La Borello tricolore ora aspetta una chiamata azzurra

21.01.2025
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Campionessa italiana: se a inizio stagione avessero pronosticato questo, a Carlotta Borello (in apertura, foto Lisa Paletti), sarebbe scoppiata a ridere, nonostante il suo incedere dominante durante l’ultimo Giro delle Regioni abbia accresciuto notevolmente le sue quotazioni. Al suo primo anno da Elite, la portacolori del Team Cingolani ha raggiunto in breve la cima del movimento italiano, cogliendo di sorpresa molti addetti ai lavori.

La Borello a Benidorm, dove domenica scorsa ha centrato un’ottima 15esima piazza
La Borello a Benidorm, dove domenica scorsa ha centrato un’ottima 15esima piazza

«Ero partita per guadagnarmi un posto sul podio tricolore – racconta la ventitreenne piemontese – ma vincere non lo ritenevo possibile, considerando che avversarie come Casasola e Baroni fanno attività all’estero, quindi erano quasi sconosciute per me in quanto a livello qualitativo».

Andiamo alle origini della Borello ciclocrossista…

Ho iniziato come gioco, un’occasione per divertirsi durante l’inverno senza abbandonare la bici. Mi dedicavo prevalentemente, da ragazzina, alla strada e il ciclocross era un ottimo sistema per tenermi in allenamento. Gareggiavo nelle prove giovanili dei trofei Lombardia e Piemonte, vedevo non solo che andavo bene, ma che era un’attività che mi prendeva sempre di più. Con Cicli Fiorin ho trovato la massima disponibilità verso la multidisciplina, è arrivato anche il secondo posto tricolore da junior 2° anno, le prime convocazioni in nazionale e da lì è stato sempre un crescendo.

La Borello ha militato fino allo scorso anno nella DP66, centrando il podio tricolore nel 2024
La Borello ha militato fino allo scorso anno nella DP66, centrando il podio tricolore nel 2024
Tu hai cambiato squadra quest’anno, fino allo scorso eri alla DP66, come ti trovavi?

Sono stata sempre molto bene, soprattutto il primo anno quando Daniele Pontoni era ancora al vertice del team, poi approdando in Federazione ha dovuto passare la mano. La qualità e soprattutto la professionalità non sono però mai venute meno. E’ un ottimo team per crescere, considerando che io vengo da una realtà geografica come il Piemonte dove non c’è una tradizione di grandi squadre, ma sentivo alla fine che avevo bisogno di cambiare qualcosa, soprattutto in corrispondenza del cambio di categoria.

A oggi ti senti più ciclocrossista o stradista?

Sicuramente più ciclocrossista, o meglio ho intenzione di fare di questa attività quella principale, il che significa che dall’estate si comincerà a pensare già alla nuova stagione. Su strada mi destreggio abbastanza bene soprattutto se i percorsi sono vallonati, selettivi, con qualche salita dove poter smuovere le acque. Visti comunque i risultati invernali, devo dare la precedenza a questi e infatti ne ho già parlato con il team.

Con la BTC City Ljubljana la Borello ha colto più soddisfazioni nel gravel, su cui vuole investire
Con la BTC City Ljubljana la Borello ha colto più soddisfazioni nel gravel, su cui vuole investire
Su strada con chi corri?

Nell’ultima stagione ho militato nella BTC City LJubljana, ma più che su strada ho ottenuto risultati migliori nel gravel, come il secondo posto al Giro Sardegna Gravel, prova delle World Series e anche ai campionati italiani. Quest’anno ho deciso di rimanere al Team Cingolani anche nella stagione primaverile ed estiva, farò un’attività differenziata con qualche uscita sia su strada che in mtb, ma punto più sul gravel. Dovremo comunque metterci al tavolino per studiare un calendario compatibile.

Ora arrivano i mondiali. Tu, anche nelle uscite internazionali che hai fatto te la sei cavata bene ma ancora non sei approdata in nazionale, pensi che la maglia tricolore sia sufficiente per guadagnarti la selezione?

La speranza c’è, inutile negarlo, ma le scelte spettano al cittì che nei miei confronti è sempre stato premuroso. Di una mia partecipazione si è anche parlato, ma finché non c’è nulla di ufficiale non mi voglio illudere. Nelle occasioni in cui ho potuto gareggiare fuori dai nostri confini credo comunque di essermela cavata bene e saprei onorare al meglio la maglia azzurra.

Per la piemontese già numerose presenze in nazionale, ma non quest’anno, a dispetto dei risultati
Per la piemontese già numerose presenze in nazionale, ma non quest’anno, a dispetto dei risultati
Tra l’altro hai portato a casa anche qualche buon risultato, come il 18° posto in Coppa del mondo a Namur e il 15° a Benidorm, pur partendo dalle retrovie…

Spero che questi siano buoni biglietti da visita. Il team ha voluto investire su di me facendomi fare le prove di Coppa del periodo delle Feste, per darmi la possibilità di salire nel ranking, di affrontare il livello più alto possibile perché è solo così che si cresce. Io credo di essermela cavata bene, partendo dalla quarta fila ho pensato soprattutto a un primo giro senza errori per poi iniziare la rimonta, evitando i fuorigiri che in quei contesti si pagano caro. Sono andata sempre migliorando, spero che significhi qualcosa…

Olympia Challenge (versione gravel): garantisce Fontana

20.01.2025
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Il test completo di Olympia Challenge (versione gravel). E' la bici usata nel ciclocross da Filippo Fontana e disponibile nella versione con allestimento dedicato al gravel, noi abbiamo provato quest'ultimo. Challenge si dimostra una bici che si spinge verso l'agonismo, o comunque un prodotto dedicato a chi ama spingere sui pedali e divertirsi aprendo il gas. Compatta e agile, divertente e reattiva, ma soprattutto con un prezzo davvero interessante e alla portata di molti.

Olympia Challenge è una gran bicicletta e una volta portata sullo sterrato non ha paura di nulla, un mezzo sul quale è semplice fare affidamento. E’ usata (e vincente) in ambito ciclocross da Filippo Fontana, è un bel cavallo di razza quando i percorsi gravel obbligano ad una velocità maggiore.

Comoda sì, ma fino ad un certo punto, perché il DNA corsaiolo e spinto non si nasconde. L’abbiamo usata e provata in configurazione gravel, dove il giusto setting in fatto di ruote e coperture fa la differenza. Entriamo nel dettaglio della nostra prova.

