Pranzo Carrera Jeans, 25 ottobre 2025, Guido Bontempi, Massimo Ghirotto, Bruno Leali, Giancarlo Perini, Davide Boifava, fratelli Tacchella

Un pranzo fra amici e si riaccende la storia della Carrera

05.11.2025
7 min
Salva

La squadra debuttò nel 1979 come Inoxpran e dal 1984 divenne Carrera. Andò avanti fino al 1996, vincendo tre Giri, un Tour e una Vuelta. Una Liegi, due Sanremo e un mondiale. Campioni come Visentini, Bontempi, Roche, Battaglin, Chiappucci e Pantani. Gregari come Ghirotto, Perini, Leali, Roscioli, Podenzana, Chiesa e Zaina, guidati da Boifava, Quintarelli e il giovane Martinelli.

E proprio quattro di loro il 25 ottobre si sono incontrati a Stallavena per un pranzo con Boifava e Quintarelli, a casa dei fratelli Tacchella, titolari di Carrera Jeans. Rivedere la foto di apertura ha risvegliato i ricordi dei primi anni (da sinistra, si riconoscono Boifava, in piedi c’è Eliseo Tacchella, poi Sandro Quintarelli, Imerio e Tito Tacchella, Perini, Leali e Bontempi). E così quel pranzo ce lo siamo fatto raccontare da Massimo Ghirotto, che dopo essere stato corridore è salito in ammiraglia, ha rivestito un incarico federale nel fuoristrada ed è ancora una delle voci più apprezzate di Radio Rai al Giro d’Italia.

Di chi è stata l’idea?

L’idea è venuta a Bontempi, Perini, Leali e a me. Poi è venuto fuori che anche i Tacchella avevano voglia di rivederci ed è saltata fuori quasi una riunione di famiglia, tanto che hanno già fissato la data della prossima volta. Ci sono sempre rimasti vicini, trattandoci come persone di famiglia. Oltre a essere grandi imprenditori, dimostrano qualcosa di particolare anche dal punto di vista umano, questo bisogna dirlo.

Chi c’era attorno a quel tavolo?

Boifava e Quintarelli. Quindi i tre fratelli Tacchella – Tito, Imerio e padre Eliseo, che è un missionario – e un loro amico. E ovviamente noi quattro. Ci frequentiamo ancora, siamo sempre stati amici, abbiamo condiviso tanti momenti oltre all’avventura ciclistica. Boifava è intervenuto successivamente. Avremmo potuto chiamare anche altri, ma abbiamo voluto farla con i più vicini.

Anche vicini di età…

Leali è un ’58 ed è stato il primo a entrare nella squadra di Boifava. Perini è un ’59, Bontempi è un ’60 e io sono del 1961. Sono rimasto con loro per otto anni. I primi due li ho fatti con Vannucci e Moser alla Gis Gelati, poi sono passato con Boifava e alla fine sono andato alla ZG Mobili. Ho voluto monetizzare il più possibile, perché sapevo che ormai ero in dirittura d’arrivo. Fu un discorso puramente economico.

Da sinistra, nella sede Carrera, Bontempi, Ghirotto, Boifava, Tacchella, Perini e Leali, con il libro per i 60 anni di Carrera
Da sinistra, nella sede Carrera, Bontempi, Ghirotto, Boifava, Tito Tacchella, Perini e Leali, con il libro per i 60 anni dell’azienda
Da sinistra, nella sede Carrera, Bontempi, Ghirotto, Boifava, Tacchella, Perini e Leali, con il libro per i 60 anni di Carrera
Da sinistra, nella sede Carrera, Bontempi, Ghirotto, Boifava, Tito Tacchella, Perini e Leali, con il libro per i 60 anni dell’azienda
Dove vi siete visti?

