Dennis, bordata alla Ineos e “guerra” a Pogacar

22.01.2022
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Chissà come l’avranno presa alla Ineos Grenadiers ascoltando le parole pronunciate da Rohan Dennis durante la presentazione della Jumbo Visma in cui l’australiano è approdato da quest’anno. A rileggerle anche a distanza di giorni, non devono essere suonate proprio bene.

«Quando ero con Ineos – ha detto – mi sono reso conto che stavano copiando la Jumbo Visma sotto parecchi aspetti. Così ho pensato: perché dovrei rimanere in una squadra che sta copiando quella dall’altra parte della barricata? Perché non entrare a far parte dell’originale ed essere davanti anziché inseguire?».

Questo è il lungo video della presentazione virtuale della Jumbo Visma. L’intervista a Dennis inizia a 59’55”

Jumbo in testa

Dennis non è entrato nei dettagli, ma le sue parole hanno fatto pensare di certo agli investimenti tecnici del team, alla querelle sull’uso dei chetoni e hanno soprattutto ispirato una riflessione sul come vada il mondo del ciclismo. Quando il Team Sky arrivò con i suoi tanti soldi, fece subito la differenza anche nelle metodologie di lavoro e per anni non c’è stato spazio per altro. L’avvento di Jumbo-Visma e UAE Team Emirates, i soli due colossi che per potenzialità hanno la capacità di contrastare l’impero britannico, ha stabilito equilibri diversi. Gli investimenti hanno portato nuovi studi e, sia pure coperti da grande riservatezza, questi hanno fatto decollare le prestazioni degli atleti coinvolti.

«In questo sport – ha confermato Dennis – di solito ci sono una o due squadre che spingono seriamente per guadagnare quello 0,5-1 per cento di vantaggio che permette di vincere le corse e al momento la squadra in testa è proprio la Jumbo».

Con Roglic, Dumoulin e Vingegaard nel primo ritiro c’era anche Laporte, a sinistra
Roglic, Dumoulin e Vingegaard: Tom al Giro, gli altri due al Tour

Due anni in giallo

L’australiano, la cui storia è passata sia pure per un anno (il 2011) nella continental della Rabobank da cui anni dopo sarebbe nata la Jumbo Visma, non è nuovo a cambiamenti improvvisi, soprattutto dopo la chiusura della BMC in cui dal 2014 al 2018 sembrava aver trovato la giusta gratificazione. E’ durato nove mesi al Team Bahrain Merida vincendo da… isolato il mondiale crono di Harrogate e due anni con la Ineos Grenadiers, scrivendo le bellissime pagine del Giro 2020 vinto con Tao Geoghegan Hart. Ora è passato al… nemico olandese e per i prossimi due anni lavorerà per Roglic, Dumoulin e Vingegaard, potendo coltivare contemporaneamente la passione per la crono (sul podio di Tokyo, è stato terzo dietro Roglic e Dumoulin, entrambi atleti Jumbo Visma). Merijn Zeeman, tecnico del team lo ha definito un acquisto da sogno.

«Ma io – ha sorriso – cerco di non dare ascolto a queste etichette che si trasformano in pressione. Però mi fanno capire la mia importanza per il team. Non sono venuto qui per divertirmi, ma per fare il mio lavoro. Raggiungere delle prestazioni, quello che più mi piace. Ho lavorato per tutta la mia carriera da professionista e anche prima per arrivare a questo punto. Il mio obiettivo è sempre stato essere uno dei più forti al mondo. E fondamentalmente ho voluto trasferirmi alla Jumbo Visma perché tecnicamente è una squadra migliore. Sembra davvero una grande struttura».

Buona la prima

E l’inizio è stato dei migliori. Il 12 gennaio a Ballarat, Dennis ha conquistato il titolo australiano della cronometro (foto Jumbo Visma in apertura), battendo Durbridge e adesso proseguirà la sua preparazione in Australia, alla larga dai contagi che hanno costretto la nuova squadra a sospendere il ritiro in Spagna. Tornerà in Europa per l’inizio delle corse che lo riguardano, con il mirino sul Tour de France e più in avanti sui mondiali della crono che si svolgeranno proprio in Australia.

«Il Tour è un grande obiettivo – ha detto – un circus in cui voglio entrare con la squadra che potenzialmente potrebbe vincerlo. Voglio aiutarli a battere Tadej. Il ragazzo mi piace (ride, ndr), ma adesso è… il nemico!».

