Boaro: il tempo di dire addio, poi quella telefonata…

29.10.2023
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Neanche il tempo di appendere la bici al chiodo, di assimilare un totale cambio di vita che Manuele Boaro si è subito rituffato nel mondo del ciclismo. «Il giorno dopo la mia ultima corsa, la Veneto Classic, è squillato il telefono. Dall’altra parte c’era Alberto Volpi che mi ha chiesto se me la sentissi di affiancarlo nella guida del JCL Team Ukyo, il team giapponese del quale è diventato manager. Non ci ho pensato un attimo, gli ho detto subito sì. Mi sono tuffato in una nuova avventura con lo stesso entusiasmo di quando 13 anni fa ho iniziato il mio cammino fra i pro’».

Boaro ha chiuso a 36 anni con convinzione. Non perché il fisico gli dicesse di smettere, anche se le varie stagioni passate in giro per il mondo si facevano sentire. Questo ciclismo però non riusciva più a gestirlo dal di dentro.

«Sapendo che avevo il contratto in scadenza – spiega – ho provato a muovermi. Dopo anni i manager li conosco tutti, li ho contattati personalmente. Ma al di là di un po’ di “vediamo, ti faccio sapere” non avevo avuto nulla. Qualcosa magari sarebbe anche saltato fuori, ma mi sono chiesto se avrebbe avuto un senso. Poi ho saputo che la Veneto Classic passava proprio per il mio paese, davanti casa mia. Allora ho pensato che sarebbe stata la maniera migliore per chiudere».

La grande festa per il suo ritiro all’ultima Veneto Classic, con il fans club schierato al completo
La grande festa per il suo ritiro all’ultima Veneto Classic, con il fans club schierato al completo

L’ultimo dei veri gregari?

Una decisione presa proprio qualche giorno prima, ma il poco tempo è bastato per allestire una grande festa per salutarlo come si conveniva: «Sono venuti in tanti, il fans club si è mobilitato alla grande e quel giorno è stato un turbinio di emozioni. Posso dire di aver chiuso in bellezza, credevo che la mia storia ciclistica si sarebbe chiusa lì. Invece neanche poche ore dopo rieccomi coinvolto, ma in maniera completamente diversa».

L’addio di Boaro è anche l’addio di uno degli ultimi veri gregari. Il suo racconto della ricerca vana di un contratto non fa che confermare la sensazione che questa figura stia ormai sparendo: «In questo ciclismo, fatto di numeri, siamo noi quelli che vengono penalizzati. Le squadre chiedono corridori che portino punti, il principio del “siamo tutti capitani” è ormai imperante. Ma attenzione: chi lavora per la squadra nella prima parte di gara, quando non ci sono le telecamere, quando si gettano le basi della corsa e bisogna proteggere e stare vicino al capitano di turno?

«Il risultato è che le corse professionistiche stanno diventando come quelle dei dilettanti – prosegue Boaro – pronti via ed è subito bagarre. Ma a lungo andare questo modo di correre logora, bisognerà vedere come l’intero ambiente reagirà quando corridori come me o come Puccio non ci saranno più».

L’esempio di Rijs

Boaro è sempre stato molto convinto della sua scelta: «Non ero un campione quando sono passato professionista e ho capito presto che dovevo trovare una mia dimensione. Ho avuto la fortuna di correre insieme a grandi campioni come Contador, Nibali, Sagan e posso dire di aver contribuito ai loro successi. Il che mi ha permesso di vivere una carriera densa di bei momenti e di soddisfazioni, ma anche di contatti umani, il che è fondamentale».

Ripercorriamo allora la sua carriera, fatta di poche squadre perché quando Manuele era nel team, ne diventava una colonna: «Ho iniziato con la Saxo Bank diventata poi Tinkoff, ben 6 anni in quel gruppo. Avevo Bjarne Riis come manager ed è stato preziosissimo, mi ha insegnato tanto su come vivere questo ambiente, tutte nozioni che mi saranno ancora utili ora che passo dall’altra parte… Era davvero un numero 1 nel ciclismo, ma anche fuori sapeva far gruppo. Alla sera ad esempio, se si poteva ci faceva anche andare in discoteca, oggi quando mai? Mi dispiace che non sia più nell’ambiente. Poi le cose con la Tinkoff non sono cambiate: era un gruppo bellissimo, andare in ritiro era un piacere».

