KIGALI (Rwanda) – Giusto per strappare il sorriso, quando alla vigilia del mondiale dei professionisti si componeva fra i pochi giornalisti italiani presenti la rosa dei favoriti o dei probabili protagonisti per l’indomani, il nome di Ben Healy entrava e usciva fra certezze assolute e grossi dubbi.
Questo mondiale così atipico, che alla fine ha avuto lo svolgimento di un tappone di montagna proponendone anche i distacchi, deve aver ricordato all’irlandese il giorno di Vire Normandie al Tour de France. Altra tappa di su e giù in cui il folletto della EF Education-EasyPost si esaltò in una guerra allo sfinimento. Tolti Pogacar ed Evenepoel, la sua corsa a Kigali è stata così: un lungo logorio da cui alla fine è uscito meglio di tutti gli altri. «Penso che il podio con Tadej e Remco – ha detto subito dopo – sia una foto davvero speciale. Insieme a uno dei più grandi e un altro che non è poi così lontano da lui».
Terzo al mondiale come alla Liegi: per l’irlandese di 25 anni una crescita costanteTerzo al mondiale come alla Liegi: per l’irlandese di 25 anni una crescita costante
Il tifo più rumoroso
Il dislivello del mondiale misurava 5.210 metri, quello di Zurigo 2024 si fermava a 4.210, la Liegi del 2025 ne aveva 4.365. Se a ciò si aggiungono la media altura e il fatto che si corresse all’Equatore, è intuitivo capire quale impegno pazzesco sia stato per i corridori.
«E’ stata semplicemente una gara folle – ha spiegato Healy – penso che il risultato lo rappresenti piuttosto bene. Sono riuscito a dare il massimo e arrivare al traguardo è stato davvero bello. Quello che abbiamo vissuto è stato incredibile, a dire il vero. Soprattutto sulla strada per il Mount Kigali, il tifo della gente era pazzesco, uno dei più rumorosi che abbia mai visto. Tantissima gente, è stato davvero bello».
Tutti i corridori hanno rimarcato quanto sia stato travolgente l’appoggio dei tifosi lungo il percorsoTutti i corridori hanno rimarcato quanto sia stato travolgente l’appoggio dei tifosi lungo il percorso
Meglio senza le radio
Da quel tratto in poi, vale a dire dal momento in cui Pogacar ha attaccato, anche la sua indole di lottatore senza limiti ha vacillato. Da quando Tadej è sparito in cima al tratto in pavé, dietro si è trasformata in una gara da vivere pedalata dopo pedalata, sapendo che nulla è mai finito fino alla linea del traguardo.
«Penso che avere qui la radio – ha commentato – sarebbe stata un’arma a doppio taglio. Poteva andare a tuo favore e anche ritorcersi contro. Ma oggi è stata una gara piuttosto semplice, credo. Si poteva davvero vedere cosa stava succedendo intorno e non ho mai avuto dubbi su dove si trovassero gli altri. Ripeto, forse è bello avere più aggiornamenti sui distacchi, ma penso che in generale crei sicuramente più caos».
Healy è stato uno dei più attivi dopo il rientro di Evenepoel, ma nel finale non ha più avuto gambe per seguirloHealy è stato uno dei più attivi dopo il rientro di Evenepoel, ma nel finale non ha più avuto gambe per seguirlo
I grossi progressi di Healy
Healy racconta e ogni tanto strabuzza gli occhi: difficile dire se sia stupito per il suo risultato. Rileggendo ora i risultati di primavera è facile pensare che sarebbe stato sbagliato non infilare il suo nome nei pronostici. Quarto alla Strade Bianche, quinto alla Freccia Vallone, terzo alla Liegi e con una tappa del Tour, Ben sta facendo passi da gigante.
«Penso di aver fatto progressi anno dopo anno – spiega – anche se solo per qualche punto percentuale qua e là. Ho anche perfezionato il mio modo di correre e sicuramente un Tour come quello dell’estate scorsa mi ha dato una piccola spinta in più. Sapevo cosa dovevo fare oggi e penso che abbia funzionato alla grande».
Il Tour ha dato grande morale a Healy, con la vittoria della sesta tappa a Vire Normandie e due giorni in maglia giallaIl Tour ha dato grande morale a Healy, con la vittoria della sesta tappa a Vire Normandie e due giorni in maglia gialla
Tutti sulle ginocchia
L’ultima osservazione, Healy la dedica alla durezza della corsa e al fatto che il suo inseguimento con Evenepoel e Skjelmose avesse ormai poco altro da dare.
«Credo che fossimo tutti sulle ginocchia – ha spiegato – era molto difficile dare di più. C’era ancora qualche gamba che potesse fare la differenza? Forse mancava un po’ di convinzione di potercela fare, ma nella mia mente ha prevalso la preoccupazione. Sapevo che c’era ancora molta strada da fare e se avessi ceduto, sarei andato alla deriva. Ho preferito concentrarmi su me stesso, cercando di non scavare troppo a fondo e troppo presto, con il rischio di pagarne davvero le conseguenze».
Ganna e Guazzini si sono già chiamati fuori dai mondiali crono del Rwanda. Si gareggerà su percorsi dal dislivello proibitivo. La reazione del ct azzurro
KIGALI (Rwanda) – Giovedì aveva detto che Mount Kigali gli piaceva, ma che fosse troppo lontano dal traguardo per immaginare un attacco. Dalla cima sarebbero mancati 104 chilometri all’arrivo, troppi anche per lui. La salita era trabordante di tifosi vestiti di ogni colore e il gruppo era tutto sommato ancora numeroso, quando invece Tadej Pogacar ha attaccato.
La scena di una corrida: il torero più famoso e atteso ha preso di petto il toro ben prima che fosse iniziato il lavoro per sfiancarlo. Alla sua ruota si sono portati subito Ayuso, Evenepoel e Del Toro. Sembrava il primo atto di una storia a quattro, è diventato presto il prologo dell’ennesima impresa. Remco è naufragato praticamente subito. Ayuso, che probabilmente ha pensato di avere l’occasione di vendicare qualche torto, ha chiesto troppo a se stesso e si è piantato. Solo Del Toro ha avuto le gambe per insistere, prestandosi al lento e inesorabile svuotamento. Perché Pogacar non dà mai l’idea di spingere, ma il suo ritmo ti toglie l’aria dai polmoni e l’ossigeno dai muscoli.
«In realtà – sorride Pogacar – avevamo progettato di muoverci proprio da lì, per cominciare a fare male. Andare da solo sarebbe stato un rischio, ma quando ho visto che eravamo in tre, ho pensato che sarebbe stata la mossa decisiva. Si poteva combinare qualcosa di buono e ha funzionato. Credo che a un certo punto Isaac (Del Toro, ndr) abbia avuto problemi di stomaco. Non volevo che si staccasse perché sarebbe stato meglio correre più a lungo con un altro corridore, soprattutto se era lui. Per questo ho cercato di incoraggiarlo e di farlo stare più a lungo con me. Sono rimasto da solo a sessanta chilometri dall’arrivo, una misura abbastanza giusta, che sono riuscito a gestire da solo».
Nel tratto finale in pavé di Mount Kigali, davanti c’è Del Toro, poi Pogacar e Ayuso già staccatoNel tratto finale in pavé di Mount Kigali, davanti c’è Del Toro, poi Pogacar e Ayuso già staccato
L’obiettivo di tenere la maglia
Ha corso e vinto alla sua maniera, sprezzante del rischio di piantarsi e rimanere a corto di energie. Si è messo sul suo passo migliore e non si è alzato dalla sella neppure per rilanciare all’uscita dalle curve. Sempre regolare, sempre composto. Come si fa nelle crono, lui che nella crono di domenica scorsa le aveva prese in modo pesante proprio da Evenepoel.
«Da quando sono arrivato qui – racconta Pogacar – ci siamo preparati per dare il massimo proprio in questa giornata. Per arrivare alla gara e prenderla in mano. Dopo il Tour non ho potuto abbandonare completamente la bici, perché se ti prendi due settimane di pausa e vai in vacanza, perdi molta forma fisica. Per cui non puoi. Magari una settimana fai meno, poi però devi allenarti di nuovo. Il mio grande obiettivo stagionale era difendere la maglia, ma ugualmente mi sono goduto questo viaggio. Qui è tutto diverso, ma in senso positivo. Ho fatto degli allenamenti davvero buoni con Urska e i miei compagni di nazionale. E’ stato semplicemente bellissimo. Abbiamo avuto molto supporto: ho vissuto una giornata fantastica, in una settimana fantastica e in un’esperienza fantastica. Però è stato anche un giorno durissimo per la quota, il caldo e il sole cocente. Sono super felice e orgoglioso di essere riuscito a farcela».
