Tour de France 2025, Mauro Schmid, Jayco AlUla,

Il ciclismo svizzero secondo Schmid, signore di strada e crono

26.10.2025
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TORINO – La maglia rossocrociata oramai Mauro Schmid ce l’ha tatuata sulla pelle. Non fosse bastato il titolo in linea del 2024, il venticinquenne di Bulach ha compiuto un’impresa che, dal 1993 a oggi, era riuscita soltanto a Stefan Kung nel 2020, ovvero imporsi nello stesso anno in entrambe le prove: strada e crono. Persino una leggenda come Fabian Cancellara aveva mancato l’accoppiata, pur imponendosi più volte in anni diversi nelle due fatiche (10 sigilli contro il tempo, 2 in linea). 

La seconda stagione in casa Jayco-AlUla è stata positiva per Mauro, anche se c’è tanta voglia di lasciare il segno anche fuori dai confini nazionali per ricambiare la fiducia che il general manager Brent Copeland e tutto lo staff ripongono in lui. Nel frattempo, sul finale di stagione, è salito per la terza volta sul podio iridato della staffetta mista, mettendosi al collo un bronzo in Rwanda dopo gli ori centrati nel 2022 e nel 2023.

Abbiamo incontrato Schmid a Torino, durante le visite della Jayco-AlUla al Centro Irriba (foto Matteo Secci)
Abbiamo incontrato Schmid a Torino, durante le visite della Jayco-AlUla al Centro Irriba (foto Matteo Secci)
Abbiamo incontrato Schmid a Torino, durante le visite della Jayco-AlUla al Centro Irriba (foto Matteo Secci)
Abbiamo incontrato Schmid a Torino, durante le visite della Jayco-AlUla al Centro Irriba (foto Matteo Secci)
Che cosa ha voluto raddoppiare il titolo nazionale su strada e fare doppietta con quello a cronometro quest’anno?

Beh, devo dire che è bello essere facilmente riconoscibile alle corse. Già vincere la maglia una volta è speciale, ma ripetersi l’anno successivo è qualcosa di fantastico e non vedo l’ora di indossarla ancora, almeno per la prima parte del 2026. La cronometro è stata una mezza sorpresa anche per me, ma ero ben preparato e sono arrivato a quel giorno nelle migliori condizioni. Tra l’altro, essere campione nazionale nelle prove contro il tempo, ha un certo prestigio nel nostro Paese: basti pensare a quello che hanno fatto Küng e Cancellara negli ultimi 25 anni. Lo standard è sempre alto ed è bello avere questo onore.

A questo proposito, come alfiere della Svizzera, che cosa ci dici del vostro movimento sia a livello individuale, sia coi risultati di Tudor e Q36.5?

Abbiamo sempre avuto ottimi talenti, anche negli anni più recenti, anche se ne è parlato bene. E’ ovvio che dopo uno come Cancellara, non sia facile prendere il testimone. Per qualche anno il livello, soprattutto su strada, non è stato eccelso e le vittorie di corridori svizzeri nelle prove in linea sono state meno delle attese.

Comunque, vi siete goduti Nino Schurter…

Tanti ragazzi della mia generazione, infatti, hanno virato più sulla mountain bike e la strada ha perso un po’ di popolarità. Ora stanno emergendo però giovani interessanti e, il fatto di avere due squadre svizzere così strutturate tra i pro’ gli dà la possibilità di maturare senza fretta e con più tranquillità. In particolare, per quei ragazzi che vanno ancora a scuola e riescono ad avere una vita più normale.

Nella tappa di Tolosa al Tour, i secondo posto dietro Abramhansen brucia parecchio
Nella tappa di Tolosa al Tour, il secondo posto dietro Abrahamsen brucia parecchio
Nella tappa di Tolosa al Tour, i secondo posto dietro Abramhansen brucia parecchio
Nella tappa di Tolosa al Tour, il secondo posto dietro Abrahamsen brucia parecchio
Che atmosfera hai respirato ai Mondiali in Rwanda?

Qualcosa già si sta muovendo. C’è ancora bisogno di un po’ di tempo, anche se la generazione attuale è già abbastanza buona, ma tra qualche annetto vedremo i risultati. Sono convinto che, anche grazie ai progetti a lungo termine dei due team svizzeri, tutto il nostro movimento ne beneficerà.

Hai cominciato a pensare alla prossima stagione?

L’idea, al momento, è di cominciare con il Tour Down Under: una corsa molto importante per la nostra squadra che è australiana, ma lo è anche per me. Oramai è un po’ come il primo giorno di scuola e vuoi subito partire forte. Poi, spero di dire la mia nelle classiche, grazie anche all’esperienza acquisita quest’anno. Il calendario potrebbe essere simile a quello del 2024, a parte qualche piccolo cambiamento a febbraio e marzo. Per i Grandi Giri mi vedo più al Tour, anche se mi piacerebbe venire al Giro. L’unica cosa è che è difficile far bene le Ardenne e poi essere pronto per tre settimane intense a maggio.