Copeland: questa squadra comincia ad assomigliarmi

21.10.2021
4 min
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«Il 2021 – dice Copeland – è stato un anno molto negativo. Bello parlare di cambiamenti, ma alla fine contano i risultati. Siamo andati bene fino al Giro, poi è sembrato che ci fosse una calamita che ci attirava contro la sfortuna».

Il manager sudafricano, che dal Team Bahrain Merida a luglio del 2020 passò al Team Bike Exchange, si fa carico di tutte le responsabilità, ma sa benissimo che non è facile saltare su un’auto in corsa e prenderne il controllo. Per lui è stato così. Lo ha chiamato Gerry Ryan grande capo australiano del team, che reagì a suo modo al tentativo di… scippo della sua squadra. Erano i giorni della Fondazione spagnola che si era proposta di rilevare la squadra, rendendola spagnola. Ryan, il cui problema non era certo la capacità di spesa, si mise di traverso e si mise in mezzo alla strada con le braccia conserte. La fusione saltò. Shayne Bannan, da sempre manager del team, si dimise. Al suo posto arrivò Copeland.

Dal luglio 2020, Copeland ha lasciato il Team Bahrain ed è diventato manager del Team Bike exchange
Dal luglio 2020, Copeland ha lasciato il Team Bahrain ed è diventato manager del Team Bike exchange
C’è un però?

Non è mai facile entrare in una squadra disegnata da altri, che va avanti da dieci anni allo stesso modo. Sei tu che devi adeguarti al loro modo di lavorare, non il contrario, altrimenti creeresti delle frizioni eccessive e inutili.

Qual era la tua missione?

Il capo dall’Australia mi ha chiesto di eliminare alcune abitudini, adeguando il modo di lavorare della squadra. E io ho cominciato a farlo gradualmente. Si vedrà nel tempo se funziona.

Di quali abitudini parliamo?

Piccoli dettagli. Il modo di scegliere i calendari e i corridori. Il lavoro dei cuochi.

Davvero Gerry Ryan è consapevole anche di questi dettagli?

E’ molto dentro alla squadra. Ha una testa pazzesca, del resto gli imprenditori così grandi hanno una marcia in più. Anche se ha lasciato parecchio lavoro in mano ai figli, riesce a essere presente sul suo lavoro e sul team. ha passione, cerca di portare lo stesso metodo di lavoro che ha nella sua squadra di rugby, i Melbourne Storm, una delle più forti d’Australia. Dà piena fiducia, ma vuole esserci.

Con il terzo posto ad Amilly, quest’anno Matthews leader per un giorno alla Parigi-Nizza
Con il terzo posto ad Amilly, quest’anno Matthews leader per un giorno alla Parigi-Nizza
Quindi non serviva rovesciare il tavolo?

No, non avrebbe avuto senso. Abbiamo iniziato a lavorare sull’allenamento, la nutrizione (nel team arriva Laura Martinelli, nostra esperta, che con Copeland ha lavorato al Bahrain, ndr), la fisioterapia, lo staff medico. Abbiamo curato molto i piccoli dettagli.

Matthews ha detto che avete lavorato tanto, ma non sono venuti i risultati.

Il problema di Matthews sono Van der Poel e Van Aert. Quando ci sono loro, nella sua testa corre per fare secondo o terzo. Alla Vuelta non c’erano e lui ha sbagliato. Per strafare e vincere tanto, ha puntato a tutte le tappe, mentre avrebbe fatto meglio a individuarne due o tre e andare per quelle.

Matthews e Yates sono del 1990, c’è una linea più verde in arrivo?

Yates (in apertura al Giro, chiuso al 3° posto, ndr) non è Pogacar. Mi aspettavo di più da Lucas Hamilton, che al Tour voleva mettersi in luce, ma ha fatto fatica. Lui vale il miglior Hindley, hanno avuto carriera parallela. E’ un giovane che arriva

Lucas Hamilton vale in salita il miglior Hindley, ma la sua estate è stata sfortunata
Lucas Hamilton vale in salita il miglior Hindley, ma la sua estate è stata sfortunata
Visto che il 2022 dovrebbe essere un anno di riscatto, che inverno ti aspetti?

Di solito questa squadra non fa ritiri, perché i più sono in Australia. Questa volta però ne faremo uno a dicembre senza gli australiani, che resteranno a casa per fare poi le corse di gennaio. Poi quello classico a dicembre. L’anno scorso c’è mancato tanto lo stacco invernale. Con il Giro che finiva a ottobre e la Vuelta a novembre, la stagione è stata lunga 18 mesi. Adesso finalmente si stacca e si riposa. I corridori australiani non sono potuti tornare a casa a vedere le famiglie per mesi, non è stato facile. Non è facile nemmeno adesso.

