Karel Vacek ha detto basta. E non cerca alibi…

14.02.2025
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Proprio nel giorno in cui Mathias Vacek esordiva nella stagione aggiudicandosi la prima tappa della Volta a la Comunitat Valenciana, suo fratello Karel annunciava il suo ritiro dalle scene ciclistiche a soli 24 anni. Un contrasto che stride, considerando come Karel, più vecchio di due anni, sia stato sempre una guida per il talentuoso corridore ceko della Lidl-Trek.

Karel Vacek è uno dei quei corridori rimasto sempre sul punto di esplodere, con buoni risultati che evidentemente non sono stati sufficienti a dargli quella sicurezza per potersi garantire un’esistenza permanente e tranquilla nell’ambiente e questo l’ha convinto a un passo indietro doloroso ma vissuto con consapevolezza.

Il terzo posto nella tappa dell’Iztulia Basque Country, vinta da Meintjes è il miglior risultato 2024
Il terzo posto nella tappa dell’Iztulia Basque Country, vinta da Meintjes è il miglior risultato 2024

«La decisione l’avevo già in animo a fine stagione, poi a Natale sono giunto alla conclusione che era la cosa giusta da fare. Che cosa mi ha portato a questo? Il vivere una carriera in continuo saliscendi, precaria, dovendo cambiare tutto a ogni fine anno. Le ultime due stagioni sono state positive, con molti buoni risultati, ma vedevo che non salivo di livello, che non tornavo a quel WorldTour che era il mio obiettivo. Alla Burgos potevo rimanere un altro anno ma non me la sono sentita».

Come hai vissuto una decisione così difficile?

In maniera consapevole e matura. Mi sono messo davanti alla realtà, mi sono accorto che il ciclismo non mi restituiva abbastanza per quanto ci ho investito sopra e mi sono trovato davanti a un bivio: continuare in questo logorante tira e molla oppure trovare la forza per girare pagina. La mia età mi consente di fare una scelta e cambiare mettendoci tutto me stesso in qualcosa di nuovo, cambiare strada era la scelta migliore in questo momento.

Sul Gran Sasso il grande giorno di Karel Vacek al Giro 2023, secondo dietro Davide Bais
Sul Gran Sasso il grande giorno di Karel Vacek al Giro 2023, secondo dietro Davide Bais
Se ti guardi indietro, che cosa ti ha impedito di diventare quel che speravi?

Difficile dirlo, ma su un concetto voglio essere ben chiaro: non posso dare la colpa a nessuno, le cose sono semplicemente andate così. Molti dicono che la mia generazione sia stata penalizzata dal Covid, da quelle due annate (2020-2021, ndr) stravolte nel loro calendario, ma rendiamoci conto che per molti versi è solo un alibi e che proprio quel periodo così diverso dal solito ha contribuito fortemente a cambiare il ciclismo, a renderlo quello che è ora, molto diverso da quello del decennio precedente.

C’era però meno spazio per emergere, meno opportunità per affrontare l’attività in maniera canonica…

Ripeto, secondo me è un alibi al quale non voglio fare ricorso. Ci si allenava comunque, si andava comunque alle corse. Il ciclismo è questo, non tutti arrivano a quella fatidica soglia, sono tanti i fattori che contribuiscono a cogliere l’opportunità o meno. Serve talento, serve fortuna. I momenti buoni ci sono stati anche per me, ma proprio allora le cose non hanno girato nella maniera giusta.

Alla Qhubeka Vacek aveva trovato la porta del WorldTour, ma il sogno è durato un solo anno
Alla Qhubeka Vacek aveva trovato la porta del WorldTour, ma il sogno è durato un solo anno
C’è un momento specifico che identifichi come decisivo nella tua carriera?

Probabilmente l’anno alla Qhubeka, il 2021: avevo in tasca un biennale, ero nel WorldTour e il primo anno era andato bene. Ero under 23 ma già svolgevo attività da professionista a tutti gli effetti. Poi però tutti sanno come sono andate le cose, la squadra si è sciolta e io mi sono ritrovato al Tirol KTM, un team continental. Era un passo indietro a tutti gli effetti, dovevo ricominciare tutto da capo. Ci ho provato, ma senza successo.

Il fatto di aver dovuto cambiare squadra ogni anno ti ha penalizzato?