Crono iridata di Kigali, Schmid non va oltre un 29° posto, ma conquistaerà il bronzo nel Team Relay
Crono iridata di Kigali, Schmid non va oltre un 29° posto, ma ha conquistato il bronzo nel Team Relay
Crono iridata di Kigali, Schmid non va oltre un 29° posto, ma conquisterà il bronzo nel Team Relay
Crono iridata di Kigali, Schmid non va oltre un 29° posto, ma ha conquistato il bronzo nel Team Relay
C’è una corsa che ti stuzzica più di altre?

Difficile da dire, ma pensandoci direi che mi piacerebbe vincere una tappa al Tour de France.

Beh, quest’anno ci siete riusciti con Ben O’Connor. Com’è stato?

Molto bello. In realtà, il mio aiuto è stato marginale, a parte qualche chilometro all’inizio, perché poi ha fatto tutto da solo.  E’ stato di grande motivazione, così come lo è pensare a quando ho sfiorato la vittoria di tappa al Tour de Suisse (ripreso a 1,6 km dal traguardo della sesta tappa dopo la fuga col connazionale Kung e l’australiano Sweeny, ndr). Sicuramente ci riproverò, ma prima mi concedo qualche giorno sulle spiagge di Bali per ricaricare le batterie. 

Visite Jayco AlUla all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torin, Michael Matthews

Matthews e lo stop che gli ha allungato la carriera

19.10.2025
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TORINO – Dal buio dell’estate alla rinascita nella classica d’autunno per eccellenza. Il sorriso è tornato a splendere sulle labbra di Michael Matthews, dopo momenti in cui non solo la bici ma la stessa vita sembravano sfuggirgli dalle mani. 

All’immediata vigilia dello scorso Tour de France, tutte le certezze si sono sgretolate e un’embolia polmonare ha costretto la colonna portante della Jayco-AlUla a ripartire da zero e interrogarsi su tutto. Non sapeva quando e se sarebbe tornato, ma Bling, abituato a risplendere in sella proprio come ricorda il suo soprannome in gruppo, non ne voleva proprio sapere di scomparire in un tunnel. Col sostegno del team e della famiglia, l’estroso australiano si è ripreso la vita di prima e anzi, ammette di aver ancor più motivazione. La fuga al Lombardia, non proprio la sua classica prediletta, ne è la testimonianza e il sogno di lasciare ancora il segno alla Milano-Sanremo l’anno venturo è di nuovo vivido. 

Che cosa vuol dire essere tornato così competitivo come hai dimostrato al Lombardia?

Attaccare era il nostro piano sin dalla partenza. Sapevo che la miglior opzione per ottenere un buon risultato al Lombardia per me era di avvantaggiarmi subito e mi è andata bene perché mi sono trovato in una fuga davvero interessante. Bisognava avere buone gambe per far parte di quel gruppo, ma anche per rimanerci: per fortuna le mie erano ottime. A pensarci ora, sarebbe stato interessante anche usare una tattica più attendista e vedere come avrei potuto reggere se non fossi andato in fuga, ma sono felicissimo del piazzamento e delle sensazioni che ho provato. Sono sulla strada giusta per tornare al mio livello dopo i problemi di salute che ho avuto. Peccato che la stagione stia già volgendo al termine.

Ci racconti quanto è stato difficile superare il momento che hai attraversato e puoi ripercorrere quei giorni?

E’ stata una montagna russa di emozioni. Avevo appena finito il camp di tre settimane ed ero tecnicamente pronto per il Tour de France, quando è sopraggiunto questo problema. Aver lavorato così tanto per un obiettivo ed essere fermato da una diagnosi medica è stato complesso, anche perché non sapevo quali sarebbero stati gli strascichi di questo problema. Non avevo idea se sarei tornato in bicicletta e nemmeno se sarei sopravvissuto o sarei morto. Nessuno sapeva dirmi quali sarebbero stati i passi successivi sia nella mia carriera sia nella mia vita.

Quale è stato il passo successivo?

Una volta trovato il problema e la procedura per risolverlo, è cambiato tutto. Ho capito che sarei stato meglio e che non sarei morto, dopodiché ho voluto subito capire che cosa avrei dovuto fare per tornare al mio livello di prima in bici. Ho realizzato in quei momenti quanto amo questo sport e quanto mi piace il mio lavoro come ciclista professionista.

Visite Jayco AlUla all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torin, Michael Matthews, Alberto Dolfin
L’incontro con Matthews si è svolto all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torino (foto Matteo Secci)
Visite Jayco AlUla all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torin, Michael Matthews, Alberto Dolfin
L’incontro con Matthews si è svolto all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torino (foto Matteo Secci)
Come hai svoltato strada?

L’idea di perdere tutto per i problemi di salute mi ha motivato ancora di più a tornare più forte, con la fame di vincere ancora. Ci sono state giornate in cui ero smarrito, in cui non sapevo in che condizioni mi trovavo, ma grazie a mia moglie e alla mia famiglia sono riuscito a restare lucido mentalmente.

Ci sono stati tanti momenti difficili?

Ero depresso, mi chiedevo se la vita fosse finita. Sono stati quattro mesi della mia vita molto tumultuosi, ma sono qui ora e, grazie alla forma attuale e agli ultimi risultati, sono orgoglioso di quello che sto facendo. Cerco di vedere il lato positivo e penso di esser riuscito a superare una situazione molto difficile e ne sono uscito col sorriso sulle labbra e con gambe che mi permettono ancora di battagliare coi più forti al mondo.