Shultz è arrivato terzo alla Coppi e Bartali, poi ha fatto Giro e Vuelta
Shultz è arrivato terzo alla Coppi e Bartali, poi ha fatto Giro e Vuelta
Per la quarantena?

Due settimane rigidissime e 3.000 dollari. Arrivi, ti portano in un hotel che non puoi scegliere e ti ci chiudono dentro. Puoi essere un miliardario o un poveretto, decidono loro. Per fortuna dal primo novembre si scende a 10 giorni e poi andrà ancora a calare.

Quindi è arrivato il momento di riposare?

Un parolone. Fino a ieri siamo stati presi per consegnare all’Uci tutta la documentazione per la licenza e poi non è che manchi così tanto per ripartire…

Il sogno di Matthews si conquista sul Poggio

13.10.2021
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Believe. Ci crede Michael Matthews, è convinto di poter lasciare ancora un segno importante sulla strada coi suoi colpi di pedale e se l’è tatuato sul collo per ricordarselo ogni volta che si guarda allo specchio.

Crede con tutto il cuore di poter portare a casa una Monumento, come la Milano-Sanremo che nell’estate del 2020 lo vide chiudere al terzo posto, salendo sul podio con la mano destra ancora sanguinante. Nel 2022 sarà ancora quello l’obiettivo, oltre alla suggestione del mondiale casalingo di Wollongong, ancora tutto da scoprire. Abbiamo incontrato il trentunenne di Canberra a Rivoli, poco dopo che aveva ultimato le visite mediche canoniche all’Istituto delle Riabilitazioni del Gruppo CIDIMU di Torino, clinica ufficiale del Team Bike Exchange.

Michael che cosa pensi della stagione appena conclusa?

Direi che provo un mix di sentimenti. Penso che la squadra sia stata fantastica, ma qualcosa non ha funzionato. Ora l’abbiamo ristrutturata, sono arrivati nuovi corridori, nuovi membri dello staff. E’ successo questo, quello che abbiamo imparato da quest’anno lo metteremo nel prossimo in cui puntiamo a essere di nuovo là davanti. 

Sei un corridore molto generoso, a volte forse fin troppo nei primi chilometri e poi ti mancano le energie per le fasi finali della corsa. Che cosa cambierai per l’anno prossimo e hai già fissato gli obiettivi per la stagione ventura?

I miei obiettivi personali non cambiano più di tanto. Quest’anno è stato forse un po’ più stressante per tutta la nostra squadra, magari perché non abbiamo raggiunto i traguardi che ci eravamo prefissati. Le cose hanno continuato a non girare e non siamo riusciti a rompere quel circolo vizioso, sfortunatamente. Durante la pausa al termine di questa stagione e nei primi mesi della preparazione in vista della prossima, tutto sembra promettere bene. Sono arrivati un paio di nuovi sponsor, che possono essere davvero d’aiuto. E non vedo l’ora cominci la nuova stagione. 

Il sogno resta la Sanremo: pensi che anche nel 2022 si deciderà sul Poggio?

Il Poggio sta diventando davvero il punto chiave della corsa, per sferrare l’attacco decisivo. Sta cambiando il modo di correre la Sanremo in gruppo e così anche i corridori che si presentano al via: non ci sono più solamente velocisti che cercano di portare la corsa allo sprint. Penso di dover cambiare anch’io e adattarmi a questo stile di corsa dei giorni attuali, molto più all’attacco. Mi concentrerò su questo nella pausa stagionale.

La sua ultima vittoria risale a Plouay nel 2020, in maglia Sunweb
La sua ultima vittoria risale a Plouay nel 2020, in maglia Sunweb
Hai parlato del ciclismo che sta cambiando, che ne pensi di questa nuova generazione che sta spingendo: Pogacar, Evenepoel, Van der Poel? Sta cambiando qualcosa in gruppo?

Sì, credo che il gruppo stia sicuramente cambiando. I nomi che hai citato sono ragazzi davvero molto giovani, che stanno portando tra i professionisti il modo di correre degli under 23 o persino degli under 19 in certi casi speciali. Penso che sia grandioso, negli anni mi sono adattato ad aspettare per tutta la corsa e poi chiudere a tutta: ho dovuto farlo perché quello era lo stile. Ora si sta tornando allo stile che adoro. Devo soltanto riabituarmi a correre in quel modo, ma credo che sarà qualcosa di semplice per me perché amo correre così. Purtroppo, mi sta richiedendo del tempo in più, ma mi auguro di ritornare a quel livello d’attacco l’anno prossimo. Così potrò divertirmi e giocarmela con questi ragazzi. 

