Nimbl

“Luxury of Dedication”: l’emozionante video che racconta Nimbl

11.11.2025
3 min
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In un mondo dove le prestazioni contano quanto lo stile, Nimbl rappresenta una delle più autentiche storie di eccellenza italiana. Il nuovo documentario “Luxury of Dedication” racconta il percorso umano e professionale che ha trasformato il marchio in un punto di riferimento nel ciclismo mondiale. 

Nimbl non interpreta il lusso come ostentazione, ma come dedizione assoluta al dettaglio. Ogni scarpa nasce da un processo che unisce innovazione, esperienza artigianale e cura quasi ossessiva. L’obiettivo è uno solo: creare un prodotto che diventi un’estensione naturale del ciclista, capace di trasferire potenza, comfort e controllo con la massima precisione. 

Dietro questo successo ci sono due figure chiave: Luigino Verducci, maestro calzolaio con oltre quarant’anni di esperienza, e Francesco Sergio, co-fondatore e mente strategica del brand. Due visioni diverse, ma unite da un’idea comune: riportare al centro la mano dell’uomo come vero motore dell’eccellenza. 

Jonas Vingegaard e le sue Nimbl Ultimate Air che celebrano la vittoria della Vuelta 2025
Jonas Vingegaard e le sue Nimbl Ultimate Air che celebrano la vittoria della Vuelta 2025

Nel WorldTour e con 200 pro’

Verducci, cresciuto in una delle regioni italiane più rinomate per la tradizione calzaturiera, ha iniziato a lavorare in laboratorio a soli 15 anni. Da allora non ha mai smesso di perfezionarsi. «Essere un artigiano – racconta Luigino – significa unire passione, curiosità e voglia di migliorarsi ogni giorno. Anche se realizziamo più paia al giorno, controllo sempre ogni scarpa la sera, per capire come perfezionarla. È un rito che non smetterò mai di fare”.

Tra i suoi ricordi più intensi c’è la vittoria di Jonas Vingegaard, in maglia Visma Lease a Bike, al Tour de France con ai piedi le scarpe Nimbl. «Pensare che una piccola parte di quel successo sia anche merito nostro è una sensazione impagabile. Ci ricorda che ogni dettaglio conta».

La visione di Francesco Sergio completa questa filosofia. «Quando ho incontrato Verducci – racconta il Managing Director del brand – ho capito subito che dietro quel laboratorio c’era un’anima straordinaria. Abbiamo deciso di costruire qualcosa di diverso: un marchio che unisse l’artigianalità italiana all’innovazione più avanzata. Non abbiamo mai avuto paura di osare. Siamo partiti con cinque corridori WorldTour, poi 35, e oggi quasi 200 professionisti nel mondo scelgono le nostre scarpe».

Francesco Sergio, Co-Founder e Managing Director Nimbl
Francesco Sergio, Co-Founder e Managing Director Nimbl

La creazione di qualcosa di unico

Nimbl è diventata così in poco tempo sinonimo di dedizione, precisione e autenticità. Ogni modello riflette un equilibrio perfetto tra leggerezza, rigidità e comfort, studiato per chi vive la bici come un’estensione del proprio corpo. La fibra di carbonio utilizzata per le suole, i materiali selezionati a mano e la costruzione completamente interna all’azienda garantiscono standard qualitativi che pochi possono eguagliare. 

Il cortometraggio “The Luxury of Dedication” celebra proprio questo: l’amore per il lavoro fatto bene, la ricerca continua del dettaglio e la passione che trasforma una scarpa in un simbolo di identità

Nimbl è la prova che il vero lusso nel ciclismo non si misura in numeri o tendenze, ma nella capacità di creare qualcosa di unico, di duraturo e di profondamente umano. Un lusso che nasce dalla dedizione, e che solo chi pedala con il cuore può davvero comprendere. 

Nimbl

Tour de France 2025, Parigi, podio Campi Elisi, Jonas Vingegaard, Tadej Pogacar

Vingegaard fra la voglia di Giro e la prigione del Tour

07.11.2025
5 min
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Quello che ci ha raccontato Marta Cavalli l’ha confermato Jonas Vingegaard. La sua visione del ciclismo è certamente estrema: il solo modo per partecipare è poter vincere. Ma il danese, che ha vinto la Vuelta dopo essere arrivato secondo al Tour, ha ben spiegato a L’Equipe perché sia stato importante vincere in Spagna. Non tanto per la vittoria di un Grande Giro in sé, quanto per la sensazione di aver ripreso la traiettoria spezzata dall’incidente al Giro dei Paesi Baschi 2024. E anche in questo caso, non tanto per la gravità dell’infortunio, quanto per ciò che ha significato essersi dovuto fermare per dei mesi.

«Ritrovare la condizione ha richiesto tempo – ha spiegato il leader della Visma-Lease a Bike – rimettermi in sella, ma soprattutto tornare al livello a cui ero prima della caduta. Credo di averlo ritrovato. Da quello che vedo nei miei dati, sono in grado di generare la stessa potenza di prima. Ma anche il ciclismo si evolve, quindi in un certo senso per tornare ai livelli di prima c’è voluto un anno e mezzo, in cui invece avrei potuto lavorare per progredire. Prima della caduta ero in forte crescita, stavo progredendo molto velocemente, quindi spero di essere tornato su quella traiettoria. Bisognerà vedere se migliorerò ancora e farò assolutamente tutto il possibile perché ciò accada».

Il ciclismo dei primi è un treno che va veloce, un gruppo costantemente in fuga. Essere costretto a scenderne significa aspettare il gruppo successivo, che va più piano. E per rientrare su quelli di testa c’è da fare una fatica non comune. Chi ci riesce torna a brillare, gli altri devono rassegnarsi. Per una semplice frattura dello scafoide, nel 2023 Pogacar perse il Tour de France. Non sono scuse, sono le regole del ciclismo che non aspetta.

Tour de France 2023, Morzine, Jonas Vingegaard, TAdej Pogacar
Il Tour de France 2023 vide Pogacar soccombere agli attacchi di Vingegaard, in salita e anche a crono
Il Tour de France 2023 vide Pogacar soccombere agli attacchi di Vingegaard, in salita e anche a crono

Il sogno del Giro

Che cosa ci sarà nel 2026 di Vingegaard? Il Tour resta lo snodo centrale e decisivo. Al contempo la vittoria della Vuelta ha fatto capire al danese e alla sua squadra che sia saggio monetizzare il lavoro portando a casa quel che Pogacar non ha in animo di raggiungere. Forse non è stato per caso che ai campionati europei Vingegaard abbia ammesso che gli piacerebbe cimentarsi nelle classiche e ha messo per la prima volta sul tavolo l’ipotesi del Giro d’Italia.

