Due anni fa, Kristen Faulkner aveva colpito tanti appassionati realizzando un clamoroso uno-due al Giro Donne. Era così emersa la sua storia di ciclista americana arrivata al ciclismo molto tardi e proveniente da un territorio, l’Alaska, dove certo il ciclismo non è il primo sport a cui si pensa. La scorsa settimana la portacolori dell’EF Education Cannondale è tornata a far parlare di sé conquistando la Omloop van het Hageland, primo successo con la nuova maglia arrivato oltretutto dopo una stagione difficile.
Tanto quindi di cui parlare con la trentunenne ragazza a stelle e strisce. E alla vigilia della Strade Bianche, Faulkner si è prestata di buon grado a una serie di domande, partendo proprio da quanto siano cambiate le cose per lei avendo iniziato così tardi, nel 2020 quando già aveva 27 anni.
«Penso di essere progredita molto da allora. Credo che i miei risultati abbiano dimostrato che sono diventata una ciclista a tutto tondo. Sembra passato un secolo dal 2021 quando ad esempio ho pedalato per la prima volta su una bici da crono, con le difficoltà di guida iniziali. Ora è tutto cambiato, dalle mie capacità di equilibrio alla guida, ma anche nel rapportarmi con i compagni di squadra, leggere la corsa, mettere in pratica le strategie. Penso di essere molto più forte adesso e spero che questo si traduca anche con dei risultati».
Tu vieni dall’Alaska: quanto è diffuso lì l’uso della bicicletta?
Non è molto popolare in Alaska perché fa freddo per gran parte dell’anno. Quindi l’Alaska è davvero grande nello sci e nel pattinaggio sul ghiaccio e non tanto nel ciclismo. Così ho imparato ad andare in bicicletta a New York City.
Tu per l’appunto praticavi altri sport, che cosa ti ha fatto innamorare del ciclismo?
Adoro il suo significato di avventura. Puoi vedere così tanti posti diversi quando sei in bicicletta e ti alleni, sai che è molto diverso dal nuotare dove sei dentro l’acqua un’intera giornata non cambiando mai prospettiva se non nella tua testa, o correre dove puoi viaggiare solo per pochi chilometri. Con la bicicletta puoi fare molto di più. Poi, se penso al ciclismo, adoro tutto il carico strategico che c’è intorno. E’ sia una gara che un gioco, come una partita a scacchi. Trovo che sia qualcosa di fisico ma anche intellettuale. Mi piace davvero il suo aspetto avventuroso così come quello mentale.
Lo scorso anno hai gareggiato pochissimo, come mai?
Ho avuto un serio infortunio, sono stata investita da un’auto mentre mi allenavo a maggio e mi si è formato un coagulo di sangue nel polmone. Sono dovuta stare ferma per tre mesi, senza poter toccare la bici. Mi ha costretto a perdere il Tour de France e il campionato del mondo, riprendendomi in extremis per i Giochi Panamericani. Questo è un motivo davvero importante per me, la voglia di riprendermi quel che ho perso, quindi ora spero di non avere più infortuni e di essere pronta per un’intera stagione.
Quest’anno hai cambiato team: che cosa è cambiato dalla Jayco all’EF Education Cannondale?
Per me questo cambio ha rappresentato qualcosa d’importante. La EF è una squadra americana e io sono americana e mi piace davvero sentirmi a casa. Sento che la cultura è più simile a cosa amo di più, quindi quell’aspetto mi piace davvero. Faccio anche parte di una squadra con altri americani, il che è davvero carino perché sto molto legando con le mie compagne, ad esempio Natalie e Veronica (la Quinn e la Ewers, ndr). Ma c’è anche dell’altro…
Ossia?
Mi piace davvero andare d’accordo con Jonathan Vaughters, che era anche lui un ciclista. Penso che sia abbastanza significativo il modo in cui ha allestito la squadra. Capisce molto bene gli atleti e si preoccupa davvero di loro. Lo senti presente nella squadra, sia giorno per giorno che ad alto livello. Ed è importante per una squadra completamente rinnovata come la nostra. Anche le atlete sono davvero emozionate nel sentirsi parte di qualcosa di nuovo, poter avere un impatto davvero grande sul futuro di questa squadra.
Le tue vittorie arrivano sempre con fughe da lontano. E’ il tuo modo di correre, il tuo marchio di fabbrica?
Sicuramente, mi piace che sia definito così. Penso che probabilmente la mia più grande forza di corridore sia quella di poter attaccare da molto lontano. Ma non vedo l’ora di mostrare che ho sviluppato molte altre abilità che spero di utilizzare quest’anno. Cercherò di farmi vedere anche in altra maniera, anche se continuerò a fare ciò che faccio al meglio. Sì, il mio marchio di fabbrica…
Sei conosciuta per andare sempre all’attacco: questo rispecchia un po’ anche il tuo carattere?
Sì, assolutamente. Fa parte di me, della mia natura. Adoro essere coraggiosa. Mi piace correre dei rischi e mettermi alla prova fisicamente avendo sempre il controllo.
Quale ritieni la tua vittoria più importante?
Probabilmente le vittorie di tappa al Giro nel 2022, perché mi hanno fatto conoscere al mondo. Penso che sia stata la prima volta in cui la gente mi ha visto per quel che sono. Sai, non ho il fisico tradizionale di uno scalatore e quindi spesso non mi venivano date opportunità di giocare le mie carte in salita. Tutto è cambiato da quella corsa, ho assunto una nuova veste.
L’oro ai Giochi Panamericani e ora la vittoria nella classica belga: pensi che siano sufficienti per essere convocata per le Olimpiadi e che cosa significherebbe per te essere a Parigi?
Beh, è il mio sogno d’infanzia riuscire a portare la maglia americana alle Olimpiadi. Mi sentirei come un bambino di fronte a qualcosa di straordinario se fossi a Parigi in quel contesto. Per noi americani i Giochi sono qualcosa di speciale da sempre. Sentirei davvero di aver fatto la scelta giusta dedicandomi a questo sport.