Aurelien Paret-Peintre vuole lasciare il segno in montagna

12.07.2025
4 min
Salva

Aurelien Paret-Peintre è uno dei personaggi francesi più amati e attesi di questo Tour de France. Noi lo abbiamo incontrato nella Maison Van Rysel  di Lille. Nelle prime frazioni, ogni volta che i team salivano sul palco prima delle tappe, lui e il fratello Valentin, ricevevano un applauso forte, intenso… ben più alto della media.

Prime tappe in cui c’era, e c’è, tensione. Soprattutto per la squadra di Aurelien, che partiva “da casa”, in qualche modo. La Decathlon-Ag2R è equipaggiata con bici Van Rysel e Van Rysel è di Lille, sede del Grand Depart. Guarda caso, in fiammingo “Van Rysel” è la traduzione di Lille.

Aurelien Paret-Peintre (classe 1996) sta affrontando il suo settimo grande Giro (foto Instagram)
Aurelien Paret-Peintre (classe 1996) sta affrontando il suo settimo grande Giro (foto Instagram)

Non solo gli Yates

«E’ sempre bello essere al via del Tour. Il fervore di alcune partenze all’estero è enorme – ha detto Aurelien – ma qui in Francia è diverso. Correre con mio fratello? Di certo è un’occasione particolare e privilegiata che capita a ben pochi corridori. Spesso parliamo, discutiamo, anche la sera per telefono ci scriviamo, come è successo al Delfinato. Sono contento di fare questo Tour con lui, anche se non siamo più nella stessa squadra. Spero però che entrambi arriveremo a Parigi».

Aurelien ha aggiunto che tra di loro si parla anche di tattiche, si discute della corsa. Chissà se lo stesso fanno i fratelli Yates: loro sì che sono rivali per davvero, visto che Adam sostiene la causa di Pogacar e Simon quella di Vingegaard.

Aurelien Paret-Peintre (in maglia azzurra) punta deciso alle tappe di montagna
Aurelien Paret-Peintre (in maglia azzurra) punta deciso alle tappe di montagna

Obiettivo montagna

Ma se gli altri due sono votati alla causa totale del loro leader, e crediamo sarà così anche per il fratello Valentin, la questione è un po’ diversa per Aurelien. Lui potrebbe essere chiamato a un duplice ruolo: attaccante, ma anche supporto per Felix Gall, che lo scorso anno ha chiuso la Grande Boucle al 14° posto, vincendo una tappa. E quest’anno punta senza mezzi termini a una top ten nella generale.

«Io – riprende Aurelien – credo che alla fine ci saranno 4-5 tappe in cui arriverà la fuga, e sono ottimista, visto l’andamento degli ultimi anni. Noi dobbiamo essere bravi ad arrivarci. Questo è il primo obiettivo, per me e per la squadra.

«Neppure Gall può lottare per i primi tre posti della generale, almeno quest’anno: bisogna essere realisti. Con quei corridori è del tutto impossibile. Per questo dico: concentriamoci sulle vittorie di tappa e su quelle di montagna in particolare. In questi primi giorni così nervosi ci vedrete poco. Per me – ricordiamo che Aurelien Paret-Peintre è uno scalatore – sarà difficile nelle prime tappe, sia mentalmente che fisicamente.

«Sono soddisfatto della mia forma e della mia preparazione. Finora è andato tutto bene. Il Dauphinée mi ha fatto bene, è stato molto duro, ma mi ha fatto progredire. A Sierra Nevada ci siamo allenati bene, anche se le temperature erano abbastanza alte anche lì, circa 36-37°C… Ci siamo già abituati al caldo che troveremo! Ma in generale abbiamo curato moltissimi aspetti, dopo quel 2023. Dallo scorso anno tante cose sono cambiate riguardo alla performance: materiali, alimentazione, attenzione ai dettagli…».

Giro d’Italia 2023: Aurelien sfreccia a Lago Laceno
Giro d’Italia 2023: Aurelien sfreccia a Lago Laceno

Dal Giro al Tour

Parlando con un giornalista italiano, in qualche modo emerge il discorso del Giro d’Italia. E Aurelien ammette di avere un buon feeling con il nostro Paese e la nostra corsa.

«Quella che – dice lui – mi ha dato la notorietà. L’atmosfera è diversa, le due corse sono completamente diverse. Ho un buon attaccamento al Giro, anche prima della mia vittoria in grande Giro. Mi piace l’ambiente della corsa italiana. Ma il Tour per noi francesi è come il Santo Graal, è sopra il Giro in termini di notorietà. Sarebbe davvero un sogno lasciare un segno anche qui. Sono contento di essere venuto al Tour, ne ho fatti solo due nella mia vita finora. E sono contento perché vedo che sono con i grandi. Sono dietro, ma non sono troppo lontano da loro».

Infine una piccola annotazione. Il savoiardo aveva detto che nelle prime dieci tappe avrebbe sofferto. In parte è vero. Ma va annotato anche il settimo posto a Boulogne-sur-Mer e il dodicesimo a Rouen: tappe molto dure, in cui si è vista un’importante selezione. «Significa che sto bene», ha sentenziato Aurelien.

Seixas sta attento ai fuorigiri: per quest’anno niente Tour

20.06.2025
5 min
Salva

«Se un corridore è pronto – dice Thomas Voecklerse ha la capacità mentale di gestire tutto, allora non puoi porti limiti. Ma il Tour de France non è come il Giro e la Vuelta, il ritmo è più intenso e non mi riferisco alla corsa in sé. Il Tour è ingrato, invece all’età di Seixas, bisogna sognare. Quindi troverei logico non mandarlo al Tour, non ne vedo il motivo. Il Delfinato è stato già una tappa importante dopo la sua prima preparazione in altura».

L’ottavo posto del campione del mondo juniores della crono al Criterium du Dauphine (che dal prossimo anno prenderà il nome di Tour Auvergne-Rhone Alpes) ha destato scalpore in Francia. Il ragazzino ha un notevole appeal sui tifosi. Lo hanno visto vincere il Giro della Lunigiana e battagliare in tutte le altre corse a tappe juniores e oggi non è come quando alla categoria prestavano attenzione solo pochi appassionati. Oggi i social ti rendono personaggio anche a 17 anni e così le attese attorno al nome di Seixas sono esplose. Al punto che, avendolo visto correre da leader al Delfinato, qualcuno si è chiesto se potesse essere schierato anche al Tour de France (in apertura foto Decatlhon-Ag2R/KBLB).