La Challenge in versione gravel
La Challenge in versione gravel

Il nodo sella by Olympia

I dettagli di telaio e forcella sono tanti e ognuno ha un compito ben preciso. Quello che colpisce maggiormente però tutto il blocco del nodo sella, ovvero il punto di unione tra gli obliqui, il piantone e l’orizzontale, naturalmente il seat-post.

«La chiusura sella è originale Olympia – argomenta Alberto Pizzo, designer e project manager Olympia – e viene usata anche su altri modelli e-bike che abbiamo. Aiuta ad aumentare il raccordo del tubo per irrobustire il telaio e mantiene una linea filante ed integrata senza rinunciare a praticità e sicurezza. La scelta del diametro 30.9 nasce per dare la possibilità a chi volesse di montarla anche con il reggisella telescopico. Questo modello viene venduto anche come kit Telaio e prevede uno sportellino per nascondere l’attacco deragliatore, nel caso si volesse montare la corona singola. La bici è compatibile per la trasmissione meccanica ed elettromeccanica».

La Challenge in test

Una taglia media che offre degli spunti interessanti anche sotto il profilo geometrico. Ha due valori, reach e stack in linea con la categoria, rispettivamente 39 e 55 centimetri, un carro compatto a 42,5 centimetri ed un passo complessivo di 101,2 centimetri, decisamente corto per essere una gravel. Siamo alla stregua di alcune bici road endurance di nuova generazione. Non è un fattore secondario e si riflette in modo esponenziale su una bici estremamente reattiva, agile e briosa, tutto pepe e da tenere per le briglie quando si affrontano tratti particolarmente scassati.

Telaio e forcella in carbonio (un blend di fibre lavorate con tecnologia monoscocca), attacco e manubrio in alluminio, così come il reggisella, tutto X-Feel. La sella è una San Marco GND. La trasmissione è Shimano GRX 2×12 di matrice meccanica (che funziona a meraviglia) 48/31 e 11/36. Anche l’impianto frenante è GRX con cerchi da 160 di diametro. Le ruote sono il risultato di un assemblaggio che ha l’obiettivo di dare sostanza e contenere il prezzo. Cerchio in alluminio X-Feel tubeless ready e mozzo Shimano. Le coperture sono Schwalbe G-One Bite TLE (tubeless). Il peso rilevato è di 9,8 chilogrammi (senza pedali). Prezzo di listino di 2.585 euro.

Una bici tutte pepe

Come accennato in precedenza, la Challenge è un bel cavallo di razza, il DNA spinto verso le gare si percepisce, si sente parecchio. Le versione in test non è una bici banale, anche se l’allestimento non rende completamente merito ad un kit telaio molto, molto interessante. E’ veloce e agile, soprattutto nei contesti più tecnici dove è fondamentale avere un mezzo preciso e semplice da “far girare” negli spazi più stretti (che in ambito ciclocross non è un dettaglio, ma anche nei contesti gravel può fare una grande differenza). Davanti però è da tenere e assecondare, perché la sua briosità non è celata. Bello tosto anche il comparto centrale, che sotto il profilo della resa tecnica rispecchia un impatto estetico muscoloso che non passa inosservato.

La zona del nodo sella e tutto il piantone smorzano poco o nulla, dedicati a chi piace “sentire” la bicicletta. I vantaggi si sentono soprattutto in salita e quando si rilancia da seduti e si alza il ritmo. Zero flessioni e ondeggiamenti, zero dispersioni.

In salita è un bel cavallino e ha una buona trazione del posteriore
In salita è un bel cavallino e ha una buona trazione del posteriore

Fra gomme e pressioni

In conclusione, la Challenge di Olympia è una bicicletta per nulla banale. Soprattutto in ottica training e gravel invernale, la bici stessa necessita di un setting adeguato derivante in modo particolare dalle pressioni degli pneumatici. Qualche “zero-virgola” di bar in meno per sfruttare una maggiore fase ammortizzante, un galleggiamento accentuato sullo sterrato (e sul fango) e per dare respiro ad una zona lombare che è sollecitata.

La Challenge è una bici gravel che strizza l’occhio alle gare e la customizzazione adeguata di ogni singola parte è un aspetto che non deve passare in secondo piano. A prescindere, sposiamo a pieno la scelta di usare pneumatici tubeless da 40 millimetri di larghezza su un mezzo del genere.

Corsaiola, ma non estrema
Corsaiola, ma non estrema

In conclusione

Un applauso ad Olympia. Un 10 pieno al progetto e una lode a chi a disegnato la Challenge, che a prescindere dall’utilizzo e dall’interpretazione è una bici con un design e forme proprie che si distingue dalle altre. Mette qualche accento anche sulla resa tecnica, perché non fa nulla per nascondere il DNA race e quella compattezza che non guasta mai, neppure su asfalto. Sui tratti di bitume sembra una bici da strada a tutti gli effetti, con una capacità di rispondere ai cambi di ritmo che è degna di nota.

L’allestimento è più che efficiente, ma in ottica risparmio di peso e sfruttabilità completa del kit telaio un upgrade sarebbe necessario. Nel complesso il rapporto qualità/prezzo della bici completa è molto buono, diventa eccellente se consideriamo i 1.825 euro del frame-kit.

Cicli Olympia

Challenge, un’azienda internazionale con un cuore italiano

30.12.2024
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CADRO (Svizzera) – Il nostro ultimo appuntamento prima della pausa natalizia lo abbiamo dedicato alla scoperta di Challenge, marchio di riferimento nel mondo delle coperture strada, ciclocross e gravel. L’appuntamento era fissato per le 10.30 di un giovedì mattina particolarmente uggioso. Siamo a Cadro, a nord di Lugano, e ad accoglierci sono in ordine alfabetico Riccardo Brauns, Assistente amministrativo, Gianluca Modesti, Coordinatore tecnico e Responsabile delle sponsorship, Andrea Murianni, Sales Manager.

Siamo nell’ufficio commerciale di Challenge, in una delle sedi dell’azienda. Le altre sono in Thailandia, dove si trova la sede produttiva, a Montignoso, in provincia di Massa-Carrara, c’è la sede italiana, a La Spezia si trova il magazzino europeo, e infine in California gli uffici della sede americana.