Probabilmente non mi ha aiutato, non trovavo stabilità, ma non per questo posso lamentarmi, anzi era già tanto trovare sempre un team dove correre. Alla Burgos, l’ultimo team, stavo anche bene e il team mi aveva garantito la permanenza, ma sono io che non mi sentivo più di poter dare il 100 per cento. Soprattutto non mi vedevo più per quello che avrei potuto essere.

Un anno alla Tirol, tornando indietro dal WorldTour. Bisognava ripartire quasi da zero…
Un anno alla Tirol, tornando indietro dal WorldTour. Bisognava ripartire quasi da zero…
Che cosa ti aspettavi?

Quand’ero junior tutti sanno che ero considerato il numero 2 al mondo, dietro Evenepoel e mi vedevo come protagonista nei Grandi Giri. Lì forse ho commesso qualche errore, il non avere un manager di peso mi può aver penalizzato, anche se poi l’ho trovato in Carera che mi ha aiutato molto. Sono arrivato in Italia e non potrò mai dire grazie abbastanza a Giorgi che mi aveva voluto con sé, portandomi in Italia dove ho imparato tanto. Ho continuato a crescere attraverso Hagens Berman Axeon e Colpack fino alla Qhubeka, poi lì le cose si sono fermate.

Lo snodo è stato lì?

Penso di sì perché poi alla Tirol, che pure è un ottimo team, sono sparito dai radar, scendendo di categoria e conseguentemente di calendario. Non trovavo più la strada giusta. Ne ho parlato a lungo con il manager e con mio fratello, volevo smettere non da sconosciuto e il fatto di chiudere dopo una stagione nel complesso positiva mi ha aiutato nella difficile decisione.

Karel intende restare nel mondo delle due ruote, attraverso un nuovo progetto
Karel intende restare nel mondo delle due ruote, attraverso un nuovo progetto
Se ti guardi indietro qual è il momento più bello?

Ne individuo tre: il primo quando sono arrivato in Italia. Non conoscevo la lingua, dovevo abbinare il ciclismo alla scuola, era tutto nuovo per me, ma è stato un periodo molto formativo anche dal punto di vista personale. Con Giorgi sono sempre rimasto in contatto, ogni anno mi sono trovato il tempo per andarlo a trovare. Il secondo è il Giro d’Italia 2023 alla Corratec: un’esperienza magica essere in quello che era il mio sogno, conquistando anche un podio e tanti buoni risultati. Il terzo nel 2022 quando mi sono ritrovato a correre il Tour de l’Avenir con mio fratello Mathias: non siamo mai riusciti a ritrovarci in un team, condividere una corsa è stato un momento molto particolare.

E ora?

Non lascio il mondo del ciclismo, questo è sicuro. Solo che voglio restarci in una maniera diversa, attraverso un progetto tutto nuovo che sta per vedere la luce e nel quale dedicherò tutto me stesso. Per ora posso dire solo una cosa: non vi libererete di me…

Da Parigi all’Himalaya. Il pazzo agosto di Aaron Gate

13.09.2024
7 min
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E’ stato un agosto particolare quello di Aaron Gate. Prima le Olimpiadi a Parigi, poi l’inedita e vittoriosa trasferta alla Trans Himalaya, seguita da un’altra vittoria al Tour of Hainan, nel frattempo l’annuncio del suo passaggio nel 2025 all’Astana, approdando nel WorldTour a 33 anni suonati. Ci sta quindi che, appena tornato a casa, la moglie lo abbia “requisito” per qualche giorno: «Non si parla di ciclismo quando siamo insieme, questo è il patto. Ci sentiamo fra qualche giorno».

Alla Trans Himalaya Gate ha preceduto di 4″ Rinukov (RUS) e di 26″ Chia (COL)
Alla Trans Himalaya Gate ha preceduto di 4″ Rinukov (RUS) e di 26″ Chia (COL)

Trascorso il periodo di “embargo”, il neozelandese è pronto a raccontarsi ma soprattutto a descrivere quello che ha vissuto in una gara così particolare come quella himalayana.

«Inizialmente – racconta – non era nel mio programma. Il mio diesse mi ha chiamato un paio di settimane prima delle Olimpiadi e mi ha detto che avevano questa opportunità di fare quest’altra gara appena prima di Hainan. Pensava che sarebbe stata una buona idea per me. Con le sue tappe più brevi era in un certo senso più adatta per riabituarmi alla strada. Poi, s’intende, c’era il fascino del luogo. Non è una cosa che capita molto spesso nella vita. Quindi ho pensato che potesse essere una bella esperienza e una bella avventura, ho accettato di andarci invece di fare altre gare in Francia».

