l’atleta nella sua squadra. E’ una cosa logica, che funziona così da sempre. Se si vuole cambiare, vanno riviste le date sui contratti, oppure si prevedono postille chiare negli stessi. Ad ora si va avanti con una serie di liberatorie».

Con Zanatta in ammiraglia, Ivan Basso sta vivendo il primo anno da team manager della Eolo-Kometa
Con Zanatta in ammiraglia, Ivan Basso sta vivendo il primo anno da team manager della Eolo-Kometa

Attenti ai social

Usare la bici nuova non è un capriccio, ma un’esigenza. E questo dovrebbe far riflettere l’ambiente, dato che l’andare e venire dei corridori riguarda tutti: nessuno escluso.

«Nel gesto di Higuita – dice Basso – non ho visto nessuna malizia. Non si è messo in posa con la bici nuova, non ha fatto lui il video. Diciamo che è stata più una leggerezza fatta senza pensarci. Però è chiaro che se l’incastro è così articolato fra sponsor, aziende e manager, anche il corridore deve prestare attenzione. Allora in questo caso, la vicenda di Higuita può diventare spunto per una riflessione, per cui anche gli atleti devono capire che l’uso del materiale prima del tempo va bene, ma formalmente i contratti dicono altro. Loro sono personaggi esposti, è chiaro che i social possono diventare trabocchetti».

E questa è l’immagine che stava per costare a Higuita tre mesi di stipendio
E questa è l’immagine che stava per costare a Higuita tre mesi di stipendio

Tenuta da allenamento

Il messaggio di Vaughters sicuramente puntava proprio sull’uso dei social, che i corridori usano con grandissima disinvoltura. E c’è da scommettere che avendo prospettato chiaramente i rischi cui si potrebbe incorrere, più di qualcuno abbia ridimensionato l’esposizione più rischiosa.

«Penso sia così – chiude Basso – ma vorrei anche aggiungere una considerazione sulla variazione di data nei contratti. Noi abbiamo preso Maestri dalla Bardiani. Ipotizzando che il contratto scada il 31 ottobre, come si allena Maestri, visto che la nuova maglia non possiamo tirarla fuori prima di gennaio? Dovrei dargli una maglia Eolo del 2021 oppure dotarmi di una tenuta con gli sponsor tecnici giusti e una grafica anonima? Sono tutte cose da approfondire, ma credo che con il buon senso si sia sempre fatto e si possa continuare a farlo…».

Jonathan Vaughters

Ef Pro Cycling, quella mail per fermare il Giro…

24.12.2020
3 min
Salva

A margine della splendida chiacchierata con Alberto Bettiol, il discorso è caduto sul giorno (15 ottobre, tappa di Cesenatico) in cui la Ef Pro Cycling propose di fermare il Giro al secondo giorno di riposo. All’indomani dell’arrivo di Piancavallo.

Erano giorni convulsi e confusi. Sui siti di un paio di quotidiani era stata amplificata la notizia secondo cui 17 poliziotti in moto del Giro fossero positivi al Covid. E quando si era capito che si trattava della scorta del Giro per bici elettriche, che nulla c’entrava con quello “vero”, era stato necessario un lavoro titanico di rettifiche per riaffermare la verità. Due giorni prima la Jumbo-Visma si era ritirata in blocco per la positività di Kruijswijk e così pure la Mitchelton per quella di Simon Yates. Anche Michael Matthews aveva lasciato la corsa, rivelandosi poi un falso positivo al pari di Gaviria di lì a poco. Il Giro era scosso da una vena di comprensibile isteria. E la proposta di Vaughters aveva inasprito gli animi.

«Le cose sono abbastanza chiare – dice Bettiol, che al Giro non c’era ma ha vissuto tutto in diretta – anche se poi sono state interpretate un po’ dalla rabbia e dalla frustrazione, perché eravamo tutti sotto pressione».

Simon Clarke, EF Pro Cycling, Giro d'Italia 2020
Per la Ef Pro Cycling al Giro, due tappe e la maglia azzurra della montagna
Simon Clarke, EF Pro Cycling, Giro d'Italia 2020
Per la Ef al Giro, 2 tappe e la maglia dei Gpm
Che cosa è successo?

Noi tutti della Education First abbiamo ricevuto una email da Vaughters (team manager del team, ndr), in cui si diceva che forse era più sicuro se la squadra del Giro fosse tornata a casa. Un suo consiglio, c’era scritto: uno spunto costruttivo su cui ragionare.

Perché?

Noi siamo quelli che hanno adottato più misure Covid. Facciamo il tampone ogni volta che entriamo nella bolla, ben oltre quello che dice l’Uci. Per l’Uci bastano due tamponi e sei coperto per 10 giorni. Noi lo facciamo ogni volta che usciamo dalla bolla. Abbiamo dormito sempre in camera singola, anche il personale, che forse solo la Ineos. Tamponi a casa. Non abbiamo fatto più ritiri. A tavola massimo 3-4 persone. EF come politica aziendale (EF – Education first è una società internazionale specializzata in formazione linguistica, viaggi studio, corsi di laurea e scambi culturali, ndr), non come squadra di ciclismo, ci ha fatto queste raccomandazioni. E noi ci siamo attenuti alla politica del nostro sponsor.

Quindi al Giro è suonato l’allarme?

Vaughters, vedendo che c’erano i poliziotti positivi, che andava a casa Matthews, che andava a casa Yates… ha detto che forse si poteva trovare la soluzione. Solo che Vegni l’ha presa sul personale.

Bè, alcune erano notizie false…

Infatti Guidi si è sentito di dire, il giorno dopo, che quelli che erano al Giro volevano continuare. Ma era un ordine che veniva dall’alto. Sia come tagli dello stipendio, sia come politica del Covid e di spostamenti, ci siamo attenuti a EF. Perché noi siamo EF e abbiamo ricevuto in proporzione lo stesso identico trattamento di un maestro che fa lezioni di francese.