Prima in azienda a Villa Zenobio, a Caldiero, vicino Verona. Lì abbiamo trovato Tito Tacchella che ci ha regalato un libro molto bello che ha scritto sulla storia dell’azienda, la cui parte finale è dedicata all’avventura ciclistica (Il Bello del Jeans, La nostra Storia, ndr). Dopo aver scritto una dedica per ciascuno di noi, ci siamo trasferiti nella cascina di Imerio e lì abbiamo mangiato. Un podere bellissimo. Chiaramente abbiamo rivissuto i momenti più intensi del nostro passato, ma abbiamo parlato anche di come ci vada la vita, tanto che siamo venuti via quasi alle sei di sera. S’è parlato di Leali e la sua squadra di dilettanti, Perini e il negozio e le corse che organizza, Bontempi che guida la moto al Giro e io che adesso finalmente mi riposo. I Tacchella sono gente di spirito, abbiamo riso parecchio.

Non hai la sensazione che la Carrera sia stata una squadra in anticipo sui tempi?

Questo argomento l’hanno tirato fuori soprattutto i Tacchella e poi Boifava, perché Davide è stato il costruttore di quella squadra. La Carrera fu la prima a investire su corridori di tante nazioni. I Tacchella ce lo hanno confermato: volevano rendere il marchio più internazionale, quindi presero corridori nei Paesi in cui volevano espandersi. Francia, Belgio, Slovenia, Austria, Germania, Russia. Boifava prese anche Acacio Da Silva, che era portoghese. O Zimmermann, svizzero, che arrivò terzo al Giro e anche al Tour. La Carrera ha anticipato il ciclismo globale che è arrivato qualche anno dopo. Ed eravamo avanti anche per l’attività che facevamo.

In che senso?

Eravamo una squadra di 17-18 elementi, ma facevamo la Vuelta, il Giro e poi il Tour. Battaglin ha vinto Vuelta e Giro in 40 giorni, perché fino al 1994 in Spagna si andava ad aprile. Poi andavamo a tutte le classiche, si copriva tutto il calendario. Le altre italiane come l’Ariostea e la Del Tongo si adeguarono solo in un secondo momento. Fummo i primi a fare il ritiro a Denia o Albacete e nella zona di Valencia, in Spagna, dopo gli anni in Toscana. Adesso vanno tutti lì.

Che cosa fa Quintarelli?

“Quinta” ha 80 anni e fa il pensionato (Sandro Quintarelli, originario di Negrar, è stato il braccio destro di Boifava in ammiraglia, dopo essere stato a sua volta professionista dal 1969 al 1977, ndr). E’ in splendida forma, sempre il solito schiacciacciassi veneto con le sue battute in dialetto: ci ha fatto sganassare dal ridere. E’ venuto fuori un aneddoto del Tour de France 1992.

Che cosa accadde?

Si arrivava all’Alpe d’Huez e all’epoca non c’erano tante ammiraglie: la prima, la seconda e la terza che faceva rifornimento sul percorso. Al via facciamo la riunione. Boifava dispensa i compiti e dice a Perini e a me di stare vicini a Bontempi perché bisogna portarlo all’arrivo, dato che fino a Parigi ci saranno diverse volate. Partiamo e si forma il gruppetto.

Tutto nei piani?

No, perché Guido va in crisi di fame, una di quelle potenti che non perdonano, ma quando chiediamo aiuto, l’ammiraglia non c’è. Dato che davanti c’era Chiappucci ed era secondo in classifica, Quintarelli ci ha lasciati da soli per andare in testa. Quindi non avevamo più acqua e nessun tipo di rifornimento. Morale della favola: arriviamo all’Alpe d’Huez, raggiungiamo l’albergo e saliamo in camera, quando sentiamo bussare. Io apro e mi trovo davanti Quintarelli. Guidone aveva un’arancia o una mela sul comodino e l’ha tirata così forte che se Quintarelli non chiudeva la porta, lo avrebbe centrato in pieno. Sandro non l’abbiamo più visto per tre giorni. Guai far arrabbiare Guido! Quando è venuta fuori questa storia, ci siamo messi a ridere, mentre Quintarelli ripeteva che non era vero. E’ in forma. Ha ancora il bar che gestisce con sua moglie. Mi ha stupito una battuta…