«Il 2025 – ha spiegato – è stato un’annata piuttosto buona. Non la migliore che abbia mai avuto, penso che il 2023 sia stato di gran lunga migliore. Ma arrivare secondo al Tour de France e vincere la Vuelta non è una brutta stagione. Il mio obiettivo era vincere in Francia, quindi da quel punto di vista non è andata bene. Alla fine potrei darmi un sette in pagella, forse un otto. Il ciclismo esiste anche oltre il Tour de France, anche se resta la gara più importante. Mi sono divertito anche nelle corse di una settimana (Vingegaard ha vinto la Volta ao Algarve ed è arrivato secondo al Delfinato, ndr). Ma non posso dimenticare di essere caduto alla Parigi-Nizza e quella commozione cerebrale mi ha messo fuori gioco e ha condizionato il seguito della primavera. Non abbiamo ancora definito il piano con la squadra, certo ho le mie idee e i miei desideri. Il Tour è così importante che sicuramente farà parte del calendario, vedremo se anche il Giro potrà essere incluso. Sarebbe fantastico. Vincere tutti e tre i Grandi Giri è il sogno di ogni ciclista. Quindi è qualcosa di molto importante, sarei molto felice di andare al Giro».

Vuelta Espana 2025, Bola del MUndo, Jonas Vingegaard, Matteo Jorgenson
Il successo alla Bola del Mondo ha incorniciato la Vuelta di Vingegaard: a Madrid l’inomani non si sarebbe corso
Vuelta Espana 2025, Bola del Mundo, Jonas Vingegaard, Matteo Jorgenson
Il successo alla Bola del Mundo ha incorniciato la Vuelta di Vingegaard: a Madrid l’inomani non si sarebbe corso

Il Tour non si molla

Il Tour non si molla: impossibile immaginare che il danese decida di saltarlo finché sarà uno dei pochi pretendenti credibili. Perché dovrebbe farlo? Con Pogacar è il solo a poter scavare un baratro rispetto alla concorrenza e non è detto che lo sloveno sia sempre inattaccabile. Un’intervista di Wellens pochi giorni fa ha rivelato che il campione del mondo abbia corso l’ultima Grande Boucle con forti dolori a un ginocchio e in squadra si sia anche temuto che potesse ritirarsi. Vingegaard era lì e sarebbe ancora lì per approfittare di ogni cedimento, indotto grazie ai suoi attacchi o dettato dalle circostanze.

«Salterei il Tour – ha spiegato – solo se capissi di non poter lottare per la vittoria. Penso che il Tour sia così importante che le squadre che abbiano un pretendente alla vittoria vogliono portarlo. Questo vale per me e immagino anche per Tadej. Anche se non volessimo andarci, penso che dovremmo comunque accettarlo. Questo non significa che non mi piaccia, intendiamoci, perché il Tour è qualcosa di immenso che ha il suo fascino. E’ molto più grande della Vuelta, non posso parlare del Giro. In Francia, arrivi sul podio per firmare e ci sono trenta giornalisti che vogliono chiederti qualcosa. Alla Vuelta, scendevo dal palco e pensavo: “Ce ne sono solo due, così mi piace”. E’ questo che rende il Tour così faticoso. I media, il protocollo, i trasferimenti, ma è anche ciò che lo rende speciale. Lo capisci solo quando ci sei dentro».

Campionati europei Drome et Ardeche, Jonas Vingegaard, Tadej Pogacar
Non capita spesso di vedere Vingegaard e Pogacar contrapposti fuori dal Tour: qui sono agli europei
Campionati europei Drome et Ardeche, Jonas Vingegaard, Tadej Pogacar
Non capita spesso di vedere Vingegaard e Pogacar contrapposti fuori dal Tour: qui sono agli europei

In questo incastro maniacale di ritiri e corse, Vingegaard ammette che farebbe fatica a programmare la Liegi, che pure gli piace, perché in quel periodo solitamente si trova in altura. Allo stesso modo, pur ammettendo il fascino del mondiale di Montreal, dice che se dovesse fare la Vuelta troverebbe difficile prevedere il viaggio in Canada. Una visione a scomparti ben divisi. C’è davvero posto per il Giro d’Italia nel suo calendario?

Quattro continenti in un mese: il viaggio infinito di Honoré

16.10.2025
6 min
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Nell’era del padrone assoluto Tadej Pogacar e dell’invincibile Uae Emirates, la miglior difesa è l’attacco. Mikkel Honoré non è uno che si tira indietro e nelle ultime settimane ha trasformato il suo pensiero sulla strada. Smaltito il Covid che l’aveva debilitato a metà stagione, il danese della EF Education-EasyPost si è lanciato senza timore nel primo mondiale africano, pilotando il connazionale Mattias Skjelmose a un passo dal podio. Poi ancora si è messo in luce nelle classiche italiane, provando l’assolo al Giro dell’Emilia tra le due ali di folla del San Luca e di nuovo con un’azione alla Bernocchi.

La gamba sarebbe stata buona per l’amato Lombardia, ma il fitto calendario e le esigenze del team di fare punti l’hanno dirottato verso il Tour of Guanxi. Prima di fiondarsi in aeroporto accompagnato dalla moglie Marilisa e partire alla volta della Cina, il ventottenne di Fredericia ci ha raccontato delle ultime, intense settimane in giro per il mondo. 

Tour of Slovenia 2024, Michel Honoré, sua moglie Marilisa
E’ stata la moglie Marilisa ad accompagnare in tutta fretta Honoré a Malpensa per la partenza inattesa verso la Cina
Tour of Slovenia 2024, Michel Honoré, sua moglie Marilisa
E’ stata la moglie Marilisa ad accompagnare in tutta fretta Honoré a Malpensa per la partenza inattesa verso la Cina
Sei pronto a una nuova sfida in un altro continente?

Devo dire in effetti che in questo finale di stagione non mi sono fatto mancare nulla: prima il Canada, poi il mondiale in Rwanda, il ritorno in Europa e ora l’Asia. La logistica è un po’ complessa, ma mi sento molto bene, per cui sono fiducioso. Sarà interessante vedere come reagisce il fisico a tutti questi viaggi, perché quattro continenti in un mese non è proprio una passeggiata.

Con la condizione che hai mostrato non hai un po’ di rammarico di esserti perso il Lombardia?

Sinceramente un po’ sì, perché è la mia gara preferita sin da bambino ed è quella di casa. Ho vissuto due anni a Bergamo e sei anni a Melide, in Svizzera, a 10 chilometri da Como: quindi sono tutte strade che conosco ed è davvero speciale. Poi è la corsa in cui si celebra il nuovo campione del mondo, anche se oramai da un paio d’anni resta lo stesso. 

Che cosa ti aspetti dalla trasferta cinese?

Sulla carta dovrei essere io il capitano, per cui spero di far un bel risultato. Finalmente, ho ritrovato il mio equilibrio, che mi mancava da qualche stagione. Da diverse settimane sentivo che girava tutto bene. In realtà, ero in forma anche al Giro della Polonia, ma poi ho preso il Covid e sono stato otto giorni senza bici che mi hanno costretto a ripartire da zero. In Canada ho ritrovato buone sensazioni, a Montréal ho attaccato un po’ di volte e fatto andare via Powless. Avrei potuto ottenere un buon risultato anche io, solo che sull’ultima curva sono caduto. Infatti, ci sono state proteste come alla Vuelta e io sono scivolato per la pittura gettata sull’asfalto che si è attaccata alla gomma e mi ha fatto perdere aderenza. 