La sede produttiva di Challenge si trova in Thailandia
La sede produttiva di Challenge si trova in Thailandia

I “primi” 25 anni

A rompere il ghiaccio è Riccardo Brauns che ci racconta le origine del marchio. A fondarlo nel 2000 è stato suo padre Alessandro, insieme ad un amico e socio scomparso purtroppo pochi mesi dopo. Nel 2025 l’azienda festeggerà un compleanno importante visto che saranno passati 25 anni dalla sua nascita. Al momento non sono previsti festeggiamenti o iniziative particolari per questa particolare ricorrenza, ma nulla però è da escludere.

Come anticipato, la sede produttiva si trova in Thailandia, esattamente a Ban Chang, nella provincia di Rayong. Qui alcune delle più importanti aziende che utilizzano la gomma naturale per la produzione di pneumatici per biciclette hanno la loro sede produttiva. Fin dalla sua creazione, la sede di Ban Chang si è caratterizzata per essere una fabbrica completamente elettrica dove non è previsto l’utilizzo di sostanze fossili e inquinanti per il suo funzionamento. Qui oggi lavorano più di 70 operai, anzi “artigiani”, come ci tiene a sottolineare Riccardo Brauns.

«Challenge è un’azienda familiare che si basa sull’operato di artigiani che realizzano con le loro mani prodotti estremamente performanti utilizzando materiali naturali di prima qualità».

Nella realizzazione dei pneumatici sono previsti dei procedimenti in cui la componente umana è ancora fondamentale e necessità di una maestria che non è assolutamente fuori luogo definire artigianale. Anche per questo a chi lavora in Challenge è riconosciuto un ruolo centrale nella sua crescita e sviluppo della stessa azienda.

Challenge si basa sull’operato di artigiani che realizzano i prodotti a mano
Challenge si basa sull’operato di artigiani che realizzano i prodotti a mano

Dal ciclocross al gravel

Challenge è da sempre legata al mondo del ciclocross. Tanti campioni hanno gareggiato e vinto utilizzando coperture Challenge. Negli ultimi anni l’azienda ha accompagnato Tom Pidcock in tutti i suoi trionfi, a partire dal titolo iridato ottenuto dal britannico negli under 23 fino alla maglia di campione del mondo elite vinta nel 2022 a Fayetteville.

Da sempre attenta alle evoluzioni del mercato, oggi Challenge ha deciso di entrare in maniera importante anche nel mondo del gravel, una disciplina in costante crescita, e l’ha fatto con una gamma di coperture estremamente performanti.

«Abbiamo deciso di trasferire nel gravel l’esperienza che abbiamo maturato in tutti questi anni nel ciclocross – ci racconta Gianluca Modesti – portando nel gravel lo stesso confort e la stessa affidabilità presente nelle nostre coperture da ciclocross, aumentando la protezione dalle forature. In questo momento stiamo lavorando per ampliare la nostra offerta in questo settore».

Il Natale del ciclocross

Il periodo natalizio è sempre un momento di grande festa per gli appassionati di ciclocross. Si è partiti sabato 21 dicembre con la coppa del mondo a Hulst in Olanda e si arriverà con un calendario fittissimo di appuntamenti fino al 5 gennaio con la prova di Derdemonde. In mezzo altre nove gare di ciclocross, fra coppa del mondo, Exact cross, Superprestige e X2O Trofee. Per chi non può essere in Belgio non resta che mettersi davanti alla TV per godersi lo spettacolo. 

Proprio il ciclocross ci offre lo spunto per parlare del rapporto fra Challenge e gli atleti sponsorizzati. Qui sale simbolicamente in cattedra Gianluca Modesti grazie al suo ruolo di  Coordinatore tecnico e Responsabile delle sponsorship. 

«Per noi è fondamentale il rapporto con gli atleti. I loro feedback sono estremamente importanti in fase di sviluppo del prodotto. Ad alcuni atleti selezionati forniamo in anteprima dei prototipi che vengono utilizzati anche in gara. Nulla è infatti meglio della gara per capire come una copertura risponda alle sollecitazioni. E’ avvenuto così anche per il Flandrien che abbiamo presentato in anteprima in occasione di Eurobike».

Il marchio Challenge è famoso nel ciclocross, quest’anno ha affiancato Thibau Nys in diversi successi
Il marchio Challenge è famoso nel ciclocross, quest’anno ha affiancato Thibau Nys in diversi successi

Tripletta europea

Tra i campioni di ciclocross che utilizzano coperture Challenge, e che l’azienda ritiene essere degli ottimi tester, vanno segnalati Pim Ronhaar, Annemarie Worst e Thibau Nys. Quest’ultimo è stato di recente  protagonista di una storica “tripletta Challenge” ai campionati europei di Pontevedra in Spagna. Nell’occasione Challenge ha accompagnato sul gradino più alto del podio lo stesso Nys nella categoria elite, il belga Jente Michels e la francese Celia Gery, entrambi nella categoria Under 23.

Uno dei nomi più in vista associati a Challenge è quello di Tom Pidcock, campione del mondo di cx nel 2022
Uno dei nomi più in vista associati a Challenge è quello di Tom Pidcock, campione del mondo di cx nel 2022

Presenza alle gare 

Challenge garantisce il suo supporto in gara agli atleti sponsorizzati. Nelle occasioni più importanti è l’azienda stessa ad essere presente in prima persona. Negli altri casi si avvale di collaboratori locali. Fra questi merita di essere citato l’ex crossista Vincent Baestaens, che fornisce il suo supporto tecnico agli atleti in occasione delle gare che si tengono in Belgio e Olanda.

Restando al ciclocross, segnaliamo che Challenge è stata protagonista nel ruolo di sponsor della gara in occasione della prova di coppa del mondo che si è svolta ieri a Besançon in Francia. Come ci hanno raccontato Riccardo Brauns e Gianluca Modesti, il mercato francese è decisamente molto importante per Challenge. A ciò si aggiunge il fatto che da anni la stessa Challenge collabora con la società che organizza la prova transalpina.

La nostra chiacchierata si conclude con gli immancabili auguri per le festività natalizie, ma soprattutto con la convinzione di aver conosciuto meglio un’azienda dal respiro internazionale ma con un cuore molto italiano, un concetto questo emerso molte volte in occasione del nostro incontro.

Challenge

Nuova Manto, stile e performance nel gravel secondo Aurum

17.10.2024
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Nuova Manto, stile e performance nel gravel secondo Aurum. La prima bici gravel dell'azienda spagnola nasce con una forte connotazione corsaiola, fattore che parte integrante del DNA di Aurum. Il layup del carbonio è specifico per il gravel, ma il design e le forme non mentono, lo zampino di Contador si vede. La Manto ha debuttato per la prima volta alla massacrante Badlands.