Ecco un'immagine dell'episodio narrato da Ghirotto su Bontempi e l'Alpe d'Huez nel 1992
Ecco un’immagine dell’episodio narrato da Ghirotto su Bontempi e l’Alpe d’Huez nel 1992
Ecco un'immagine dell'episodio narrato da Ghirotto su Bontempi e l'Alpe d'Huez nel 1992
Ecco un’immagine dell’episodio narrato da Ghirotto su Bontempi e l’Alpe d’Huez nel 1992
Quale?

Boifava gli ha fatto i complimenti, dicendo che avesse una visione di gara superiore alla sua. E Davide è stato il miglior direttore sportivo che abbia mai avuto. Anche Martinelli aveva dei numeri, lo vedemmo subito, ma io da Boifava ho imparato davvero tanto.

Quindi è già tutto organizzato per la prossima volta?

Il giorno prima della Sanremo. Ci hanno detto di non portare niente, che pensano a tutto i Tacchella. Sono in grandissima forma. Credo che Tito abbia 83 anni e Imerio 78, ma è ancora una macchina da guerra. Poi c’è Gianluca, il figlio di Tito, che è l’amministratore delegato. Hanno la produzione e 1.500 dipendenti in Tagikistan. Coltivano il cotone e hanno tutta la filiera sino ai capi finiti. E’ stata una giornata emozionante. Ritornare indietro a quegli anni ti rinfresca la mente e il cuore. Abbiamo vissuto cose belle e anche altre meno belle, che magari ci hanno segnato, perché la vita di un corridore non è tutta rose e fiori. Però anche quello è stata una parte della nostra carriera e ritrovarci così ogni volta ci fa capire che ne siamo ugualmente fieri.

La grande passione di Premac tra ciclocross e strada

08.01.2025
4 min
Salva

Spesso per comodità, o anche per semplice pigrizia, siamo abituati a utilizzare l’espressione “Team Guerciotti” per riferirci alla FAS Airport Services-Guerciotti-Premac, la formazione guidata da Paolo e Alessandro Guerciotti, punto di riferimento del ciclocross tricolore. Giustamente in più di una occasione dal team ci è arrivata la richiesta di utilizzare il nome per esteso, anche per ringraziare gli sponsor che con il loro tangibile sostegno permettono alla formazione giallonera di svolgere al meglio la propria attività agonistica.

Il team FAS Airport Service-Guerciotti-Premac è il punto di riferimento nel ciclocross italiano (foto Giorgio De Negri)
Il team FAS Airport Service-Guerciotti-Premac è il punto di riferimento nel ciclocross italiano (foto Giorgio De Negri)

Tanto ciclismo

Fra gli sponsor della FAS Airport Services-Guerciotti-Premac un ruolo primario è svolto proprio da Premac, azienda bresciana specializzata nella realizzazione di sottofondi con sistemi e materiali innovativi nel campo dell’isolamento termico ed acustico. Il nome Premac nasce da “premiscelati a macchina”. A guidare l’azienda fondata nel 2005 troviamo Angelo Tonoli, che due anni fa ha deciso di mettere il suo nome sulle maglie del team della famiglia Guerciotti. 

L’azienda bresciana è sponsor di altri due team. Stiamo parlando della formazione femminile Isolmant-Premac-Vittoria, guidata da Giovanni Fidanza, e della Biesse-Carrera, impegnata nella categoria Continental e che ha in Simone Boifava il nuovo presidente. 

A unire la  FAS Airport Services-Guerciotti-Premac alla Isolmant-Premac-Vittoria non è solamente lo sponsor comune, Premac appunto, ma anche il marchio di bici. Entrambe le formazioni gareggiano su biciclette Guerciotti.

Il 2025 porterà in “dote” alla Premac una nuova formazione. Si tratta della Salus Seregno impegnata nella categoria juniores.