Nel 2017 Boaro approda alla Bahrain-Merida, per due anni, ma quella era una squadra ben diversa da quella di oggi: «Stava nascendo allora, dal niente. Mi ritrovai in una squadra tutta da impostare, non fu facile. Di quegli anni ricordo il primo Giro al fianco di Nibali: mamma mia quanta gente, quanto entusiasmo. Peccato che finimmo terzi e uso il plurale volutamente perché con Vincenzo era davvero un lavoro di gruppo e mi dispiacque tanto che non riuscì a cogliere il risultato pieno, la gente l’avrebbe meritato. Con lo Squalo siamo rimasti sempre in contatto, ritrovandoci all’Astana e ancora adesso ci sentiamo spesso».

Sul palco con le piccole Matilde e Sofia. Ora inizia la sua nuova carriera da diesse
Sul palco con le piccole Matilde e Sofia. Ora inizia la sua nuova carriera da diesse

Lopez, talento cristallino

Astana, un’avventura iniziata nel 2019 e portata avanti fino a qualche giorno fa: «E’ una squadra in forte cambiamento. Io arrivai che avevano Fuglsang che era uno dei grandi per le classiche e Lopez per le corse a tappe e a proposito del colombiano devo dire che è un corridore fortissimo. Abbiamo condiviso anche la camera insieme, io ho provato a consigliarlo, a stargli vicino, può ancora fare tanto. Purtroppo ha cambiato numero e ci siamo persi di vista, ma io non posso dirne che bene».

Torniamo però al cambiamento: «L’Astana è un team in cerca d’identità, era nato per i grandi Giri ma ora sta progressivamente diventando una squadra per le corse d’un giorno. Anche per questo non avevo più molto spazio. Io però le sono ancora molto legato».

Boaro ha sempre avuto grande predisposizione per le cronometro, finendo 2° ai tricolori 2012
Boaro ha sempre avuto grande predisposizione per le cronometro, finendo 2° ai tricolori 2012

In Giappone per imparare

Ora comincia una nuova avventura: «E’ la dimensione giusta, una squadra piccola, ma che ha una lunga storia alle spalle. Io devo imparare tutto, farlo in un team continental che ha però prestigio e ambizioni è la cosa giusta. Starò al fianco di Alberto per imparare ma lo farò in prima linea. Avrei potuto farlo anche all’Astana, ma sarei stato il nono diesse, in fondo alla gerarchia, non era giusto per loro e per me».

Chiudendo c’è qualche rammarico? «Se mi guardo indietro no, sono contento di come sono andate le cose. Forse l’unica che mi manca è una maglia tricolore nella cronometro, perché quando ho iniziato da pro’ andavo piuttosto bene, ma nel 2012 persi con Malori per soli 7”. Vestire il tricolore sarebbe stato bellissimo. Ma va bene così: molti mi dicono che nessuno farà più quello che ho fatto e forse, visto il ciclismo di oggi, sarà proprio così».

Ricardo Scheidecker, l’uomo in più per la Tudor Pro Cycling

08.03.2023
7 min
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Ci sono persone che non vedi, grazie alle quali le squadre si trasformano in gruppi vincenti. Per questo, al momento di dare vita al Tudor Pro Cycling Team, Fabian Cancellara ha chiamato Ricardo Scheidecker, con cui aveva lavorato ai tempi della Leopard-Trek. Il portoghese però era già impegnato con la Quick Step-Alpha Vinyl, in cui svolgeva il ruolo di Technical&Development Director e inzialmente ha declinato l’invito. Era lì da sei anni, quelli in cui la squadra è diventata il Wolfpack, ottenendo alcuni fra i risultati migliori della sua storia, fra cui il primo grande Giro.

Ricardo viene da Lisbona, ma vive fra l’Italia, Lussemburgo, Portogallo e Svizzera (foto Tudor Pro Cycling Team)
Ricardo viene da Lisbona, ma vive fra l’Italia, Lussemburgo, Portogallo e Svizzera (foto Tudor Pro Cycling Team)

Dietro le quinte

Ricardo non parla con i giornalisti e non ha account social. E’ uno tosto: una sola parola e lavorare dietro le quinte, ma questa volta ha fatto un’eccezione. Perché alla fine ha lasciato la squadra di Lefevere? E come si fa a far decollare una squadra appena nata?