Giro dell'Emilia 2025, attacco di Mikel Honoré sul muro di San Luca
L’attacco di Honoré al Giro dell’Emilia è stato il tentativo di sottrarsi alla legge di Del Toro
Giro dell'Emilia 2025, attacco di Mikel Honoré sul muro di San Luca
L’attacco di Honoré al Giro dell’Emilia è stato il tentativo di sottrarsi alla legge di Del Toro
E l’avventura iridata in Rwanda?

E’ sempre un onore rappresentare la Danimarca e per me quella del mondiale è una delle settimane più belle dell’anno. Mi sono allenato a San Marino, facendo sessioni specifiche, simulazioni gara e dietro-moto. E’ stato tutto bellissimo, anche per la grande atmosfera che abbiamo trovato. Tutti avevano tanti pregiudizi e cattivi pensieri, ma è stata una esperienza bellissima. Gente straordinaria, strade in ottimo stato, tutto ha funzionato come doveva.

E voi danesi siete andati davvero forte…

Abbiamo corso bene tutti dal chilometro zero e penso che siamo stati la squadra più organizzata e strutturata: il risultato si è visto, gli unici con due corridori nei primi dodici. Io ho anticipato lo scatto, così da permettere a Skjelmose di stare a ruota per poi avere le energie per seguire l’attacco successivo di Remco. In un mondiale del genere, ogni piccolo dettaglio faceva davvero la differenza. Mattias era contento del risultato, anche se la medaglia è sfuggita davvero di poco. Però, quando a batterti sono corridori più forti di te, non puoi far nulla, per cui eravamo contentissimi della nostra prestazione. 

Avversari per un giorno, compagni tutto l’anno: te l’aspettavi Ben Healy sul podio coi due alieni?

So che aveva il mondiale in testa da un bel po’, diciamo subito dopo l’ottimo Tour che ha fatto. Lui è un corridore molto bravo in questi appuntamenti, per cui devo dire che per me non è stata una sorpresa vederlo col bronzo al collo. Certo, forse in tanti aspettavano Del Toro, ma avevo i miei dubbi su Isaac perché una corsa con così tanti chilometri e quel dislivello tremendo, alla sua età, era qualcosa di totalmente nuovo.

Campionati del mondo Kigali 2025, Remco Evenepoel, Ben Healy, Mattias Skjelmose
Il lavoro di Honoré ai mondiali ha permesso a Skjemose di giocarsi il podio con Evenepoel e Healy
Campionati del mondo Kigali 2025, Remco Evenepoel, Ben Healy, Mattias Skjelmose
Il lavoro di Honoré ai mondiali ha permesso a Skjemose di giocarsi il podio con Evenepoel e Healy
Tornando sulla Danimarca, pensi che sia l’età dell’oro per il vostro ciclismo?

Stiamo andando fortissimo. Anche per questo, essere il corridore danese con più mondiali consecutivi da pro’ (sei, ndr) come mi ha fatto notare un giornalista del mio Paese, è davvero qualcosa di unico per me. Tengo duro da Imola e spero di esserci anche negli anni prossimi perché ci aspettano bei percorsi, a partire dal Canada che conosco molto bene. La fortuna è che, qualunque sia il percorso, possiamo schierare una squadra molto forte che lotti per la vittoria. Non a caso siamo secondi nella classifica mondiale.

Sei convinto che anche Vingegaard possa dire la sua in una gara di un giorno?

Senza dubbio. Non mi ha sorpreso che abbia faticato all’europeo, perché dopo aver corso Tour e Vuelta da capitano, è normale che il fisico presenti il conto. Jonas è un fenomeno, ma quello che fa Tadej è veramente di un altro livello, ha una classe superiore. Pogacar corre tutte le gare per tutto l’anno, è sempre lì, ha una testa e una passione che lo spingono a imprese incredibili. La differenza è anche a livello di squadra perché Jonas è un po’ sacrificato nelle classiche dalle strategie della Visma, che nelle corse di un giorno punta su fuoriclasse come Van Aert e preferiscono preservarlo per il Tour, che è sempre l’obiettivo numero uno. Capisco la loro decisione, anche se ovviamente il pubblico vorrebbe sempre vedere il duello Pogacar-Vingegaard.

Pedina preziosa per il successo di Powless contro i tre Visma alla Dwars door Vlaanderen, poi ancora gregario instancabile per il podio di Carapaz al Giro: nel 2026 ti vedi anche più libero da compiti in qualche corsa?

Assolutamente sì e ne parleremo a fine stagione. Ci ho messo tanto tempo a ritrovare questo colpo di pedale e ora non spero più, sono sicuro che l’anno prossimo mi vedrete più protagonista. All’Emilia ho provato un po’ l’impossibile perché tutti sapevamo che Del Toro avrebbe vinto, ma non mi piaceva stare lì ad aspettare uno scenario scontato. Ogni tanto bisogna sognare e tentare il tutto per tutto: se mi fosse venuto un corridore Uae a ruota, magari saremmo potuti andare al traguardo e magari mi giocavo il successo o almeno facevo un podio. 

Campionati europei Drome et Ardeche 2025, alla partenza Tadej Pogacar, Remco Evenepoel, Jonas Vingegaard, Joao Almeida
Gli europei hanno proposto il confronto fra Pogacar e Vingegaard per la prima volta in una gara di campionato
Ti sembra che tanti si siano arresi alla legge Pogacar-Del Toro?

Esatto e si è visto anche al Gran Piemonte. Bisogna osare un po’ di più ed inventarsi qualcosa. All’Emilia sapevo che è impossibile anticipare le operazioni perché non c’era un metro di pianura che ti regalasse secondi, era tutta salita e discesa: mi piace rischiare e giocarmi tutte le carte, a costo anche di perdere una possibile top 10. Comunque, mi porto tante buone sensazioni per l’anno prossimo.

Il tuo sogno?

Le classiche delle pietre in primavera come il Fiandre, ma soprattutto la Sanremo. E’ una gara che mi piace un sacco e in cui voglio dimostrare di poter far bene. Ma prima, vediamo come andrà in Cina.

Campionati europei, Francia 2025, Tadej Pogacar, allenamento sul percorso

Il giorno dei giorni: scontro fra giganti agli europei

05.10.2025
5 min
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Ci siamo, è il giorno dei giorni. Gli europei francesi vedono al via un bel gruppo di corridori in condizione, ma soprattutto i tre più attesi. Vingegaard, che non corre con la nazionale dal 2018. Pogacar, che arriva dall’impresa dei mondiali e sfoggerà la fresca maglia iridata. Evenepoel, che ha già ribadito la sua condizione vincendo la crono e magari vorrà rifarsi dello smacco di Kigali.