Come hai capito che saresti tornato al tuo livello?

Difficile da dire perché ci sono stati tanti alti e bassi. Non riuscivo a essere costante, avendo perso molte corse. A Plouay era già andata molto bene visto che non gareggiavo da mesi e sono riuscito subito a cogliere il podio in una corsa così sfiancante. Ho capito che ce l’avrei fatta, ma poi mentalmente non è stato facile accettare le controprestazioni delle uscite successive. Per fortuna, dopo i mondiali, nelle corse italiane ho trovato continuità e sono riuscito a recuperare meglio tra una e l’altra.

La costanza è la parola che meglio ti descrive guardando i numeri della tua carriera: che cosa ti porti delle ultime settimane per la prossima stagione?

Il sogno si chiama sempre Milano-Sanremo, ma ora sono dieci volte più motivato di prima. La mia carriera poteva finire quest’anno per colpa della salute o dei problemi mentali che ho avuto in seguito allo stop, per cui il fatto di aver superato quegli ostacoli così insidiosi mi spinge a credere ancora in me stesso. Nelle corse italiane avevo la testa sgombra come non mai e anche i dottori dicono che ho il corpo di un venticinquenne. Il fatto che me lo dicano ora che ne ho dieci in più non è così male.

Quanto è cambiato il ciclismo?

La mia carriera è molto lunga e passa attraverso diverse generazioni. Ho cominciato ai tempi di Boonen, ho sfidato Sagan nel mezzo e ora sono nell’era di Tadej. Sfortunatamente, ho incrociato sulla mia strada questi alieni che in bicicletta sanno fare cose stellari. Io cerco di fare il mio meglio e sono orgoglioso di come nel corso del tempo mi sono adattata a diversi modi di correre. Mi manca ancora il sigillo in una Monumento o in una grande classica che ho sfiorato più volte. Poi, l’anno prossimo il Tour de France comincerà con una cronosquadre, per cui la mia esperienza può essere utile anche in quell’occasione. Per il momento, mi godo ogni secondo e il fatto di essere tornato il Michael di sempre. Voglio soltanto continuare a divertirmi.

Si può dire che quello che ti è successo ti ha allungato la carriera?

Penso proprio di sì. Mi ha fatto realizzare quello che ho e apprezzare ogni singola opportunità che mi sta capitando.

Troppi virus: con l’idoneità (e il cuore) non si scherza

25.10.2024
6 min
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TORINO – Miocarditi, pericarditi e le tante insidie nell’ottenere l’idoneità sportiva. La ricerca medica fa passi da gigante senza dubbio, ma negli ultimi anni sono stati tanti, anche troppi i casi di anomalie cardiache o malori. Alcune hanno stroncato carriere illustri, come quella di Sonny Colbrelli nella primavera del 2022. Altre hanno persino portato via campioni in erba come più recentemente il ventunenne Simone Roganti o nell’ottobre dello scorso anno l’olandese Mark Groeneveld. Senza dimenticare l’ex iridato della mountain bike Dario Acquaroli, che ci ha lasciati ad appena 43 anni durante un’escursione in mountain bike. Sono soltanto alcuni dei tanti casi che vi abbiamo raccontato su queste pagine nell’ultimo periodo.

Tra un’intervista e l’altra ai portacolori della Jayco-AlUla durante le loro canoniche visite all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torino, abbiamo colto l’occasione per approfondire questo tema che purtroppo resta di attualità. A darci il polso della situazione, al termine delle visite dei corridori del team australiano in vista del 2025, ci ha pensato il dottor Ali Al Mohani.

«E’ il primo anno che seguo la Jayco-AlUla – comincia a raccontare – ma faccio da anni il cardiologo e visito gli atleti dal punto di vista sportivo e cardiologico perché ottengano l’idoneità. La mia percezione è che ci stia stato un aumento di episodi anomali dopo la pandemia, sia tra gli atleti professionisti sia tra la popolazione comune in generale. E’ difficile capirne l’origine, che potrebbe essere anche dovuta proprio al Covid, perché l’infezione virale aumenta il rischio di pericarditi e miocarditi».

Il dottor Ali Al Mohani è cardiolgo del centro Irriba di Torino. Dopo il Lombardia ha svolto le idoneità per i pro’ della Jayco-AlUla
Il dottor Ali Al Mohani è cardiolgo del centro Irriba di Torino. Dopo il Lombardia ha svolto le idoneità per i pro’ della Jayco-AlUla

Il rischio cardiologico

Chiunque faccia attività sportiva agonistica, anche soltanto per partecipare a una granfondo la domenica, necessita di ricevere l’idoneità. Già dopo la prima ondata del Covid, quando si è cominciato a tornare alla normalità, tutti ricordano che alcuni esami erano ancor più approfonditi, soprattutto se si aveva contratto il virus in maniera sintomatica.