Arrivo a braccia alzate: negli ultimi metri, Pogacar ha anche richiesto l’applausoArrivo a braccia alzate: negli ultimi metri, Pogacar ha anche richiesto l’applauso
Niente viene per caso
All’arrivo ha trovato tutti i compagni che nel frattempo si erano ritirati, ad eccezione di Roglic che ha chiuso undicesimo. La folla alle transenne è esplosa in un boato che Tadej per primo, con gesti delle braccia, ha invitato a rendere ancora più rumoroso. Ha bissato così il titolo conquistato lo scorso anno a Zurigo, ma su un palcoscenico ben più vivace e al contempo delicato di quello quasi invernale e compassato della Svizzera.
«Non saprei scegliere – annuisce Pogacar – sono state due vittorie speciali, ciascuna a modo suo. L’anno scorso sono diventato campione del mondo per la prima volta, però difendere il titolo è sempre una delle cose più difficili da fare. Quindi anche questa vittoria è davvero speciale. In più siamo qui in Rwanda. E’ stato un lungo viaggio e ha richiesto una lunga preparazione e la cura di ogni dettaglio. Ad esempio avevamo con noi lo chef Jorge Marin Laria, uno dei membri del team UAE Emirates. Così ho potuto mangiare quel che normalmente mangio in gara. Bisogna fare così, questo sport lo esige. Magari è noioso, ma devi fare quello a cui sei abituato, incluso prepararti il cibo. Soprattutto in questo tipo di gara, perché è così lunga e si bruciano tante calorie. Bisogna assumere molto cibo e soprattutto quello che mangi normalmente nei giorni di gara e prima della gara».
Evenepoel è stato costretto per due volte a cambiare bici, ma ha pedalato allo stesso ritmo di PogacarEvenepoel è stato costretto per due volte a cambiare bici, ma ha pedalato allo stesso ritmo di Pogacar
La rivincita con Remco
Nella sfida c’era anche la sfida con Evenepoel, perchè giovedì aveva anche detto che in un modo o nell’altro oggi si sarebbe vendicato. Non si può dire che non gli sia costato o che non sia stato costretto a raschiare il fondo del barile. In certe inquadrature, stringeva i denti come uno che non ce la facesse davvero più. Però anche in questo andare in profondità, Pogacar ha mostrato di avere una riserva superiore. Anche più di Evenepoel che, malgrado i due cambi di bici, minacciava di avvicinarsi.
«Sapevo che Remco ha avuto qualche problema – racconta Pogacar – prima ho saputo che era nel gruppo. Poi non c’era più. Poi di colpo era davanti al gruppo. Ma non lo sapevo con esattezza, perché non avevamo le radio come nelle altre gare. Per cui mi sono concentrato solo sul distacco e su quanti corridori ci siano dietro e quanti siano rimasti in gara. Ho saputo che ha cambiato bici per due volte, quindi anche la sua corsa è stata impressionante».
La gente di Kigali ha accolto il mondiale con calore e curiosità: questa la folla del podioE sul podio assieme a Pogacar ed Evenepoel c’è anche Ben Healy, rivelazione di questo 2025La gente di Kigali ha accolto il mondiale con calore e curiosità: questa la folla del podioE sul podio assieme a Pogacar ed Evenepoel c’è anche Ben Healy, rivelazione di questo 2025
Trenta all’arrivo
Impressionante è stata anche l’accoglienza del Rwanda per questi eroi dalle gambe sottili. Il solo corridore africano che abbia raggiunto il traguardo è stato Amanuel Ghebreigzabhier, eritreo della Lidl-Trek. E’ passato sul traguardo, trentesimo e ultimo, con 12’04” di ritardo da Pogacar. Il resto del gruppo, vale a dire gli altri 134 corridori, si sono fermati ben prima: stremati dal ritmo, dalla polvere e dal caldo. Solo tre gli azzurri al traguardo: Ciccone arrivato sesto, Bagioli e il tenace Garofoli.
Raramente su una salita abbiamo visto lo spettacolo di Mount Kigali e raramente nei mondiali precedenti si sono visti così tanti bambini. In Europa il ciclismo è uno sport seguito da un pubblico prettamente adulto. Anche qui il ciclismo è uno sport, ma è stato soprattutto una festa. Resta la curiosità di capire che cosa questo grande evento, pagato neanche poco, lascerà a Kigali e alla sua gente. Loro ci hanno lasciato tanta allegria e tanta bellezza, speriamo di aver fatto qualcosa anche noi.
Questa primavera, al termine della stagione delle classiche, avevamo parlato con Charly Wegelius per capire assieme a lui dove potesse arrivare il suo corridore più battagliero ed estroso, Ben Healy. Non sono passati nemmeno tre mesi e l’irlandese ha conquistato il nono posto al Tour, una vittoria di tappa (un’altra sfiorata), ha indossato la maglia gialla e a Parigi ha vinto il premio di super combattivo.
Non male, per uno che alla partenza doveva puntare solo a dei traguardi parziali. Ora che i – meritatissimi – festeggiamenti sono passati abbiamo contattato di nuovo Wegelius per tirare le somme di questo straordinario Tour de France.
Charly Wegelius, DS della EF Education-EasyPost, è da anni in questo gruppo, quando ancora era CannondaleCharly Wegelius, DS della EF Education-EasyPost, è da anni in questo gruppo, quando ancora era Cannondale
Charly, un Tour oltre ogni aspettativa?
Le aspettative erano quelle, perché è giusto che siano sempre alte. Ma poi nel ciclismo sono più le volte in cui non raggiungi gli obiettivi che quando li raggiungi. Se prendi le 23 squadre che erano al via tutte avevano l’obiettivo di vincere una tappa, ma il problema è che le tappe disponibili sono solo 21… Se non sbaglio alla fine 14 squadre sono rimaste senza una vittoria. Quindi siamo molto soddisfatti, anche se poi si diventa rapidamente viziati, e l’unica cosa che poteva andare meglio era vincere sul Ventoux. Ma appunto, non è il caso di lamentarsi troppo.
Ad inizio maggio ci avevi detto che Healy avrebbe puntato a delle tappe e non alla classifica. Alla fine ha fatto questo e quello
Vista l’assenza di Richie (Carapaz, ndr) siamo partiti concentrati al 100 per cento sulle tappe. Poi Ben ha vinto la tappa con un distacco importante e si è trovato con la maglia gialla. Quando poi l’ha persa ci siamo accorti che c’erano delle scelte da fare. Se fosse rimasto troppo vicino in classifica non avrebbe più avuto l’opportunità di muoversi per le tappe. Quindi abbiamo deciso che avrebbe fatto la cronoscalata piano, appunto per uscire di classifica.
Il corridore irlandese ha indossato la maglia gialla al termine della decima tappa, dopo una fuga eccezionaleIl corridore irlandese ha indossato la maglia gialla al termine della decima tappa, dopo una fuga eccezionale
Però poi non è andata esattamente così…
Perché Ben non ce l’ha fatta ad andare piano. Mentre pedalava si guardava in giro, si godeva il panorama e le montagne, ma aveva un gamba impressionante e quindi alla fine non ha perso tanto tempo. E il fatto è che al Tour anche se sei 12° o 13° è difficile che ti lascino libertà, perché lì conta ogni piazzamento. Nonostante tutto abbiamo gestito bene la situazione e poi è riuscito a muoversi come voleva.
Quella maglia gialla, così inaspettata, cos’ha voluto dire per la squadra?
E’ sempre una gioia immensa, perché è il simbolo più potente che c’è nel ciclismo. Non voglio sottovalutare quello che ha fatto Carapaz a Torino (quando l’ecuadoregno ha indossato la gialla al termine della terza tappa, ndr), ma stavolta è stato diverso. L’ha presa dopo 10 giorni di gara e in un modo clamoroso, portando in giro i compagni di fuga per 40 chilometri, qualcosa di davvero straordinario. La nostra storia al Tour è una piccola storia, quella di una squadra che va contro il senso del ciclismo moderno che è sempre più robotico, iper calcolato. I commenti positivi della gente vanno in questa direzione, ci dicono che siamo una boccata d’aria, andiamo controcorrente, ci inventiamo delle cose. E questo smonta un po’ l’idea che in questo ciclismo non ci sia più spazio per qualcosa che definirei “artistico”.
Oltre alla tappa di Vire Normandie, Healy ha sfiorato la vittoria anche sul Mont VentouxOltre alla tappa di Vire Normandie, Healy ha sfiorato la vittoria anche sul Mont Ventoux
Torniamo ad Healy. Cambia qualcosa nella testa di un corridore dopo un 9° posto al Tour?