Gate è rimasto colpito dalla qualità dei percorsi e soprattutto dell’asfalto, senza buche e avvallamenti
Gate è rimasto colpito dalla qualità dei percorsi e soprattutto dell’asfalto, senza buche e avvallamenti
Come sei arrivato alla vittoria?

La prima tappa è stata un po’ complicata con numerose fughe. In queste gare i bonus dei traguardi volanti sono sempre molto, molto importanti. Quindi ho puntato ad agguantarne subito uno. Sono riuscito a staccarmi dalla fuga e sono partito da solo per prendere il primo sprint intermedio. Più avanti nella gara c’era una fuga con due nostri davanti. Su una piccola salita, ho visto un’opportunità per attaccare e con un altro corridore siamo riusciti a colmare il divario di un minuto e mezzo con il gruppo di testa.

La corsa si è decisa lì?

Diciamo che ho creato le condizioni per la classifica generale. Il giorno dopo, il mio compagno di squadra George Jackson e io abbiamo attaccato con due membri di una squadra molto forte, composta principalmente da russi, così abbiamo consolidato la testa della classifica. E poi ho dovuto solo assicurarmi di non perdere troppo tempo sui secondi bonus nella tappa finale per assicurarmi la vittoria generale.

La Trans Himalaya ha sempre grande seguito. Gate era molto ricercato da media e tifosi locali
La Trans Himalaya ha sempre grande seguito. Gate era molto ricercato da media e tifosi locali
Com’erano i percorsi e come ti sei trovato con l’altitudine?

L’altitudine è stata sicuramente la componente più interessante della gara. In realtà non abbiamo fatto molta salita in termini di altitudine, tutte le strade erano in realtà una specie di pendenza graduale. Non avevamo niente di più di una media del 3 o 4 per cento. Davvero bello. Una corsa sicura, con bei percorsi, anche bel terreno di gara. E’ stato in realtà molto piacevole in tal senso. Non c’era nessuna buca sulla strada o superfici ruvide con cui fare i conti. L’altitudine però ha contribuito a determinare la gara perché sforzi a quel tipo di altitudine si sentono, ci vuole molto a recuperare. Praticamente l’intera gara era tra 3 e 4 mila metri di altitudine. Quindi è diverso da quello che incontri in Europa o da quello che ho incontrato prima.

Gareggiando è difficile vedere i paesaggi, ma che cosa ti è rimasto impresso di questo Paese?

Abbiamo avuto alcuni lunghi trasferimenti in pullman tra le tappe, quindi abbiamo avuto un sacco di tempo per guardare fuori dal finestrino e osservare il panorama e penso che la cosa folle fosse quella. Trascorrevamo molto tempo nelle valli, che erano già a questa altitudine di 3.000-4.000 metri e poi sopra di te, avevi ancora queste enormi, torreggianti montagne. La vastità dei paesaggi era qualcosa di molto particolare. Guardi in alto e c’è una montagna di oltre 5.000 metri sopra di te e anche molti degli edifici storici dei Dalai Lama erano piuttosto belli. Si sono impegnati per realizzare l’inizio e la fine delle tappe in luoghi significativi nella storia del Tibet, quindi è stato bello poterne vedere alcuni.

I trasferimenti in pullman erano occasione per conoscere il territorio
I trasferimenti in pullman erano occasione per conoscere il territorio
Hai vinto la Trans Himalaya e poi hai vinto il Tour of Hainan. Ti ritieni più uno specialista di corse in linea o di corse a tappe?

Mi piacciono molto le corse a tappe perché hai più di un’opportunità per provare qualcosa. E’ un po’ come la corsa a punti in pista rispetto a una corsa scratch, puoi provare qualcosa e se non funziona puoi modificare la tua strategia e provare qualcos’altro. Hai lo stress che tutto deve andare bene ogni giorno, infatti è stata una sensazione di sollievo quando abbiamo superato lo striscione dei tre chilometri all’arrivo nella tappa finale perché dopo quello sapevo di essere al sicuro.

Eri partito per vincere?

