Stefano Oldani, Giro d'Italia 2020

Oldani, la prima volta e quella chat…

27.10.2020
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Stefano Oldani è un libro da sfogliare. Il milanese di 22 anni, che dal 2020 corre con la Lotto Soudal, ha appena concluso il primo Giro d’Italia e nel momento in cui gli abbiamo chiesto come si sentisse, se fosse contento di tornare a casa, ha risposto con un candore illuminante.

«Sono contento perché sono riuscito a finirlo – ha detto – ma ho un po’ di malinconia perché dopo così tanto tempo con i compagni e il personale della squadra, andare via e pensare di non vederli per qualche mese è un po’ triste».

Stefano si è prima messo in luce con il Team Colpak, poi è passato alla Polartec-Kometa e al Giro di Val d’Aosta del 2019, dopo un secondo posto di tappa, assieme al suo procuratore Manuel Quinziato, ha scelto di firmare per la squadra belga che più delle altre si è fatta avanti con decisione. Oltre a parlarci di sé, tuttavia, Stefano racconterà un dettaglio molto interessante (e inedito) sullo sciopero di Morbegno: lettura da consigliare ai vertici di Rcs e a coloro che hanno sostenuto di aver saputo delle richieste dei corridori soltanto all’ultimo momento.

Stefano Oldani, Giro d'Italia 2020
In fuga a San Daniele del Friuli: primo Giro condotto con un buon piglio
Stefano Oldani, Giro d'Italia 2020
In fuga verso San Daniele del Friuli
Come è stato il primo Giro?

Me lo aspettavo duro, ma in alcune fasi è stato oltre ogni immaginazione. Lo Stelvio è stato una dura prova fisicamente e mentalmente. Più di testa che di gambe, perché ho passato la giornata nel gruppetto e davvero non passava più. E quando siamo arrivati ai piedi della montagna, eravamo già tutti stanchi. In più, due giorni prima ero stato in fuga, e avevo addosso ancora quella fatica.

Qual era il tuo obiettivo?

Finirlo, che per un neopro’ non è scontato. Sapevamo di non avere un leader, quindi potevamo giocare le nostre carte. Io mi sono buttato in qualche sprint, ho centrato due piazzamenti nei dieci e alla fine sono soddisfatto. Qualche dubbio di arrivare in fondo l’avevo, ma ero preparato a fare fatica e non riuscivo a immaginare di ritirarmi.

Come ti sei trovato in gruppo?

Bene, ho parlato con tutti e intanto marcavo a uomo Guarnieri per non andare fuori tempo massimo. Dove c’era Jacopo, c’ero io e stavo tranquillo,

E’ vero in primavera ti sei allenato spesso con Bennati?

Confermo. La mia ragazza si chiama Lavinia e abita dalle stesse parti, così mi è capitato di allenarmi con lui. Lo avevo conosciuto in Spagna, nella stessa corsa in cui cadde e si fece male alla schiena. Gli ho chiesto consigli, è diventato un punto di riferimento cui rubare i segreti del mestiere. Ci sentiamo spesso. La dritta più importante è stata quella di trovare il mio equilibrio. «Non impazzire dietro alle diete e alle preparazioni strane – mi ha detto – come accadde a me prima di un Tour, in cui ero magrissimo ma non avevo forza. In bici devi stare bene, altrimenti non rendi». E io vivo così, vado avanti a sensazioni e non peso il cibo.

Il Giro ti ha detto che corridore sarai?

Sapevo di essere abbastanza veloce, ora ho capito che me la cavo anche in salita. Per cui, quando avrò la forza necessaria, potrò giocarmi le classiche dure che magari si chiudono in volata.

Sei nella Lotto, la squadra additata per aver scatenato lo sciopero di Morbegno. Come è andata?

Sapevo poco. Da diversi giorni, sulla chat del Cpa i ragazzi dicevano di voler accorciare la tappa. Lo so bene perché ero in camera con Adam Hansen, che è il rappresentante dei corridori nel Cpa. Lo chiamavano da giorni, non so se abbiano avvertito prima Rcs, ma a quanto ho capito nessuno ha mosso un dito.

E poi?

E poi… volete ridere? Hansen quel giorno voleva andare in fuga, ce lo diceva da una settimana, perché sarebbe piovuto e a lui piace la pioggia. Così siamo andati alla partenza ed eravamo allineati in venti, ma all’improvviso Adam è stato chiamato ed è dovuto andare a parlare con Vegni per il ruolo che riveste. Mi dispiace per lui, ha dovuto farlo, ma avrebbe preferito andare in fuga.

I vertici del Cpa sono nella chat, quindi sapevano cosa si scriveva da giorni?