«La visita agonistica-sportiva di idoneità e quella cardiologica sull’atleta – spiega il dottor Al Mohani – devono sempre essere svolte con estrema accuratezza. Qualunque dettaglio che esca dallo schema abituale deve attirare la nostra attenzione. Un rischio cardiologico in un atleta può essere la morte improvvisa o un evento aritmico maligno. L’accortezza da guardia alta è su tutti gli atleti in generale. Il ciclismo è uno sport molto comune in età adulta tra i 40 e i 50 anni. Se per i giovani di solito le visite sono più lineari, aumentando l’età, si fa più complessa anche la visita. Oltre al rischio di infezioni virali, aritmie e cardiomiopatie, entra in scena infatti anche il rischio di cardiopatia ischemica che in tutti i pazienti si manifesta col passare degli anni».

Dopo aver contratto il Covid nel 2021, Sagan fu fermato dai medici della Bora-Hansgrohe per scongiurare ulteriori rischi
Dopo aver contratto il Covid nel 2021, Sagan fu fermato dai medici della Bora-Hansgrohe per scongiurare ulteriori rischi

L’aumento delle anomalie

Quali possono essere i segnali di allerta per i dottori? «Siamo molto attenti sui sintomi di allarme. Ad esempio, in caso di dolore al torace, il nostro compito è quello di interrogare il paziente e capire la tipologia di questo fastidio. Spesso gli sportivi possono confondere dolori muscoli-scheletrici con un dolore cardiaco. Poi ci sono le palpitazioni, ovvero i battiti irregolari. In questo caso, è fondamentale chiedere al paziente se ha avuto dei giramenti di testa o la percezione di perdita di conoscenza: questi sono tutti segnali che possono accendere la prima spia. Poi, c’è la prova sotto sforzo, che ci permette di analizzare che non ci siano altri segnali strumentali. Mettendo insieme tutto, capiamo chi è idoneo a mettere sotto sforzo il suo cuore e chi è da indagare».

L’aumento di anomalie nello sport è un dato di fatto. «Sentiamo sempre di casi particolari sia nel ciclismo sia nel calcio. Non sempre è facile individuarli subito – prosegue – per riuscirci bisogna fare le cose in maniera iper-spinta, soprattutto coi ciclisti, che si mettono sotto sforzo costante per un numero elevato di ore ogni settimana. Poi si allenano in ambienti aperti, per cui sono più sensibili a infezioni del miocardio o del pericardio. Sono spesso persone che non riescono a rinunciare allo sport e che, davanti all’occhio del medico, cercano di esprimere il meno possibile il loro eventuale sintomo».

Sulla morte prematura di Simone Roganti, qui al Giro di Sicilia 2023, è stata aperta un’inchiesta
Sulla morte prematura di Simone Roganti, qui al Giro di Sicilia 2023, è stata aperta un’inchiesta

Il rischio pericardite

Lo sportivo, dentro di sé, vuol solo sentirsi dire che tutto va bene e che è pronto per una nuova annata, ma occorre cautela.

«Fare il ciclista ad alto livello è già un fattore di rischio – spiega il dottore – per quello bisogna essere molto aggressivi sia nell’interrogazione sia nella prova sotto sforzo, per non trascurare nessun possibile valore anomalo. I ciclisti sono maggiormente esposti o magari sono vittime di infezioni virali che non curano e continuano ad allenarsi o persino a correrci sopra. Questo comportamento vizioso può portare a pericarditi e infezioni del muscolo pericardico».

L’aspetto ambientale

Rispetto ad altri sport, infatti, non va dimenticato l’aspetto ambientale delle due ruote. «Un qualunque cicloamatore – aggiunge ancora il dottore dell’istituto torinese – in media fa all’incirca un centinaio di chilometri settimanali, spalmati in un paio di uscite. In particolare, spesso per la maggior parte del tempo della sua uscita è lontano da centri abitati e, se è in solitaria, può essere esposto a rischio elevato, essendo da solo e lontano da possibili soccorsi. Per questa ragione, il nostro obiettivo è metterlo in sicurezza anche in questa eventualità. Un calciatore, invece, se è vittima di un evento acuto, si trova sempre in un campo insieme a compagni di squadra e può ricevere assistenza immediata».

Sulla tecnologia, c’è ancora da lavorare secondo il dottor Al Mohani: «Un orologio con l’intelligenza artificiale o sistemi di monitoraggio può aiutare, ma potrebbe anche confondere un po’ le acque. Tanti ciclisti vengono a farsi visitare perché hanno frequenze anomale registrate sui loro orologi. Poi alla domanda se sono mai stati sintomatici, rispondono di no. Comunque, meglio un controllo in più che uno in meno. Anche se spesso, per fortuna, si tratta di errori del dispositivo tecnologico piuttosto che del loro cuore».

La lettura del battito anomalo sullo smartwatch può dare un’indicazione, ma necessita approfondimenti (depositphotos.com)
La lettura del battito anomalo sullo smartwatch può dare un’indicazione, ma necessita approfondimenti (depositphotos.com)

L’attenzione ai bambini

La prudenza, dunque, è comunque una buona prassi per le famiglie degli atleti e non solo per i diretti interessati. «Essere un atleta premuroso è un buon segnale. Ultimamente, riferendomi alla situazione piemontese che ho sotto i miei occhi, vedo più sensibilità nei confronti della Medicina sportiva e della Cardiologia dello sport. Le mamme e i familiari in generale sono più premurosi adesso. Se viene richiesta dal medico un’ecografia in più, si capisce che è qualcosa di normale, magari soltanto per investigare un piccolo soffio e togliersi il dubbio. In passato invece, si pensava: “Faccio fare la visita a mio figlio, che deve avere l’idoneità a tutti i costi”.