I piedi per terra

Paul ha appena 18 anni, ma i piedi saldamente per terra. Appare ben fondato atleticamente. E’ in grado di parlare un ottimo inglese, essendo studente dell’Em Lyon Business School, la più antica scuola di economia d’Europa, fondata nel 1872. E quando gli è stato chiesto se gli piacerebbe correre il Tour, ha dimostrato che i sogni sono una cosa, la consapevolezza un’altra. Ed è solida come la sua scarsa propensione a dare credito ai social e alle voci dall’esterno.

«Il Tour è certamente un sogno – ha detto dopo l’arrivo in salita di Valmeinier – ma non credo abbia senso farlo ora. A prescindere dal risultato di qui, non mi vedrete alla partenza di Lille, anche se da più parti si scrive in questo senso. In tempi normali ignoro completamente il telefono, ma a maggior ragione in questi ultimi giorni preferisco non perdere tempo a guardarlo inutilmente».

Seixas in Francia è già un beniamino dei tifosi: giusto tutelarlo dalle attese (foto Decatlhon-Ag2R/KBLB)
Seixas in Francia è già un beniamino dei tifosi: giusto tutelarlo dalle attese (foto Decatlhon-Ag2R/KBLB)

Il rischio di bruciarlo

Non ha senso bruciare le tappe quando si hanno così tanto talento e fulgide prospettive di carriera. Seixas è passato dal 2024 in cui le distanze di gara fra gli juniores erano di 100-120 chilometri a quelle ben superiori del professionismo. Così se da un lato sarebbe una sfida interessante vederlo alla prova del Tour, dall’altro si avrebbe la sensazione di un voler bruciare le tappe forzato e privo di logica.

«C’è sicuramente un curriculum da convalidare – ha spiegato a L’Equipe Jean-Baptiste Quiclet, responsabile della performance della Decathlon-Ag2R – prima di affrontare un Grande Giro in termini di carico di lavoro e intensità. Il Tour è la corsa più intensa, la più dura dell’anno, e se vi partecipasse, potrebbe avere un aumento del carico di lavoro del 15 o 20 percento nell’arco di un mese. Dato che ha talento, potrebbe superarla senza intoppi, ma si potrebbe anche entrare in una fase di superlavoro o sovrallenamento. E questo potrebbe ostacolare la sua progressione».

Due volte secondo al Tour of the Alps. Qui a Lienz, dietro al compagno Prodhomme
Due volte secondo al Tour of the Alps. Qui a Lienz, dietro al compagno Prodhomme

Uno studente modello

La scelta è ovviamente condivisa anche dai compagni più esperti, che tuttavia si sono detti tutti stupiti per la serenità del ragazzino davanti alle prove più impegnative, dal UAE Tour di inizio stagione ai percorsi ben più severi del Delfinato.

«Non abbiamo molto da insegnargli sugli aspetti fisici, tattici o di gara – ha detto Aurelien Paret-Peintre, che scherzando i compagni hanno eletto come il padre di Seixas – semmai qualcosa di più sugli effetti collaterali, come recupero, programmi e fasi di decompressione. E’ importante perché gli verrà chiesto di assumere un ruolo di leadership, cosa che ha iniziato a fare in questa settimana. E sta imparando in fretta. E’ un buon ascoltatore ed è ambizioso, quindi è sicuramente desideroso di progredire sempre più velocemente».

Scortato dall’addetto stampa Pierre Muglach: anche le interviste sono accuratamente dosate (foto Decatlhon-Ag2R/KBLB)
Scortato dall’addetto stampa Pierre Muglach: anche le interviste sono accuratamente dosate (foto Decatlhon-Ag2R/KBLB)

Tour de l’Avenir, sì o no?

In sintesi: Seixas potrebbe essere alla partenza del Tour e a tratti potrebbe essere anche all’altezza della situazione. Tuttavia potrebbe bruciarsi e pagarne le conseguenze a lungo: per questo motivo la scelta più ovvia è stata quella di prevedere per lui un programma diverso, in cui non rientra neppure la Vuelta.

E’ certa la partecipazione ai campionati nazionali a cronometro, mentre nel mirino ci sarebbe il Tour de l’Avenir, ma con un punto interrogativo. Anche se la riforma UCI prevede che ancora per quest’anno gli atleti professionisti potranno prendervi parte (saranno invece banditi dal 2026), pare che la Federazione francese potrebbe portare in gara una squadra coerente con quella che poi porterà ai mondiali in Rwanda. In quel caso, essendo già tesserato in una WorldTour, Seixas non potrebbe correre e questo lo escluderebbe dall’Avenir. A meno che la FFC non decida di fare un’eccezione per il suo caso così speciale.

Resta l’opzione dei mondiali dei professionisti. E qui, tornando da Voeckler, si scopre che il cittì francese non avrebbe alcuna controindicazione per una sua chiamata in nazionale, se non il rispetto della giovane età e la volontà di agire di concerto con chi lo gestisce. Il talento è tanto e limpido, la gabbia intorno serve per evitare di disperderlo.

Daniele Cerafogli (Swiss Side): al Tour arriva una grande novità

17.06.2025
4 min
Salva

A 34 anni, Daniele Cerafogli è oggi uno dei profili più interessanti della bike industry. Originario di Rieti, ricopre il ruolo di Sales & Marketing Manager di Swiss Side, il marchio svizzero specializzato nel design e nella produzione di ruote ad alte prestazioni e partner tecnico del team WorldTour Decathlon AG2R La Mondiale. Cerafogli rappresenta una nuova generazione di manager: competenti, internazionali, concreti. La sua voce è quella di chi ama il ciclismo, ma sa che oggi non è più il tempo dell’improvvisazione.