MISANO ADRIATICO – Aurum Manto è una chicca, una bicicletta che nasce in modo specifico per il gravel, per chi vuole competere in questa disciplina ed affrontare anche le prove endurance / ultracycling più iconiche che meglio rappresentano il gravel.

La Manto si basa su un telaio full carbon costruito secondo i canoni e le specifiche Aurum. E’ così anche il design e l’impatto estetico, tra eleganza e raffinatezza, essenzialità e quel pizzico di aggressività che si percepisce da alcuni dettagli. Vediamo le peculiarità della Aurum Manto.

La prima gravel di Aurum

Dopo aver presentato la nuova versione della Magma ed essere stati a diretto contatto con Il Pistolero, Alberto Contador, avendo toccato con mano il suo essere esigente in fatto di tecnica del mezzo, ci viene da pensare quanto ha fatto “tribolare” gli ingegneri per lo sviluppo della prima gravel del marchio spagnolo.

«Le richieste di Alberto sono state severe», ci racconta Juanjo Pereira, responsabile marketing Aurum, persona che lavora a stretto contatto di Contador. «Le linee guida del progetto gravel sono state chiare fin da subito, ovvero disegnare una bici con forme in grado di richiamare la famiglia Aurum, ma con le specifiche adatte per fare gravel. Competere ed essere veloci in ambito off-road.

«Zero compromessi – conclude Pereira – per un perfetto matching tra performance, qualità superiore dei materiali e piena sfruttabilità del mezzo anche sulle lunghe distanze, dove anche l’aerodinamica gioca un ruolo fondamentale. Il banco di prova ultimo è stato la massacrante Badlands e le risposte del mezzo sono state eccellenti, hanno sorpreso noi per primi».

Juanjo Pereira di Aurum con la bici usata per la Badlands
Juanjo Pereira di Aurum con la bici usata per la Badlands

Il richiamo alla Magma è forte

La tecnica di costruzione utilizzata per la Manto è la medesima utilizzata per la bici da strada, ma con un layup customizzato delle fibre di carbonio. L’obiettivo è renderla più resistente, ma anche confortevole il giusto: capace di copiare il terreno e dissipare buona parte delle vibrazioni. Per i disegni di ogni singola tubazione sono stati utilizzati due modelli differenti di software. Per l’avantreno e la sezione centrale i CFD combinati con i modelli FEA per dimensionare gli spessori nella maniera adeguata.

Inoltre anche la Manto adotta alcune soluzioni dei componenti, come la Magma, tanto moderne, quanto efficienti e votate a “non complicare” eccessivamente il progetto. Ad esempio il reggisella rotondo da 27,2 millimetri di diametro, le sedi T47 filettate per il movimento centrale. A queste si aggiunge anche il forcellino UDH che diventa sempre più una sorta di standard internazionale.

Borse sì, ma in ottica gara

Le uniche rivettature filettate che supportano un piccolo bag sono quelle presenti sulla tubazione orizzontale. La Aurum Manto nasce per essere competitiva e meno si adatta a un utilizzo bikepacking.

Si possono montare borse fascettate alle tubazioni o applicati con i cinturini a velcro, non si prevedono fori sugli steli della forcella, all’interno del triangolo e sui profilati del carro posteriore. La tolleranza massima dichiarata per il passaggio degli pneumatici, anteriore e posteriore è di 45 millimetri.

In cinque misure

Le taglie disponibili sono cinque, dalla 48 alla 58. Gli allestimenti sono diversi e cambiano molto in base alla tipologia di ruote. Tutti si basano sulle piattaforme Shimano GRX Di2 a 12 rapporti e doppia corona anteriore, sul pacchetto Sram Force AXS con monocorna ed lo Sram Rival. I prezzi di listino per la bici completa partono da 5.746 euro.

Aurum

Europei gravel ad Asiago: vincono Frei e Stosek in un giorno triste

13.10.2024
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ASIAGO – Quando Sina Frei, Silvia Persico e Alice Maria Arzuffi salgono sul podio delle premiazioni al termine del campionato europeo gravel di Asiago, ad attenderle non c’è l’inno nazionale, non c’è l’alzabandiera, nemmeno la vestizione della maglia. 

La svizzera Frei, campionessa continentale da pochi minuti, l’ha indossata dietro le quinte e si presenta davanti al pubblico solo per un breve saluto. Lo stesso accade pochi minuti dopo per la categoria uomini elite. Sul palco sfilano il ceco Martin Stosek, il britannico Toby Perry e il belga Jenno Berckmoes, rispettivamente primo, secondo e terzo.

Questo perché quella che doveva essere una giornata di competizioni per gli atleti e di divertimento per le centinaia di amatori arrivati sull’Altopiano di Asiago da tutta Europa, è diventata di colpo molto più tetra. Dopo la notizia del malore fatale occorso a Silvano Janes.

Un malore fatale

Janes, “il vecio”, era partito pochi minuti dopo i professionisti, con il numero 564 nella categoria Master 65-69 anni.  Dopo circa 3 chilometri dal via, in un tratto pianeggiante, si è accasciato a terra. Appena dietro di lui seguiva la gara un quad dell’organizzazione che ha immediatamente allertato i soccorsi, ma non c’è stato niente da fare.

Silvano Janes era un nome molto conosciuto negli ambienti delle granfondo e della mtb, disciplina di cui era stato pioniere. Tra i cicloamatori aveva vinto dieci mondiali, cinque titoli europei e decine di tricolori, ed era stato compagno di allenamento di Moser e Simoni, come pure di Martino Fruet, trentini come lui.

«Del mezzo milione di chilometri della mia carriera – ha detto Martino Fruet – non ho dubbi che almeno 250 mila li ho pedalati con lui. Era compagno di allenamenti di Francesco Moser e anche di Simoni e Marco Bui. Eravamo un bel gruppo e dicevamo sempre, magari scherzando, che sarebbe morto in bicicletta. Poteva aspettare ancora qualche anno, ma ha fatto sino in fondo quello che più gli piaceva».

Martin Stosek ha conquistato il titolo europeo gravel: alle sue spalle ottimi risultati nella MTB
Martin Stosek ha conquistato il titolo europeo gravel: alle sue spalle ottimi risultati nella MTB

Spauracchio belga

Appena saputa la notizia, l’organizzazione ha deciso di interrompere tutte le competizioni salvo quelle degli elite. E anche nel loro caso di è scelto di far arrivare solo i gruppi di testa.