Vincere non è qualcosa che mi aspettavo di fare, la mia ambizione era di aiutare e supportare i miei compagni di squadra, ma è successo che la mia forma dopo le Olimpiadi era molto migliore di quanto mi aspettassi sulla bici da strada. Quindi ho dovuto sfruttarla al meglio. Non è stato facile fare entrambe le cose. Finita la corsa sull’Himalaya abbiamo dovuto viaggiare per tutto il giorno e la notte per andare a letto fino all’isola di Hainan, e siamo arrivati solo alle 2,30 del mattino prima di iniziare la prima tappa di Hainan alle 10. È stata sicuramente una sfida, quella prima tappa, ma fortunatamente ci siamo comportati bene come squadra e siamo stati in grado di sostenere le prestazioni.

Non pago del successo sull’Himalaya, il neozelandese ha vinto anche il Tour of Hainan
Non pago del successo sull’Himalaya, il neozelandese ha vinto anche il Tour of Hainan
Tu hai lavorato su pista per 3 mesi concentrandoti sui giochi olimpici, ti ha aiutato tornando alla strada?

Penso che senza rendermene conto ci fossero elementi della preparazione della pista che avrebbero aiutato sulla strada. Per cominciare, con la Burgos Bh abbiamo fatto un blocco di allenamento in quota ad Andorra, anche se solo a 2.000 metri, ma penso che aiuti solo con parte dell’acclimatamento richiesto per il Tibet e penso anche per la natura dell’allenamento che facciamo per la pista. E’ molto anaerobico. Sai che hai la potenza breve su cui ti concentri di più usando i muscoli piuttosto che i polmoni a causa dello stile della pista. Essere in grado di spingere le grandi marce dalla linea di partenza è tutto per l’inseguimento a squadre. Quindi penso che probabilmente aiuti senza rendersene conto. La mancanza di ossigeno significava che dovevi usare i muscoli per spingere la bici, quindi è stato un bel bonus averlo.

Qual è il tuo bilancio dei giochi olimpici?

Sicuramente deludente per me. Me ne sono andato con un quarto posto e due quinti che non erano i risultati che volevo o per cui sentivo di allenarmi o di essere capace. Ma alle Olimpiadi tutti si presentano al massimo, con la migliore attrezzatura e il meglio di tutto. Io sono ancora orgoglioso di come ho corso. Ma ovviamente volevo di più per finire la mia carriera su pista. Ora mi sono riconcentrato sulla strada per il resto della mia carriera, ma forse dovrò aprire una porticina per un altro tentativo a Los Angeles. Vedremo.

Gate a Parigi è stato 4° nella madison, 5° nell’omnium e con il quartetto
Gate a Parigi è stato 4° nella madison, 5° nell’omnium e con il quartetto
L’anno prossimo sarai all’Astana, entri così nel WorldTour e cresce il livello delle tue gare: che speranze hai per il nuovo anno?

Spero di poter continuare a migliorare tutti gli aspetti della mia carriera finora. E’ una bella opportunità per fare gare più grandi che non ho mai fatto prima e anche per rivisitare alcune gare che non ho fatto da quando ero con Aqua Blue Sport molti anni fa. Non vedo l’ora di affrontare la sfida di lavorare con il nuovo team e a un livello più alto, e spero di poter contribuire ai loro punti molto importanti, per mantenere il team storico nel World Tour.

Che cosa significa per te entrare nel WorldTour a 33 anni?

Significa molto e sfrutterò al meglio l’opportunità di sicuro e spero che non sia l’unico anno in cui io sarò nel World Tour.

Langellotti, un monegasco che vive con i campioni in casa…

18.08.2024
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E’ ormai risaputo che a Montecarlo c’è una clamorosa concentrazione di ciclisti professionisti. Il buon clima e le agevolazioni fiscali convincono ormai da anni a spostarsi nel Principato, dove sulle strade e in bici si parlano tutte le lingue del mondo. Non ci si è mai chiesti però che cosa ne pensino i corridori locali, se quest’agglomerato di talento sta avendo effetti anche sul movimento locale.

La notizia di pochi giorni fa è che la Ineos Grenadiers, nel suo processo di rinnovamento per il 2025, ha ingaggiato anche un corridore monegasco, Victor Langellotti già nel giro delle professional, venendo dalla Burgos BH. Tocca a lui farci un po’ da Cicerone per le strade di Montecarlo per capire come viene vissuta la presenza di tanti campioni.

Per il monegasco nel 2024 la piazza d’onore al Classic Grand Besançon Doubt
Per il monegasco nel 2024 la piazza d’onore al Classic Grand Besançon Doubt
Come sei arrivato a praticare il ciclismo?