«Con Fabian – racconta in questi giorni alla Tirreno – sono amico da sempre, da quell’anno in cui abbiamo lavorato insieme alla Leopard. Lui è uno di quelli di cui ho sempre tenuto il numero di telefono, perché si è creata negli anni un’amicizia importante, basata sul rispetto e la riconoscenza reciproca. Mi ha sempre detto che il giorno in cui avesse fatto una squadra, sarebbe venuto a prendermi. Io però ero nella Quick Step. Gli ultimi sei anni sono stati i migliori della storia, forse migliori anche di quando c’erano Museeuw e Boonen. Per questo inizialmente gli ho detto di no.

«Quando però alla fine del 2022 mi sono reso conto che non avrei più potuto portare altro valore al team, ci ho riflettuto e ho accettato la nuova sfida. Non è stato facile lasciare quel gruppo di amici, ma adesso che ho conosciuto bene la realtà Tudor, dico che sarei stato uno stupido a non accettare l’offerta».

Il team svizzero ha bici BMC, abbigliamento Assos e auto Mercedes: scelte al top (foto Tudor Pro Cycling Team)
Il team svizzero ha bici BMC, abbigliamento Assos e auto Mercedes: scelte al top (foto Tudor Pro Cycling Team)
Cosa facevi alla Quick Step?

Erano già un grande gruppo, ma gli mancavano la struttura, il metodo e il modo di mettere insieme i vari caratteri. Serviva qualcuno capace di fare da collante e io lo so fare. Alla fine dei conti, non sono un gestore. Non ho studiato alla Bocconi, come diceva il “Brama” per prendermi in giro. Ma alla fine siamo riusciti a ottimizzare il valore delle persone, spingendo tutti a dare di più. E qui alla Tudor si dovrà fare più o meno lo stesso. Sono felice di aver trovato un management capace di confronti costanti.

Siete partiti da zero?

Ho cominciato il primo ottobre e in questi cinque mesi abbiamo fatto tantissimo. Fabian ha investito nelle persone attorno ai corridori prima di investire nei corridori e questa è una cosa intelligentissima. Poi c’è Tudor. Li ho conosciuti a novembre, siamo andati a visitarli. Ecco perché dico che sarei stato uno stupido a rifiutare…

Cancellara è il proprietario del Tudor Pro Cycling Team. E’ stato lui a chiamare Ricardo Scheidecker
Cancellara è il proprietario del Tudor Pro Cycling Team. E’ stato lui a chiamare Ricardo Scheidecker
Perché?

Sono delle persone superlative. Degli uomini d’affari, logicamente, ma di un serietà, una classe, una riservatezza e una fiducia che non ho mai conosciuto nei 12-13 che faccio questo lavoro. Neanche quando eravamo alla Saxo Bank, che con Riis erano una cosa sola. Qui c’è il potenziale per arrivare lontanissimo. Se facciamo le cose per bene, saremo riconosciuti per la nostra competenza. 

Che cosa ti ha chiesto Fabian?

Data la serietà del progetto, voleva l’esperienza di qualcuno che avesse gestito il dipartimento sportivo di una squadra importante. Fabian conosce le mie caratteristiche umane. Sa che persona sono e io so che persona è lui. Mi ha detto che, dovendo crescere un passo per volta, sarei stato un asset fondamentale nella costruzione della squadra e specificamente del dipartimento sportivo.

Froidevaux è campione svizzero 2022, ha 24 anni. Lo scorso anno ha vinto anche la Serenissima Gravel
Froidevaux è campione svizzero 2022, ha 24 anni. Lo scorso anno ha vinto anche la Serenissima Gravel
Quanto è cambiato il Fabian manager rispetto al campione?