Tra le atlete spicca anche Nelia Kabetaj, campionessa nazionale albanese (foto Flaviano Ossola)
Tra le atlete spicca anche Nelia Kabetaj, campionessa nazionale albanese (foto Flaviano Ossola)

Tutti importanti

Risulta molto difficile per Angelo Tonoli stilare una classifica di importanza fra i team da lui sponsorizzati.

«Come squadre sono tutte importanti allo stesso modo per me – racconta Angelo Tonoli – è diverso il rapporto strettamente personale. Ad esempio Davide Boifava è un mio amico da tanti anni, mi ha trascinato nella Biesse-Carrera e altri progetti ciclistici. Io quando penso a Boifava sono contento di aiutarlo a vincere, non tanto alla pubblicità che mi faccio. La stessa cosa per Giovanni Fidanza, grazie al quale mi sono altresì avvicinato al mondo Guerciotti. Tutti alla pari con uno scopo: formare gli atleti, donne e uomini, prepararli ad avere responsabilità maggiori». 

Su strada l’azienda bresciana affianca le ragazze della Isolmant-Premac-Vittoria
Su strada l’azienda bresciana affianca le ragazze della Isolmant-Premac-Vittoria

Gioia Agostinacchio

Gli ultimi mesi del 2024 hanno regalato alla Premac una soddisfazione davvero speciale grazie a Mattia Agostinacchio, campione europeo juniores nel ciclocross. 

«Mattia Agostinacchio si è laureato campione d’Europa e per noi sponsor la gioia è immensa. Paolo e Alessandro Guerciotti, grazie a Mattia, hanno completato un mosaico. Il palmares della squadra abbondava di titoli nazionali e Mondiali, quello Europeo mancava. Di colpo è arrivato quello di Mattia nella gara individuale di cross. Senza dimenticare l’altro Europeo, quello di team relay, ottenuto dallo stesso Mattia Agostinacchio con suo fratello Filippo e Lucia Bramati. Gli ho portato bene».

Angelo Tonoli è alla guida dell’azienda Premac dal 2005 (foto Ossola)
Angelo Tonoli è alla guida dell’azienda Premac dal 2005 (foto Ossola)

Un pensiero per i giovani

Lasciamo allo stesso Angelo Tonoli la chiusura parlando dei giovani e non solo: «Ciò che conta è contribuire alla loro crescita. La consapevolezza che Mattia Agostinacchio e gli altri boys di Guerciotti siano orgogliosi di avere il nostro marchio sulla maglia è un premio. La serietà professionale dei ragazzi è un altro premio. La loro gioia dopo che hanno dato tutto nelle competizioni è ulteriore premio. Non tollero il doping: fa del male all’atleta, a chi lo sponsorizza e in generale al ciclismo».

Premac

Il ciclismo di Simone Boifava: neo presidente della Biesse-Carrera

01.12.2024
5 min
Salva

Il team Biesse-Carrera vede arrivare una nuova figura che prenderà il ruolo di presidente: si tratta di Simone Boifava. Figlio di Davide Boifava, ex ciclista professionista che ha corso dal 1969 al 1978 e che ha scritto pagine indimenticabili di storia del ciclismo italiano. Una volta terminata la carriera sui pedali, Boifava è passato infatti in ammiraglia. Sotto i suoi occhi sono passati alcuni fra i più grandi nomi del ciclismo, da Visentini a Roche, poi Chiappucci e Pantani, Bartoli e Bettini. Il fatto che suo figlio Simone abbia deciso di entrare nel mondo del ciclismo ha aperto una serie di curiosità e domande a riguardo (a destra nella foto di apertura). 

A sinistra Simone Boifava con al suo fianco papà Davide
A sinistra Simone Boifava con al suo fianco papà Davide

Di padre in figlio

Innanzitutto che cosa si ricorda del ciclismo vissuto in prima persona da papà Davide. Per poi capire quali sono le sue ambizioni e i suoi obiettivi come presidente di una delle società italiane maggiormente strutturate. 