Con una solida formazione alle spalle – Bocconi a Milano, un master in Management a Lugano al quale ha fatto seguito uno presso l’Università Ca’ Foscari e un’altro presso l’Eurolega di basket – il manager italiano racconta a bici.PRO la sua visione sullo stato attuale del settore ciclistico e sulle sfide da affrontare, soprattutto in Italia.

Daniele Cerafogli, Head of Sales and Marketing Swiss Side
Daniele Cerafogli, Head of Sales and Marketing Swiss Side
Daniele, partiamo dall’inizio. Com’è nata la tua passione per il ciclismo?

E’ una passione che nasce da bambino, trasmessa da mio padre. A casa si respirava ciclismo e da piccolo avevo un idolo: Claudio Chiappucci. Mi affascinava il suo modo di correre, sempre all’attacco. Poi crescendo ho capito che il ciclismo non era solo uno sport, ma un ecosistema complesso, affascinante anche dal punto di vista del business.

Dalla Bocconi a Swiss Side: come si è sviluppato il tuo percorso professionale?

Dopo la laurea in Economia alla Bocconi ho scelto di approfondire il lato sportivo con un master in Management a Lugano. La mia prima esperienza è stata in Assos, brand svizzero storico nel settore dell’abbigliamento tecnico per il ciclismo. Un contesto dove ho imparato molto. Poi è arrivata l’opportunità di entrare in Swiss Side: un marchio giovane, ma con una visione fortemente ingegneristica e globale. Oggi sono responsabile vendite e marketing.

Swiss Side è partner del team WorldTour Decathlon AG2R La Mondiale
Swiss Side è partner del team WorldTour Decathlon AG2R La Mondiale
Cosa distingue Swiss Side dagli altri produttori di ruote?

Swiss Side nasce da competenze sviluppate in Formula 1: l’aerodinamica è nel nostro DNA. Questo approccio tecnico ci permette di progettare ruote estremamente performanti, come quelle usate dal team Decathlon AG2R La Mondiale. Inoltre, stiamo crescendo molto anche a livello commerciale. Da poche settimane abbiamo lanciato il sito ufficiale anche in italiano, segno del nostro interesse per questo mercato.

L’Italia è sempre stata una Nazione guida nel ciclismo. Lo è ancora oggi?

Purtroppo no. L’Italia ha perso centralità, sia a livello sportivo che industriale. Mancano team di vertice, ma soprattutto manca un management preparato che sappia gestire progetti con budget importanti. Servirebbe un cambio di paradigma, come è accaduto in Francia. Quando Decathlon è entrata nel WorldTour, ha imposto un cambio radicale di visione, pretendendo una struttura manageriale nuova, solida ed efficiente. In completa discontinuità con il passato.

Cosa manca oggi al ciclismo italiano per tornare competitivo a livello globale?

Manca una visione d’insieme, un approccio professionale. La passione da sola non basta più. Servono preparazione, capacità di pianificazione: in una parola business development. Bisogna imparare a estrarre valore dalle corse, dai team, dai contenuti. Pensiamo a Flanders Classics: lì hanno creato un ecosistema sostenibile. Oppure al progetto Unibet Tietema Rockets, che ha costruito un’identità forte partendo dai contenuti digitali e da una community.

Nell’ultimo Giro d’Italia per il team Decathlon AG2R è arrivata una vittoria di tappa con Nicolas Prodhomme
Nell’ultimo Giro d’Italia per il team Decathlon AG2R è arrivata una vittoria di tappa con Nicolas Prodhomme
Serve una riforma strutturale del modello WorldTour?

Non è semplice, ma sì, qualcosa va rivisto. Il ciclismo è troppo dipendente dagli sponsor, i team hanno poca stabilità. Dovremmo guardare a modelli come l’NBA, dove ogni franchigia è un brand forte, con basi solide e un legame con il territorio. Non tutto è replicabile, ma alcune logiche sì: serve continuità, serve sostenibilità economica, e serve una narrazione che valorizzi il ciclismo come prodotto.

Swiss Side sarà protagonista al prossimo Tour de France. Cosa possiamo aspettarci?

Siamo pronti per il grande appuntamento. La partenza da Lille sarà anche il momento in cui presenteremo una grande novità tecnica, frutto del nostro lavoro in galleria del vento e dei test con i corridori del team. Non posso ancora svelare tutto, ma sarà un passo importante per il posizionamento di Swiss Side tra i top brand a livello mondiale.

E per quanto riguarda il mercato italiano?

E’ un mercato storico, culturalmente profondo, ma anche molto competitivo e frammentato. Vogliamo crescere in Italia, ma lo faremo con un approccio serio: supporto tecnico, contenuti in lingua, presenza commerciale strutturata. Il nostro obiettivo è entrare nella testa e nel cuore dei ciclisti italiani. Non con slogan, ma con prodotto, servizio e visione…

Swiss Side

Prodhomme a Champoluc. E non dite che è stato per fortuna!

30.05.2025
5 min
Salva

CHAMPOLUC – Alla conferenza stampa di Nicolas Prodhomme, vincitore francese della diciannovesima tappa del Giro d’Italia, ci sono quattro giornalisti: tre italiani e un solo francese, Nicholas Perotto de L’Equipe. Sembra un raccontare a orologeria, perché dicono che quando arriverà Del Toro, al corridore della Decathlon-AG2R sarà chiesto di uscire. Ci viene in mente il titolo di un film: figli di un dio minore. Il monitor che inquadra i giornalisti presenti in sala stampa mostra una serie di sedie vuote, possibile che non interessi a nessuno? Lo ricordiamo sulla funivia con cui scendemmo assieme dal Monte Lussari del 2023 e lo ricordiamo dall’ultimo Tour of the Alps: il resto è da scoprire.