Questa è una bellissima domanda. La sua essenza non è cambiata. E’ un uomo buono e di grande umanità. Umile a 360 gradi, di un altruismo veramente agli antipodi dell’egocentrismo che si potrebbe immaginare dopo una carriera come la sua. Fabian Cancellara è un’icona dello sport: in Svizzera c’è Federer e poi c’è lui. L’avevo lasciato 13 anni fa e ovviamente siamo invecchiati entrambi, ma lui è veramente maturato… benissimamente. Si può dire? Magari è una parola che non esiste, ma rende l’idea.

Dove è nata la tua esperienza?

Ho smesso di correre nel 1996 e sono andato a fare il meccanico per la Federazione portoghese. Ho sempre assorbito quel che riguarda il ciclismo, perché è una grande passione. Nel 2000 ho lasciato la nazionale. Pur essendo praticamente astemio, sono stato per cinque anni nel marketing delle bevande alcoliche. Nel 2005 sono tornato al ciclismo accanto al direttore tecnico del Giro del Portogallo e altre corse internazionali. Poi sono entrato all’UCI, dove ho guadagnato un enorme bagaglio amministrativo e la comprensione delle dinamiche politiche del ciclismo. Finché sono stato chiamato per costruire la Leopard-Trek di Flavio Becca.

Pellaud è uno degli acquisti di quest’anno: era alla Trek-Segafredo, non ha resistito al richiamo svizzero
Pellaud è uno degli acquisti di quest’anno: era alla Trek-Segafredo, non ha resistito al richiamo svizzero
Con quale ruolo?

Facevo due lavori. La parte amministrava/finanziaria e un ruolo di raccordo con tutti i partner tecnici. E lì è cominciato il mio collegamento con la parte sportiva. Quando poi dopo due anni c’è stata la fusione con RadioShack, non mi identificavo più col progetto e sono andato via senza un lavoro. A giugno mi chiamò Riis. I budget erano chiusi, credo abbia fatto uno sforzo economico anche a livello personale per ingaggiarmi. Non mi scorderò mai di lui, è stato una persona molto importante nella mia vita e mi dispiace che non sia più nel mondo di ciclismo. Da Bjarne ho imparato tantissimo, lo spirito di squadra e tutto quello che poi ho portato con me alla Quick Step.

E adesso alla Tudor?

Io non sono bravo in niente, ma so capire le persone, la loro essenza, le capacità e le loro debolezze. Lo stesso studio che faccio su me stesso per dare il massimo, lo applico con gli altri. Questo è il segreto e credo che sia uno dei miei ruoli fondamentali, che non è scritto da nessuna parte, ma che per me è la priorità.

Reichenbach è uno degli uomini di esperienza. E’ pro’ dal 2013, nel 2019 è stato campione svizzero
Reichenbach è uno degli uomini di esperienza. E’ pro’ dal 2013, nel 2019 è stato campione svizzero
Sei uno che ha portato delle regole o inizialmente hai osservato?

Ho osservato. Lascio lavorare le persone, soprattutto se, come in questo caso, arrivano da ambienti e storie diversi. Solo pochi hanno già lavorato insieme. Per cui ora sono nella fase di conoscenza, poi alcune cose andranno raddrizzate e altre continueranno così. Si tratta di adattare persone diverse, perché il risultato sia positivo. Io non ho problemi ad adattarmi, ma soprattutto ad aspettare. Credo nelle persone e le loro capacità, solo che avendo provenienze diverse, vanno accompagnate perché si integrino al meglio. E poi probabilmente andranno indicate, regole, matrici, processi e procedure nel modo più veloce, perché sennò la barca non va nella direzione giusta. Il mio concetto è dare fiducia a tutti, per avere in cambio la loro. 

In questi primi mesi, segui la squadra o fai lavoro d’ufficio?

La squadra esiste nelle corse. Per cui in inverno abbiamo fatto tanto lavoro di ufficio e sulle varie piattaforme tecnologiche. Poi sono stato a entrambi i training camp, cosa che prima non facevo: stavo pochi giorni e andavo via. L’ultimo giorno del ritiro di gennaio, siamo andati in galleria del vento con cinque corridori. Cerco di essere presente il più possibile perché la squadra possa funzionare al meglio.

Tom Bohli, qui alla Tirreno, ha 29 anni e in precedenza ha corso alla BMC e poi alla Cofidis
Tom Bohli, qui alla Tirreno, ha 29 anni e in precedenza ha corso alla BMC e poi alla Cofidis
Si punta a crescere?