Tra gli uomini erano partiti in 142, con alcuni grandi nomi tra i quali spiccavano Greg Van Avermaet e il connazionale Gianni Vermeersch, quinto al recente campionato del mondo e vincitore del primo titolo iridato gravel nel 2022. Ma già dal primo dei tre giri da 51 km ciascuno (totale 153 km con 2.400 metri di dislivello) a prendere in mano la situazione era stato un gruppetto di sette corridori. Il tedesco Voss, il russo (ma con maglia neutrale) Grigorev, il ceco Stosek, la coppia belga Berckmoes e Godfroid, lo svizzero Simon Pellaud e il britannico Perry.

Il gruppo è partito per la sfida continentale, con partecipanti arrivati da tutta Europe (foto Flanders Classics)
Il gruppo è partito per la sfida continentale, con partecipanti arrivati da tutta Europe (foto Flanders Classics)

Dalla marathon al gravel

Durante il secondo giro la situazione è rimasta invariata, con il solo cedimento di Pellaud, e tutto si è deciso nell’ultima tornata.

Stosek, specialista della marathon e campione nazionale gravel, ha accelerato nella parte più dura della prima salita e ha lasciato la compagnia degli avversari. Un’azione talmente decisa che all’ultimo dei due intermedi aveva oltre 3’ di vantaggio su un terzetto formato da Berckmoes, Godfroid e Perry. Il britannico è riuscito poi a sorprendere i due belgi e ad arrivare sul traguardo di Piazza II Risorgimento a 3’43’’ di ritardo dal vincitore, seguito dopo 35’’ da Berckmoes. Appena dopo l’arrivo Stosek ci ha raccontato di questa vittoria.

«La mia disciplina è la marathon – ha detto – quindi è bello vedere che sono competitivo anche nel gravel, soprattutto perché si tratta solo della mia terza gara in questa specialità. Comunque anche qui servono molta potenza e una buona dose di tecnica. Ho attaccato al terzo giro nella parte di salita più dura e fangosa. Ho cercato solo di spingere forte e fare il mio passo, sapendo che finita quella avrei potuto fare la discesa senza prendermi troppi rischi. Che dire, ha funzionato!».

Frei fra le azzurre

Nella categoria donne c’era molta attesa vista la numerosa squadra azzurra che comprendeva, tra le altre, Elena Cecchini, Soraya Paladin, Silvia Persico e Letizia Borghesi. Da affrontare c’erano due giri del percorso, 102 km con 1.600 di dislivello, e il primo passaggio sotto l’arrivo ha visto tutte le migliori ancora assieme.

Ma non è passato molto prima che la biker elvetica Sina Frei prendesse in mano la situazione e se ne andasse via da sola. A seguirla sono rimaste Persico e una bravissima Alice Maria Arzuffi, che si sono giocate il secondo posto in volata. Alla fine il rettilineo ha detto seconda Persico e terza Arzuffi, rispettivamente a 1’24 e 1’26’’ dalla vincitrice.

Queste le parole della campionessa europea gravel dopo l’arrivo. «Sono molto felice – ha detto – è il modo migliore di finire la mia stagione, con una gara così qui ad Asiago. Le italiane erano tante e forti e hanno corso tutte assieme, quindi sapevo che per me era dura. Per questo ho deciso di partire presto, quando mancavano circa 35 km alla fine, sulla prima salita. Ho provato e mi è andata bene, molto bene».

La scelta di Pozzato

Finiamo con le parole di Pippo Pozzato, in una giornata certamente non facile per chi organizza un evento così importante e si trova ad affrontare un momento tutt’altro che semplice, emotivamente e logisticamente.

«Sono notizie che non vorremmo mai sentire – ha detto il vicentino – ma davanti a questo ci si ferma su tutto. Per questo abbiamo subito deciso di stoppare tutti sotto l’arrivo, tranne i primi 15 concorrenti elite. Si sarebbe anche potuto continuare, ma ci sembrava doveroso nei confronti di Silvano Janes, dei suoi amici che erano qui e della sua famiglia».

Astr RS e Astr, due nuove Ridley per gareggiare nel gravel

09.10.2024
5 min
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Il segmento gravel di Ridley si amplia ancora. Arrivano due nuovi modelli, Astrs RS e la Astr, la prima destinata ad affiancare la Kanzo Fast nella fascia più corsaiola della categoria, la seconda meno estremizzata nei materiali, con una maggiore propensione verso l’adventure, ma con lo stesso design e geometrie.

Ridley Astr RS e Astr. Hanno un disegno identificativo mutuato in parte dalla piattaforma all-road Grifn, ma che richiama anche la stradale Falcn. Entriamo nel dettaglio delle due nuove bici.

Ampio passaggio per le gomme e per montare qualche borsa specifica
Ampio passaggio per le gomme e per montare qualche borsa specifica

Ridley Astr RS

Tutta in carbonio e utilizza un blend, come vuole la tradizione Ridley, tra modulo standard e alto modulo, con applicazioni e orientamenti specifici. Il telaio è dichiarato a 890 grammi nella taglia media. Sempre in merito alla tradizione dell’azienda belga, una delle primissime a portare l’aerodinamica sulle biciclette da competizione, anche la Astr RS porta in dote alcuni dettagli votati a sfruttare al massimo la velocità. Forcella e profilato dello sterzo sono studiati appositamente per non influire negativamente sulla penetrazione dello spazio, così come la zona posta tra scatola centrale, piantone e foderi posteriori.

Rispetto alla Kanzo Fast si può utilizzare anche la trasmissione con il doppio plateau. Il supporto del deragliatore può essere rimosso. In base alla guarnitura, se monoring oppure doppia, cambia il passaggio degli pneumatici, rispettivamente fino a 52 o 47 millimetri. Due valori comunque molto elevati che lasciano tanto spazio tra la gomma ed il telaio. Il reggisella ha un forma dedicata e mutuata dalle ultime generazioni di bici Ridley, così come la serie sterzo, dove alloggia anche un nuovissimo cockpit integrato Nimbus Pro. Quest’ultimo è una sorta di evoluzione dello storico Cirrus Pro. Ridley Astr RS è una bici che nasce con l’obiettivo di soddisfare il segmento race. Lo spazio per l’integrazione delle borse è limitato, rispetto ad una interpretazione bikepacking oriented.