Se Ben possa essere un corridore da classifica è una curiosità che sia che lui che noi abbiamo sempre avuto. L’idea era di sperimentare nelle gare più corte del WorldTour. In primavera volevamo provare ai Paesi Baschi e poi al Delfinato, ma entrambe le volte per diversi motivi ci sono stati dei problemi. Così ci siamo trovati direttamente al Tour. Però bisogna anche dire che occorre un po’ di precauzione, di realismo, perché un conto è essere costanti ogni giorno, un altro è entrare e uscire di classifica con le fughe. Io forse trovo un po’ trovo noioso stare tutto il Tour nella penombra, senza guizzi, a fare i calcoli per un piazzamento.
Infatti c’è il pericolo che se Healy pensasse solo alla classifica perderebbe quello spirito battagliero che lo fa amare tanto dai tifosi?
A livello sportivo e tecnico fare 6° o 7° è un risultato di assoluto valore, non c’è dubbio. Ma a livello di storia che si racconta, di una squadra o di un corridore, è la cosa più noiosa che ci sia. Anche gli addetti ai lavori dopo qualche tempo fanno fatica a ricordarsi chi è arrivato quarto. Penso che il ciclismo ci perda se la paura di essere sconfitti è più grande della voglia di provare a vincere. Il lusso che ho io è che il nostro capo vuole che ci proviamo sempre, anzi l’unica cosa che lo fa arrabbiare è se non ci tentiamo qualcosa. Anche allo sponsor non dispiace se poi perdiamo, l’importante è che facciamo di tutto per correre con cuore e con coraggio. Secondo me è questo è il bello del ciclismo.
Grande soddisfazione fino alla fine, con il premio di super combattivo del Tour sul podio di ParigiGrande soddisfazione fino alla fine, con il premio di super combattivo del Tour sul podio di Parigi
Quindi Ben rimane più un corridore da classiche secondo te?
Non lo vedo come una cosa o bianca o nera. Lui potrebbe puntare alla classifica, ma a modo suo. La realtà è che niente rimane mai fermo. Ha bisogno di essere stimolato, anche perché ogni mese e ogni anno diventa più marcato dagli altri e il suo modo di correre non può essere lo stesso. Noi vogliamo accompagnare Ben nella sua carriera, e non solo dirigerlo, cerchiamo di avere dei progetti che lo sfidino. Quindi magari sì, in futuro proverà a fare classifica, ma sempre a modo suo, senza impedirgli di essere quello che è.
Quali sono le prossime gare in cui lo vedremo, la Vuelta?
No, ora un po’ di riposo poi punterà al Mondiale e al Giro di Lombardia. Ora però ci godiamo questo momento, questo successo, e poi vedremo per il futuro. Che sarà comunque sempre all’attacco.
Sul Massiccio Centrale tanto tuonò che non piovve? Sembra proprio di sì… La decima tappa del Tour de France nel giorno più importante per i “cugini”, quello della presa della Bastiglia, ha visto i big stuzzicarsi appena e la fuga andare via. Una di quelle 4-5 fughe che aveva pronosticato Aurelien Paret-Peintre, che infatti era nel gruppo giusto. Tappa a Simon Yates e maglia gialla a Ben Healy.
Come ha detto Stefano Rizzato in diretta Rai, una tappa che ha visto mischiare il rosa e il giallo: a vincere sul Massiccio Centrale è stato il re dell’ultima maglia rosa (appunto Yates) e un altro corridore in rosa si è preso la maglia gialla.
Ma al netto dei colori, che cosa ci ha detto questa frazione? Lo abbiamo chiesto a Giovanni Ellena, uno dei direttori sportivi della Polti-Kometa, in questi giorni in ritiro a Bormio con la sua squadra per preparare i tanti appuntamenti di agosto, tra Spagna e Nord Europa.
Giovanni Ellena, direttore sportivo della Polti-VisitMalta (foto Borserini)Giovanni Ellena, direttore sportivo della Polti-VisitMalta (foto Borserini)
Forse, Giovanni, ci si poteva attendere qualcosa di più da questa tappa?
Il dislivello era tanto, perché comunque 4.500 metri non sono pochi, però alla fine erano tutte salite abbastanza pedalabili. Se mandi due uomini in fuga nella tappa del Sestriere, dove poi c’è da fare tutta la valle e li tieni a 4-5 minuti è un conto. Ma in una tappa del genere lasciarli a quella distanza… a cosa serviva? E soprattutto, dove attacchi? Serve anche il terreno adatto e questa non era la tappa giusta.
Chiaro…
Va bene il 14 luglio, se vogliamo parlare della festa nazionale, ma non era una tappa in cui potevi fare grandi differenze attaccando da lontano. Se attacchi su una salita con pendenze elevate, può funzionare, ma qui era davvero difficile. E poi non è che stai attaccando “Giovanni”, stai attaccando un certo Pogacar.
La sensazione è che l’azione della Visma-Lease a Bike a un certo punto sia passata da “prepariamo l’attacco per Vingegaard” a “vinciamo la tappa”. In fin dei conti alla UAE Emirates che interesse aveva a tenere la maglia?
E infatti si è visto nel finale. Pogacar non ha nemmeno fatto la volata.
Aver perso la maglia gialla a questo punto del Tour lo aiuta ancora?
Un po’ sì. Intanto domani si riposa con qualche riflettore in meno. Non dico che sia stata una scelta voluta, è difficile fare certe valutazioni con i meccanismi attuali, ma sicuramente gli fa bene. Stressa meno la squadra. Anche mercoledì la responsabilità di tenere il gruppo, anche solo nei tratti in pianura, passerà sicuramente a un altro team, la EF Education-EasyPost, per quella legge non scritta che vuole davanti la squadra del leader. Magari si alterneranno con quella di qualche velocista. Tutto questo ti aiuta a salvare qualcosa in termini di energie. In più non scordiamo che ha già perso Almeida.
Nel finale la planimetria ruotava attorno alla meta, il Puy de Sancy, vetta del Massiccio Centrale. In fuga anche Velasco, in primo pianoNel finale la planimetria ruotava attorno alla meta, il Puy de Sancy, vetta del Massiccio Centrale. In fuga anche Velasco, in primo piano
E Sivakov oggi non era affatto messo bene sin dall’inizio…
Quindi comincia a risparmiare e fa bene. Anche se potrebbe vincere il Tour “da solo”, sa bene che la squadra è importante e che lavorare un filo in meno è utile. E poi ci sono i dettagli: le interviste, il tornare prima in hotel, tutti gli altri protocolli… Sono aspetti che oggi fanno la differenza.
E invece, Giovanni, come ti spieghi quegli attacchi ai 20-25 chilometri della Visma-Lease a Bike?
Probabilmente per cercare di far lavorare la squadra di Pogacar, risparmiando al massimo Vingegaard. Magari hanno deciso di puntare tutto sulle salite vere con Vingegaard, che non si è mai mosso davvero, a parte qualche scattino. Azioni volte a innervosire Pogacar, anche se mi sembra l’ultimo che si innervosisce! E’ difficile combattere con un personaggio del genere. C’è una cosa che mi ha colpito qualche giorno fa.
Quale?
Per radio voleva sapere come fosse andata la gara della sua compagna, Urska Zigart, al Giro Women. Non solo: ha chiesto anche della classifica. Vuol dire che sei disconnesso nel senso buono, che scarichi la tensione. E’ importantissimo nelle corse a tappe. Ti stacchi mentalmente. Sì, stai pedalando, ma non hai lo stress addosso. Ti alleggerisce psicologicamente. Oltre alla condizione fisica – che è incredibile – ha anche questa capacità. Penso alla borraccia al bambino l’anno scorso sul Grappa. Riesce a non essere sempre focalizzato al cento per cento.
Ecco gli attacchi, anzi i colpi di stiletto della Visma. Tocca per primo (e più volte) a Kuss. Dietro la UAE controlla…Poi entra in azione Jorgenson, a quel punto risponde subito Pogacar…Nel finale, lo stesso Pogacar dà una sgasata. Stacca tutti tranne Vingegaard, ma poi si risiede. Forse per perdere la magliaEcco gli attacchi, anzi i colpi di stiletto della Visma. Tocca per primo (e più volte) a Kuss. Dietro la UAE controlla…Poi entra in azione Jorgenson, a quel punto risponde subito Pogacar…Nel finale, lo stesso Pogacar dà una sgasata. Stacca tutti tranne Vingegaard, ma poi si risiede. Forse per perdere la maglia
Si diceva che con quegli attacchi volessero isolarlo, per evitare che con i suoi uomini potesse imboccare forte la salita. Pertanto gli attacchi dei Visma erano quasi più per difendersi: come la vedi?