Nella prima fuga erano presenti i gregari degli uomini di classifica: qui Steinhauser per Carapaz
Nella prima fuga erano presenti i gregari degli uomini di classifica: qui Steinhauser per Carapaz

Il coraggio di attaccare

Eppure Prodhomme ha vinto con un numero da incorniciare, soprattutto perché l’idea di partenza era fare esattamente quello che abbiamo visto. Stamattina al via, la Decathlon-AG2R era sui rulli che si riscaldava, evidentemente volevano partire subito forte. Nella prima fuga c’è entrato a circa 110 chilometri dall’arrivo. Poi, dopo una serie di allunghi sul Col de Joux, si è tolto di ruota Verona e Tiberi, gli ultimi superstiti del tentativo del mattino. L’ultimo affondo l’ha portato a 28 chilometri dall’arrivo. E complice l’atteggiamento titubante degli sfidanti di Del Toro, il margine saliva e cresceva, ma non è mai andato sotto i 55 secondi.

«Quando ci siamo ritrovati sul Col de Joux – racconta – ho visto che la differenza rispetto al gruppo non era enorme. Ho pensato che ci sarebbero stati degli attacchi e mi sono sentito di attaccare, perché avevo già fatto due quinti posti. So che per vincere bisogna correre dei rischi, ci ho provato e ho vinto, ma ho iniziato a crederci solo nell’ultimo chilometro. Sapevo di avere vantaggio, ma sapevo anche che dietro si sarebbero mossi Carapaz, Yates e Del Toro, i grandi favoriti. Del Toro è fortissimo in discesa, rischia sempre tanto e temevo che il vantaggio non bastasse. Invece nell’ultimo chilometro ho visto che avevo dietro la macchina e quella c’è solo se il vantaggio è più di un minuto. E a quel punto ho capito che avrei vinto».

Prodhomme, Tiberi, Verona: Col de Joux. Ai meno 28, l’attacco decisivo del francese
Prodhomme, Tiberi, Verona: Col de Joux. Ai meno 28, l’attacco decisivo del francese

Professionista a 24 anni

Conferenza stampa in inglese, ma dopo tre risposte in inglese e due in francese, dalla scaletta del van delle interviste spunta Del Toro. C’è giusto il tempo per un’altra domanda. La maglia rosa non ha fretta e si siede in fondo, ma l’ondata di giornalisti che lo seguono suggerisce di continuare giù dal camion. Il buon senso imporrebbe di restare sopra per sentire cosa ha da dire il messicano, ma un senso di rispetto ci spinge a seguire il francese. Ha vinto una tappa al Giro d’Italia. Al Tour of the Alps aveva vinto la prima corsa a 28 anni.

«Esatto, ho 28 anni – spiega – e sono diventato professionista piuttosto tardi (ne aveva 24, ndr). Ho fatto lo stagista in tre squadre, ma sono tornato sempre nei dilettanti. Non era facile ambientarsi nello sport di alto livello, non sono diventato professionista al primo tentativo, per cui vincere una tappa in un Grande Giro è davvero una cosa enorme. Ieri sera ho pensato che le opportunità erano sempre meno e sentivo di avere buone gambe, ma finora mi era sempre mancato il coraggio. Pensavo davvero che le ultime due tappe di montagna fossero riservate ai favoriti e devo ammettere che due anni fa non avrei mai osato attaccare i compagni di fuga. Invece la vittoria al Tour of the Alps e le tante fughe in cui stavo bene fisicamente e in cui non ho avuto rimpianti, mi hanno dato fiducia e audacia. E oggi ho cominciato ad attaccare al chilometro zero, non ho percorso molti chilometri in gruppo (ride, ndr)».

Non solo per fortuna

Professionista da cinque anni, 1,74 per 63 chili, nel 2019 aveva vinto l’Orlen Grand Prix, la gara a tappe per U23 organizzata dallo staff del Tour de Pologne. La qualità c’era già allora. Va bene che sia diventato professionista tardi, va bene aver trovato il coraggio per attacare Verona e Tiberi, ma che cosa c’è di diverso in questo 2025 che gli ha già portato due vittorie?

«Ho avuto buone gambe – dice – questo è certo. Oggi credo che il livello sia così alto che bisogna farsi male. Gli ultimi 20 chilometri sono stati tutti un fatto di testa, che quest’anno mi sta aiutando molto, ma ho anche le gambe. Sono migliorato ancora rispetto all’anno scorso, ma l’unica cosa che posso dire con certezza è che ho fatto i maggiori progressi in termini di fiducia in me stesso. Queste ultime settimane hanno sicuramente fatto una grande differenza per la mia carriera. Vincere la prima gara è una cosa enorme e ti dà molta fiducia, ma sento di essere ancora in miglioramento. L’anno scorso ho fatto un ottimo programma di gare, ma con un ruolo di uomo squadra. Quest’anno ho avuto anche un po’ di buona sorte, anche se non direi mai che ho vinto solo per la fortuna».

Bennet: che fatica essere velocisti nella terza settimana…

29.05.2025
4 min
Salva

PIAZZOLA SUL BRENTA – La terza settimana è partita nel nome delle grandi salite e delle tappe di montagna, quelle che il pubblico ama e nelle quali accorre numeroso. Scatti, attacchi, crolli ed emozioni forti. Un giorno il Giro sembra prendere una direzione e ventiquattro ore dopo ti trovi a dover ricalibrare tutto. Ma se gli uomini di classifica vivono per questi giorni c’è chi nelle tappe di montagna cerca di sopravvivere: i velocisti

Le occasioni per vincere una tappa sono ancora vive. Oggi a Cesano Maderno le ruote veloci si troveranno lanciate verso uno sprint, o così dovrebbe essere. Nel ciclismo, come nello sport in generale, ci sono poche certezze. Una di queste è che quando la strada sale i corridori più pesanti soffrono. 

Sam Bennet alla partenza della sedicesima tappa dopo il terzo giorno di riposo in questo Giro
Sam Bennet alla partenza della sedicesima tappa dopo il terzo giorno di riposo in questo Giro

Il meglio alla fine

Resistere e spingere sui pedali quando la corsa è avanti minuti e accanto a te senti solamente il respiro affannato di un altro velocista concentrato nel regolare i battiti e i watt non è un lavoro semplice. Tra coloro che hanno buoni motivi per stringere i denti e andare avanti c’è sicuramente Sam Bennet. Il velocista della Decathlon AG2R La Mondiale capace di vincere tre tappe al Giro, due al Tour de France e cinque alla Vuelta. 