«Ho avuto la fortuna – dice Simone Boifava – di aver vissuto quell’epoca dal vivo. Mio padre ci ha sempre portati con sé nelle varie gare, quando la scuola ce lo permetteva. In quegli anni io ero tra il bambino e l’adolescente, un periodo della vita nel quale si costruiscono gran parte dei ricordi. Il primo che mi viene in mente legato al ciclismo sono le vittorie di Pantani e Chiappucci in maglia Carrera. Se penso a quel periodo mi pervade una grande gioia e altrettanta emozione. Ho avuto la fortuna di toccare con mano cosa vuol dire vivere una squadra di ciclismo, ma non mi era mai passato per la mente di poter diventare un giorno presidente di un team».

Chiappucci e Pantani in maglia Carrera Jeans con il team manager Davide Boifava
Chiappucci e Pantani in maglia Carrera Jeans con il team manager Davide Boifava
Delle gare vissute accanto a tuo padre cosa ti ha colpito maggiormente?

L’atmosfera all’interno della squadra: meccanici, massaggiatori, diesse, tutti erano amici e si viveva un clima sereno. E’ un ambiente che mi è sempre piaciuto frequentare e vivere in prima persona. Sicuramente il ruolo svolto da mio padre in un certo senso mi ha stregato e contagiato. Ero in una posizione privilegiata, anche se lui non era uno che amava raccontarsi. Tuttavia assaporare quei momenti mi ha sicuramente aiutato a raccogliere emozioni e conservarle nel cassetto della memoria. 

Per quanti riguarda i successi sportivi hai qualche ricordo?

Quelle che mi sono rimaste più impresse sono le imprese di Chiappucci: la sua vittoria alla Sanremo nel 1991 e le sue galoppate al Giro e al Tour de France. Poi non posso non citare Marco Pantani, di lui ricordo i successi al Giro nel 1994 a Merano e nella tappa del Mortirolo. Anche la Liegi di Bartoli del 1998 è un qualcosa che mi è rimasto dentro

Simone Boifava si è innamorato del ciclismo grazie alle gesta di Marco Pantani quando correva in maglia Carrera
Simone Boifava si è innamorato del ciclismo grazie alle gesta di Marco Pantani
Eppure mai avresti pensato di far parte di questo mondo, cosa ti ha convinto a cambiare idea?

Bella domanda! (ride, ndr). Negli ultimi anni ho sempre lavorato a stretto contatto con il ciclismo essendo parte dell’azienda Carrera, che fornisce le bici al team continental. Tuttavia sono mondi tanto diversi. Poi qualche mese fa la Biesse-Carrera ha cambiato un po’ a livello societario e Bruno Bindoni, presidente della Biesse il principale sponsor del team, mi ha proposto di entrare alla guida della squadra. 

Perché hai accettato?

Le condizioni della sfida sono interessanti e affascinanti. Quello che mi ha spinto è stato il piacere di provare a cimentarmi in una nuova avventura, ma anche la consapevolezza di avere uno staff solido e valido. I diesse del team continental, Milesi e Nicoletti, ma anche Renato Galli, amministratore della società e diesse degli juniores. Un’altra figura di riferimento per me è Gabriele Scalmana, del G.S. Gavardo, squadra storica che nella quale ho corso e che continua a supportarci. Molti degli sponsor di quel team ci hanno poi seguito alla Biesse Carrera. 

Simone Boifava potrà contare sull’apporto di grandi tecnici: qui Nicoletti e Milesi, i diesse della continental
Simone Boifava potrà contare sull’apporto di grandi tecnici: qui Nicoletti e Milesi, i diesse della continental
La vostra è una squadra grande, che prende tutte le categorie giovanili.