«Posso capire che una mamma si faccia prendere dal panico se sente che qualcosa nel cuore di suo figlio non funziona al 100%. In questi casi noi medici cerchiamo di avere un po’ di sensibilità nell’esprimere il nostro giudizio e nello spiegare il perché dell’eventuale controllo aggiuntivo. Non è mai tempo perso spendere una parola in più, né fare un controllo che magari ci toglie il dubbio. E permette poi al ragazzo o alla ragazza di tornare a fare quello che più ama in sicurezza».

De Pretto, un anno in più: il giovane cresce e sogna in grande

20.10.2024
5 min
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TORINO – Se tanti in gruppo gli dicono «Bravo, giovane», un motivo ci sarà. La prima stagione nel WorldTour per Davide De Pretto è stata tutta una scoperta, ma il ventiduenne di Thiene ha dimostrato di avere stoffa. Basti pensare che, pochi giorni dopo la chiacchierata con noi, ha sfiorato il podio del Giro del Veneto, chiuso al 4° posto. Senza dimenticare il primo hurrà tra i grandi al Giro d’Austria a luglio.

Come ci ha raccontato Luka Mezgec, arriverà il tempo in cui lo vedremo a braccia alzate in corse di spessore. Ma per il momento godiamoci, pedalata dopo pedalata, questo talento in erba e ci facciamo raccontare che cosa vuol dire limare tra i grandi verso le posizioni che contano.

Il 3 luglio a Bad Tatzmannsdorf arriva la prima vittoria da pro’ su Oliveira (foto Tour of Austria)
Il 3 luglio a Bad Tatzmannsdorf arriva la prima vittoria da pro’ su Oliveira (foto Tour of Austria)
Raccontaci la tua prima volta al Lombardia: com’è stata?

Impegnativa, senza dubbio. Sapevo che sarebbe stata una gara dura, ma ci sono arrivato preparato. Come squadra, forse ci aspettavamo qualcosa di più. Il mio lavoro era tenere davanti i miei compagni fino all’ultima salita lunga, poi io ho fatto il mio ritmo. Comunque, è stata una bella esperienza per il futuro.

Era come lo sognavi?

L’anno scorso ero andato all’arrivo del Lombardia e, vedendo vincere Pogacar, mi sono detto: «Sarebbe bello fare questa gara l’anno prossimo». In realtà, avevo fatto anche la Sanremo in primavera ed era stata anche quella una bella avventura.

Hai aperto e chiuso con due Monumento una stagione da ricordare: è quello che ti aspettavi dalla tua prima da pro’?

In realtà, non mi aspettavo tutti questi risultati da subito, già da gennaio. Sin dall’Oman, ho capito che potevo dire la mia e sono riuscito poi a mantenere la condizione per tutta la stagione.

Il 2024 di De Pretto è iniziato con la Sanremo e ha visto anche il Lombardia, corso in appoggio ai compagni
Il 2024 di De Pretto è iniziato con la Sanremo e ha visto anche il Lombardia, corso in appoggio ai compagni
Ci spieghi che cosa cambia col grande salto nel WorldTour?

L’organizzazione delle squadre prima di tutto. Sei seguito in ogni piccolo particolare, soprattutto negli allenamenti, monitorato dai fisio e ti controllano dai piedi alla testa. Ognuno viene trattato allo stesso livello, senza che il palmares abbia un peso.

Hai fatto più o meno chilometri dello scorso anno?

Secondo me qualcuno in meno come totale, tipo 2.000 in meno, però quest’anno ho corso decisamente di più. Mi sono divertito molto ed essere al via con la maglia di una squadra importante è stato davvero stimolante.

Chi è il corridore che ti ha insegnato di più o che ti ha colpito?

Le prime gare mi guardavo attorno e scovavo corridori che ero abituato a seguire la tv. Mi ricordo ad esempio che mi ha impressionato Mohoric in Spagna, quando è andato via in discesa e ha vinto alla Vuelta Valenciana. Oppure in un’altra occasione McNulty. Poi ci fai l’abitudine, a forza di correrci insieme e cominci a pensare a te stesso. 

Ti piace come ti ha accolto il gruppo?

Sì, in tanti mi dicono: «Bravo, giovane». Essendo neopro’, è così che vengo chiamato da chi è già nel circuito da qualche annetto. Sanno che posso essere pericoloso perché ho iniziato a farmi notare.

Dopo le top 10 al Pantani e al Matteotti, De Pretto ha partecipato al mondiali U23, ma non li ha terminati a causa del freddo
Dopo le top 10 al Pantani e al Matteotti, De Pretto ha partecipato al mondiali U23, ma non li ha terminati a causa del freddo
Che cosa ti aspetta nel futuro prossimo?

Un po’ di vacanza in Kenya con la mia fidanzata Elisa (con lui nella foto di apertura dopo il quarto posto al Giro del Veneto, ndr). Ci conosciamo dalle medie e quest’anno mi ha seguito praticamente ovunque, sin dalle corse di inizio stagione in Spagna. Per cui ora voglio godermi qualche giorno di relax con lei per arrivare all’anno prossimo ancora più carico.