Attorno alla loro voglia di soffrire a fine stagione e dare spettacolo ruoterà la riuscita di un campionato europeo che raramente ha avuto al via così tanti nomi di grido e in condizione. Lo hanno fatto rilevare anche loro nella conferenza stampa di vigilia.

Campionati europei, Francia 2025, Jonas Vingegaard, allenamento sul percorso
Vingegaard non ha mai corso una gara di campionato da quando è professionista
Campionati europei, Francia 2025, Jonas Vingegaard, allenamento sul percorso
Vingegaard non ha mai corso una gara di campionato da quando è professionista

Jonas e le classiche

Vingegaard parteciperà oggi alla prima gara di campionato dall’inizio della sua carriera professionistica. Il solo mondiale in precedenza fu quello di Innsbruck 2018 da under 23, che chiuse al 63° posto. L’ultima classica che ha concluso fu il Lombardia del 2022, in cui arrivò sedicesimo.

«Ho deciso di correre gli europei – ha detto Vingegaard, vincitore della Vuelta – perché è un buon momento per riprovarci. Altrimenti, la mia stagione sarebbe comunque finita. Ho sempre detto che mi piacerebbe fare più corse di un giorno, ma non ho mai trovato la ricetta per ottenere buoni risultati. Se dovesse andare bene, potrei dare più spazio alle corse con la nazionale (i prossimi due mondiali saranno ugualmente molto duri, ndr), perché si inseriscono meglio nel mio programma annuale rispetto, ad esempio, alla Liegi-Bastogne-Liegi. I mondiali e gli europei sono a fine anno, quindi potrei fare la mia preparazione per il Tour e alla fine pensare alla nazionale. Questo è un percorso che mi si addice, ma non sono sicuro della mia forma dopo un’estate con due Grandi Giri. Pogacar che dice che non parteciperei se non fossi in forma? Se sapessi che verrei staccato per primo, non lo farei. Quindi non succederà. Ma se non sono in forma per competere e vincere, voglio aiutare Skjelmose».

Campionati europei, Francia 2025, Tadej Pogacar nella conferenza stampa
Gli europei avranno uno sviluppo diverso rispetto ai mondiali: secondo Pogacar sarà difficile andare via da tanto lontano
Campionati europei, Francia 2025, Tadej Pogacar nella conferenza stampa
Gli europei avranno uno sviluppo diverso rispetto ai mondiali: secondo Pogacar sarà difficile andare via da tanto lontano

Tadej e i calendari

Fasciato della seconda maglia iridata, Pogacar vive con leggerezza il momento. Ha provato il percorso con Urska Zigart, la sua compagna che ieri ha chiuso all’undicesimo posto nella gara vinta da Demi Vollering. Lo sloveno ha ammesso più volte che se potesse correre tutte le gare cui partecipa anche lei, sarebbe molto contento. E’ consapevole delle attese, ma ormai c’è abituato e ci scherza.

«Mi sento abbastanza bene – ha detto Tadej – anche dopo il lungo viaggio di ritorno dal Rwanda e poi fino a qui. Le salite sono davvero dure, ma più brevi, quindi sarà una corsa più esplosiva, molto incalzante. Ci saranno più corridori in lotta per la vittoria, anche perché la gara è più corta di 70 chilometri, quindi richiederà un diverso stile di corsa. Per vincere da soli, bisognerà davvero volare, avere una potenza enorme. Non credo che succederà, ma vedremo: mai dire di no. Ovviamente l’europeo non è l’obiettivo principale della stagione o della carriera. Non è un bene che si corra negli stessi giorni del Giro d’Emilia (vinto ieri dal suo compagno Del Toro, ndr), perché alcuni corridori hanno dovuto scegliere tra correre per la squadra o per la nazionale… La perfezione non esiste, ma se me lo chiedessero, cambierei molte cose nel calendario ciclistico. Intanto però siamo qui. Spero che la gente sia contenta che siamo qui tanti e così forti. Non parlo solo di Remco e Jonas (Evenepoel e Vingegaard, dr), molti corridori sono in ottima forma! Sarà una grande giornata di ciclismo».

Campionati europei, Francia 2025, Remco Evenepoel, allenamento sul percorso
La Val d’Enfer ricorda davvero la Redoute: Evenepoel è già arrivato secondo agli europei del 2021. Ora vuole vincere
Campionati europei, Francia 2025, Remco Evenepoel, allenamento sul percorso
La Val d’Enfer ricorda davvero la Redoute: Evenepoel è già arrivato secondo agli europei del 2021. Ora vuole vincere

Remco e la Redoute

E poi c’è Evenepoel. Nella crono ha piegato Ganna, imponendogli un distacco ben più pesante di quando fossimo abituati a subire negli ultimi anni. Questo ha fatto capire che il belga è in grande condizione. Al pari di quanto è accaduto in Africa, ci sarà da vedere se basterà per contrastare Pogacar.

«Il fatto che io sia qui – ha detto Evenepoel – ha sicuramente a che fare con la natura del percorso. Tuttavia, penso che quest’anno stiamo esagerando un po’. Sarebbe meglio se i mondiali e gli europei si completassero a vicenda. Uno per gli scalatori o gli attaccanti, uno per i velocisti. Sarà dura, molto dura. Dal momento in cui si arriva al circuito, la corsa diventa difficile. Tre volte la salita lunga di Saint Romain des Lerps, poi sei volte la Val d’Enfer: per me è più duro del Rwanda. Se sommi la lunghezza delle tre salite, arrivi a un vero passo di montagna, seguito da sei volte la Val d’Enfer. Non credo che ci sarà molta esplosività nelle gambe su quell’ultima salita. La Val d’Enfer mi ricorda La Redoute, ma con un fondo peggiore. Mi ispira. Mi aspetto che le cose si muovano solo sull’ultima salita, che è quella lunga. Non credo che il percorso si presti a un attacco da lontano, è più probabile un corpo a corpo nell’ultimo giro».

Ci sono tutti gli ingredienti per una super domenica sul divano, il giusto antipasto per Il Lombardia che bussa alle porte. L’Equipe scrive scherzando che in Drome e Ardeche, la regione in cui si corrono questi europei, non passa un treno passeggeri dal 1973. Ma quello che passerà oggi sarà certo indimenticabile.

Campionati europei 2025, Drome Ardeche

Mondiali ancora caldi, ma è già tempo di europei

30.09.2025
5 min
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Siamo ancora in piena sbornia post mondiali, con le immagini di Kigali che scorrono fresche nella memoria, eppure è già tempo di voltare pagina. Dall’1 al 5 ottobre la scena si sposta in Francia, tra Drôme e Ardèche, per i campionati europei 2025. Un appuntamento che arriva quasi senza respiro, ma che porta con sé fascino, storia e la voglia di indossare quella maglia bianco-blu stellata che negli ultimi anni ha acquisito sempre più prestigio.