In maglia Biesse-Carrera un ragazzo può partire dai giovanissimi e arrivare nella continental. Anche a livello femminile abbiamo una struttura solida e che dona continuità. Il nostro obiettivo è di prendere i ragazzi, fin dai piccoli, e farli crescere. Creare un filo conduttore che li porti a restare da noi. Nel 2025 tre ragazzi del team juniores passeranno nella formazione continental e per noi è un bel traguardo. 

Come si colloca una formazione come la vostra in questo ciclismo giovanile?

Questo sport ha attraversato una fase di grosso cambiamento. I team WorldTour negli anni, con l’avvento dei devo team, hanno svuotato i vivai delle formazioni nazionali. In una rincorsa perversa alla ricerca di giovani fenomeni. 

La Biesse-Carrera ha un vivaio che parte dalle prime categorie giovanili
La Biesse-Carrera ha un vivaio che parte dalle prime categorie giovanili
Anche voi state cercando un approccio legato ai giovani?

A livello del team continental siamo concentrati maggiormente sui ragazzi under 23. Anche se nel 2025 ci saranno due eccezioni: rimarrà con noi Tommaso Dati e dalla Zalf arriva Federico Iacomoni. Loro due saranno gli unici atleti elite. Siamo una squadra che ha un vivaio forte e strutturato, quindi ci puntiamo molto. 

Che obiettivi vi date per il 2025?

Dividerei questa domanda in due. Il primo è crescere dei ragazzi e dare loro una scuola di vita. Lo sport, dopo la scuola, è il secondo luogo dove si forma la personalità di un giovane. Ci si allena insieme, si passa tanto tempo a stretto contatto, tutto questo sviluppa la personalità di ognuno di loro. Sta a noi dare gli insegnamenti giusti. L’altro obiettivo è quello agonistico, siamo un team continental e gli sponsor ci chiedono anche questo. Vorremo riuscire a raccogliere qualche vittoria in più, alla fine lo sport vive anche di competizione.

Barbero, il privilegio d’aver corso per Pantani

23.12.2021
5 min
Salva

«Borgognoni che mi massaggiava alla Lampre – dice Barbero – aveva vinto due o tre tappe al Giro d’Italia. Tanti di quelli che lavorano nel ciclismo hanno corso, a volte i corridori lo sanno, altre volte no. Io penso sempre ai miei tempi, ma non mi piace fare confronti. L’unica cosa che mi sento di dire è che Marco Pantani ancora oggi avrebbe potuto vincere Giro e Tour, anche se il livello attuale è davvero altissimo».

Intervento per Barbero sulla bici di Ravanelli, durante il ritiro in Spagna appena concluso
Intervento per Barbero sulla bici di Ravanelli, durante il ritiro in Spagna appena concluso

Il negozio di bici

Borgognoni se ne è andato troppo presto, nel 2014. Sergio Barbero invece, piemontese classe 1969, fa il meccanico alla Androni. C’era anche lui la settimana passata sull’ammiraglia di Ellena durante quelle famose sei ore intorno a Benidorm. E così, fra i ricordi del tempo andato e alcune osservazioni sul presente, è nato uno scambio di ricordi e opinioni con uno dei compagni di Pantani. Uno che lo conosceva sin da dilettante e che anni dopo, in quel giorno infernale del Galibier in cui il capitano vinse il Tour, fu costretto alla resa.

Un soldatino in gruppo

Barbero è stato professionista dal 1992 al 2007 e quando smise pensò di uscire dal gruppo, aprendo tuttavia un negozio di bici.

«Non sono un commerciante – dice – ho provato a trasmettere qualcosa della mia esperienza ai clienti, ma non ha funzionato. Era un mondo diverso. Qui se si rompe qualcosa, la butti. Là bisognava ripararla. Mi sarebbe piaciuto fare il meccanico da subito, mentre non sarei stato tagliato per fare il direttore sportivo. Non trasmetto carisma e grinta.  Sono più un soldatino, anche da corridore. Ho vinto le mie corse, ma solo quando ero libero…».