Piani per il 2025?

Spero di fare il primo Grande Giro della mia carriera e mi auguro sia proprio il Giro d’Italia. Poi sarebbe bello qualche vittoria o podio importante in gare che contano. Ci saranno nuovi corridori in squadra, per cui sono pronto ad aiutarli.

Ti stuzzicano arrivi come quelli di Ben O’Connor e Koen Bouwman?

Ho incrociato Ben alle visite qui a Torino e abbiamo cominciato a conoscerci. Lui come Koen sono corridori importanti e ti stimola anche aiutarli perché sai che possono ottenere buoni risultati.

Ti senti più uomo da classiche o da Grandi Giri?

L’anno prossimo spero di testarmi sulle tre settimane così vedremo. Per ora mi trovo bene nelle gare a tappe più corte, quelle di una settimana, poi nelle gare di un giorno ravvicinate l’una all’altra ho visto che se ho un recupero in mezzo di uno o due giorni, riesco a farmi trovare pronto. 

Una settimana dopo il ritiro dal mondiale U23, per De Pretto è venuto l’ottavo posto alla Coppa Agostoni
Una settimana dopo il ritiro dal mondiale U23, De Pretto è arrivato ottavo alla Coppa Agostoni
Sogni nel cassetto?

Ho fatto la Sanremo quest’anno e sono arrivato nel secondo gruppo, a 30 secondi dal primo. Quindi, direi che è una gara che mi si addice. Sarebbe un sogno, perché sono quelle vittorie che ti svoltano la carriera.

Hai chiesto qualche consiglio a Matthews che l’ha sfiorata a ripetizione?

Non l’ho visto tanto in verità, perché abbiamo fatto un calendario abbastanza diverso. Però, ero presente quando ha fatto 2° alla Sanremo lo scorso marzo. Era dispiaciuto, ma anche contento perché un secondo posto in una Monumento è pur sempre un bel traguardo. E’ un ragazzo come gli altri, molto tranquillo e disponibile.

La Sanremo dal 2025 aprirà anche alle donne: il tuo commento?

Penso che oramai tutte le gare più importanti abbiano una versione femminile, per cui questo è un altro bel passo in avanti.

Ai giovani che sono lì per fare il salto da pro’, che consiglio daresti?

Di prepararsi bene durante l’inverno, poi fare sempre le cose fatte bene e i risultati si manifestano già nel corso della stagione. Non bisogna mai aver fretta e lavorare duro ogni giorno.

Mezgec e la Slovenia, un popolo a ruota dei giganti

16.10.2024
6 min
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TORINO – «In ogni angolo della Slovenia si parla soltanto di ciclismo». Sorride sornione Luka Mezgec, prima di sottoporsi alle visite oramai di rito di fine stagione della Jayco-Alula all’Istituto delle Riabilitazioni Riba. Il Lombardia ha consacrato la stagione magica di Tadej Pogacar, faro di una Nazione che si è presa tutti e 3 i Grandi Giri (e non solo!) grazie al poker calato alla Vuelta da Primoz Roglic. 

Così abbiamo chiesto a chi era a Zurigo per contribuire al trionfo iridato di svelarci come si vive da dentro questa epoca d’oro delle due ruote per un Paese abituato a celebrare i campioni della neve o del basket. Una panoramica del travolgente momento sloveno, prima che l’uomo di fiducia delle volate per Dylan Groenewegen si rituffi sulle sue prospettive verso la decima stagione con la formazione australiana di cui oramai è una bandiera. Non è sfuggito, fra l’altro, che la sua vittoria nella tappa di Trieste al Giro del 2014 sia stata una fortissima ispirazione per il piccolo Pogacar, che lo ha più volte raccontato.

Abbiamo incontrato Mezgec durante le visite del Team Jayco-AlUla all’Istituto Riba di Torino, all’indomani del Lombardia
Abbiamo incontrato Mezgec durante le visite del Team Jayco-AlUla all’Istituto Riba di Torino
Il 2024 ha segnato lo strapotere sloveno nei Grandi Giri e l’anno perfetto di Tadej Pogacar: quali sono le tue impressioni?

E’ difficile fare meglio di così. Fa specie pensare che la Slovenia conti appena 2 milioni di abitanti e 3 squadre continental. In più, a parte poche eccezioni, la maggior parte delle formazioni nel nostro Paese fanno fatica economicamente dal punto di vista degli sponsor. E’ davvero un miracolo quello che sta accadendo. Ora abbiamo 7 corridori nel WorldTour e alle spalle di questi ci sono giovani talenti che stanno emergendo, dagli juniores in su. Ogni anno in Slovenia diciamo che sarà dura ripetere quanto fatto, ma questa stagione è stata qualcosa di pazzesco. Pensando anche alla vittoria di Roglic alla Vuelta, sono certo che molte persone non si rendano conto del periodo che stiamo vivendo. Siamo in un’epoca d’oro e dobbiamo solo goderci questo show, sperando che sia d’ispirazione per i ragazzini che stanno cominciando a pedalare.

Ci racconti il trionfo mondiale?