L’investimento sulla struttura tecnica è quella che permette ai corridori di crescere, con la speranza di attrarne in futuro anche alcuni di spessore, anche perché offriamo un servizio di alta qualità. Abbiamo bici BMC, abbigliamento Assos, tutti nostri partner sono al top. Siamo una professional con la mentalità della WorldTour. Faccio spesso l’analogia con la Alpecin degli ultimi anni, che per attività e risultati non si è mai discostata troppo dal livello WorldTour. Che è cresciuta e ha smesso presto di essere solo la squadra di Van der Poel. 

La struttura c’è.

Non abbiamo l’assillo della vittoria, ma vogliamo l’unione e l’aggressività in corsa. Poi le gambe faranno quello che possono, però dobbiamo essere uniti e dobbiamo dimostrare carattere. Questo è l’investimento per creare la nostra base, la nostra identità.

Domenico Pozzovivo, Giro d'Italia 2020

Il viaggio del Pozzo verso un’altra ripartenza

11.12.2020
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Dopo aver partecipato al mondiale su rullo vinto da Osborne, il Pozzo si è messo nella macchina di sua moglie Valentina e da Lugano ha fatto rotta su Cosenza. Obiettivo: il caldo. In Svizzera nevicava da giorni e prima di andare sul Teide, qualche giorno in famiglia con tiepidi panorami italiani è quello che serviva. Gli interventi sono finiti. Gli antibiotici hanno portato via l’ultima infezione. C’è ancora tanta fisioterapia da fare per il braccio sinistro, ma la stagione può finalmente iniziare con un’impronta di normalità.

«Il fatto di recuperare il braccio al 100 per cento – sorride – è da dimenticare. Sono già fortunato ad averlo ancora qui con me. Ogni tanto mi accorgo di qualcosa che non riesco a fare o che sarebbe meglio fare con il destro, come sollevare una cassa d’acqua. Ma va bene così. In più la squadra si è salvata, anche se per l’impegno che ci stavano mettendo, speravo ce la facessero. Mi piaceva restare nel progetto di Qhubeka Charity. Mi ero mosso per cercare qualcosa, quando però era già tardi per cercare. Restare nel WorldTour era importante».

Domenico Pozzovivo, Jakob Fuglsang, Vincenzo Nibali, Etna, Giro d'Italia 2020
Sull’Etna, Pozzo con Fuglsang e Nibali: era una tappa alla sua portata
Domenico Pozzovivo, Jakob Fuglsang, Vincenzo Nibali, Etna, Giro d'Italia 2020
Sull’Etna, Pozzo con Fuglsang e Nibali: poteva vincere
Cambierà tanto con l’assenza di Riis?

Mi aveva voluto lui e mi aveva spinto a credere in me, sentirò la sua mancanza. Nei suoi confronti la mia stima è massima. La squadra è cambiata tanto. Alcuni se ne sono andati per scelta, altri non sono stati confermati.

Ti aspettavi di tornare così forte?

Avrei scommesso di tornare, ma a un certo punto qualche dubbio era venuto anche a me. Diciamo che cominciava ad affiorare. Quando i dottori mi dicevano che ero avviato verso un buon recupero e che avrei avuto una vita normale, io nella mia testa pensavo a quanto mi mancasse per tornare al Giro d’Italia.

Quanto è importante il gruppo di Lugano?

Tanto, soprattutto per chi come Vincenzo (Nibali, ndr) e me fa sacrifici da tanti anni. Avere stimoli nuovi ci aiuta. La fatica passa meglio, anche il tempo passa meglio. E quando non avresti voglia, il fatto che vengano a chiamarti e ti trascinino fuori è fondamentale. Ti fa superare i momenti difficili. Poi ci si trova anche al di fuori, ovviamente.

Sei contento dell’arrivo di Aru?

Sono contento innanzitutto per lui. Trova la situazione ideale per potersi rilanciare. Non avevamo tanti uomini di classifica al di fuori del sottoscritto, quindi avremo tutto lo spazio.

Non c’è rischio che vi pestiate i piedi?