Il percorso degli élite, uomini ma anche donne, sarà al centro dell’attenzione, perché dopo i Mondiali si avverte aria di grande rivincite. Remco su Pogacar, le big donne sulle outsider. In tutto ciò la Francia si prepara a offrire un palcoscenico che fa fregare le mani, grazie a tracciati sì selettivi ma non impossibili e che pertanto dovrebbero essere più aperti.

Europei a crono di livello stellare (qui Ganna). Tutti le gare misureranno 24 km, ad esclusione della prova juniores femminile che sarà di 12 km
Europei a crono di livello stellare (qui Ganna). Tutti le gare misureranno 24 km, ad esclusione della prova juniores femminile che sarà di 12 km

Prima le crono

Il menu degli Europei sarà ricco e distribuito in cinque giornate. Si parte domani con le cronometro, che vedranno impegnate tutte le categorie: dalle juniores donne fino agli élite uomini. Le prove contro il tempo saranno il primo banco di prova, anche perché in Francia il tracciato offrirà difficoltà tecniche interessanti, con tratti vallonati che non favoriranno solo i passisti puri e un finale molto tosto.

In totale saranno assegnati 14 titoli tra cronometro e gare in linea e mix relay, uno in più rispetto ai mondiali. Ci sarà infatti anche la staffetta mista juniores.

Le prove contro il tempo hanno un parterre ricco forse come non mai. Al via tutti i top rider, da Remco Evenepoel fresco di maglia iridata, fino a Filippo Ganna, passando per Kung e Tarling, Almeida, Armirail… Un livello pazzesco.

Percorsi più aperti

Il culmine degli Europei sarà ovviamente la prova élite maschile. Il percorso misura 202,5 chilometri e presenta oltre 3.300 metri di dislivello. Si tratta di un tracciato misto, ben più equilibrato rispetto a quello di Kigali. Un tracciato che unisce durezza e scorrevolezza: salite brevi e ripetute, tipiche del paesaggio dell’Ardèche. Un profilo così potrebbero tagliare le gambe agli scattisti, ma non far scappare gli scalatori. Il profilo ricorda molto quello di una Liegi-Bastogne-Liegi. O, perché no, di una Clasica de San Sebastian. I numeri sono molto, molto simili alla classica basca. Secondo altri, invece, questo percorso ricorda molto le prime frazioni dell’ultimo Delfinato.

La gara femminile, élite chiaramente, non è invece durissima: 116 chilometri e poco più di 1.500 metri di dislivello. Se si pensa, insomma, alla nostra Elisa Longo Borghini, la sfida potrebbe essere sin troppo aperta. Per loro, rispetto agli uomini, lo strappo di Val d’Enfer sarà da affrontare solo due volte nel finale.

In entrambe le categorie, la gestione tattica sarà cruciale. Non ci saranno muri impossibili, ma la continua alternanza di salite e discese manterrà il gruppo in tensione. Su carta a decidere il tutto dovrebbe essere, come accennavamo, la Cote du Val d’Enfer: 1,7 chilometri al 9,3 per cento di pendenza media, con una porzione centrale al 14 per cento. Occhio però al falsopiano tra un passaggio sulla stessa Cote. Un momento d’incertezza lì potrebbe essere fatale, specie in campo femminile.

Un percorso che favorisce coraggio e aggressività, pronto a essere plasmato da chi saprà muoversi nel momento giusto. Per questo le varie nazionali dovranno essere attente e compatte, ben più che in Rwanda. La squadra davvero potrà essere un elemento chiave. Una curiosità poi. E’ vero che le previsioni meteo oltre i tre giorni hanno scarsa attendibilità, ma sembra che proprio le donne potrebbero incappare in una giornata di pioggia battente. Ecco dunque un’altra variabile che potrebbe risultare determinante.

Tre favoriti e tanti outsider

Quando si parla di favoriti, è inevitabile guardare al trittico del Tour de France: Jonas Vingegaard, Remco Evenepoel e Tadej Pogacar. Saranno loro i fari dell’Europeo, pronti a rinnovare la sfida che ha infiammato i mondiali e Tour. Vingegaard avrà dalla sua la resistenza e la freschezza di chi si è evitato una lunga trasferta e ha le gambe che lascia un Grande Giro (ha vinto la Vuelta). Di certo non vorrà essere da meno. Remco ha detto che senza problemi meccanici a Kigali se la sarebbe giocata con Pogacar. E Tadej sarà pronto a difendere il leadership con attenzione massima.

Eppure il percorso di Drome e Ardèche potrebbe aprire la porta anche a soluzioni diverse. Corridori come Skjelmose, Skujins o Healy hanno dimostrato di sapersi esaltare su terreni mossi e duri. Potrebbero approfittare della marcatura stretta dei tre big. E poi Almeida, Ayuso, Van Baarle, di certo almeno un francese che in casa darà più di quello che ha… La lista è lunga. E a questa lista lasciateci aggiungere Mads Pedersen: chiaro che se gli scalatori la butteranno giù dura lui è del tutto tagliato fuori, ma Mads appartiene alla schiera dei “mega motori” e quantomeno va citato.

E gli azzurri? L’Italia si presenterà con una selezione che sarà un mix tra nuovi innesti e atleti che erano presenti in Africa. Ulissi, Bettiol, Scaroni… per provare a giocarsela magari con un’azione da lontano, sfruttando qualche situazione tattica ambigua. Non sarà facile fronteggiare avversari di questa caratura, ma un piazzamento di prestigio, che ci servire come il pane, potrebbe non essere impossibile.

Nimbl ai piedi Vingegaard: l’innovazione conquista anche la Vuelta

22.09.2025
4 min
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Jonas Vingegaard ha scritto un altro capitolo nella storia del ciclismo, conquistando la Vuelta a España edizione 2025. Al traguardo di Madrid, il corridore del Team Visma–Lease a Bike ha conquistato la sua prima Vuelta ed ha anche dimostrato il ruolo cruciale della tecnologia Nimbl. Ai suoi piedi, le Nimbl Ultimate Air, scarpe progettate per offrire leggerezza e prestazioni senza compromessi. Questo successo non è solo la sua vittoria, ma una celebrazione della sinergia tra talento, dedizione e attrezzatura di altissimo livello.

Il trionfo di Vingegaard è solo la punta dell’iceberg. L’influenza di Nimbl è stata evidente per tutta la competizione. Ben quattro atleti nella top 10 della classifica generale, tra cui i compagni di squadra di Vingegaard, Sepp Kuss (settimo) e Matteo Jorgenson (decimo), hanno pedalato con le scarpe del brand. Questa presenza massiccia dimostra la fiducia dei professionisti del WorldTour nell’innovazione Nimbl. Matthew Riccitello ha inoltre aggiunto un ulteriore successo, aggiudicandosi la maglia bianca di miglior giovane con le sue Ultimate Pro Edition. Ogni watt trasferito, ogni curva affrontata, ha dimostrato che Nimbl è in grado di rispondere alle massime esigenze del ciclismo agonistico.