Non lo so. Per me ha più senso il discorso del provare a innervosirlo, isolarlo, far stancare la sua squadra che non è al top. La Visma ha vinto la tappa, gli è andata bene, però poi quando in ammiraglia vedi che ti muovi, fai, prendi iniziativa e il tuo rivale a due chilometri ti piazza uno scatto del genere, come a dire “Il più forte sono io”, non è facile. Stasera Vingegaard in camera penserà: «Questo mi scatta in faccia e poi mi aspetta anche».
Forse anche perché voleva perdere la maglia gialla…
Sì, si per quello. Si è messo a ruota di Lenny Martinez che era reduce della fuga. E anche qui non è stata un’azione banale. Perché è vero che si chiama Pogacar ed è il più forte in assoluto in questo momento, ma è anche vero che più amici hai nel gruppo, meglio è. E da oggi avrà qualche amico in più nella EF e anche nella Alpecin-Deceuninck. Ieri a un certo punto era lui a rompere i cambi per favorire Van der Poel. Pogacar si sa gestire su tutto. E torno alla sua capacità di disconnettersi: lo rende più lucido.
Ma secondo te, Giovanni, è davvero il più forte o Vingegaard sta covando il colpaccio come due anni fa, quando alla prima vera salita cambiò tutto?
Potrebbe anche essere. Sin qui, anche per caratteristiche fisiche diverse, non è stato brillante come Tadej, ma non lo vedo affatto male. Se la sua condizione è davvero buona, sulle salite lunghe potrebbe anche fare la differenza. E non sarebbe la prima volta…
Remco, lo vedremo correre solo di rimessa, al netto del piccolo allungo di oggi?
Sì, deve correre di rimessa e sperare di non essere troppo sotto agli altri due. Poi magari mi sbaglierò, ma in questo momento la vedo così.
Ben Healy in giallo. L’irlandese è arrivato 3° a 31″ da Simon Yates. Ora guida con 29″ su PogacarBen Healy in giallo. L’irlandese è arrivato 3° a 31″ da Simon Yates. Ora guida con 29″ su Pogacar
Parola ai protagonisti
Quanto detto da Ellena trova riscontro nelle parole di Simon Yates: «E’ stata una vittoria di esperienza. E’ stato difficile entrare in fuga. C’erano molti corridori forti. Ho volutamente preso il comando nelle ultime curve, alla fine della discesa, prima dell’inizio della salita, perché volevo partire bene e prendere slancio. Lì ho dato il massimo. «Siamo tutti concentrati su Jonas – ha aggiunto Yates – e sulla classifica generale. E anche oggi era così. Il piano era di essere in fuga nel caso fosse successo qualcosa dietro, ma a un certo punto il distacco era troppo grande, quindi mi sono potuto giocare la tappa».
Un plauso va poi a Ben Healy. Tante volte ha corso peggio di un allievo al debutto, ma in questo Tour de France sta mostrando davvero la sua classe e anche il suo coraggio. A un certo punto ha corso esclusivamente per la maglia e ha centrato di nuovo l’obiettivo, non curandosi di Yates.
«Sono ancora un po’ apatico perché sono così stanco – ha detto Healy – Non ci posso credere. Se qualcuno mi avesse detto che dopo dieci giorni avrei indossato la maglia gialla, non ci avrei creduto. A un certo punto, quando il vantaggio è aumentato, ho semplicemente abbassato la testa e sono partito pensando solo alla maglia gialla. Ho iniziato a spingere e basta. Non ho potuto rispondere a Yates nel finale. Devo ringraziare i miei compagni (in fuga ne aveva tre: Neilson Powless, Alex Baudin e Harry Sweeny, ndr). Se non ci fossero stati loro, ora non avrei la maglia gialla. Harry è andato come un camion e Alex ha concluso alla perfezione».
«Quest’anno è capitato che abbiamo fatto andar via un corridore per 80 chilometri da solo – dice De Marchi – e che nessuno lo abbia seguito. Insomma, il gruppo è fatto da 180 corridori e la maggior parte non ha grandi occasioni. Ci sarebbero molte più possibilità di quelle che vengono veramente sfruttate, invece ci si limita alle tappe più scontate. E questo comporta che in quei 5-6 giorni tutto il mondo voglia andare in fuga e ti ritrovi con gruppi di 30 corridori pieni di seconde linee che potrebbero tranquillamente essere leader e sono lì a giocarsi la tappa».
Le fughe del Tour sono state l’ispirazione per un interessante confronto con il friulano della Jayco-AlUla, che sulle grandi cavalcate ha costruito i momenti più belli della carriera. La sua ultima partecipazione alla Grande Boucle risale al 2020 ed è del 2014 il numero rosso ricevuto sul podio di Parigi. Giovedì Ben Healy ha conquistato la prima tappa che sia sfuggita al gruppo (foto di apertura). Sono serviti quasi 100 chilometri per portare via il gruppo decisivo, poi è stato tutto un fatto di scelta di tempo e gambe. Una fuga andata via di forza, come ormai accade sempre più spesso. Quella di ieri verso il Mur de Bretagne è stata invece neutralizzata dal gruppo dei migliori, che ancora una volta hanno scelto di fare la corsa.
Sul podio dei Campi Elisi al Tour del 2014, quello di Nibali, De Marchi conquista il premio della combattivitàSul podio dei Campi Elisi al Tour del 2014, quello di Nibali, De Marchi conquista il premio della combattività
E’ così difficile andare in fuga al Tour?
E’ sempre stato difficile, ma forse adesso le occasioni sono ancora meno: l’offerta è diminuita e la richiesta è aumentata. A parte quei pochi che curano la classifica e che a volte puntano anche sulle briciole, adesso si gioca il tutto per tutto solo in alcune giornate. E’ un’altra storia.
Perché?
Perché prima i corridori di classifica pensavano alla classifica. Capitava quello che si buttava, ricordo Contador che ogni tanto faceva qualche attacco. Ma erano episodi sporadici, che non stravolgevano la corsa. Così ad andare in fuga eravamo solo noi seconde linee, tra virgolette, mentre adesso ti rendi conto che nelle fughe c’è dentro veramente di tutto. Guardate il gruppo da cui ha vinto Healy e dentro c’erano fior di campioni (con Healy c’erano, fra gli altri, Simmons, il vincitore del Giro Yates, Van der Poel, Storer, ndr). Giornate come quella diventano delle gare di un giorno all’interno di una gara tappe. Giovedì ci hanno messo 100 e passa chilometri a far partire la fuga. E’ come l’approccio a uno sprint, perché la minestra è la stessa ed è uguale anche il modo di affrontare il percorso.
Al Giro d’Italia è più facile?
In realtà si sta uniformando tutto. Ovviamente al Tour c’è qualcosa in più, ma era lo stesso 15 anni fa. Al Tour è sempre andato chiunque avesse l’un per 100 in più di condizione, motivazione e voglia. E questo, moltiplicato per 200, crea l’effetto Tour de France. Però la sostanza non cambia, anche al Giro quest’anno le fughe andavano così. Un’altra cosa che è cambiata parecchio è che le fughe sono molto più numerose, è difficile trovarne una di 5-6 corridori.
La fuga di giovedì verso Vire Normandie è andata via di forza dopo quasi 100 km. Qui Simmons e HealyLa fuga di giovedì verso Vire Normandie è andata via di forza dopo quasi 100 km. Qui Simmons e Healy
Che cosa cambia?
E’ una gestione completamente diversa. Replichi nella fuga la gara che di solito faresti in gruppo. Diventa una questione non solo di gambe, ma di strategia, necessità di leggere la corsa e i movimenti degli altri. Per me è sempre stato meglio andare in fughe meno numerose. Magari essere in tanti ti permette di arrivare più avanti, ma se il gruppo è grosso, c’è anche meno accordo. Giovedì, Healy ha scelto il momento giusto e poi le cose hanno avuto il solito svolgimento.
Quale?
Si crea il gap. Chi è davanti va alla stessa velocità di chi è dietro, che non ha più le forze per chiudere. Si congelano i distacchi, a meno che uno non salti per aria, cosa sempre più rara da vedere. Quindi alla fine diventa fondamentale fare la prima mossa e prendere subito vantaggio. Poi non ti prendono più.
Quanta concentrazione serve per prendere la fuga?
Tantissima, al punto che nei momenti topici nemmeno senti il baccano del pubblico. Devi tenere tutto sotto controllo. E’ super impegnativo, niente di diverso da un finale di gara, dalla preparazione di una volata. Con la tattica fai la differenza, perché un conto è fare due ore e mezza a tutta, altra cosa è mettersi nelle prime posizioni senza mai affondare, stare coperti e ritrovarsi ugualmente in fuga avendo speso un quarto rispetto agli altri. Quella è una cosa che cambia tanto e che una volta si faceva di più. Invece vedo gente che vuole andare in fuga solo di gambe. Si sa che al dato chilometro c’è lo strappo o la strada stretta, si aspetta solo quello e vanno via di forza, raramente d’astuzia o esperienza.