Non siamo la Ineos o la Jumbo-Visma che porta cinque leader in ogni corsa a tappe, penso ci converrà dividerci per coprire tutto il calendario. Fabio è uno del gruppo di Lugano, si va d’accordo. Il gruppo in realtà è diviso fra quelli che vivono in centro come Vincenzo, Diego ed io e quelli più spostati verso il Mendrisiotto, come Fabio e Cataldo. Si parte ognuno da casa sua e ci si trova dopo una ventina di chilometri.

Domenico Pozzovivo, Uae Tour 2020
Allo Uae Tour di inizio stagione, per Pozzo seconda corsa dopo l’incidente
Domenico Pozzovivo, Uae Tour 2020
Allo Uae Tour, seconda gara del 2020 per Pozzo
Che cosa ti ha lasciato il Giro?

Grandissima soddisfazione, perché era esattamente quello che volevo. Non stavo lavorando per una vita normale, volevo di nuovo il vento in faccia e il fatto di essere lì in mezzo a lottare. Devo dire che al di là del piazzamento, è stato uno dei Giri che mi ha dato le soddisfazioni maggiori. Facendo la tara, potevo stare nei primi dieci e se a Sestriere non avessi avuto problemi meccanici, magari ci sarei riuscito. Considerando che, nei tempi normali, il Giro non avrei dovuto neanche farlo…

Vincere una tappa?

Per come si era messa alla fine, era abbastanza irrealistico. Forse sull’Etna, dove la condizione era già buona, ma la fuga ormai era imprendibile. Non ho rammarichi.

Come arrivi alla ripresa?

Lanciato e motivato. Spero non ci siano intoppi. Dopo questi giorni a Cosenza, andrò sul Teide, da solo o con i compagni fa lo stesso. Lo sai che sto bene anche da solo. E per il resto, dita incrociate e fiducia. Non mi sento vecchio, non avrei mai voluto smettere per un incidente…

Battistella fa il… pieno di Nord

20.10.2020
3 min
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Samuele Battistella ha messo le tende al Nord. Il suo calendario prevedeva infatti che dopo le classiche ardennesi sarebbe dovuto andare alla Vuelta, invece il cambio di programma gli è piombato fra capo e collo. Niente Spagna, si resta su. Così dopo la Liegi vinta la Roglic, il campione del mondo in carica degli under 23 (lo sarà ancora per tutto il 2021, dato che nel 2020 quella maglia iridata non è stata assegnata) ha fatto la conoscenza della Gand-Welgem, di Scheldeprijs e del Giro delle Fiandre. A ciascuna di esse il vicentino si è accostato da debuttante cercando di capire se da grande potranno essere terreno di caccia.

Preferivi andare alla Vuelta che fare il Fiandre?

Mi hanno cambiato programma all’ultimo. Tutto sommato i miei giorni di gara li ho fatti, circa 50 da inizio anno e quasi 35 dopo il lockdown. La Vuelta mi sarebbe piaciuta. Sarei andato prima in altura, mentre così non ci arei comunque arrivato a posto.

Samuele Battistella
Samuele Battistella, iridato under 23 in carica, pro’ alla NTT Pro Cycling
Samuele Battistella
Samuele Battistella, iridato 2019 degli U23
Che cosa ti è parso del Fiandre?

E’ duro impestato, non pensavo tanto. Non c’era troppa gente lungo le strade ed erano tutti a distanza di sicurezza. Non l’ho finito, ho mollato prima. Sono stato sempre in fuga. E’ un percorso che non dà mai respiro. Sei ore di follia. Nervosismo, strade strette e spallate.

La fuga rientrava in un piano tattico?

Dovevo entrarci perché semmai si fossero mossi i pezzi grossi della squadra, avrei fatto da appoggio. Solo che alla fine non è arrivato nessuno.

Corsa da cancellare oppure un possibile obiettivo per il futuro?

Ci voglio tornare, perché non è fuori dalla mia portata. Basterà avere più gambe.

Nel cambio di programma può aver inciso il cambio di squadra?