Astr, un po’ per tutti

Da sottolineare che la Astr RS e la Astr adottano la medesima piattaforma di sviluppo e le stesse geometrie. I punti chiave sono un’altezza da terra che si colloca nel mezzo tra una bici stradale e una da cx, con l’intento di aumentare la stabilità sullo sconnesso e di favorire il passaggio su terreni complicato con ostacoli. L’angolo dello sterzo è di 71,5°, mentre quello del piantone è di 74°. Un compromesso ottimale in grado di mantenere un passo ridotto, ma favore al tempo stesso stabilità e reattività.

Il modulo di carbonio della Astr prevede in impiego ridotto delle fibre ad alto modulo, un reggisella rotondo da 27,2 millimetri ed il “vecchio” cockpit integrato Cirrus Pro, un super componente che ha fatto la storia dei manubri con la svasatura laterale. La Astr resta una bici competitiva sotto molti punti vista e per diverse interpretazioni, meno “tirata” della versione RS e adatta anche a chi utilizza questa tipologia di mezzi per spostamenti più lunghi e viaggi.

Taglie e prezzi

Per entrambe le biciclette le taglie disponibili sono cinque, dalla xs alla xl. La RS ha un prezzo di listino di partenza di 7.299 euro (bici completa). Gli allestimenti sono tre, tutti corsaioli: Sram Red XPLR 1×13, Sram Force XPLR e Shimano GRX Di2 2×12. Tutti montano le ruote DT Swiss GRC. La Astr con carbonio standard ha un prezzo di listino che parte dai 3.299 euro (bici completa) per cinque allestimenti in totale, tra i quali è presente anche la soluzione Classified.

Ridley

Fiandre, la patria del cross: il Belgio fa quadrato

09.10.2024
5 min
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«Se il prossimo anno Van der Poel vorrà avvicinarsi al livello della scorsa primavera – ha detto Philip Roodhooft, team manager della Alpecin-Deceuninck – dovremo pensare molto attentamente a come trascorrere l’inverno. Il cross non dovrebbe incidere negativamente sulla stagione delle classiche. Anche se vorrei sicuramente aggiungere questa sfumatura: a Mathieu piace ancora correre nel ciclocross».

In Belgio è di nuovo tempo di far festa. Con il Lombardia e le corse in Veneto che mandano in vacanza gli stradisti, da sabato a Beringen inizierà infatti la stagione del grande cross. I regolamenti dell’UCI, secondo cui la Coppa del mondo ha la precedenza su ogni altra challenge, hanno fatto riscrivere i calendari e portato spostamenti e cancellazioni. Nel Superprestige ad esempio è saltata la classica di Boom, che si arrende davanti alla data protetta della Coppa a Dublino.

La challenge UCI si svolgerà da fine novembre a fine gennaio con 12 gare: due in meno rispetto allo scorso anno. Debutterà ad Anversa il 24 novembre e proseguirà con appuntamenti internazionali come Dublino, Oristano e Benidorm. Non ci saranno invece Waterloo, Val di Sole (spostamento appunto in Sardegna) e Flamanville. Una delle novità di questa stagione saranno le doppiette, con gare il sabato e la domenica. Il 21-22 dicembre con Hulst e Zonhoven. Il 25-26 gennaio a Maasmechelen e Hoogerheide.

Il ritorno nel cross potrebbe dare a Van Aert la base per ripartire forte su strada
Il ritorno nel cross potrebbe dare a Van Aert la base per ripartire forte su strada

Uno sport delle Fiandre

Il calendario belga è ricchissimo: con le date del Trofeo X2O e con l’Exact Cross, non c’è fine settimana senza gare, senza tifosi e senza fiumi di birra. Eppure il manager di Van der Poel ha approfittato della presentazione della sua Crelan-Corendon per smarcare il cross dalla presenza dei grandi campioni e, al contempo, difenderlo da una pericolosa deriva internazionale.

«Non credo che il gravel sia una minaccia seria – ha detto a Het Nieuwsblad – perché il gravel è uno sport da fare, il ciclocross è uno sport per spettatori. Il gravel è interessante solo quando, come domenica scorsa ai mondiali di Leuven, ci sono le stelle alla partenza. Non è certamente una minaccia per il cross, non avrà mai la stessa visibilità. Però mi rendo conto che il nuovo calendario internazionale si preoccupi troppo di come possiamo migliorare il cross in altri Paesi. Io dico che innanzitutto dobbiamo assicurarci che continui a vivere nelle Fiandre, dove ha grande successo. Facciamo in modo di avere qui le date che servono. Il numero di gare trasmesse in diretta televisiva è la forza trainante dell’esistenza delle squadre professionistiche. In altri Paesi invece il cross ha vita dura a causa della mancanza di una diretta televisiva. Non ho alcun problema che la Coppa del mondo sia la classifica più importante, ma ci deve essere spazio per garantire che il ritorno per gli sponsor rimanga alto».

Uno degli astri nascenti è Tibau Nys, qui a Zonhoven lo scorso gennaio: guardate la folla sul percorso
Uno degli astri nascenti è Tibau Nys, qui a Zonhoven lo scorso gennaio: guardate la folla sul percorso

Fra cross e strada

Si fa fatica a capirlo se almeno una volta non si è stati lassù, anche solo per un weekend, immergendosi nell’atmosfera dei campi di gara. E’ un altro mondo. E’ un pubblico da stadio capace di stare per tutto il giorno lungo un anello di pochi chilometri per vederli passare, incitandoli a ogni passaggio. Pagando il biglietto. Pagando le consumazioni. Infiammandosi davanti a corridori che magari su strada non corrono e, quando lo fanno, vedono a stento l’arrivo. Non conta niente.

«Ci sono ancora molti corridori – dice ancora Roodhooft – che vincono gare o ottengono podi nel cross senza sudare sulla strada. E’ per loro che dobbiamo cercare di mantenere questo sport interessante. Meglio essere un atleta di successo nel cross, che un corridore qualsiasi su strada. Questo è più interessante dal punto di vista sportivo ed economico. E’ chiaro che per i produttori di biciclette il gravel sia più importante, perché ha molti più potenziali clienti: gli amatori che pedalano nel tempo libero. Ma il cross ha un modello economico diverso, basato sulla televisione e sugli spettatori paganti. Il fatto che possa essere incluso nel programma olimpico gli darebbe un’immagine diversa a livello internazionale. Ci sarebbe più interesse da parte dei corridori e più budget da parte delle federazioni e dei comitati olimpici. Ma non voglio nemmeno sopravvalutarne l’importanza. La mountain bike è diventata uno sport mondiale solo perché è nel calendario olimpico?».