Una dato curioso che riguarda l’irlandese arriva proprio dalle grandi corse a tappe. Bennet è uno dei pochi velocisti che nella sua carriera è stato capace di vincere due volte nell’ultima frazione, al Giro e al Tour. 

Sam Bennet è già stato capace di vincere l’ultima tappa del Giro, era il 2018 e si arrivava a Roma
Sam Bennet è già stato capace di vincere l’ultima tappa del Giro, era il 2018 e si arrivava a Roma
La prima domanda è: come un velocista trova la motivazione per arrivare in fondo alla terza settimana?

Devo solamente suddividere la corsa in tappe, guardando giorno dopo giorno. Poi bisogna scalare le montagne e sopravvivere, è difficile ma fa parte del ciclismo. 

Qual è la parte più dura?

Le salite (dice con una risata che ci coinvolge, ndr)!

Vero, ma quale parte, quella mentale o fisica?

Al momento rispondo quella fisica. In questi giorni ho avuto un momento difficile, specialmente nella tappa di Asiago. Infatti l’ultimo giorno di riposo è arrivato al momento giusto. Ora mi sento meglio. 

Nel 2020 l’irlandese si è aggiudicato la volata più ambita del Tour: quella dei Campi Elisi
Nel 2020 l’irlandese si è aggiudicato la volata più ambita del Tour: quella dei Campi Elisi
Come gestisci mentalmente il tutto?

Ormai ho esperienza, ho affrontato tanti Grandi Giri e ho avuto momenti difficili in ognuno di essi. Una cosa che ho capito è che non è importante quanto io stia soffrendo, c’è poco da fare. Si deve rimanere concentrati e passerà. Le salite sono difficili ma fanno parte della corsa, c’è da capire se le gambe riescono a tenere il ritmo o meno

Cosa hai imparato in questi anni?

A non farsi mai prendere dal panico. Non importa dove ti trovi nel gruppo o quanto stai soffrendo o quanto sei stanco, non farti mai prendere dal panico. Perché troverai sempre un modo per uscirne.

Bennet in questo Giro sta lottando per arrivare in fondo e giocarsi le proprie chance in volata, un’occasione potrebbe arrivare già oggi
Bennet in questo Giro sta lottando per arrivare in fondo e giocarsi le proprie chance in volata, un’occasione potrebbe arrivare già oggi
Sei pronto quindi e pensi già a Roma?

In realtà spero che la tappa di oggi si concluda con una volata. Difficile a dirsi perché potrebbe arrivare una fuga. 

Come si gestisce la volata nella tappa conclusiva di un Grande Giro?

Tatticamente è difficile perché tutti vogliono vincere. Ma da un certo punto di vista l’ultimo sprint è anche il più facile perché sai che poi è finito tutto e puoi rilassarti. Anche se hai molti chilometri nelle gambe e parecchia fatica riesci sempre a tirare fuori il meglio. Il livello non è alto perché non tutti arrivano in perfetta forma alla fine. Contano le gambe ma anche la testa: basta spegnere il cervello perché la testa si arrenda mille volte prima del corpo.

Vendrame, la Decathlon-Ag2R e gli ingegneri che fanno le scelte

23.05.2025
5 min
Salva
Incontro al Giro d'Italia con Andrea Vendrame, per parlare della sua Van Rysel da gara e le abitudini tecniche della Decathlon-AG2R con cui corre

DURAZZO – Girando per gli alberghi delle squadre nei giorni più calmi del Giro d’Italia, si ha la possibilità di parlare con gli atleti di aspetti tecnici che magari, durante la gara, per necessità e tempi ristretti, si danno per scontati. Così chiacchierando con Andrea Vendrame siamo venuti a sapere di un’abitudine radicata della Decathlon-AG2R, in cui due ingegneri, corsa per corsa, stabiliscono rapporti, profilo delle ruote e pressione delle gomme. La scelta di adottare tubeless da 29 all’anteriore e 28 al posteriore per ragioni aerodinamiche è stata dettata da loro.

L’occasione è stato un incontro per farci raccontare la sua bicicletta Van Rysel, con cui Vendrame corre per il secondo anno e su cui ha vinto la tappa di Sappada al Giro del 2024 e quella di Colfiorito all’ultima Tirreno-Adriatico.

«E’ il secondo anno che il team è diventato Decathlon – spiega il veneto – quindi dallo scorso anno utilizziamo bici Van Rysel. Mi piace, è molto reattiva. E’ una bici aerodinamica anche come disegno, lo si capisce anche solo guardandola. Da quest’anno poi abbiamo anche il modello RCR-F, che è uscito da qualche mese ed è ancora più reattivo. Ha un carbonio molto più rigido ed è particolarmente adatto per gli uomini veloci».

Bici aerodinamica e scattante, è anche guidabile?

Mi trovo molto molto bene anche in discesa. Quando devo rilanciarla al massimo, fuori da un tornante. Penso che sia davvero un mezzo da gara.

Avete anche delle belle ruote Swiss Side: le cambiate in base ai percorsi?

Come anche per il telaio, i nostri due ingegneri prestabiliscono le guarniture giornaliere, le ruote, la pressione. Per cui noi corridori, tra virgolette (ride, ndr), non abbiamo più diritto di scelta.

Capita che le opinioni siano diverse?

Certamente. Infatti nella tappa che ho vinto alla Tirreno di quest’anno, dovevo partire con la RCR-F, invece mi sono impuntato e ho usato questa qui, la RCR, e alla fine ho vinto.

E’ anche una bici che va bene in salita oppure è un po’ pesante?

La RCR è molto leggera rispetto alla F. Sicuramente ci sono quei 500-600 grammi di differenza dovuti al tipo di carbonio. Possiamo dire, avendola usata da un po’, che questo telaio è stato realizzato per le sue performance sia in volata sia in salita. E’ multitasking, diciamo (sorride, ndr).

I rapporti vengono scelti dagli ingegneri, ti trovi sempre bene?