In fuga verso Stans, seconda tappa al Tour of the Alps 2024: per De Marchi arriva la vittoriaLa fuga di Sestola al Giro d’Italia del 2021 rese a De Marchi la conquista della maglia rosaIn fuga verso Stans, seconda tappa al Tour of the Alps 2024: per De Marchi arriva la vittoriaLa fuga di Sestola al Giro d’Italia del 2021 rese a De Marchi la conquista della maglia rosa
Sono così mediamente giovani che l’esperienza non possono averla.
Forse è vero, ma secondo me dipende dal fatto che le gambe sono diventate lo spartiacque. Quando hai un certo tipo di livello e di gambe, puoi fare il doppio delle cose di chi quelle gambe non le ha. Nove volte su dieci, ci riesci. E’ cambiata molto anche la voglia di rischiare e sorprendere il gruppo in giornate che sulla carta non sono adatte alle fughe. Se si prevede che finirà in volata, nessuno ci prova. Mi dispiace che sia così, vuol dire che non c’è poi tanta fantasia, non c’è tutta questa libertà.
Si fa solo quello che può riuscire?
Ricordo delle tappe da volata, con la fuga che riusciva quasi a farcela o addirittura ce la faceva e metteva in scacco tutti quanti. Al Delfinato del 2019, nella quinta tappa ero in fuga anch’io. Tutti aspettavano la volata, però siamo arrivati all’ultimo chilometro che ancora non ci avevano preso. Ce la siamo giocata fino in fondo, ma sono cose che succedono sempre meno. Vi anticipo: non darei la colpa alla radio, anche se in qualche misura incide. La verità è che secondo me nell’animo dei corridori di quest’epoca manca un po’ di spirito di iniziativa. Se il corridore vuole, ha la libertà di muoversi come vuole.
Quanto è importante saper leggere le dinamiche del gruppo?
Devi sapere come sono andate le giornate precedenti, se ad esempio c’è già stata una fuga, se qualcuno l’ha provata e non l’ha presa. Devi tenerlo in considerazione, devi conoscere gli eventuali rumors. Al Delfinato di quest’anno, si sapeva che la EF Education volesse andare in fuga, ma non ci erano ancora riusciti. Finché a un certo punto, mi pare nella quinta tappa, alla partenza si sono schierati tutti davanti e alla fine hanno messo Baudin nella fuga. Ci sono movimenti da leggere nei primi chilometri. Vedi la squadra che all’inizio chiude perché attende un tratto in salita più adatto al suo scalatore. Però sono finezze cui pochi fanno attenzione. Molti sono concentrati sullo sforzo, sul fatto di avere nelle gambe la botta al posto giusto e nel momento giusto. Invece ci sono anche altri aspetti da valutare.
La fuga di ieri verso Mur de Bretagne non è stata fatta allontanare: i più forti volevano la tappaLa fuga di ieri verso Mur de Bretagne non è stata fatta allontanare: i più forti volevano la tappa
Ad esempio?
Ad esempio il punto in cui attaccare oppure come farlo in base al vento. Alla Boucle de la Mayenne, la corsa che ho fatto prima del Delfinato, un giorno c’era terreno tutto su e giù, che alla fine vai velocissimo. C’era gente che scattava in cima agli strappi, anzi in discesa. Seguirli e mettersi a ruota era la cosa più semplice. Oppure capita che ci sia vento contro e la gente attacchi dalle prime file, con altri che gli prendono la ruota e si vede che non vai da nessuna parte. Sarebbe meglio arrivare da dietro lanciati e magari far partire un compagno e poi attaccare in prima persona. Sono cose che si vedono raramente.
Cosa pensi quando passi davanti al tuo numero rosso?
Mi ricorda che c’è stato un periodo in cui avevo anch’io la cartucciera piena e non avevo paura di sparare e tentare. Il momento della giovinezza, ma anche di quando hai un sacco di fiducia e voglia di provarci.
Il tempo è volato. Alessandro è appena rientrato dall’Alto Adige con la famiglia ed è in partenza verso l’Austria per fare altura con la squadra. L’ultimo anno della sua carriera entra nella seconda parte e i programmi sono ancora da farsi. Durante lo scorso inverno, con ottima scelta di tempo, il Rosso di Buja ha fatto e superato il corso per diventare direttore sportivo e si sta guardando intorno per capire cosa fare da grande. Sarebbe davvero utile avere in ammiraglia qualcuno capace di insegnare certi concetti e certi movimenti.
Healy ha la faccia da furetto e quando sorride fa grande simpatia. Poi sarà per i capelli smossi e lo sguardo che a volte sembra da matto, gli hanno costruito addosso la fama dell’anarchico: difficile da imbrigliare e vittima del suo stesso estro. Oggi ha portato via la prima fuga a 178 chilometri dall’arrivo e poi se ne è andato da solo quando ne mancavano 40. Sul traguardo di Vire Normandie, il piccolo britannico che dal 2016 corre con licenza irlandese, è arrivato con 2’44” su Simmons. Più che il suo estro, oggi gli avversari non sono riusciti a imbrigliare lui.
Servono nuovamente le parole di Charly Wegelius che lo ha guidato verso la vittoria per far capire che quell’immagine scarmigliata e disordinata è sbagliata. Anche di fronte a un’impresa così estemporanea, che tanto estemporanea (vedremo) non è stata.
«Abbiamo parlato di una mossa del genere – racconta il tecnico britannico – sul pullman questa mattina. Conosciamo le caratteristiche dei nostri atleti e pensiamo sempre al modo migliore per sfruttarle. Ma tra pianificare una cosa del genere e farlo, c’è di mezzo il mare. Sono cose toste. Questo ragazzo ha alcuni punti in suo favore. Il primo è il suo cervello, perché riflette molto sulle cose che fa. Il secondo è che è molto aerodinamico. E poi ha una resistenza bestiale alla fatica. Ma di certo non è anarchico. Certo ha fantasia, però studia quello che fa e si muove sempre con un motivo. La conseguenza è spesso molto bella da vedere».
Le prime due ore si sono corse a una media elevatissima: un vero show per la tanta genteLe prime due ore si sono corse a una media elevatissima: un vero show per la tanta gente
Ripagare la squadra
Di certo sorride tanto Ben Healy ed è come se oggi fosse uno di quei pochi giorni in cui abbia davvero voglia di mostrare quello che ha dentro. Come quando nel 2023 vinse la tappa di Fossombrone al Giro d’Italia e apparve raggiante come non l’avevamo mai visto prima. Parla da vincitore e da leader, da uno che sa dire grazie.
«E’ semplicemente incredibile – risponde Healy – è successo quello per cui ho lavorato non solo quest’anno, ma da quando ho iniziato a fare il corridore. E non io da solo, parlo di ore e ore di duro lavoro da parte di così tante persone e questa vittoria è il modo migliore per ripagarle. I passi avanti degli ultimi tempi sono stati una vera e propria rivelazione e questo mi ha davvero fatto credere che sarei potuto diventare un corridore per risultati importanti. Mi sono messo sotto. Ho lavorato duramente. Ho cercato di perfezionare anche il mio stile di gara. Poi ho guardato anche un sacco di filmati di gara e questo oggi ha dato i suoi frutti».
Ben Healy è nato l’11 settembre del 2000 a Kingswinford in Gran Bretagna. E’ alto 1,75 per 65 kgSecondo al traguardo è Simmons, che stacca Storer e si volta per controllareBen Healy è nato l’11 settembre del 2000 a Kingswinford in Gran Bretagna. E’ alto 1,75 per 65 kgSecondo al traguardo è Simmons, che stacca Storer e si volta per controllare
Un colpo a sorpresa
Decisamente tanto studio e tanto cervello: mai giudicare (superficialmente) qualcuno dal suo aspetto. Quando 9’30” dopo di lui passano sul traguardo appaiati Powless, Baudin e Sweeney, che hanno saputo della sua vittoria dalla radio, le loro braccia si alzano al cielo all’unisono. Healy è ancora in strada e li aspetta. Fra l’emozione, la stanchezza e la necessità di riprendere fiato, quel tempo non gli è parso neppure così lungo.