Ho cominciato a circa 12 anni. Mio padre andava in bicicletta quando ero piccolo e quindi è stato lui a trasmettermi la passione per il ciclismo.

Nel 2022 hai vinto la prima corsa per un ciclista monegasco: che ricordi di quel giorno?

Era un sogno. Non pensavo che un giorno sarei riuscito a vincere una gara professionistica. E’ stato un grande momento per me e per il mio team Burgos BH perché erano passati 2 anni dall’ultima volta che la squadra era riuscita a vincere una gara. Quindi è stato un momento fantastico e ho potuto condividerlo con tutta la squadra. Inoltre è diventato un momento storico per il mio Paese. Il Principe mi ha chiamato per farmi i complimenti quindi ho davvero un bel ricordo.

La vittoria di Langellotti alla Volta a Portugal nel 2022, precedendo Moreira e McGill
La vittoria di Langellotti alla Volta a Portugal nel 2022, precedendo Moreira e McGill
A Monaco risiedono molti campioni di ciclismo, capita mai d’incontrali anche in allenamento?

Sì, molto regolarmente poiché sono moltissimi i ciclisti professionisti che vivono a Monaco. Penso che attualmente siano una quarantina, relativamente solo al WorldTour. Quindi, ogni giorno in allenamento ci incontriamo. Alcuni pedalano insieme, ne incontriamo moltissimi. Anche stamattina sono andato ad allenarmi e ho potuto incontrare Mohoric e Pogacar.

Con quali corridori fra quelli che risiedono a Monaco hai più legato?

Con il mio connazionale Antoine Berlin, che corre nella squadra continental di Bike Aid. E’ davvero quello a cui sono più vicino e con cui mi alleno più spesso. Di regola però preferisco allenarmi da solo. Infatti mi permette di concentrarmi sugli esercizi che devo fare in allenamento.

Nei suoi allenamenti il monegasco incontra sempre grandi campioni, dirigendosi verso l’Italia
Nei suoi allenamenti il monegasco incontra sempre grandi campioni, dirigendosi verso l’Italia
Come sono le strade per allenarsi nella tua città, che percorsi ci sono?

Monaco è molto piccola, è solo 2 chilometri quadrati. Quindi per allenarci dobbiamo partire da Monaco e andare in Francia e Italia perché il confine italiano non è lontano. Penso che siamo a 14-15 chilometri da Ventimiglia, da lì troviamo terreno molto montuoso, ci sono tantissime salite e colline, l’ideale per allenarsi. Poi c’è tutta la parte sul mare, tutta la costa, quella è per la maggior parte piatta. E poi, appena torniamo, ci addentriamo nell’entroterra. Lì ci sono molte salite e di conseguenza l’allenamento può diventare rapidamente molto duro. Ma è anche un fantastico parco giochi per un allenamento perfetto tutto l’anno. E anche le condizioni meteorologiche sono molto, molto buone. Il tempo è sempre molto molto bello a Monaco… Anche in inverno, le condizioni sono piacevoli per l’allenamento. E’ anche per questo che ci sono tanti professionisti che vivono qui e che sono felici di vivere a Monaco.

Le cronometro non sono il suo forte, ma spera di avere qualche miglioramento
Le cronometro non sono il suo forte, ma spera di avere qualche miglioramento
La presenza di tanti campioni sta cambiando qualcosa in città, i ragazzi monegaschi sono più interessati a fare ciclismo?

Sì, ma non ci sono solo ciclisti. Abbiamo anche la fortuna di avere molti piloti di Formula 1 che vivono a Monaco, giocatori di tennis e anche alcuni calciatori. Ci sono molti atleti che vivono qui e questo permette soprattutto ai giovani di incontrarli. Per chi va in bicicletta, la possibilità di pedalare con loro è un valore enorme. Le scuole e le federazioni sportive di Monaco puntano su questo per incoraggiare i ragazzi a fare sport. A volte capita che certi professionisti vadano a parlare nelle scuole, vadano a parlare in diversi club. Per poter interagire con i giovani e poterli motivare a fare sport, invogliarli e ispirarli. Intanto nella vita quotidiana e poi per alcuni, quelli che lo vogliono e che possono farlo ad alto livello, farne anche la propria professione.