Iserbyt è un riferimento del cross in Belgio, capace di 50 vittorie dal 2019, fra cui gli europei del 2020
Iserbyt è un riferimento del cross in Belgio, capace di 50 vittorie dal 2019, fra cui gli europei del 2020

Non di sole stelle

Richiesto infine ancora sul calendario di Van der Poel, Roodhooft ha aggiunto il suo punto di vista che, immancabilmente, dovrà fare i conti con l’estro e la voglia di vincere dell’olandese.

«Se domenica Mathieu ha detto che non lo sapeva ancora – dice – non ha mentito perché non ne abbiamo ancora discusso. La mia sensazione personale è che lo vedremo all’opera nel cross anche il prossimo inverno, ma sicuramente non gli imporremo nulla. Ci rendiamo anche conto che Mathieu è il simbolo di questo sport, ma ovunque inizi, ci si aspetta sempre qualcosa da lui. Penso anche che dovremmo avere il coraggio di guardare a questo sport in modo diverso. I cross con Mathieu e Van Aert sono uno spettacolo stellare. Ma se al via c’è solo uno dei due, spesso si ha la sensazione di guardare un criterium. Dobbiamo essere contenti dei corridori che sono presenti ogni settimana e non possiamo certo minimizzare la loro prestazione».

Gravel, il futuro è da scrivere. Ma le polemiche non fanno crescere

19.09.2024
5 min
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Quando lo raggiungiamo al telefono, Tomas Van der Spiegel è incastrato nel traffico di Bruxelles che al mattino è qualcosa di pazzesco. Lui dice che somiglia a quello di Milano e lo prendiamo subito per buono. L’amministratore delegato di Flanders Classics va sempre a mille. E così, dopo aver organizzato con il suo team i recenti campionati europei di Limburg 2024, ora fa rotta sugli europei gravel di Asiago del 13 ottobre, prima che arrivi come un tornado la stagione del ciclocross.

Il motivo della chiamata è proprio la gara di Asiago, dopo la reazione di Mattia De Marchi che, parlando a nome degli specialisti, ha puntato il dito sulla data e il tipo di percorso. La data, per la concomitanza con un altro evento in Spagna: il friulano ha scelto per questo di non correre gli europei. Il percorso, additato in quanto troppo facile e di conseguenza tracciato a suo dire per favorire gli stradisti e penalizzare chi di gravel vive tutto l’anno (in apertura Wout Van Aert agli scorsi mondiali di Treviso). 

Cosa pensi di questa polemica?

L’ho seguita, conosco bene Mattia. Direi per prima cosa che il gravel è una disciplina che sta cercando ancora il suo posto nel mondo del ciclismo. Conosciamo bene i problemi che ci sono con i calendari, non solo per la strada. Il ciclismo è molto popolare e il calendario è strapieno. Organizzare tutto l’anno eventi gravel per la comunità gravel è bellissimo. Anche io ne sono molto appassionato. Sono venuto a Conegliano due mesi fa per pedalare anche con Mattia. All’inizio dell’anno ho fatto The Traka da 360 chilometri in Spagna. Mi piace molto il gravel, però stiamo cercando di capire quale sia il suo posto.

Come si sceglie la data di un campionato europeo?

In quel periodo ci sono tanti eventi gravel e ancora tante gare su strada, non è facile trovare la data giusta. Si lavora con le Federazioni internazionale, con la UCI e la UEC, non sei tu organizzatore che scegli e glielo comunichi. Secondo me quello del calendario è il primo topic. E su questo sono d’accordo con Mattia che ci vuole anche tanto rispetto per la gente che fa gravel tutto l’anno e che sviluppa la disciplina.

Mattia De Marchi, qui ai mondiali 2023, è uno dei primi specialisti italiani del gravel
Mattia De Marchi, qui ai mondiali 2023, è uno dei primi specialisti italiani del gravel
Che cos’è per te il gravel?

E’ qualcosa di molto inclusivo per tutti e anche noi che organizziamo eventi stiamo cercando la formula giusta per le prove di campionato. E’ il metodo che in inglese si chiama trial and error, cioè provare e correggere in base ai risultati. Credo sia questo il processo che stiamo vivendo in questo momento. Magari quello di Asiago non sarà il percorso ideale, però dire che è fatto solo per gli stradisti mi sembra un po’ esagerato. Sono stato già tante volte sul posto, conosco l’area molto bene. Credo che sarà molto bello anche così e che potremo accontentare tanta gente, mentre non è sempre semplice o possibile accontentare tutti.

Ci sono tante diversità?

Ci sono gare di 100 chilometri e altre oltre i 300. Ovviamente ci sono gli specialisti delle prime e gli specialisti delle seconde. Allora credo che se troviamo un bel misto di corridori gravel, stradisti e corridori di ciclocross, perché ci sono anche loro, possiamo dire di aver fatto un bel lavoro. E’ solo il secondo campionato europeo, abbiamo i diritti anche per l’anno prossimo. Se qualcosa quest’anno non ci piacerà, potremo migliorarlo il prossimo.

Mentre parlavi pensavamo alla mountain bike, che ha i mondiali di cross country e quelli marathon, perché non è detto che tutti possano convivere negli stessi eventi, non trovi?

Potrebbe essere, non ci avevo ancora pensato. Dobbiamo tenere conto di alcune cose. Per esempio, oggi è molto importante poter raccontare la storia di una gara. Se ne fai una di 300 chilometri in mezzo al nulla, è molto difficile fare una produzione televisiva che funzioni. Allo stesso tempo, da amatore gravel io odio i circuiti. Soprattutto perché ci sono gare in cui ti tocca girare per 6-7-8 volte in anelli di 15 chilometri. Secondo me non è lo spirito giusto. Per cui dobbiamo trovare la formula giusta. Non avevo pensato al parallelo con la mountain bike, ma merita un approfondimento. Forse ha senso fare il sabato una gara più breve, magari con finale in un circuito più esplosivo. E poi una gara più lunga il giorno dopo.

Natan Haas e Lachlan Morton, primi due da destra, sono due specialisti del gravel di livello internazionale
Natan Haas e Lachlan Morton, primi due da destra, sono due specialisti del gravel di livello internazionale
Detto questo, è abbastanza chiaro che la presenza di Van der Poel, Van Aert, Pidcock e campioni del genere per i tifosi e per gli sponsor ha una valenza notevole, giusto?