Tecnologia al servizio della performance

Le Nimbl Ultimate Air rappresentano l’apice della gamma del brand marchigiano. Sviluppate con un nuovo telaio monoscocca in carbonio, queste scarpe sono adesso più leggere, più rigide e più efficienti. La loro struttura avvolgente, e la calzata precisa, garantita dalla chiusura minimalista con lacci, combinano il massimo del comfort con il supporto necessario per gli sforzi più intensi. Il profilo basso e aerodinamico assicura un vantaggio competitivo, un dettaglio che può fare la differenza quando si lotta per i millisecondi. La vittoria di Vingegaard non è stata casuale, ma la testimonianza che l’attrezzatura giusta è un fattore determinante per il successo.

«Vincere un Grande Giro è un’impresa che segna una carriera – ha commentato Jonas Vingegaard – e questa Vuelta è stata incredibilmente dura. Sono grato per il supporto dei miei compagni di squadra e per avere a disposizione materiali di altissima qualità, come le scarpe Nimbl. Mi hanno dato la fiducia necessaria per affrontare ogni sfida. Le Air che ho usato si sentivano così leggere da non aver quasi l’impressione di indossare nulla, pur offrendo una protezione totale e garantendo un trasferimento di potenza impeccabile».

«Questa stagione – ha ribattuto Francesco Sergio, che di Nimbl è il Co-fondatore e il Managing Director – è stata memorabile, piena di vittorie che ci hanno ispirato a creare la Summer Victory Collection. Siamo onorati della fiducia che gli atleti del calibro di Vingegaard ripongono nei nostri prodotti. Jonas collabora con noi da anni, e i suoi feedback sono stati molto preziosi per l’evoluzione delle nostre scarpe. Vederlo conquistare la Vuelta con le Ultimate Air è un traguardo che ci riempie di orgoglio».

Francesco Sergio, Co-Founder e Managing Director Nimbl
Francesco Sergio, Co-Founder e Managing Director Nimbl

Summer Victory Collection: l’essenza del successo

Per celebrare il trionfo, Vingegaard ha indossato un paio di Ultimate Air rosse nella tappa finale a Madrid. Questa versione speciale è il fiore all’occhiello della Summer Victory Collection, una linea in edizione limitata creata per celebrare i momenti più epici della stagione ciclistica. La collezione rende omaggio al coraggio, alla resistenza e alla gloria che definiscono questo sport, celebrando gli atleti che continuano a ispirare e a fare la storia del ciclismo, giorno dopo giorno. Perché la vittoria non si riceve, si conquista…

Nimbl

Vingegaard, Almeida e Pidcock: i racconti della Bola

13.09.2025
7 min
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E’ stato il grande giorno della Bola del Mundo alla Vuelta. La tappa del verdetto, quella che avrebbe decretato il re della maglia roja. La frazione è di nuovo di quelle toste, ma si sapeva già che a decidere tutto sarebbero stati gli ultimi 3.700 metri. Quelli in cemento, quelli con pendenze da MTB. Lassù avrebbe dominato la legge del più forte. E il più forte è stato Jonas Vingegaard. Per il corridore della Visma-Lease a Bike tappa e appunto… Vuelta.

Tra una fitta schiera di poliziotti e corse per contenere il pubblico più in basso, il già spoglio monte madrileno era ancora più vuoto nel suo chilometro finale. Si è sempre sul chi va là riguardo alle ormai note proteste pro Palestina.
In questo contesto vanno in scena 153 storie, tante quante i corridori rimasti in gara. Ogni scalata così estrema si trasforma per ognuno in qualcosa di strettamente personale. C’è chi vuole semplicemente arrivare al traguardo, chi vuole vincere, chi deve difendersi, chi dimostrare il suo valore, chi vuole la tappa. Ognuno ha il suo obiettivo.
Noi ve ne raccontiamo tre di queste storie e lo anche con l’aiuto di uno scalatore che sulla Bola del Mundo ci sarebbe stato alla grande: Domenico Pozzovivo.

Vingegaard sta per tagliare il traguardo. Gli inseguitori lo vedono da lontano, tra loro purtroppo non c’è Pellizzari, che perde la maglia bianca
Vingegaard sta per tagliare il traguardo. Gli inseguitori lo vedono da lontano, tra loro purtroppo non c’è Pellizzari, che perde la maglia bianca

Vingegaard campione vero

La prima storia, e non poteva essere diversamente, è quella di Jonas Vingegaard. Oggi il danese ha vinto. Ma la sua è una vittoria di chi era chiamato, e forse voleva dimostrare al mondo intero e prima di tutto a sé stesso, che è ancora forte. Che sa vincere anche senza Tadej Pogacar.
Anzi, a dire il vero era quasi obbligato a farlo.

Eppure in queste tappe è sì stato il più forte, ma non quello schiacciasassi che era lecito attendersi. Il Tour, e lo diciamo da tempo, si è fatto sentire. Jonas ha centellinato energie fisiche e mentali giorno dopo giorno.
«Dopo il Tour così duro – ha detto Pozzovivo – sinceramente mi aspettavo una Vuelta così di conserva, ma forse un po’ meno di come è stata realmente. Mi aspettavo che avrebbe cercato di addormentare la corsa e che non avrebbe corso come fa quando è contro Tadej o come fa lui stesso quando non c’è Pogacar. Penso per esempio alla Tirreno dell’anno scorso».

L’abbraccio tra Kuss e Vingegaard. L’americano è arrivato secondo, siglando una doppietta per la Visma
L’abbraccio tra Kuss e Vingegaard. L’americano è arrivato secondo, siglando una doppietta per la Visma

Jonas il chirurgo

«Anche oggi ha fatto di mille metri (è partito ai -1,3 chilometri e ha mollato ai 300 metri, ndr). Ha calcolato più la durata dello sforzo che la distanza. Sono stati 5 minuti di attacco, 5′ di fuorigiri ad una media di 13 all’ora o poco più. E’ stato un attacco chirurgico, preparato. Credo sapesse che non avrebbe aperto grandi margini e così ha fatto al massimo quello che poteva. Se fosse partito prima lo avrebbero ripreso, non avrebbe avuto la possibilità di portare un attacco simile più a lungo».

Le nostre sensazioni dunque erano giuste. Non ha sprecato nulla più del dovuto. Ha corso con grande consapevolezza dei suoi limiti. E che dire? Chapeau. Le corse si vincono anche così.
«Uno come lui – aggiunge Domenico – se fosse stato meglio avrebbe messo la firma sull’Angliru, per esempio».

Oggi Vingegaard doveva dimostrare che era comunque il miglior corridore di questa Vuelta e ci è riuscito. Onore a lui.