Victor Langellotti ha conquistato le sue 2 vittorie in salita, nel 2022 in Portogallo e nel 2023 in Turchia
Victor Langellotti ha conquistato le sue 2 vittorie in salita, nel 2022 in Portogallo e nel 2023 in Turchia
Che tipo di corridore sei e quali sono le corse dove ti trovi meglio?

Uno scalatore, non per le salite lunghe ma sugli strappi brevi è il mio terreno preferito. Diciamo dai 2 agli 8 chilometri, mi trovo a mio agio quando l’arrivo è in salita. Le mie due vittorie le ho ottenute sempre attaccando in un finale in salita. Ma sto lavorando per migliorare anche sulle salite più lunghe.

Tu hai un cognome italiano: che rapporti hai con il nostro Paese, vieni spesso qui?

Mio padre è italiano. Venne a vivere a Monaco quando aveva 18 anni ed era originario di Napoli. Buona parte della mia famiglia è a Napoli e quindi metà della famiglia è italiana. Io ci vado regolarmente ad allenarmi e a rivedere i parenti, anche se non spesso quanto vorrei. L’italiano lo parlo molto poco, ma lo capisco.

A 29 anni Langellotti ha firmato un biennale con la Ineos Grenadiers, come uomo per le salite
A 29 anni Langellotti ha firmato un biennale con la Ineos Grenadiers, come uomo per le salite
Il prossimo anno passerai alla Ineos: che cosa rappresenta per te entrare in un team del WorldTour?

Beh, per me è davvero un sogno diventato realtà. Quando ero junior e promettente, era il Team Sky, il riferimento per tutti. E così sono sempre cresciuto con il sogno di far parte un giorno della squadra Sky. Ora sono molto, molto felice di potermi unire a loro l’anno prossimo. E’ per la mia carriera un progresso molto grande. C’è un enorme divario di livello tra Burgos BH ed Ineos, vedo quanto lontano posso andare, come esprimere il mio pieno potenziale, magari partecipare un giorno al Tour de France, quello sarebbe il mio obiettivo. Oppure la Vuelta 2026 che inizierà proprio a Monaco.

Vacek firma con la Burgos. E ha qualcosa da dire sulla Corratec

16.02.2024
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Da venerdì scorso, Karel Vacek è un corridore della Burgos BH, squadra professional spagnola. Per il ragazzo ceko è l’ennesimo team, il sesto in sei stagioni per un corridore di appena 23 anni che si è fatto la fama di giramondo senza volerlo, perché chi conosce la sua storia sa delle traversie attraversate, come lo scioglimento della Qhubeka ad esempio.

Anche l’ultima non è male, perché a dir la verità nessuno si sarebbe aspettato che Vacek fosse costretto a cercarsi un’altra squadra dopo il suo 2023, illuminato dalla seconda piazza nella tappa del Gran Sasso al Giro d’Italia. Invece il Team Corratec non lo ha confermato e Karel si è messo a cercare un team che credesse in lui praticamente fuori tempo massimo. Risultato: contratto firmato il 9 febbraio e il giorno dopo era già in gara.

Firmato il contratto e chiamato per la prima corsa: Vacek è il terzo da destra (foto Instagram)
Firmato il contratto e chiamato per la prima corsa: Vacek è l’uomo al centro (foto Instagram)

«Il Team Burgos mi ha potuto mettere sotto contratto grazie a una deroga dell’Uci perché il ciclomercato è già chiuso. Molti corridori della squadra sono al momento infortunati, così appena firmato mi hanno mandato subito a correre a Murcia, solo che non avevo il materiale a disposizione. Così ho corso con una divisa più grande della mia taglia e una bici fuori misura. Risultato: un mal di schiena che te lo raccomando… Ho fatto quel che ho potuto, nelle prossime corse, dopo aver settato la bici, andrà sicuramente meglio».

Hai avuto paura di rimanere fuori dall’ambiente?

Sì, molta. Sinceramente non mi aspettavo di dovermi rimettere su piazza, credevo che quanto fatto durante l’anno mi garantisse la prosecuzione del contratto. Ero tranquillo, per questo la mancata conferma mi ha preso proprio di sorpresa. Al Giro ero andato senza neanche essere stato preselezionato, eppure ho portato a casa un risultato prestigioso, poi nella stagione ho preso punti per il team. D’altronde anche chi ne ha raccolti di più, come Dalla Valle o Konychev si sono ritrovati nella mia stessa situazione. Così mi sono trovato a passare tre mesi d’inferno, un Natale davvero triste.