Abbiamo trovato le combinazioni giuste. Su tappe piatte preferisco il 55 o il 56, mentre in tappe di montagna, magari un po’ nervose tipo Colfiorito alla Tirreno, preferisco un 54. Dove le gambe fanno male, dopo 240 chilometri è meglio avere un rapporto che si riesce a spingere e non un 56. Inoltre mi piace fare le salite di forza, quindi preferisco restare con il 54 e giocare con la scala dei pignoni al posteriore.

Quindi?

Quindi penso che il 40-54 sia un rapporto ottimale per scalare i grandi colli del Giro. Ma se invece parliamo di una tappa che deve arrivare in volata…

Che cosa dovremmo dire in quel caso?

Che questa è reattiva, però una volta provato il nuovo modello, mi sono proprio innamorato. In volata è tutta un’altra cosa. E’ molto più rigida e molto più reattiva. Quando la lanci prende subito velocità. Non che questa non lo faccia, ma l’altra è molto più fluida.

In ammiraglia Decathlon: adrenalina, tattiche e un sogno svanito

16.05.2025
6 min
Salva

TAGLIACOZZO – Ed eccoci qui, un anno dopo: prima tappa appenninica e di nuovo sull’ammiraglia della Decathlon AG2R. Ed è sempre una bellissima esperienza, perché essere dentro al Giro d’Italia è una cosa grandissima. A farci da Cicerone stavolta c’era il direttore sportivo, uno dei più esperti del team francese Didier Jannel.

Con il tecnico francese si è parlato molto di tattiche. E tutto sommato, vivendo la corsa da dentro, qualche domanda ce la siamo posta. Perché, ad esempio, la BORA-hansgrohe ha tirato così tanto? Con collegamenti via telefono da e con altre televisioni, il diesse francese aveva saputo che la squadra di Roglic non era interessata alla tappa. «Ma allora perché tira?», obiettava Jannel.

Tattiche in primis

Jens Voigt, ex corridore oggi inviato di Eurosport, è venuto ad intervistare il diesse chiedendogli un parere sulla corsa. E anche al tedesco, Jannel esprimeva i suoi dubbi sull’andamento tattico della corsa. Ovviamente con il suo Nicolas Prodhomme nella fuga sperava in un vantaggio più corposo.

E ancora tattiche e domande: perché Pedersen e compagni hanno aumentato il ritmo al punto da generare anche qualche caduta in discesa?

Forse dalla TV non si è visto, ma nella planata finale il gruppo si era allungato e frastagliato notevolmente. Tra l’altro è al termine della planata stessa che c’è stato un momento spettacolare, che solo stando nella corsa si può vivere.

In quel frangente è stato adrenalinico assistere al rientro in massa dei ragazzi della Groupama-FDJ, tutti in fila per capitan Gaudu. Otto corridori, un treno. Volavano via a 65 all’ora tra ammiraglie, curve, rotatorie, moto… La giuria era piombata su di loro come un falco. L’ultimo vacone ad attendere il treno è stato Lorenzo Germani. Il laziale spianato sulla bici filava che era un bellezza.

Nicolas Prodhomme in fuga con altri 6 atleti. E’ stato tra gli ultimi ad arrendersi a 5 chilometri dal traguardo
Nicolas Prodhomme in fuga con altri 6 atleti. E’ stato tra gli ultimi ad arrendersi a 5 chilometri dal traguardo

Prodhomme in fuga

Appena arrivati questa mattina nel clan della Decathlon-AG2R a Castel di Sangro abbiamo notato subito 14 bici. Loro sono rimasti in sette: perché portarne così tante? Perché sette erano per la corsa e altre sette pronte sui rulli. La partenza infatti era in salita e l’intento della squadra francese era duplice: non far staccare Sam Bennett, il velocista e capitano, e mettere nella fuga Prodhomme. Il ragazzo è stato bravissimo centrando l’obiettivo.

Così, eccoci sul percorso. Siamo partiti una ventina di minuti prima della tappa. Dopo qualche chilometro abbiamo mangiato un gustoso panino preparato da uno chef locale e quando finalmente è partita la fuga siamo entrati anche noi ufficialmente in gara. In questo modo ci siamo ritrovati subito dietro alla fuga, senza dover effettuare manovre pericolose per sorpassare il gruppo. Una pratica ormai consueta.

A quel punto il direttore sportivo ha preso in mano la situazione… e la radio. Indicava con attenzione i punti salienti del percorso: tratti duri, tecnici, insidiosi.

Radio alla mano

Dopo la salita più impegnativa di giornata, cioè Monte Urano (era cattivissima), Jannel ha detto al ragazzo: «Adesso c’è una salita facile, cerca di mangiare, pensa ad alimentarti». Poco dopo, ecco radiocorsa chiamare la nostra ammiraglia. Prodhomme ha chiesto dei gel e una borraccia con 80 grammi di carboidrati.

Il direttore sportivo però restava un po’ sulle spine. Il distacco massimo era arrivato a quattro minuti, ma dietro c’era sempre la BORA a tenere un ritmo sostenuto. Jannel aggiornava costantemente Prodhomme sui distacchi, ma restava incerto sull’andamento tattico.

Tuttavia per un momento, mancavano circa 65 chilometri, è sembrato persino che la fuga potesse riuscire nel suo intento. Il vantaggio tutto sommato era buono, la corsa dietro si era leggermente “addormentata” e il percorso e il vento erano favorevoli.

Jannel voleva tenere alto il morale del suo ragazzo e gli diceva: «Stai attento a Scaroni. Perché Scaroni, lo conosciamo, quest’anno ha vinto il Tour des Alpes-Maritimes, è in forma. Però è anche vero che ieri è caduto». Come a dire, “curalo” ma non spaventarti.

Altro uomo da tenere sott’occhio era Paul Double: «Lui è uno scalatore molto importante. Sai come va e quest’anno ha vinto una tappa alla Coppi e Bartali». E poi ha aggiunto qualcosa che tirava in ballo anche Buitrago ma che non siamo riusciti a capire nel bailamme della corsa.