Almeida un leone… Ha lottato contro un gigante e forse lo è diventato anche lui
Almeida un leone… Ha lottato contro un gigante e forse lo è diventato anche lui

Almeida: sostanza e personalità

L’altra storia ci porta dal grande rivale di questa corsa spagnola, Joao Almeida. Chissà cosa, e se, gli ha detto Pogacar, il suo capitano, quando si è trovato a battagliare con il rivale storico del suo leader. Se gli ha svelato qualche punto debole.

Il portoghese della UAE Team Emirates si è ritrovato capitano. Sarebbe dovuto essere lo stesso Pogacar a guidare la corazzata in Spagna. Invece…
«Invece – ha detto Pozzovivo – si è ritrovato leader in modo inatteso. Ma è sbagliato dire che la sua stagione è venuta fuori in modo inaspettato. Andava già forte al Giro di Svizzera (anche prima al Romandia, ndr) e poi doveva fare bene il Tour. E invece ecco che si ritrova a fare la Vuelta e anche da capitano».

Oggi persino Ayuso ha contribuito alla causa di Almeida… almeno nelle fasi meno calde della corsa
Oggi persino Ayuso ha contribuito alla causa di Almeida… almeno nelle fasi meno calde della corsa

Joao leader

E proprio sull’essere leader, sulla pressione, sulla convivenza con Juan Ayuso, Pozzovivo esalta il portoghese: «Per me è stato fortissimo e questo lo consacra sia a livello internazionale che nella sua squadra. Credo che Joao si sia gestito benissimo, anche dal punto di vista della personalità, dell’essere leader appunto. E non ha avuto un inizio di Vuelta facile, con quei problemi di “spogliatoio”. Nella tappa in cui ha accumulato il maggior distacco da Vingegaard, lui stesso al termine della frazione ha detto che la squadra non aveva lavorato al 100 per cento per lui. Credo riferendosi non solo ad Ayuso, ma anche a Vine. E se dici una cosa del genere è perché ti prendi poi pressioni e responsabilità e lui ci ha convissuto benissimo. Idem quel che ha fatto sull’Angliru. Si è messo al massimo del suo limite. Di solito quando hai avversari così forti ti lasci un minimo di margine per rispondere a uno scatto. Lui no… e ha avuto ragione».

Anche oggi sulla Bola del Mundo ha perso qualche secondo, Almeida e la UAE con corridori che gli sono diventati fedeli quali Grosschartner e Vine, non si è fatto intimorire. La mancanza del riferimento Pogacar non si è fatta sentire.
«Non credo che Almeida senta questa cosa. Anche lo scorso anno al Tour era gregario di lusso, ma Tadej spesso partiva così tanto presto che anche lui poteva correre per sé stesso. E poi ha avuto altre occasioni di essere leader. Non ha perso insomma attitudine. Discorso diverso se si fosse trasformato nel leadout che si sposta e prende 10 minuti».

Tom Pidcock (classe 1999) avrà trovato la sua dimensione definitiva?
Tom Pidcock (classe 1999) avrà trovato la sua dimensione definitiva?

Pidcock: ora è nel posto giusto

La terza storia ci porta a Tom Pidcock. Il folletto della Q36.5 finalmente sale sul podio di un Grande Giro. In tanti, dopo la vittoria al Giro U23, lo aspettavano al varco, ma l’inglese aveva sempre mostrato altre preferenze, sia dal punto di vista personale che tecnico.

Domani a Madrid salirà sul gradino del podio e sempre domani Van der Poel sarà al mondiale di MTB. Per Pidcock è di certo un colpo al cuore. «Io sono un biker», ha sempre detto. Oggi all’arrivo quasi non riusciva a parlare tanto era stanco.

La domanda delle domande pertanto è: da oggi possiamo dire che Pidcock è uomo da corse a tappe? Mai come stavolta l’opinione di Pozzovivo, anche lui piccolo, scalatore e persino un po’ biker, è calzante.
«La Vuelta è sempre particolare quando si parla di Grandi Giri e questa lo è stata ancora di più. C’è una dichiarazione di Tom che mi ha colpito nel post Giro d’Italia e cioè: “Ho sofferto molto il caldo”. Per uno che soffre il caldo la Vuelta non è la miglior gara, ma in questo caso si è partiti con il maltempo in Italia, si è sempre restati al Nord dove le temperature non sono mai state torride e niente Andalucia. Questo ha giocato a suo favore».

«Rispetto alle tre settimane possiamo dire che ha dimostrato di esserci. Però mancava almeno un tappone da oltre 5.000 metri. Al Giro d’Italia ce ne sono sempre almeno due se non tre. Se ci fosse stato quello gli avremmo potuto dargli definitivamente la “patente” per corridore da Grandi Giri. Però questo podio è incoraggiante per lui. Resta il fatto che è un corridore che ama la corsa secca, che ama alzare le braccia e credo che correre per la classifica sia stato un grande sforzo mentale per Tom».

Giulio Pellizzari ha ceduto proprio nel finale della Vuelta. Sulla Bola ha incassato quasi 3′ perdendo la maglia bianca. E’ comunque 6° nella generale
Giulio Pellizzari ha ceduto proprio nel finale della Vuelta. Sulla Bola ha incassato quasi 3′ perdendo la maglia bianca. E’ comunque 6° nella generale

Chissà in casa Ineos…

Le analisi di Pozzovivo sono davvero eccellenti, ficcanti come solo chi è stato in gruppo per tanto tempo ad alti livelli può fare. E così gli chiediamo anche se domani, mentre metterà il piede sul podio, lui, ma soprattutto la Ineos Grenadiers, cosa penserà. Gli inglesi si mangeranno le mani?

«Assolutamente sì – dice secco il “Pozzo” – A loro manca un punto di riferimento per i Grandi Giri e in Ineos Grenadiers lo hanno fatto fuori con troppa fretta».

Però è anche vero che in quella squadra c’è una certa mentalità, una certa disciplina, di certo uno che vuole fare MTB non è il massimo per il team. E viceversa. Pidcock aveva perso il sorriso. In Q36.5 qualche comparsata in più offroad la può fare…
«E infatti – conclude Pozzovivo – per Tom stare in una squadra più piccola come la Q36.5 è meglio, può avere questo approccio. Alla fine è un po’ il faro, la maggior parte dei punti dipendono da lui e può permettersi di avere più spazi, di gestire un po’ di più i suoi impegni. Penso anche all’eccezione che, non essendo in una WorldTour, abbia comunque potuto disputare due Grandi Giri. Di certo è una situazione a suo vantaggio».

Almeida si prende l’Angliru: Vingegaard sfinito

05.09.2025
5 min
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Purtroppo per lui, Jonas Vingegaard dovrà attendere ancora prima di regalare l’orsacchiotto al figlio. L’Alto de Angliru resta un tabù e, dopo il secondo posto nel 2023 dietro Primoz Roglic, stavolta deve inchinarsi a Joao Almeida.

Sul gigante asturiano trionfa il portoghese della UAE Emirates che forse mette nel sacco la vittoria più importante della sua carriera, per come è arrivata e per chi ha battuto. Una vittoria che lo consacra, semmai ce ne fosse stato bisogno, tra i grandissimi.