«La tappa ha avuto un inizio pazzesco – racconta ancora Healy – un ritmo altissimo dall’inizio alla fine e io mi sono acceso subito. Forse ho passato un po’ troppo tempo e tante energie per cercare di entrare nella fuga, ma penso che sia solo il modo in cui sono capace di farlo. Una volta che ci sono riuscito, abbiamo dovuto davvero lavorare per avere il vantaggio giusto, quindi è stato un giorno davvero impegnativo. E intanto pensavo. Sapevo che dovevo avvantaggiarmi e scegliere il mio momento. E penso di aver calcolato bene i tempi e di averli colti di sorpresa. A quel punto, ho capito cosa dovevo fare. Da solo, a testa bassa e fare del mio meglio fino al traguardo. C’era l’altimetria perfetta: era una tappa che avevo cerchiato sin dall’inizio. Sono cresciuto guardando il Tour e ho sempre desiderato di farne parte. Ed è vero che ho solo vinto una tappa, ma esserci riuscito è davvero così incredibile…».
Pogacar risponde così al tentativo di forcing della Visma sull’ultima salita: il padrone per ora è luiPogacar risponde così al tentativo di forcing della Visma sull’ultima salita: il padrone per ora è lui
I calcoli di Pogacar
Lo portano via perché sta arrivando Pogacar. E a chi si chiedeva se quest’ultimo strappo sarebbe servito ad accendere la miccia fra i primi della classifica, la risposta arriva puntuale come il forcing della Visma-Lease a Bike e la risposta della maglia gialla. Vingegaard è arrivato con lui, ma ne ha subìto il passo. Su questi strappi non c’è storia, vedremo sulle salite più lunghe. Oggi semmai era lecito aspettarsi Evenepoel, su strade simili alla Liegi. Invece Remco è rimasto buono nella scia, mentre sotto il cielo del Tour si è sparsa la voce del suo (probabile) prossimo passaggio alla Red Bull-Bora. La maglia gialla se la riprende Van der Poel, che in fuga ha faticato ben più di quello che si aspettava e quel primato così fragile (un secondo su Pogacar, ndr) sarà più un sollievo per il campione del mondo che un vanto per l’olandese.
«Pensavamo che avrebbero provato – dice Pogacar sorridente – non so a cosa sarebbe servito, ma sono andati forte e ci siamo limitati a seguire. Le prime due ore sono state velocissime e fortunatamente siamo sopravvissuti. A quel punto abbiamo pensato se valesse la pena correre per la tappa, ma abbiamo deciso di non sparare colpi a vuoto e abbiamo fatto il nostro passo. Forse la Visma ha accelerato per impedirmi di perdere la maglia gialla, ma alla fine l’ho persa per un solo secondo, perché comunque la fuga davanti ha fatto davvero un lavoro straordinario. Tutto merito loro. Non mi dispiace avere la maglia gialla, ma come ho detto, l’obiettivo per oggi era di spendere il meno possibile, mentre domani è un altro buon traguardo per me. Però attenti, abbiamo ancora bisogno di un po’ di gambe per la seconda e la terza settimana. Quindi il lavoro di oggi va considerato positivo soprattutto in questa prospettiva».
Van der Poel è stato a lungo maglia gialla virtuale con ampio margine. Il crollo nel finale gliel’ha portata con appena 1″ su PogacarVan der Poel è stato a lungo maglia gialla virtuale con ampio margine. Il crollo nel finale gliel’ha portata con appena 1″ su Pogacar
Roba da mal di testa
C’è tanto calcolo in questo ciclismo spaziale che ha visto svolgersi una tappa di 201,5 chilometri con 2.987 metri di dislivello a 45,767 di media. Il calcolo millimetrico di Healy nel prendere la fuga e poi nel lasciare i compagni con un attacco che unisse potenza e sorpresa. Quello di Van der Poel, stremato sull’asfalto a capo di una giornata che gli ha riportato la maglia gialla, ma forse lo priverà delle gambe per rivincere domani al Mur de Bretagne. Il calcolo di Pogacar, deciso a mollare il primato. E il calcolo di quelli dietro, con il tempo massimo di 52’50” che ha permesso a Milan di arrivare a 29’33”, salvando la gamba e la maglia verde per appena 4 punti. Chi pensa che sia solo un fatto di muscoli e cuore, alla fine di tappe come questa potrebbe aver bisogno di una pillola per curare il mal di testa.
Con il terzo posto alla scorsa Liegi-Bastogne-Liegi, Ben Healy ha conquistato il suo primo podio in una Monumento. Un risultato arrivato dopo tre stagioni in cui abbiamo imparato a conoscerlo e a riconoscerlo: sempre in fuga, sempre all’attacco, con quella testa leggermente piegata sulla sinistra.
Nel 2023 si è rivelato al mondo con un 2° posto all’Amstel Gold Race e un 4° alla Liegi, e da quel momento non ha smesso di crescere e stupire. Ma chi è davvero Ben Healy? E dove può arrivare ora che, a 25 anni, è nella piena maturità? L’abbiamo chiesto al suo direttore sportivo all’EF Education-EasyPost, Charly Wegelius.
L’inglese Charles Wegelius (classe 1978) è dal 2017 a capo dello staff della EF Education-EasyPostL’inglese Charles Wegelius (classe 1978) è il diesse della EF Education-EasyPost
Charles, ci racconti com’è stato il tuo primo impatto con Healy?
Aveva già fatto ottimi risultati come dilettante e per questo lo abbiamo voluto con noi. Nel primo anno abbiamo deciso di farlo correre senza cercare picchi di forma specifici per poter decidere un programma misto, in modo da capire dove inquadrarlo nel ciclismo di questo livello. La stagione successiva (2023, ndr) abbiamo puntato più specificatamente sulle gare di un giorno. Quell’anno cadde a febbraio e mi ricordo che fece dei lavori impressionanti sui rulli, al punto che poco dopo riuscì ad arrivare 2° all’Amstel dietro Pogacar e disputare un ottimo Giro d’Italia. Proprio in virtù di quell’esperienza, in questa stagione abbiamo cercato di ricreare una programmazione simile al 2023, e per ora direi che sta funzionando.
Quindi avete capito presto di avere tra le mani un corridore di qualità?
Tutti i corridori che arrivano in una squadra come la nostra hanno grandi qualità, ma poi bisogna capire come farle fruttare. Dopo aver visto quello che Ben ha fatto già il primo anno, quando come dicevo abbiamo evitato di fare lavori specifici, ci ha convinti del suo valore. A quel punto non ci voleva un genio a capire che con una preparazione mirata sarebbe solo migliorato. E infatti così è stato.
Ben Healy all’ultima Liegi attacca con sua caratteristica andatura, finirà 3° dietro Pogacar e CicconeBen Healy all’ultima Liegi attacca con sua caratteristica andatura, finirà 3° dietro Pogacar e Ciccone
Torniamo al 2025. Quali saranno gli obiettivi dopo la primavera?
Ora si prenderà un periodo di pausa dalle gare e preparerà il Tour. Poi punteremo ai mondiali e poi alle classiche di fine stagione in Italia.
Al Tour si concentrerà sulle tappe o proverà a fare classifica?
La classifica per ora la scartiamo, perché vorrebbe dire fare una gara anonima e precludersi obiettivi più grandi. Per lui in questo momento conviene uscire di classifica e puntare a qualche tappa specifica, magari meno del solito, ma in maniera più precisa. Anche se non è facile con lui, perché ha sempre tanta voglia di attaccare. Potrebbe anche pensare alla maglia a pois, ma quello si vedrà al momento in base a come andrà la corsa. Certo per uno come Ben resta un obiettivo possibile.
All’Amstel Gold Race del 2023 Healy è riuscito a staccare un campione come PidcockAll’Amstel Gold Race del 2023 Healy è riuscito a staccare un campione come Pidcock
Hai detto che non sempre è facile tenerlo fermo. Quel modo di correre è quello che l’ha fatto amare fin da subito dai tifosi.
Sì, questa è una sua caratteristica, ma non vuol dire che sia un cavallo pazzo, anzi. E’ consapevole sia delle sue capacità che dei limiti, e corre di conseguenza. Per fortuna di tutti, il risultato è che spesso questo crea delle gare molto divertenti, ma c’è sempre un pensiero dietro. Lui sa che può mantenere delle velocità alte per molto tempo e il ciclismo di oggi ti obbliga a partire da lontano, ad anticipare, anche perché lui non ha un grande spunto in volata e quindi sa che deve arrivare da solo.
Per ora l’abbiamo visto in azione nelle classiche. Un giorno credi che potrà puntare alla classifica in un Grande Giro?
Non vogliamo scartare nulla, perché sta crescendo ancora. Prima o poi vorremmo provare a fare classifica in una corsa di una settimana e da lì vedere come va. Quando ci sarà spazio proveremo a sperimentare e capiremo assieme. Non penso che abbia già raggiunto i suoi limiti fisici. E se non ci fosse Pogacar…
Alla Liegi 2025 per la seconda volta l’irlandese ha condiviso il podio con Pogacar Alla Liegi 2025 per la seconda volta l’irlandese ha condiviso il podio con Pogacar
A proposito di Pogacar, abbiamo visto quel simpatico siparietto al termine della Liegi, quando Healy gli ha chiesto quando ha intenzione di ritirarsi. Pensando già in ottica Lombardia, come si fa a battere questo Pogacar, anticipando gli attacchi sempre di più?