Immagino di sì.

Chiudiamo questa porta: cosa farai quest’inverno?

Bisognerà vedere le chiusure Covid. Non avrei fatto vacanze, preferisco starmene a casa. E per fortuna Lavinia è venuta su, quindi alla peggio resterà mia prigioniera a casa mia, a Busto Garolfo, in Lombardia.

Michele Coppolillo, Sestriere, Giro d'Italia 1994

Coppolillo e la bici: ieri, oggi e domani

24.10.2020
4 min
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Una foto su Facebook, un ricordo che riaffiora, i casini di ieri: sentire Coppolillo sarà certo un bel viaggio nella memoria e dalla memoria al futuro. Perché il futuro si costruisce sulla corretta elaborazione del passato. E chi invece pensa o vuole cancellarlo dovrebbe prima quantomeno conoscerlo.

11 giugno 1994

La foto del ragazzo biondo in maglia verde viene dal traguardo di Sestriere al Giro d’Italia del 1994. Era l’11 giugno. Il giorno prima la corsa aveva applaudito l’ultimo attacco di Pantani sul Colle dell’Agnello, vanificato dalla poca collaborazione di Buenahora sul Lautaret che annunciava Les Deux Alpes. Il Giro d’Italia si sarebbe chiuso con la tappa di Sestriere che annunciava la volata di Milano. Berzin resisteva in maglia rosa, conquistata il quarto giorno e mai più mollata.

Neve a Sestriere

«Fu il classico giorno da pronti, via – ricorda Coppolillo – con il Lautaret, il Monginevro e due volte Sestriere. Nevicava. Andai in fuga e speravo che al primo passaggio sul traguardo ci avrebbero fermato, invece no. Ci tengo a dire che per me era la quarantunesima tappa, perché avevo fatto anche la Vuelta che finiva sette giorni prima del Giro. E l’avevo fatta sempre all’attacco, perché ero e resto un operaio del ciclismo. Insomma, come fu non ricordo. Ma sul Lautaret vidi che partiva la fuga e mi buttai dentro».

Mauro Vegni, Morbegno, Giro d'Italia 2020
Mauro Vegni a Morbegno, messo davanti al fatto compiuto
Mauro Vegni, Morbegno, Giro d'Italia 2020
Vegni, nel giorno dello sciopero

Gestione sbagliata

Le lotte sindacali, qualunque sia l’ambito di cui si vuole parlare, sono state e vengono ancora fatte per migliorare le condizioni di lavoro. Anche il ciclismo ha intrapreso questa strada. Ha ridotto i chilometraggi rispetto agli anni in bianco e nero. Ha umanizzato gli orari di gara. Ha imposto l’uso del casco. Ha sposato la tutela della salute, combattendo il doping e le condizioni climatiche estreme. Ha avallato l’utilizzo dei pullman per non lasciare i corridori al freddo delle partenze e degli arrivi. Poco sta ancora facendo per la sicurezza stradale a vantaggio di chi usa la bici ogni giorno. Ma non ha voltato le spalle alla sua storia, che lo vede sport di fatica e sacrificio. Il solo capace di guardare negli occhi il calcio e far dire ai suoi attori e ai suoi appassionati che «noi non ci fermiamo perché piove, noi non siamo signorine!». Quello che è successo ieri poteva avere un fondamento condivisibile, ma è stato fatto in modo poco corretto, con l’atteggiamento degli studenti che si parlano in una chat segreta per non farsi sentire dai professori. E i professori sono i loro direttori sportivi e i team manager.

Anche Michele è direttore sportivo di una squadra U23, che si chiama #InEmiliaRomagna.

La storia insegna

«Ci sono le tappe in cui le condizioni sono avverse – dice Coppolillo – la storia insegna. E’ stato sbagliato il metodo, piuttosto davanti a un problema serio bisognava organizzarsi prima, non a mezz’ora dalla partenza. E poi se parti, arrivi. Non ti fermi dopo dieci chilometri. Tutti sanno e nessuno sa. Quando succedono queste cose, vengono fuori tutte le debolezze di questo mondo. Io ai miei ragazzi insegno che ciclismo significa anche sacrificio, freddo e pioggia. E anche io penso che la sicurezza venga prima di tutto. Non mi piace dire come fossimo ai miei tempi. Il Giro a ottobre forse è una forzatura, ma questo abbiamo. Due mesi fa non si sapeva nemmeno se si sarebbe ripartiti. La tappa di 250 chilometri fra i tapponi c’è sempre stata. Quella che va insegnata nelle categorie giovanili è la vera essenza del ciclismo. Se un padre è troppo indulgente, il figlio non cresce bene».