Il ceko con Bais e Petilli nella tappa del Gran Sasso, dove si è lanciato in fuga finendo a 9″ da Bais
Il ceko con Bais nella tappa del Gran Sasso, dove si è lanciato in fuga finendo a 9″ dal rivale
Com’è stato allenarsi durante l’inverno senza alcuna certezza?

Io non ho mai mollato, ma quando ti ritrovi in una situazione simile paghi dazio. Non ho fatto ritiri con il team, mi sono dovuto allenare sempre da solo, chiaramente ora sono indietro. Devo però dire solamente grazie ai dirigenti spagnoli che hanno comunque creduto in me. E’ una squadra professional e per me era importante almeno rimanere nello stesso livello, visto che speravo davvero di trovare un contratto per una formazione WT. Almeno così posso continuare a lottare per raggiungere il mio obiettivo. Sinceramente, se non fosse arrivata questa chiamata avrei smesso e mi sarei messo a lavorare in un altro ambito.

Ti sei chiesto che cosa non abbia funzionato?

Sì, ma non ho risposte. Le ho cercate, ho provato a contattare i dirigenti, il presidente, gli ho anche scritto, ma non mi è arrivata alcuna reazione. Io praticamente non ho mai saputo ufficialmente di essere stato escluso dal team, vorrei tanto sapere il perché. Mi sarei aspettato almeno una telefonata. Ora comunque non è neanche più così importante, posso finalmente girare pagina.

L’anno alla Qhubeka era stato positivo, in un ambiente dove Vacek aveva trovato davvero casa
L’anno alla Qhubeka era stato positivo, in un ambiente dove Vacek aveva trovato davvero casa
Hai cambiato sei squadre in sei stagioni. Ti pesa questa fama e dove ti sei trovato meglio e peggio?

Partiamo dalla prima domanda: sì, un po’ mi pesa perché non era questo che speravo approdando al ciclismo internazionale. Credevo anzi che alla Corratec era arrivato il momento di un po’ di stabilità, dopo quello che avevamo fatto in primavera. Per il resto, non mi sentirei di condannare nessun team perché dappertutto trovi cose buone e altre un po’ meno. Spesso influisce molto la fortuna.

Alla Qhubeka ad esempio non ne hai avuta molta…

Lì eravamo tutti convinti di avere un futuro luminoso davanti a noi, so che non ci sarebbero stati problemi per la mia riconferma: è stata una delusione generale. All’Hagens Berman Axeon ero al mio primo anno, dovevo ancora imparare tante cose, ma fu comunque una bella esperienza e lo stesso potrei dire delle altre squadre, della Colpack dove il Covid ha davvero tarpato le ali a tutti, della stessa Corratec perché il gruppo che si era formato era molto unito, si lavorava bene insieme. Per questo sono rimasto così sorpreso.

Karel dal 2019 ha corso in 6 team, quasi un record per un corridore di 23 anni. Qui alla Tirol Ktm
Karel dal 2019 ha corso in 6 team, quasi un record per un corridore di 23 anni. Qui alla Tirol Ktm
Ora comunque hai una nuova maglia e devi solo lavorare per recuperare il tempo perduto…

Sono più tranquillo, lo stesso team ha specificato come l’evento principale della stagione è la Vuelta, per la quale manca ancora tanto tempo, quindi posso lavorare con calma per farmi trovare pronto quando servirà. Io d’altro canto già da tre anni sono in Spagna, in Andalusia, ma ormai sono tantissimi i ciclisti che stazionano lì. Se tutto va bene prenderò anche la residenza in Spagna, come avevo fatto in Italia i primi tempi, quando c’era anche mia madre a badare a me e Matthias (suo fratello che corre alla Lidl-Trek, ndr). Vedremo come andrà, certo un po’ di stabilità non guasterebbe…

Uno spagnolo in Belgio. Le imprese di Orts nel cross

28.11.2023
4 min
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NIEL (Belgio) – Felipe Orts Lloret, uno spagnolo in Belgio. Uno spagnolo tra i grandi del ciclocross. Il corridore iberico sta disputando l’intera annata nel regno del cross, un po’ come la nostra Francesca Baroni, di cui vi avevamo parlato qualche tempo fa.

Orts però sta andando davvero forte. E’ anche salito sul podio del Superprestige, nel tremendo giorno di Niel, dove la disciplina del fango sfoggia a detta di molti la sua veste più pura. Il percorso era davvero tecnico e del tutto naturale.