Il direttore sportivo Didier Jannel, un veterano del gruppo Decathlon-Ag2R
Il direttore sportivo Didier Jannel, un veterano del gruppo Decathlon-Ag2R

La dura realtà…

Lungo l’ultima discesa di giornata, il distacco inizia a crollare. La Lidl-Trek di Ciccione ci mette lo zampino. Tira persino con Pedersen in persona, la maglia rosa. E così, a circa 25 chilometri dall’arrivo, ecco che la giuria, quando il vantaggio era appena superiore al minuto, ferma le ammiraglie che seguivano la fuga. E quindi anche la nostra.

Dobbiamo ammetterlo: un po’ di tristezza è calata in ammiraglia in quel momento. E’ vero, si sapeva che a quel punto i sette ragazzi davanti non sarebbero più arrivati, però la speranza, come si dice, è l’ultima a morire. «Nicò sta bene – aveva detto Jannel – la vittoria al Tour of the Alps gli ha dato convinzione che poteva fare bene qui al Giro e che poteva vincere una tappa. Perché vincere una tappa era e resta il nostro obiettivo».

Una volta finiti dietro al gruppo, i discorsi alla radio sono cambiati radicalmente. Si è tornati a parlare di logistica: come riprendere gli atleti, dove parcheggiare, come radunarsi ai bus che erano a 15 chilometri dall’arrivo. Insomma, come organizzare il rientro in vista della prossima tappa. Che sarà di nuovo molto, molto dura.

Quattro tappe nel mirino, Vendrame e l’arte della fuga

08.05.2025
5 min
Salva

DURAZZO (Albania) – Vendrame si fa attendere. Mezza squadra è già rientrata, ma il veneto della Decathlon-Ag2R ha preferito allungare assieme ad altri due compagni. Il Sol Tropikal Durres è il ritrovo di diversi team. Accanto ai mezzi dei francesi c’è la Tudor Pro Cycling, più in là vediamo la Jayco-AlUla, poi la Bahrain Victorious, la Alpecin-Deceuninck e la Israel-Premier Tech. Il clima è a dir poco mite. Guidando da Tirana fin qui abbiamo avuto la sensazione di spostarci da Catania verso Ragusa: sulla destra mancava soltanto l’Etna. Anche se poi, rientrando verso la Capitale, le montagne alle sue spalle hanno un che di… bassanino. Si fa fatica a decifrare i paesaggi, al primo impatto è meglio concentrarsi sulle dinamiche “fantasiose” del traffico albanese.

Poi arriva Vendrame, incontrato l’ultima volta alla Tirreno-Adriatico quando vinse la tappa di Colfiorito, che lo scorso anno lasciò il Giro con il gusto buono della vittoria di Sappada. L’avvicinamento ha avuto il piccolo intoppo di un malanno che gli ha impedito di correre il Romandia, ma adesso siamo qui e tutto sembra a posto. Chissà se ha allungato perché la prima tappa lo solletica o se aveva bisogno di fare più fatica…

«Non cambia niente – annuisce – quello che è fatto, è fatto. Sono consapevole di star bene e come diceva sempre mia nonna: l’importante è la salute. L’anno scorso eravamo arrivati con una squadra competitiva per la classifica generale per O’Connor. Quest’anno abbiamo cambiato la visione di corsa e avremo più occhi per gli sprint con Bennett. Poi ci saranno giornate in cui cercare la vittoria con me, magari nelle tappe con fughe a lunga gittata, e con gli scalatori come Prodhomme e Bouchard. Conosciamo abbastanza bene il Giro, siamo un gruppo esperto, non siamo vincolati a un capitano per cui correremo liberi».

Per Vendrame, nato a Conegliano nel 1994, si tratta del settimo Giro in carriera
Per Vendrame, nato a Conegliano nel 1994, si tratta del settimo Giro in carriera
Dopo la vittoria alla Tirreno e anche dopo Sappada dicesti che erano tappe che avevi segnato da prima. Ebbene, quante tappe di questo Giro potrebbero piacere a Vendrame?

Ho studiato il percorso, sinceramente di tappe ce ne sono. Ne ho adocchiate quattro, non voglio individuarne di più. Fin da quando sono professionista, cerco di individuare le quattro tappe più adatte in un Grande Giro e poi strada facendo cerco di portarle a casa. E così sono quattro anche quest’anno.

Ovviamente non ce le dirai neanche sotto tortura, giusto?

Sono sempre stato un po’ scaramantico nel non rivelare niente, magari la più evidente è quella con le strade bianche che farà gola a molti. Comunque sono dalla metà del Giro in avanti. La mia fortuna è nel recuperare bene, la dote di uscire man mano che il Giro avanza. Le tappe target quest’anno sono nella seconda settimana, la terza purtroppo è veramente impegnativa, quindi presumo che sarà di più una lotta fra gli uomini di classifica. Però, mai dire mai, lasciamo le porte sempre aperte.

Che cosa potrebbe accadere di diverso?

Non si sa ancora come si metterà, se il Giro avrà un padrone come Tadej l’anno scorso, che magari guadagna tanto nella prima parte e dopo amministra. O se lasceranno la maglia a un’altra squadra perché la gestisca, come successe con noi lo scorso anno alla Vuelta e in quel caso si crearono più opportunità per le fughe. Fatto sta che negli ultimi anni ho visto un trend del Giro d’Italia, del Tour de France e della Vuelta in cui di fughe ne arrivano ben poche.

La vittoria di Sappada al Giro dello scorso anno, dopo quella a Bagno di Romagna nel 2021
La vittoria di Sappada al Giro dello scorso anno, dopo quella a Bagno di Romagna nel 2021
Le hai contate?

E’ sempre più difficile. L’anno scorso ho fatto un calcolo e di fughe all’arrivo ne ho viste solo quattro. Togliendo le cronometro e gli sprint, capite bene che ne rimangono ben poche.

Guarda caso, quattro è anche il numero delle tappe che hai cerchiato…

Ma non è facile, anche perché ormai il gruppo conosce questa mia capacità di andare a segno quando sono in fuga e inizia a essere pesante, perché magari i direttori sportivi invitano a non collaborare, per fare un esempio. Mi ricordo che dei telecronisti che hanno fatto una sorta di paragone con De Gendt, che quando era in fuga, al 90 per cento arrivava. Magari non sarò a quel livello, ma questo è il mio target in una corsa come il Giro.