Sesto all’Emilia del 1999, pochi giorni dopo aver vinto il Giro del Lazio
Sesto all’Emilia del 1999, pochi giorni dopo aver vinto il Giro del Lazio

Al Giro con Pantani

La sua fu infatti estrazione da gregario, anche se con 11 vittorie e due mondiali in azzurro, poteva ritenersi a buon diritto un signor gregario.

«La mia fortuna – dice – è stata aver corso con Marco. Lo avevo conosciuto da dilettante, perché  correvo in una squadra emiliana e di conseguenza nel 1991 e nel 1992 facemmo assieme il Giro dei dilettanti con Maini tecnico. Quando poi passammo e a fine 1994 Reverberi mi disse che non mi avrebbe tenuto, chiesi a Marco se da loro ci fosse posto. Mi vergognavo, non sono tipo che domanda. Mi disse che erano in 17 e che portava anche sfortuna e così, sia pure al minimo, firmai il contratto che mi fu proposto da Boifava. Anche se corsi più con Chiappucci che con Marco, fu chiaro che bastava una sola parola, perché la squadra cambiasse direzione. E soprattutto fu la conferma che faceva sempre quel che diceva».

Approdo alla Lampre

La coppia si separa nel 1999, dopo Madonna di Campiglio, quando la squadra era incerta se confermare il suo impegno. Barbero provò a contattare Marco, che però in quel periodo era sparito. E solo alla fine accettò l’offerta di Saronni e andò alla Lampre.

Ecco Barbero, che tira per Casagrande al Giro del 2003, tappa dello Zoncolan. Il giorno del risveglio di Pantani
Tira per Casagrande al Giro del 2003, tappa dello Zoncolan. Il giorno del risveglio di Pantani

«Ci incontrammo a Murcia – ricorda – e quando fummo al foglio firma, mi mollò una battuta delle sue. “Se era per un problema di soldi – fece secco – potevi dirmelo”. Io gli risposi che i soldi non c’entravano e così dopo un po’ si mise a parlare della moto che si era costruito. C’era un bel rapporto. Il bello della Mercatone Uno è che era composta da uomini che si fidavano. E Marco era carismatico, al punto che anche ai primi tempi i corridori più esperti avevano soggezione a chiedergli le cose».

Ricordo di Pezzi

Fra le vittorie di ieri, Barbero ricorda soprattutto il Giro di Toscana del 1997, la prima da professionista.

«Eravamo stati all’hotel Monte del Re (hotel di Dozza che tenne a battesimo la Mercatone Uno, ndr) – ricorda – e di lì a poco saremmo andati alle corse. Ci fermammo per salutare Luciano Pezzi (presidente della squadra, ndr), un uomo semplice e schietto come Alfredo Martini. E Pezzi mi disse di stare accanto a Podenzana, di fare il possibile, perché poi saremmo andati al Giro con Marco. Al Toscana rimasi con Bartoli e alla fine riuscii ad anticiparlo. Correvo bene, non avevo bisogno del forcone puntato».

Accanto a Van Petegem, ai mondiali di Plouay 2000. Barbero ha partecipato anche a Verona 1999
Accanto a Van Petegem, ai mondiali di Plouay 2000. Ha partecipato anche a Verona 1999

Troppo inglese

Il ciclismo è cambiato davvero molto e Barbero non è sicurissimo che in quello attuale si sarebbe trovato bene.

«Quello che non invidio ai corridori di adesso – sorride – è che si parla tanto l’inglese. Alle partenze non vedo gruppetti di corridori che parlano. Prima si sentiva il friulano, veneto, lombardo, romagnolo… Ora solo inglese, poi si parte e si va subito a tutta, mentre ricordo quando si partiva piano, con Cipollini che teneva il gruppo cucito e Max Lelli che faceva ridere. Oggi mancano i corridori di vero carisma, forse l’unico in giro è Sagan. Ma non voglio fare confronti. Dico solo che a volte, quando sono in bici, mi prende la carogna e comincio a spingere a tutta in salita. La testa è sempre lì, ma il fisico ormai non la sostiene più…».