Felipe Orts (classe 1995) è anche un ottimo biker. Se la cava nel gravel. Su strada veste i colori della Burgos-Bh
Felipe Orts (classe 1995) è anche un ottimo biker. Se la cava nel gravel. Su strada veste i colori della Burgos-Bh

Da Alicante a Bruxelles

Ma chi è dunque questo ragazzo? Insomma non capita tutti i giorni di vedere uno spagnolo a questi livelli nel ciclocross. Felipe Orts Lloret, classe 1995, di Alicante, su strada veste i colori della Burgos-Bh, nel cross sta correndo con i vessilli della Spagna, in quanto campione nazionale e della Bh, il marchio di bici. Fisico possente, Orts è alto 180 centimetri, per 70 chili.

«In effetti è difficile incontrare uno spagnolo quassù! Tanto più uno spagnolo di Alicante, del Sud della Spagna – ci racconta Orts – faccio la spola con il Belgio tutti i fine settimana, dal venerdì al lunedì. Ho deciso di fare così perché vicino casa c’è un’ottima connessione aerea con Bruxelles».

«Certo non è facile passare dalle temperature di laggiù a quelle del Belgio. Per esempio prima di Niel a casa mia c’erano 30 gradi e mi allenavo in maniche corte e qui ce ne sono 7-8, ma ormai ci sono abituato. Comunque mi sono trasferito nei Paesi Baschi proprio per avere un clima e percorsi diversi che nel resto della Spagna».

Lo spagnolo è campione nazionale in carica. Col fango è a suo agio
Lo spagnolo è campione nazionale in carica. Col fango è a suo agio

Un podio storico

Orts ha dunque agguantato anche un podio nel Superprestige, ma quel che più conta è la sua costanza agli alti livelli. I piazzamenti nei primi dieci sono diversi. Sta insistendo molto sul Superprestige e paga sempre qualcosa il giorno successivo in Coppa. Ma fare bene nel circuito belga forse è anche più importante in termini di visibilità.

«Un podio da queste parte è incredibile – dice con soddisfazione Orts – sono felicissimo. Io tra questi campioni… Però è anche vero che ci sto lavorando già da un po’. Sono molti anni, dieci, che mi sto concentrando sul ciclocross. E per riuscirci al meglio mi sono dovuto trasferire, come detto, nel Nord della Spagna. Non è il primo anno che faccio la stagione qui. E’ molto costoso, ma quest’anno le cose stanno andando bene e credo ne valga la pena».

Altre volte Orts era stato vicino al podio. Lui parla di un buon momento di forma. E forse il fatto di tornare a casa lo aiuta non poco. Il clima più caldo fa meglio al suo motore e ai suoi muscoli. Ma forse gli fa pagare qualcosa in termini di tecnica.

Tuttavia è anche vero che correndo tutti i weekend in Belgio, la stessa tecnica si mantiene viva. E tutto sommato anche i suoi colleghi del Nord durante la settimana curano molto di più la parte del “motore” che quella della guida.

A Niel, un momento storico per Orts e la sua nazione: eccolo sul podio del Superprestige (foto Instagram)
A Niel, un momento storico per Orts e la sua nazione: eccolo sul podio del Superprestige (foto Instagram)

Motore e tecnica

«L’obiettivo? E’ quello di fare meglio ad ogni anno e in ogni gara. E per questo è importante anche l’aspetto tecnico appunto. Ho una bici molto competitiva, che sviluppo a casa e con queste gare. Mi piace il fango, ma preferisco quello liquido e mi trovo molto bene anche sui tracciati secchi e veloci. Io poi sono abbastanza tecnico e di mio. Preferisco concentrami molto sulla parte fisica, tanto più che qui vanno davvero forte. E comunque in tal senso mi aiuta anche la stagione su strada».

E la sua stagione su strada è stata affrontata proprio da ciclocrossista puro: corse concentrate soprattutto a partire dal termine dell’estate, proprio per affinare la gamba e trovare i cavalli necessari per affrontare queste sfide al Nord.

In più nella sua zona, Alicante ci sono molti pro’. «Specie d’inverno – conclude Orts – con le squadre che vengono a fare i ritiri. Ma un grande salto me lo ha fatto fare la mia squadra, la Burgos-Bh, che mi ha consentito di disputare delle gare di primo livello. Gare che mi hanno dato molto».