Una volta individuate le quattro tappe, si continua a studiarle oppure si mettono via e poi si vive alla giornata?

Il mio rapporto col percorso è sempre uguale. Preferisco studiarlo a fondo qualche giorno prima della partenza, dopodiché vivo tappa dopo tappa. Anche perché in un Giro di 21 tappe, la condizione può cambiare. Magari capita il giorno che il tuo fisico risponde bene e dei giorni che risponde male. Preferisco vivere alla giornata. L’anno scorso mi ero prefissato la tappa di Rapolano Terme vinta da Pelayo Sanchez su Alaphilippe. Ero in fuga anche io, però ho iniziato a stare male e alla fine non ho ottenuto nessun risultato. Ne avevo prevista un’altra, però stavo combattendo con una bronchite e anche quella è sfumata. E alla fine ho puntato tutto sull’ultima tappa disponibile, che era Sappada, la quarta che avevo cerchiato. Quindi è bello studiare tutti i giorni, ma stando attenti a non lasciarsi influenzare dalla condizione del momento.

Così dopo la vittoria di Colfiorito alla Tirreno. Vendrame è pro’ dal 2017. E’ alto 1,68 e pesa 60 chili
Così dopo la vittoria di Colfiorito alla Tirreno. Vendrame è pro’ dal 2017. E’ alto 1,68 e pesa 60 chili
Una volta in fuga, le tappe cerchiate vanno come te le eri immaginate?

Quasi mai, per questo la cosa migliore è improvvisare. Faccio riferimento alla tappa di Sappada. Non avevo previsto che la fuga ci mettesse così tanto ad uscire. Pensavo che partisse subito, non che andasse via a San Daniele del Friuli dopo 50 chilometri. Quindi per forza di cosa ho dovuto cambiare i piani nel mio cervello e resettarmi. Ho realizzato che non partiva e che a quel punto bisognasse aspettare San Daniele. Sapevo che era un altro momento strategico e infatti la fuga è nata lì. A volte ti fai tanti piani, ma non si avverano mai. Quindi preferisco improvvisare e lasciare tutto in mano al destino.

Decathlon AG2R: caschi e occhiali li disegna Van Rysel

01.05.2025
4 min
Salva

LIENZ (Austria) – I corridori della Decathlon AG2R La Mondiale utilizzano da ormai due stagioni i prodotti firmati Van Rysel. Quello sviluppato con il marchio francese di Lille è un binomio capace di funzionare alla grande, infatti da inizio stagione i successi firmati dai corridori del team WorldTour sono già sette. L’ultimo è arrivato al recente Tour of the Alps, nel quale Nicolas Prodhomme e il giovane Paul Seixas hanno regalato spettacolo dominando l’ultima frazione della corsa a tappa dell’Euregio. 

E’ proprio Nicolas Prodhomme, al primo successo tra i professionisti, che ci racconta nel dettaglio i prodotti realizzati da Van Rysel. In questo caso l’occhio, ed è veramente il caso di dirlo, cade sul casco e gli occhiali utilizzati dalla formazione WorldTour francese. 

RCR-F, il casco più veloce

Il primo prodotto che andiamo a presentare è il casco RCR-F, dove l’acronimo sta per Fast Racer. Si tratta di un casco studiato e progettato con l’intento di perfezionare al meglio l’aerodinamica. Quando ogni singolo watt diventa importante e le gare si fanno veloci e combattute è importante avere al proprio fianco il miglior alleato possibile. 

Il casco RCR-F è dotato di cinque ingressi d’aria, posti nella parte anteriore, che servono a regolare la temperatura della calotta e offrire il giusto ricambio. 

«Questo modello – racconta Prodhomme – lo utilizzo spesso durante la stagione, soprattutto quando il clima non è ancora molto caldo. L’RCR-F ha un ottimo design ed è estremamente aerodinamico, anche quando le velocità si alzano risponde molto bene non dando alcuna resistenza al vento. Rimane comunque un prodotto leggero e comodo, anche dopo tante ore in sella. Per questo è perfetto per tappe lunghe o le Classiche».

Entrambi i modelli utilizzati dal team sono costruiti con tecnologia Mips (foto KBLB DAT)
Entrami i modelli utilizzati dal team sono costruiti con tecnologia Mips (foto KBLB DAT)

RCR Mips, per il caldo del Tour

Van Rysel fornisce agli atleti del team Decathlon AG2R La Mondiale anche un secondo modello, questa volta pensato per una ventilazione ancora più importante, infatti è il preferito dagli scalatori. Le prese d’aria frontali, in questo caso, sono otto

«Personalmente – riprende a spiegare Prodhomme – utilizzo il RCR Mips quando le temperature si fanno più elevate. Ad esempio, credo sia un casco ottimo per una grande corsa a tappe come il Tour de France, dove le salite lunghe e il caldo si fanno sentire. La tecnologia Mips ci permette di correre in maniera più tranquilla e sicura perché sappiamo di essere ben protetti in caso di caduta».

Gli occhiali coprono molto bene il volto e offrono un ottimo campo visivo (foto Auguste Devaire)
Gli occhiali coprono molto bene il volto e offrono un ottimo campo visivo (foto Auguste Devaire)

ROADR900 PERF, 3 lenti diverse

Per il team Decathlon AG2R La Mondiale gli occhiali forniti sono i ROADR900 PERF, un mix di eleganza, tecnica e design sportivo. Risultano estremamente coprenti, con una lente larga 135 millimetri e spessa 1,2 millimetri. Un sistema che permette all’atleta di avere un campo visivo ampio, unito alla protezione necessaria per chi viaggia ad alte velocità. Infatti lo spessore delle lenti le rende molto resistenti. 

La scelta cade su tre tipologie di lenti, sempre della gamma NXT. A seconda della categoria, che va da zero a tre, si ha un filtro dall’11 per cento all’85 per cento della luce. 

«Una delle caratteristiche che mi piace degli occhiali – conclude Prodhomme – è che sono molto comodi e garantiscono sempre una visione perfetta. In più una clip presente sul casco permette di riporre comodamente gli occhiali anche quando si è in gara, bastano pochi attimi per agganciare e sganciare il tutto».