E’ stato un momento incredibile. Per la prima volta da quando la corro, eravamo al via della prova in linea per vincerla e non “soltanto” per un piazzamento sul podio. A Zurigo per noi contava soltanto l’oro e chiunque sarebbe stato deluso se ci fossimo fermati all’argento. C’erano grandissime aspettative, eppure la squadra era molto rilassata.

Ci spieghi com’è stata possibile quest’atmosfera al netto delle pressioni?

Siamo tutti abituati a vivere in un ambiente molto stressante, per cui non c’erano grosse differenze. Tutti sapevano cosa dovevano fare e l’hanno fatto alla grandissima. Tadej ha leggermente modificato il piano, attaccando prima del previsto, ma a parte quello è andato tutto secondo i piani. Tratnik è stato perfetto. Sapeva esattamente cosa fare quando ha capito che Pogacar era partito alle sue spalle.

Questa la vittoria di Mezgec al Giro del 2014 che ispirò il giovane Pogacar
Questa la vittoria di Mezgec al Giro del 2014 che ispirò il giovane Pogacar
Che cosa hai detto a Tadej dopo l’apoteosi iridata?

La domanda che gli ho fatto è stata: «Ma perché hai attaccato a più di 100 chilometri dal traguardo? A che pensavi?». E lui, senza fronzoli, mi ha risposto: «Stavano attaccando in tanti, mi sono guardato attorno e ho visto che tutti stavano soffrendo, mentre io non mi sentivo così male e così ci ho provato». Insomma, la tipica mossa imprevedibile alla Tadej. Ma quando sei così tanto più forte degli altri come lo è lui in questo momento, il ciclismo diventa un giochino divertente.

E del suo assolo al Lombardia, cosa dici?

Quest’anno Tadej ha davvero alzato l’asticella. Sappiamo che ha cambiato allenatore e i risultati si sono visti. Nella prima parte della stagione si è focalizzato sui giri di tre settimane, mettendo nel mirino Giro d’Italia e Tour de France. Una volta vinto quest’ultimo, il suo unico pensiero era diventare campione del mondo. Così è riuscito ad avere un secondo picco di forma sul finale, rinunciando anche ai Giochi di Parigi. E’ imbattibile al momento e anche al Lombardia si è visto che non ha dovuto nemmeno attaccare a tutto gas per fare la differenza. 

Sei alla Jayco-Alula da quasi un decennio, ci dai un bilancio di quest’anno?

Penso che il 2024 sia stato sopra la media se si parla di successi come squadra. Abbiamo centrato quasi tutti gli obiettivi che ci eravamo posti a inizio stagione, grazie a una ottima Vuelta con due vittorie di tappa, senza dimenticare il successo al Tour di Dylan (Groenewegen, ndr). Forse ci saremmo aspettati qualcosa di più per quanto riguarda la classifica generale nei Grandi Giri, ma abbiamo visto com’è andato quest’anno con tanti acciacchi e malattie. Ad esempio Simon (Yates, ndr) non si è sentito bene un giorno e la posizione in graduatoria al Tour è peggiorata. Nel complesso, possiamo essere contenti. Il team sta ringiovanendo e questo è molto positivo per il futuro e per noi corridori più esperti si tratta di trasferire le nostre conoscenze e la nostra esperienza ai giovani.

Come vedi De Pretto?

E’ davvero un ottimo corridore. Davide è arrivato in squadra come talento promettente, in virtù di alcuni buoni risultati a livello giovanile. Ha subito mostrato che può dire la sua anche nel WorldTour. Sarà interessante seguire la sua crescita nei prossimi due anni e assistere ai suoi successi.

La vera rivoluzione però avviene con la fine dell’era Yates e l’arrivo di Ben O’Connor: che ne pensi?

Ben si prepara a indossare scarpe molto più grandi delle sue, ma ha già dimostrato di poterlo fare al meglio. Ha fatto una grandissima stagione con i secondi posti nella classifica generale della Vuelta e poi ancora ai Mondiali di Zurigo. Se lavorerà ancora sulle corse di un giorno, può far risultato anche nelle Monumento come ad esempio la Liegi-Bastogne-Liegi. Sarà bello lavorare con un nuovo capitano per la generale dopo tanti anni al servizio dei fratelli Yates. Poi, un australiano in una formazione australiana…

Che cosa ti aspetti dal 2025?

Il mio obiettivo personale è di assistere Dylan nel miglior modo possibile, come ho fatto in passato. So che invecchio, ma penso di avere ancora un paio d’anni al top. Conto di essere lì per aiutarlo a vincere il più possibile. Come squadra abbiamo grandi piani con Ben O’Connor per la classifica generale del Tour o di quel che metterà nel mirino. Poi, vincere una tappa nei tre Grandi Giri: quest’anno ci è mancato solo il Giro d’Italia.