Non credo, sono tutti professionali, non avrebbe senso. E poi non ho ancora firmato, se ne parlerà al mio rientro. Non volevo cambiare, alla Ntt Pro Cycling c’è un’atmosfera che mi piace. Ma quando il team ha fatto un meeting spiegando che non c’erano certezze, ho iniziato a guardarmi intorno. C’erano due squadre, ho scelto l’Astana.

Tornando al Fiandre, quale tratto di pavé ti ha più impressionato?

Il Qwaremont, il settore sempre visto. In gara non finiva mai ed è il settore su cui si fa la differenza. Quando mi hanno ripreso, ero convinto di andare forte, ma mi hanno passato al triplo della velocità. Il Koppenberg invece è una salita, me la cavo meglio. Il problema al Fiandre è con quelli di 75-80 chili, se cominciano a menare nei tratti in falsopiano.

Avete corse con l’asciutto…

Per me un vantaggio. Credo che con il bagnato anche le… semplici salite cambierebbero faccia.

Che cosa prevedi per il futuro?

Intanto mi piacerebbe che annullassero De Panne, così me ne tornerei a casa, perché sono quassù da un mese. E poi vedo la Liegi meglio del Fiandre.

Purtroppo non hai potuto vivere la festa del Fiandre. Come si vive in Belgio ai tempi del Covid?

Faccio fatica a dirlo, non sono mai uscito dall’hotel in questi giorni. Non si esce. Si fanno i tamponi e anche un’autocertificazione. I tifosi rispettano le regole, mentre in radio e tivù fanno propaganda stretta sui rischi.

Liegi o Fiandre?

Sono due Monumenti e si percepisce. Ma come sensazioni, mi sono sentito molto meglio alla Liegi. Adesso però spero di tornare alla svelta a casa e di chiudere la stagione. Al resto penseremo poi.

Domenico Pozzovio, Jakob Fuglsang, Vincenzo Nibali, Etna, Giro d'Italia 2020

Pozzo, come fai? Stringo i denti…

17.10.2020
5 min
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Il 4 settembre del 2013 era di venerdì e quando Pozzo scattò dal blocco della crono di Tarazona, pochi pensavano che la corsa sarebbe finita così. Il campione lucano, al primo anno con la Ag2R La Mondiale, si piazzò infatti al terzo posto. Davanti a lui Cancellara che vinse e Tony Martin. Alle sue spalle finì Vincenzo Nibali, che corse con il volto gonfio per la famosa puntura di vespa.

Nel giorno della crono che darà il primo scossone al Giro d’Italia, ricordare l’episodio con Domenico Pozzovivo è quantomeno beneaugurante.

«Fu una bella giornata – ricorda il leader della Ntt Pro Cycling – in una Vuelta che chiusi al sesto posto. Rispetto a oggi, quel giorno c’era molta più salita. Il Muro di Ca’ del Poggio invece è più adatto a gente esplosiva come Almeida, ma questo non significa che partirò senza qualche idea per la testa».

Domenico Pozzovivo, Ntt, Cesenatico, Giro d'Italia 2020
Nella tappa di Cesenatico con la Ntt davanti al gruppo
Domenico Pozzovivo, Ntt, Cesenatico, Giro d'Italia 2020
Nella tappa di Cesenatico con la Ntt davanti al gruppo

La testa dura

La testa è quella che fa la differenza e che gli ha permesso di ripartire dopo ogni infortunio. Anche se l’ultima volta è stata davvero dura e ne porta ancora i segni addosso.

«Quando sono in bici – ammette – stringo i denti. Il corpo tende ad adattarsi, ma se la sera non lavorassi a lungo con osteopata e massaggiatore, sarei nei guai».

Dopo l’ultimo incidente vicino casa, a Cosenza, sarebbe stato davvero impossibile immaginare un ritorno a questa efficienza fisica.

«Se avessi avuto la capacità di prevedere tutto questo – dice – sarei stato un mago. Rimettermi in sesto e fare il Giro. Ero quasi certo che non lo avremmo fatto per il Covid, anche se nella mia testa l’idea di fare bene c’era comunque».

Fattore calendario

Ma il Giro di maggio, Pozzo non avrebbe certamente potuto farlo. E come nel caso di Froome, cui il ritardo delle grandi corse ha permesso di rimettersi in sesto un po’ meglio, anche Domenico ha sfruttato al meglio i due mesi di ritardo.