Michele Coppolillo, Michele Bartoli, NoiConVoi 2016
La bici ora è un piacere: Copolillo con l’ex capitano Michele Bartoli
Michele Coppolillo, Michele Bartoli, NoiConVoi 2016
Con l’ex capitano Michele Bartoli

Rosa Berzin

A Sestriere vinse Pascal Richard, che con quei posti doveva avere una qualche affinità, dato che l’anno successivo a Chianale avrebbe vinto la tappa fermata in anticipo per le slavine sul Colle dell’Agnello. Secondo arrivò Ruè, mentre Coppolillo si piazzò al terzo posto, staccato su quell’ultima salita di 1’31” dallo svizzero. Pantani e gli altri di classifica arrivarono a 4’36”, consacrando la rosa del russo Berzin.

Il vento in faccia

«Agli atleti – riprende Coppolillo – bisognerebbe far toccare con mano che cosa significa gestire una squadra, magari d’inverno. Mettersi lì e far vedere cosa c’è in ballo. Io da corridore non me ne rendevo conto e anche Cunego ieri in diretta ha ammesso di aver scoperto un lato del ciclismo che non conosceva. So anche di aver fatto tappe peggiori di quel giorno a Sestriere. Quella di Corvara al Giro del 1992. Certi giorni alla Vuelta, che si correva ad aprile, sulla Sierra di Madrid, sempre nella neve. Le corse del Belgio, che in un solo giorno vedevi le quattro stagioni. Ho letto qualche commento sul fatto che è sempre facile commentare dal divano, ma la bicicletta è questa. E non parlo così perché ho dimenticato, ma proprio perché lo so bene. Anche io ho partecipato ai miei scioperi, ma ieri si poteva correre. I ragazzi dobbiamo formarli a tutto tondo, non solo perché siano delle macchine da corsa. Lo vedo bene che adesso vanno fortissimo, però hanno queste lacune e in certi momenti sono un po’ molli. Il vento in faccia è diverso da quello di su un rullo, ma mi rendo conto che non tutti la pensano così».

Riis: un’azione che dà fiducia alla squadra

15.10.2020
2 min
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Uno dei temi scottanti della 12ª tappa del Giro d’Italia, la Cesenatico-Cesenatico è stata la tattica della NTT Pro Cycling di Domenico Pozzovivo. Il lucano ha messo la squadra a tirare. I suoi compagni sono stati in testa per un centinaio di chilometri. Avevano ridotto il vantaggio sui fuggitivi in modo sensibile, passando da 13 a 5 minuti. Si è pensato che i team potesse fare la tappa. O che Pozzo potesse attaccare. Niente di tutto ciò. E allora viene da chiedersi il perché di questa azione.

Bjarne Riis, team manager della NTT
Bjarne Riis, team manager della NTT

Un pugno di mosche?

Il perché ce lo spiega Biarne Riis, manager della squadra sudafricana.

«E’ vero, ad un certo punto abbiamo anche pensato alla tappa. Però non potevamo tenere quel ritmo a quella distanza dal traguardo: saremmo rimasti scoperti. E allora abbiamo cercato di tenere un passo sostenuto per Domenico. Il tracciato infatti era molto tecnico, anche in discesa. E con la pioggia era ancora più pericoloso. Domenico non può permettersi di cadere. L’obiettivo era tenerlo davanti e ci siamo riusciti».

E ancora. «Penso che un’azione così non sia stata vana. E’ servita per il team. Ha dato fiducia ai ragazzi che si sono trovati compatti davanti a fare la corsa. Abbiamo dato un bel segnale a loro stessi, agli avversari e a Domenico. Lui adesso sa di poter contare su un buon gruppo».

La NTT in testa al gruppo sulle colline romagnole della 12ª tappa
La NTT in testa al gruppo nella 12ª tappa

Crono in vista

E’ un Riis sorridente quello dietro la mascherina. Lo si percepisce dagli occhi. Però i nuvoloni carichi di pioggia e la cronometro di sabato lo riportano alla realtà. La tappa contro il tempo di Valdobbiadene può essere un ostacolo per il lucano e magari tutto può farsi più duro.

«Domenico sta bene. E’ forte e motivato e a cronometro sa difendersi. E il Giro non finisce lì», conclude il danese. 

Insomma in casa NTT ci credono eccome. Pozzovivo stesso ha dichiarato che salvo alcuni giorni del Giro 2017 non è mai stato così bene. Le ferite che porta con e dentro di sé se da una parte lo limitano, ma dall’altra lo esaltano. E in tanti (non solo tifosi) vorrebbero vederlo festeggiare a Milano. Sarebbe un “Oscar alla carriera”.