Il problema è che non solo lui è fortissimo, ma ha una squadra di altissimo livello. Bisogna prendere atto della sua superiorità e accettare il fatto che la sua presenza cambia anche tatticamente la corsa. Ma non bisogna darsi per vinti prima di partire, anche lui è un essere umano e noi ci proveremo sempre. Come con la pioggia o con il sole c’è la tendenza a pensare che quello che abbiamo di fronte durerà per sempre, ma non è così. Arriverà il momento in cui anche Pogacar sarà battuto, in cui ci sarà uno spiraglio di luce, e quel giorno Ben sarà pronto.
Veniamo al Ben Healy corridore e uomo, ci racconti che tipo è?
E’ un ragazzo molto tranquillo, non è uno che alza la voce, ha una buona anima, pensa sempre tanto prima di parlare. Ha cervello, capisce quello che gli succede attorno. Fuori dalla sua bolla, per esempio è uno di quei corridori che nota tutto il lavoro che fa lo staff per lui. Quando ci parli devi essere preparato anche tu, perché conosce bene gli aspetti tecnici del ciclismo, come l’aerodinamica e la meccanica. Direi che in generale è molto facile lavorare con lui.
Al Giro 2023 Healy ha vinto a Fossombrone la sua prima corsa nel WT. Quest’anno riuscirà a fare sua anche una tappa al Tour?Al Giro 2023 Healy ha vinto a Fossombrone la sua prima corsa nel WT. Quest’anno riuscirà a fare sua anche una tappa al Tour?
Con il terzo posto alla Liegi Healy è entrato di diritto nel novero dei più forti corridori al mondo nelle classiche da scalatori. Oltre alla gambe quanto conta il carattere per raggiungere questi livelli?
Direi che ci sono tanti corridori molto forti, ma spesso quello che distingue quelli che hanno un livello superiore è la mentalità. Tutti fanno sforzi e sacrifici, ma quelli superiori hanno un carattere differente. Hanno qualcosa di diverso, una determinazione, una consapevolezza, che si vede ancora di più nelle gare di un giorno. Perché sai che quelle poche ore si concentrano magari mesi di lavoro e devi avere una mentalità particolare per non farti prendere dall’ansia e dare il meglio di te. Lì, in quel momento. Mio padre lavorava con i cavalli e mi diceva che i più forti avevano un carattere speciale che notava subito. Secondo me con i corridori è simile, i campioni hanno qualcosa di particolare che li differenzia dagli altri. E Ben rientra sicuramente in questa categoria.
TRASACCO – La nuvola s’è spostata e ha smesso di piovere. L’arrivo è dall’altra parte del parchetto, per cui i corridori devono fare il giro e raggiungono come capita il gruppo dei massaggiatori che li attendono. Quando i primi tagliano il traguardo, gli ultimi hanno ancora dieci chilometri da fare: Milan è là dietro cercando di recuperare dalle botte di ieri in vista della tappa finale. Il freddo non aiuta, ma Johnny racconterà poi che nel finale è tornato ad avere buone sensazioni e la preoccupazione per la caduta di ieri si è dissipata. Nella bolgia di atleti che tremando cercano di infilarsi la mantellina, Mirko Maestri riemerge in lacrime da un lunghissimo abbraccio con Maurizio Borserini, il fotografo della squadra.
La tappa l’ha vinta Kooij, l’emiliano è arrivato quinto. «Oggi ho dato il massimo – ha detto dopo l’arrivo il velocista della Visma-Lease a Bike – anche se quando sono venuti fuori i ventagli, mi sono ritrovato tra speranza e disperazione. Un momento pensavo che ce l’avremmo fatta e quello dopo invece no. Quando poi abbiamo preso la testa della corsa, ho cambiato mentalità. Sono davvero felice. L‘obiettivo era vincere una tappa e ci siamo riusciti. Questo mi dà molta fiducia».
Per Olav Kooij, 23 anni, quella di Trasacco è la terza vittoria dell’anno dopo le due in OmanPer Olav Kooij, 23 anni, quella di Trasacco è la terza vittoria dell’anno dopo le due in Oman
In fuga per 155 chilometri
Peccato che abbia ricostruito la fiducia sulla pelle di Maestri, che invece è stato in fuga per 155 dei 190 chilometri della tappa. Più che al Giro, quando nella tappa di Fano si arrese ad Alaphilippe. Il finale è stato uno snervante tira e molla. Alle porte del piccolo comune aquilano sulla sponda del Fucino, il vantaggio è stato a lungo inchiodato sui 13 secondi. Erano quattro. Maestri, Arcas, Leemreize e Blume Levy. Rutsch, che è stato per un po’ anche leader virtuale, è scivolato in una curva a destra e non l’hanno più visto. Il gruppo li aveva davanti, che pareva di toccarli. Prima di vederli anche noi passare, pensavamo che se li avessero presi alla svelta, la loro sofferenza sarebbe finita. Invece erano intenzionati a tenere duro: non si molla niente.
«Peccato perché ci credevo – dice Maestri – avevo parlato di questa tappa con Zanatta già da prima che la Tirreno cominciasse. Siamo arrivati a un soffio, mi dispiace. Sono anche un po’ incavolato il corridore della Uno X, perché se avessimo collaborato nel finale, si poteva arrivare e ci saremmo giocati una volata a tre con lui e con Healy».
Il via da Norcia, dove San Benedetto veglia sulla cittadina che porta ancora le ferite del terremotoIl via da Norcia, dove San Benedetto veglia sulla cittadina che porta ancora le ferite del terremoto
La generosità di Healy
L’irlandese li ha presi subito dopo l’ultimo strappo, quello su cui Van der Poel ha mostrato i muscoli e Ganna è andato a prenderlo. Healy li ha raggiunti e si è messo subito in testa, con lui sono rimasti il corridore della Polti-VisitMalta e quello della Uno-X Mobility. Ha tirato quasi sempre lui, evidentemente spinto da mire di classifica. Un paio di volte proprio Maestri gli ha dato un cambio, Blume Levy non ha fatto nemmeno il gesto. Non si è reso conto che in certi casi il modo migliore per non vincere è credersi più furbi degli altri.
«Quando è passato Ben Healy – prosegue – gli siamo andati dietro. Credo che abbia avuto indicazioni dall’ammiraglia. Ma quando arrivi lì, a mollare non ci pensi per niente. L’anno scorso mi hanno preso a un chilometro (nella tappa di Giulianova, vinta da Milan, ndr), quest’anno addirittura ho fatto quinto. Avevo ancora gambe e infatti sono arrabbiato, perché penso che nella volata a tre avrei vinto. Non mi sbilancio mai, però per come è andata la volata di gruppo… Ci ho provato, ci riproverò e spero ci sia l’occasione anche al Giro. Non abbiamo ancora saputo niente, però mi farò trovare pronto e voglio chiudere finalmente questo cerchio».
Sullo strappo del circuito, Van der Poel accelera forte, Ganna rientra in progressione. Altre prove di Poggio?Sullo strappo del circuito, Van der Poel accelera forte, Ganna rientra in progressione. Altre prove di Poggio?
La previsione di Zanatta
Zanatta conferma e ricorda anche che nel 2010 da queste parti una fuga (quasi) bidone stava per decidere il Giro d’Italia. L’Abruzzo ha strade, curve e discese che ispirano l’imboscata. Per questo l’idea di andare avanti gli era parsa azzeccata e la sua previsione ha colto nel segno.
«Avevo detto a Maestri che era la tappa giusta per lui – ammette Zanatta – poteva giocarsela. Sarebbero bastati 5 secondi in più e comunque si può essere soddisfatti. Un quinto posto con tutti i corridori che ci sono non è davvero da buttare, peccato che abbia avuto paura ad anticipare. Ha anche dato un paio di cambi a Healy, lo sapevamo che su quello strappo qualcuno sarebbe partito ed era molto probabile che arrivasse lui. Nella riunione avevo fatto proprio il suo nome ed ero certo che avrebbe avuto interesse ad arrivare per guadagnare terreno».
Healy tira, Maestri gli dà due cambi, Blume Levy si volta e fa un po’ il furboHealy tira, Maestri gli dà due cambi, Blume Levy si volta e fa un po’ il furbo
Senza mai mollare
Il pullman non è lontano, la strada lentamente si va svuotando. La tappa è partita da Norcia subito in salita. Ha attraversato le Terre Mutate del terremoto. Ha scavalcato salite poco note, ma non certo di poco conto. Si è frammentata in quattro ventagli. E solo dopo Ovindoli la strada ha smesso di fare male.