«A maggio sono stato operato – spiega – quindi questa è una parte della verità. Perché in ogni caso il lockdown è stato gravoso soprattutto per me. Venivo già da un lungo periodo di stop e non aver potuto riprendere la stagione ha significato allungare l’inattività. Un gap che ho pagato al Delfinato. Poi mettiamoci la caduta del primo giorno del Tour, per colpa di un tifoso che faceva fotografie e si capirà che il mio avvicinamento al Giro non sia stato perfetto».

Quella che gli è mancata è stata la continuità.

«Dopo l’incidente – dice – avevo due o tre giorni che stavo bene e altri di buio. Speriamo che la continuità di questo Giro sia il sintomo della normalità ritrovata».

Vincenzo Nibali, Domenico Pozzovivo, Etna, Giro d'Italia 2020
Con Nibali, Pozzovivo sull’Etna: fra i due sempre grande controllo
Vincenzo Nibali, Domenico Pozzovivo, Etna, Giro d'Italia 2020
Con Nibali, Pozzovivo scalando l’Etna

Al suo tempo

L’adagio che lo ha accompagnato per ogni step della sua carriera è da attribuire ad Olivano Locatelli, il diesse dei primi tempi da dilettante. «Domenico sviluppa più lentamente dei suoi coetanei – diceva il bergamasco – per cui arriverà al top leggermente più tardi, ma probabilmente per questo, durerà più a lungo».

Mettendo nel mazzo gli infortuni e le relative riprese, probabilmente Locatelli aveva ragione.

«La mia carriera – dice il Pozzo – è stata un’onda lunga. Detto questo, non avrei mai creduto dopo quell’incidente di poter tornare ad andare così forte. Ero veramente in condizioni disperate e forse aver avuto tanti incidenti mi ha dato l’esperienza per gestire la ripresa. Ho davvero rischiato la vita. Non cancello le brutte esperienze, sono preziose anche loro. Per cui ho ripreso a lavorare e intanto speravo di trovare una squadra che mi desse fiducia».

La squadra per sé

Camigliatello è la sua salita d’estate. Quella su cui fare i lavori specifici all’ombra del bosco, con il fresco della cima per dimenticare i 40 gradi di Cosenza. Quel giorno lo abbiamo visto in testa a fare il ritmo con la sicurezza del padrone di casa. Poi lo abbiamo visto gestire la corsa il giorno di Cesenatico, prendendo le misure a un modo di correre nuovo anche per lui.

«La prima settimana – dice – è stata equilibrata, con un livello altissimo. I numeri parlano chiaro. Con i watt medi di oggi, qualche anno fa si sarebbero fatte grosse differenze. Vanno tutti forte, non solo i leader. Ho già detto che oggi nella crono Almeida mi darà un minuto, lo vedo favorito per la crono. Vedo bene anche Vincenzo, è brillante, ha voglia di scherzare. Quindi sta bene. Quanto a me, sono contentissimo. Nella gestione della squadra si vede la mano di Bjarne ed è questo il motivo per cui aspetterò sino all’ultimo per capire se farà la squadra. Conosco il significato della parola riconoscenza. E’ un effetto volano. Io vado bene. I compagni sono motivati. La squadra va forte. In tanti anni di carriera, è la prima volta che ne ho una a mia disposizione…».

Domenico Pozzovivo, Matera, Giro d'Italia 2020
All’arrivo di Matera, sulle strade di casa
Domenico Pozzovivo, Matera, Giro d'Italia 2020
All’arrivo di Matera, sulle strade di casa

Finale in crescendo

Nella terza settimana è sempre stato uno dei più solidi. Domenico lo sa e guarda avanti con scaramanzia e una sottile punta di ottimismo.

«L’idea dopo la crono – sorride – sarà sfruttare ogni tappa per recuperare terreno. Non sappiamo se si faranno le grandi salite, per cui dovremo sfruttare ogni occasione. La tappa che mi attira di più è quella di Madonna di Campiglio, con delle belle salite prima dell’arrivo. Nella crono di Milano le differenze saranno sotto al minuto, i veri distacchi si faranno in montagna. Io provo a dare tutto. I conti li faremo alla fine».