Al Tour la vittoria con Groenewegen è stata uno degli highlight 2024 per la Jayco-AlUla
Al Tour la vittoria con Groenewegen è stata uno degli highlight 2024 per la Jayco-AlUla
Anche perché al Tour ci hai messo lo zampino tu…

Dylan era in forma smagliante ed è stato bellissimo guidarlo al successo. In quello sprint non tutto è stato perfetto, ma non ci siamo fatti prendere dal panico quando ci siamo persi l’un l’altro prima di un punto cruciale come i -2 dall’arrivo. Elmar (Reinders, ndr) è stato fantastico e, con tutta calma, ci ha riportato avanti. Io ho creato un po’ di spazio all’ultima rotonda e Dylan ha preso la ruota giusta. Quando lavori 6 mesi per un momento così, quello che senti è qualcosa di speciale. Provo la stessa sensazione di quando vinco in prima persona.

VIDEO/Chaves: «L’uomo si adatta ad ogni situazione»

13.12.2020
2 min
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Il piccolo scalatore colombiano ha compiuto 30 anni a gennaio e si affaccia sulla decima stagione da professionista con il solito sorriso. «E' stato molto positivo che si siano corsi i grandi Giri e anche il mondiale. Il ciclismo, come l'uomo, è stato capace di adattarsi». Fra i suoi obiettivi le grandi gare a tappe e un invito spiritoso: non aspettiamolo sul pavé...

Chaves sorride, ma non si vede. La mascherina è il peggior bavaglio al suo proverbiale marchio di fabbrica, ma quello che più conta è che il colombiano della Mitchelton-Scott (così fino al 31 dicembre) è nello stato d’animo adatto per ricominciare la nuova stagione.

In questo video raccolto in esclusiva da Alberto Dolfin, il colombiano traccia il suo bilancio di quello che è stato e la previsione di quello che potrebbe essere. Per la gioia dei tifosi che trattengono il respiro dalla tappa di San Martino di Castrozza al Giro del 2019. Nel 2020 Esteban ha corso il Tour e la Vuelta. E proprio nella corsa spagnola ha lasciato intravedere le cose migliori, con il quarto posto nella prima tappa ad Arrate.

«E’ stata una stagione molto intensa dopo il lockdown – dice in questo video – ma il ciclismo ha dimostrato di sapersi rialzare. Finire i tre grandi Giri e aver fatto anche il campionato del mondo è stato importante. Questo dimostra che le corse si potranno fare anche nella prossima stagione, perché la situazione sembra che si allungherà».

Esteban Chaves, Giro d'Italia 2020
Esteban Chaves, sull’Etna, all’ultimo Giro d’Italia
Esteban Chaves, Giro d'Italia 2020
Scalando l’Etna all’ultimo Giro d’Italia

La profezia è fosca, ma realistica. Basta non lasciarsi buttare giù, fa capire con gli occhi che sorridono al posto della bocca, e fare quello che le restrizioni consentono.

«Non è stato facile né per noi né per nessuno – dice – penso che è stato molto difficile in tutti gli ambiti, ma si è dimostrato una volta in più che gli umani si adattano in modo molto veloce ad ogni situazione e il ciclismo non è un’eccezione».

Il resto lo scoprirete seguendo il video e ascoltando i concetti dalla sua stessa voce. Mentre lui sarà in volo verso la Colombia, portando con sé la sua nuova bici Bianchi, per riabbracciare la famiglia e prepararsi per la prossima stagione.

VIDEO/Yates è guarito e aspetta il Giro

09.12.2020
2 min
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Simon Yates, a Torino per le visite mediche prima di inizio stagione, racconta la sua stagione sfortunata. Prima la Tirreno-Adriatico vinta da dominatore, poi il Giro d'Italia, iniziato con grandi ambizioni e finito in anticipo a causa del Covid...

«Sto bene, bene grazie – dice Simon Yates – ho già ricominciato ad allenarmi per la nuova stagione e non vedo l’ora che inizi».

Parte così la nostra chiacchierata con il corridore britannico, che nel 2021 sarà ancora nel gruppo GreenEdge Cycling e correrà separato dal fratello Adam, passato al Team Ineos-Grenadiers. L’incontro si è svolto presso il Centro IRR di Torino (Istituto delle Riabilitazioni Riba), dove Brent Copeland ha convocato Yates e Esteban Chaves, di cui vi racconteremo nel prossimo video.

La collaborazione fra il Centro e il manager sudafricano era iniziata sin dai tempi in cui Brent guidava il Team Bahrain-McLaren e si è pensato bene di non interromperla proprio ora che Brent ha preso in mano la ex Mitchelton-Scott. Che oltre ai vertici ha cambiato anche le bici, passando a Bianchi.

Dottor Riba centro IRR, Brent Copeland
Le visite si sono svolte presso il Centro IRR del dottor Riba, scelto da Brent Copeland
Dottor Riba centro IRR, Brent Copeland
Il dottor Riba del Centro IRR e Brent Copeland

«Il 2020 – prosegue Yates – è stato un anno storto, ma sapevamo i rischi che correvamo per continuare a correre. Al Giro ero in grandissima forma, ma non è andata bene. Vediamo cosa offre l’anno prossimo e magari sarò di ritorno. Abbiamo visto il percorso del Tour, aspettiamo quello del Giro. Torno qui sempre volentieri, perché amo le gare che fate, la gente e la cultura che si respira qui».

Il discorso va poi avanti parlando di quanto sarà strano ed emozionante correre contro suo fratello Adam. E poi anche di Ganna, visto che lo stesso Simon in passato era un inseguitore…