Noi che siamo specialisti nel ciclocross, lo viviamo da anni. Oggi ci sono stelle della multidisciplina e credo che quello sia il futuro del ciclismo, del gravel e della strada. Non solo Mathieu, Wout e Tom, c’è anche Puck Pieterse fra le donne, c’è Fem Van Empel, c’è anche Thibau Nys che vince su strada e nel ciclocross… Forse il corridore del futuro è fatto così, anche per il gravel. Credo che questo sia un momento per raccogliere, dobbiamo usare questo fatto per far crescere anche il movimento. Dobbiamo trovare la via di mezzo. E’ vero che c’è questa comunità gravel che corre tutto l’anno, che ha i suoi appassionati, però per poter attrarre più gente bisogna anche avere delle stelle e credo che questa sia la vera sfida di oggi.

Nessuna polemica quindi?

Capisco molto bene certe frustrazioni, però credo che le polemiche non servano per far crescere il movimento. Dobbiamo guardare insieme come possiamo farlo. Dal mio punto di vista, il discorso è tutto qui.

Il gravel secondo Marengo e un messaggio per Pontoni

14.09.2024
4 min
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L’intervista a Mattia de Marchi e un commento sotto ad un nostro post sui social hanno aperto lo scrigno del gravel. Una disciplina che è nata per vivere la bicicletta in maniera diversa, all’avventura e che il ciclismo ha fagocitato rendendola, nei suoi appuntamenti iridati, una branchia del professionismo. Tra coloro che si sono “convertiti” al gravel c’è anche Umberto Marengo. Terminata la carriera da pro’ nel 2022 ha iniziato una nuova vita, fatta di un lavoro normale e di gravel.

«Prima – ci spiega nella sua pausa pranzo – c’è stato il capitolo della mountain bike, nel 2023. Mi è servito come anno di transizione, nel quale ho imparato a muovermi nel fuoristrada. Il gravel è quel mix divertente fatto di passione e uno spirito di avventura e condivisione. Ne parlavo con l’organizzatore della Monsterrato (da quest’anno rinominata Monsterrando, ndr), l’evoluzione dell’agonismo nel gravel è incredibile. C’è l’aria competitiva, ma lo spirito rimane sereno e tranquillo. Al centro rimane la passione per la bici, lontano dalla strada e dai suoi tanti stress».

La passione verso questa disciplina è sbocciata alla Serenissima Gravel nel 2022
La passione verso questa disciplina è sbocciata alla Serenissima Gravel nel 2022
Come ti sei appassionato a questa disciplina?

E’ successo l’ultimo anno da professionista, nel 2022, quando ho corso la Serenissima Gravel. Mi sono presentato al via senza sapere cosa fosse e alla fine ho fatto anche bene, sono arrivato ottavo o nono. Ricordo di essermi divertito parecchio e nel farlo avevo scoperto una nuova disciplina. Nel 2023, una volta chiusa la Androni, ho corso in mtb ma il pallino del gravel mi era rimasto. 

Ci sei arrivato quest’anno…

Grazie al posto in cui lavoro da novembre, un negozio di bici. Hanno una squadra, si chiama MenteCorpo, mi hanno proposto un calendario gravel e ho detto subito di sì. E’ stato un cambio di mentalità, quando esco su sterrati la mente si libera, stai nel tuo mondo e ti diverti. Chiaro che ci sono passaggi tecnici e difficili, ma è un confronto che riguarda se stessi e le proprie abilità. In strada c’è l’automobilista che ti chiude oppure il traffico, insomma si è più nervosi. Nel gravel non litighi con nessuno (ride, ndr) al massimo con te stesso se cadi.

Marengo grazie al team MenteCorpo ha potuto gareggiare con maggiore continuità nel gravel
Marengo grazie al team MenteCorpo ha potuto gareggiare con maggiore continuità nel gravel
Come riesci a far quadrare lavoro e preparazione?

Lavorando a tempo pieno, le ore per uscire in bici sono limitate, ma riesco a fare tutto. Il più delle volte pedalo in pausa pranzo o nel fine settimana se non corro. 

I risultati sono arrivati, tra cui il quinto posto ai campionati italiani e il settimo alla Monsterrando.

Mi ero posto l’obiettivo di andare forte, o comunque al massimo delle mie possibilità. Sto andando bene e il sogno sarebbe quello di partecipare al mondiale o all’europeo. I punti per qualificarmi alla prova iridata sono arrivati, quindi il sogno continua. Sarebbe bello anche per com’è andata la mia carriera su strada, sarebbe una soddisfazione a livello morale. 

Alla Monsterrando, il 31 agosto, ha chiuso in settima posizione
Alla Monsterrando, il 31 agosto, ha chiuso in settima posizione
Con questa professionalizzazione del gravel lo vedi ancora un obiettivo possibile?

Diciamo che le dinamiche di convocazione mi mettono un po’ con i piedi per terra, tanto che con il cittì Pontoni non ci ho mai parlato direttamente. Le priorità vanno verso altri corridori, quindi viene difficile convocare Marengo. Sarebbe bello però avere, al mondiale o all’europeo, qualche corridore in più che fa parte di questo mondo. 

Invece arrivano i professionisti. 

La nazionale è fatta da chi fa risultato. Chi fa il corridore di professione ha un’altra gamba rispetto a me che lavoro otto ore al giorno e vado in bici quando riesco. Però credo di aver dimostrato che vado forte. Non sono contrario ai professionisti nel gravel, ma penso che debba essere un’esperienza per entrambi. Il ciclista prova qualcosa di nuovo, mentre chi corre già nel gravel ha la possibilità di fare una gara accanto a dei campioni. 

Nonostante il tempo limitato da dedicare agli allenamenti, i risultati non mancano: il sogno sarebbe una convocazione in azzurro
Nonostante il tempo limitato da dedicare agli allenamenti, i risultati non mancano: il sogno sarebbe una convocazione in azzurro
Più spazio a chi vive questa disciplina tutto l’anno?

Sarebbe bello, ma questa cosa deve partire da chi fa le convocazioni. Pensate di avere in nazionale due professionisti e per il resto chi fa gravel tutto l’anno ad alti livelli. Una nazionale mista permette a tutti di fare un’esperienza bellissima a mio modo di vedere. Ma serve tutelare chi fa gravel come prima disciplina.