Bravo Garofoli (in coda) che in questa Vuelta si è fatto vedere ancora una volta
Bravo Garofoli che in questa Vuelta si è fatto vedere ancora una volta

La consacrazione di Almeida

La tappa scorre via secondo copione: fuga da lontano, dentro c’è anche Gianmarco Garofoli e un tentativo lo fa anche di Antonio Tiberi. Dietro Red Bull-Bora e UAE che chiudono. Poco ha contato il breve stop per la protesta pro Palestina: in gruppo andavano troppo più forte.

La scalata dell’Angliru si trasforma presto in una cronoscalata: Almeida contro tutti. Uno dopo l’altro li fa saltare. L’unico ad averlo messo in difficoltà, anche solo per qualche metro, è stato paradossalmente il compagno Felix Grossschartner. Dopo il grande lavoro di Vine, l’austriaco aveva cambiato ritmo e saggiamente Joao non lo ha seguito. Poteva essere un campanello d’allarme, tanto che in casa Visma-Lease a Bike, cioè lo stesso Vingegaard e Sepp Kuss, che su queste rampe si rigenera, si è subito confabulato. Magari l’americano aveva consigliato al suo leader di attaccare.

Almeida taglia in testa il traguardo dell’Alto de Angliru davanti a Vingegaard. Terzo Hindley a 28″ che nel finale ha recuperato parecchio
Almeida taglia in testa il traguardo dell’Alto de Angliru davanti a Vingegaard. Terzo Hindley a 28″ che nel finale ha recuperato parecchio

Vuelta riaperta

Jonas però non lo ha fatto. La domanda è perché. Troppo presto? Non ne aveva? Alla fine lo scatto che tutti si aspettavano non è arrivato. Nel chilometro finale di salita anche lui dava le spalle e allo sprint, nonostante fosse rimasto sempre a ruota, non è riuscito a sopravanzare il portoghese, abile anche a prendersi la posizione nelle curve conclusive.

Ma un aspetto ha colpito più di tutti: la faccia di Jonas dopo il traguardo. Quando è salito sulla bici da crono per i rulli defaticanti ha fatto un’espressione eloquente. Sollevare la gamba per montare in sella deve essere stato uno sforzo ulteriore e tremendo per il danese. Quella smorfia di dolore potrebbe dire molto.

In fondo il danese è l’unico dei big in classifica (assieme a Gall) ad aver corso il Tour de France a tutta. E le energie, lo abbiamo visto anche con Tadej Pogacar, in questo ciclismo si pagano eccome. Anche se sei un supereroe. In tal senso la tappa di domani, ancora in salita, dirà molto.

Ora i due sono separati da 46”, ma il morale di Almeida è in crescita e quello di Vingegaard forse scricchiola…

Vingegaard è parso davvero stanco dopo l’arrivo
Vingegaard è parso davvero stanco dopo l’arrivo

Quel chilometro finale…

Sembra strano dirlo dopo quanto accaduto con Juan Ayuso in settimana, ma la squadra di Matxin e Gianetti si è mostrata davvero unita. Ayuso escluso, tutti hanno fatto la loro parte. Come si lavora per Pogacar, lo stesso è stato fatto per Almeida.

«La squadra ha lavorato in modo perfetto – ha detto Joao – sono super felice di come sia andata. E’ una vittoria incredibile. Se sia la più importante della mia carriera? Io ho pensato solo a spingere, a fare il mio passo e nell’ultimo chilometro sono andato oltre il limite».

«Abbiamo fatto un ottimo lavoro di squadra – ha sottolineato Matxin a Eurosport – i ragazzi hanno corso al meglio e con la fuga non era facile controllare il distacco. La vittoria di Joao è speciale, questo è un traguardo prestigioso. Oggi volevamo vincere la tappa e ci siamo riusciti. Per radio gli dicevamo di spingere, di restare concentrato, che stava andando forte».

Anche oggi la protesta pro-Palestina lungo le strade della Vuelta si è fatta sentire
Anche oggi la protesta pro-Palestina lungo le strade della Vuelta si è fatta sentire

Marcato se la gode

Intanto i corridori arrivano alla spicciolata. L’Angliru è un giudice micidiale e spacca la corsa come poche salite al mondo. Marco Marcato, direttore sportivo della UAE, si gode il momento: «Questa vittoria vale per tre. L’Angliru è un’icona e un successo così dà tantissimo morale. Ancora di più perché hai battuto Vingegaard, il migliore al mondo su certi arrivi dopo Tadej. Siamo davvero soddisfatti. Joao l’ha presa di petto e chapeau a lui».

Con Marcato si parla anche di tattica. Durante la scalata ci si chiedeva se quel ritmo regolare impostato da Almeida non favorisse Vingegaard. Ma a quanto pare era tutto studiato.
«La tattica era questa – spiega Marcato – Joao è un regolarista e bisognava evitare che uno scalatore puro come Jonas potesse scattare, così abbiamo deciso di impostare un passo forte. Poco importava se l’altro restava a ruota, perché su quelle pendenze e con quelle velocità la scia conta poco. E’ stata una scelta che alla fine ha pagato.


«Vuelta riaperta? Per noi non era mai stata chiusa. Ora il distacco tra i due è di 46” e restano molte tappe dure fino a Madrid. Ci proveremo ancora, ma bisogna fare i conti con le energie rimaste».

Pellizzari intanto rafforza la sua maglia bianca (+32″ su Riccitello). E’ sesto all’arrivo e sesto nella generale
Pellizzari intanto rafforza la sua maglia bianca (+32″ su Riccitello). E’ sesto all’arrivo e sesto nella generale

Il bilancio delle energie

E con questa frase Marcato apre un altro capitolo: quello delle energie, che già avevamo accennato. In teoria il bilancio dovrebbe pendere a favore del portoghese, che ha lasciato il Tour quasi subito. Un dato però non va perso nell’analisi della scalata: il recupero di Hindley e Kuss nel finale, segno che davanti erano stanchi.

«Eh – sospira Marcato – l’idea è quella, ma finora non si è visto questo calo da parte di Vingegaard. E’ vero però che oggi anche lui ha faticato, altrimenti avrebbe attaccato. Bisogna stare attenti, perché una salita finale come quella di domani è più adatta a uno come Jonas.

«Noi andiamo avanti per la nostra strada. Voglio sottolineare il lavoro dei ragazzi, da Novak a Grossschartner, da Vine a Oliveira… tutti. Stamattina eravamo tutti per Joao. Pressione non ne avevamo: in classifica eravamo messi bene e avevamo già vinto cinque tappe. Però abbiamo fatto bene quel che dovevamo, in particolare prima dell’Angliru, quando abbiamo preso davanti la tecnica discesa del Cordal per portarlo al meglio ai piedi della salita. Poi il resto lo ha fatto Almeida, che ci ha messo gambe e cuore».