«Ho fatto un tentativo in discesa – racconta Maestri – nella pianura tra la prima e la seconda salita, che però non era un Gpm. Sono partito con il corridore della Wanty e poi sono entrati gli altri tre ragazzi. L’abbiamo portata via io e Rutsch, era freddo, però meno di ieri. Abbiamo tenuto l’andatura forte tutto il giorno, mentre ieri si accelerava e poi si rallentava e quindi si gelava. Anche se erano a 10 secondi, io ho corso per arrivare. Non mi sarei fermato finché non ce li avessi avuti attaccati alla ruota dietro, per non dire altro. Non ho mollato, si è visto anche nella volata. Peccato che non tutti ci abbiano creduto come me…».
TORINO – Tutta l’America Latina in visibilio nel nome di Richard Carapaz. Il campione olimpico di Tokyo 2020 ha un rapporto speciale con Torino. E dopo averci sfrecciato in rosa il 21 maggio di due anni fa, ieri ha coronato il lungo inseguimento giallo, regalandosi una giornata storica non soltanto per l’Ecuador ma per l’intero Continente.
Dopo la maglia conquistata quasi per sbaglio da Tadej Pogacar a Bologna, ne arriva una cercata, voluta e sudata nel primo arrivo per ruote veloci nonché la tappa più lunga di questo Tour (230,8 km). Nell’arzigogolata classifica dopo le prime due tappe, erano ben quattro e a pari tempo i pretendenti al simbolo del primato. Oltre all’asso sloveno c’erano Remco Evenepoel, Jonas Vingegaard e appunto Carapaz. Quest’ultimo, con la rabbia ancora in corpo per l’esclusione dai Giochi di Parigi 2024 da campione uscente, era per tanti il candidato numero uno a indossare la maglia tanto ambita. E così è andata con il quattordicesimo posto nella tappa vinta da Biniam Girmay.
«Richard, ma sei in maglia?», gli chiediamo pochi metri dopo lo sprint. Lui ribatte: «Credo di sì», ma al tempo stesso fa segno di aspettare e butta giù alcuni orsetti gommosi. Poi arriva l’ufficialità e comincia la festa. «Good job, guys» il messaggio di un euforico Carapaz al traguardo, dopo la conferma che la missione era compiuta e prima di abbracciare il campione portoghese Rui Costa, tutti i compagni che arrivano alla spicciolata, artefici dell’impresa corale.
Carapaz è 14° all’arrivo: sta realizzando proprio ora di aver preso la maglia giallaCarapaz è 14° all’arrivo: sta realizzando proprio ora di aver preso la maglia gialla
Il piano giallo
A pilotarlo fuori dal traffico nel concitato finale, evitando la caduta ai – 2 km è stato Marijn Van der Berg (13°) che, mentre defatica sui rulli, rivive quegli istanti con noi: «Ho provato a tirargli la volata – dice – è stato qualcosa di nuovo trovarsi lì davanti con uomo di classifica alle tue spalle, ma è stato spettacolare e penso che Richard fosse super felice di quello che abbiamo come squadra».
Poi, racconta il piano maglia gialla: «Al mattino, prima della partenza da Piacenza, abbiamo cominciato a studiare come prenderla e abbiamo fatto di tutto perché diventasse realtà. Avere la maglia gialla è super speciale. Ovviamente, tutti sognano di conquistarla in prima persona, ma se la indossa un tuo compagno, la senti davvero vicino ed è qualcosa di pazzesco. Siamo stati uniti come squadra e ora speriamo di tenerla per un po’, anche se ci aspetta subito una giornata molto dura, ma ci proveremo».
L’irlandese Ben Healy gli fa eco: «Ce l’abbiamo fatta, siamo andati a tutto gas e ci siamo riusciti. Il mio lavoro è stato meno tattico e più di fatica perché è arrivato ben lontano dal traguardo, ma credo che faremo un po’ di festa ora. Sarà bello vedere Richard vestito di giallo».
Il popolo di Carapaz lo attendeva sotto al pullmanIl costaricano Ricardo e la panamense Argelia: tutti per CarapazIl popolo di Carapaz lo attendeva sotto al pullmanIl costaricano Ricardo e la panamense Argelia: tutti per Carapaz
Una festa di paese
Il diesse della EF Procycling Charly Wegelius racconta ancora: «Dopo la grande prestazione di Richie a Bologna, abbiamo guardato la classifica. Sapevamo che in caso di parità, si sarebbe guardata la somma dei piazzamenti. Valeva la pena lavorare per un obiettivo di questo calibro, ma sapevamo che in un arrivo così concitato allo sprint poteva succedere di tutto».
E a chi mormora che Pogacar volesse comunque cedere la maglia, ribatte: «Abbiamo fatto il nostro lavoro senza pensare a chi la voleva lasciare. Ora teniamo i piedi per terra e cercheremo di difenderla, ma sarà la strada a parlare».
I tifosi al motorhome fucsia attendono il loro beniamino e fanno un gran fracasso. «Eravamo a Verona quando ha trionfato al Giro 2019. Ora siamo qui per questa festa gialla che proseguiremo a Pinerolo, acclamandolo alla partenza della quarta tappa», racconta Osvaldo, originario di Ambato, ma oramai trapiantato a Torino, e a capo della curva ecuadoregna.
Attorno al bus della squadra americana si sono radunati tifosi provenienti anche da Panama, Costa Rica, Colombia tutti uniti nella festa della Locomotiva del Carchi. Accanto al costaricano Ricardo e alla panamense Argelia si fa largo Josè, ecuadoregno arrivato da Varese, che fa da capocoro col suo megafono e poi ci racconta. «Sono originario di Milagro – dice – ma oramai vivo qui ed è fantastico averlo visto raggiungere questa maglia storica. Ora speriamo che vinca il Tour».
Gli orsetti gel sono desiderati da tutti nel dopo corsaE qui finiscono in bocca al vincitoreGli orsetti gel sono desiderati da tutti nel dopo corsaE qui finiscono in bocca al vincitore
Il sogno giallo
Il bus della squadra se ne va, non c’è nemmeno la troupe di Netflix a immortalare questo giorno storico perché oggi aveva la giornata libera. Però Johannes Mansson, video e social manager della squadra ci assicura che la nuova maglia gialla è in arrivo ed è pronto a filmare tutto. La strada viene riaperta e comincia a ripopolarsi di macchine, scendono le prime gocce di pioggia, ma ecco che alle 18,11 compare un puntino giallo in lontananza e si sente musica latina nell’aria.
I tifosi rimasti in via Filadelfia, proprio davanti allo Stadio Olimpico Grande Torino, vengono ricompensati dalla visione paradisiaca. Richard sorride a tanto affetto e ci concede qualche battuta: «Mi sto godendo questo momento unico. Ho sempre sognato di portare questa maglia, è davvero speciale e non potete capire quanto sono felice in questo momento».
Il pullman è andato in hotel: Carapaz tornerà su questo van della squadraIl pullman è andato in hotel: Carapaz tornerà su questo van della squadra
Torino porta bene
Torino gli ha regalato un’altra giornata magica, da aggiungere al cassetto dei ricordi: «E’ una bella casualità. Passai proprio qui da leader del Giro nel 2022 e ora guardate, sono qui vestito di giallo».
E’ il primo sudamericano a indossare tutte le tre maglie dei Grandi Giri in carriera, lui sorride e replica: «Sono molto contento di questo». E chissà che non ci torni l’anno prossimo nel capoluogo piemontese che dice bene ai ciclisti dell’Ecuador. Lo aveva già dimostrato l’accoppiata tappa e maglia di Jhonathan Narvaez (preferito a Carapaz per l’imminente Olimpiade) nella prima tappa dello scorso Giro. Torino, infatti, ospiterà anche la grande partenza della Vuelta nell’agosto del 2025 come confermato ieri da più fronti istituzionali per un tris inedito.
Sul calore proveniente da ogni angolo del Centro e Sud America, commenta: «E’ qualcosa di splendido rappresentare insieme questi Paesi e vedere che il ciclismo sta crescendo anche lì. È una grande cosa e mi rende molto felice». La dedica? «E’ per la famiglia, perché soltanto loro sanno quanti sacrifici ho fatto e quanto tempo passo lontano da casa. I miei figli quando saranno grandi potranno rendersi conto di quello che ho fatto e sono questi gli sforzi che vale la pena fare».
Johannes carica la bici sul tetto, le porte si chiudono, ma il tripudio latino-americano prosegue per le strade torinesi: «Carapaz-Carapaz-Carapaz». Un ritornello che travolgerà anche Pinerolo in un altro abbraccio giallo prima che la corsa lasci l’Italia.