I mondiali in casa dell’anno venturo sono una bella suggestione: che ne pensi?

Non abbiamo ancora visto il percorso. Se sarà pianeggiante, abbiamo Caleb (Ewan, ndr) che è molto veloce al momento, ma credo che a Wollongong il tracciato sarà abbastanza ondulato, quindi avremo più opzioni e questo è ottimo per la squadra. Abbiamo tanti corridori che possano dire la loro in un percorso ondulato e nervoso: credo che sarà una corsa così. L’ultima volta che ho fatto i mondiali in Australia me la sono cavata bene (nel 2010 a Geelong divenne iridato degli U23, ndr) per cui sarebbe davvero una favola.

Michael, abbiamo visto che hai un nuovo tatuaggio. C’è scritto “Believe”, giusto? Credere nel vincere una Monumento o un mondiale?

Sin dai primi anni di professionismo mi sono fatto tanti tatuaggi. Sono un po’ nascosti, ma tutti significano molto per me. In queste ultime stagioni a volte mi è mancato un po’ “crederci”. Penso che ora, ogni volta che mi guardo allo specchio, posso continuare a credere nella mia passione, nei miei risultati e nella mia vita per raggiungere quello che è possibile. Attraversi periodi più difficili e altri migliori nel corso della vita, ma alla fine devi continuare a crederci, per essere sicuro di raggiungere quelle cose che desideri con tutto te stesso. Ho dedicato gran parte della mia vita al ciclismo e, in cambio, voglio continuare a prendermi tutto quello che posso per me.

Wollongong, il 2022 strizza l’occhio agli sprinter

24.09.2021
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Tornando a casa dovrà fare due settimane di quarantena, ma per nulla al mondo Stu Taggart avrebbe rinunciato a questo incontro nel centro di Leuven. L’amministratore delegato dei prossimi mondiali di Wollongong era evidentemente orgoglioso di poter raccontare l’impresa che nelle intenzioni contribuirà a risollevare l’economia turistica della sua città dopo la pandemia. Fra un anno, giorno più giorno meno, il circo iridato sarà infatti nel pieno delle sfide australiane, nello stato del New South Wales. La città australiana che lo accoglierà conta 300 mila abitanti, sorge 90 chilometri a sud di Sydney e si divide fra l’Oceano e le colline.

«Il ciclismo – ha detto Taggart – offre al mondo la possibilità di vedere ogni anno posti bellissimi ed è un onore pensare che tutto questo il prossimo anno sarà nella nostra città. Il ciclismo laggiù unisce naturalmente la costa con l’entroterra e rappresenta un futuro sostenibile. Il mondo dello sport ricorda con piacere il clima delle Olimpiadi di Sydney 2000 ed è sull’accoglienza che vogliamo puntare. Vivendo di turismo, abbiamo avuto un forte impatto con il Covid e i mondiali arriveranno nel momento giusto».

Stu Taggart è l’amministratore delegato dei mondiali di Wollongong 2022
Stu Taggart è l’amministratore delegato dei mondiali di Wollongong 2022

Ritorno alla normalità

Alla presentazione, che si è svolta ieri sera nell’elegante e frizzante centro di Leuven, erano presenti anche David Lappartient e Peter Van den Abeele, che per conto dell’Uci valuta i percorsi.

«Il ciclismo in Australia – ha detto il presidente dell’Uci – sta letteralmente esplodendo. E sperando che ci sia il ritorno alla normalità che il Belgio sta sperimentando in questi giorni, credo che sarà un evento memorabile. Ricordo a tutti che ancora a gennaio, non fu possibile ammettere il pubblico ai mondiali di ciclocross di Ostenda, mentre ora le strade sono piene di tifosi, con l’unica accortezza della mascherina. Ho parlato pochi giorni fa con il Ministro dello Sport australiano e mi ha garantito che per settembre 2022 sarà tutto perfetto. Tutte le volte che il ciclismo sbarca in Australia, si vivono giorni eccezionali».

La stessa crono

Il percorso, dunque, e il programma, che vedrà come quest’anno in apertura le crono degli elite, la staffetta mista il mercoledì, il giorno di riposo il giovedì e poi le gare su strada.

«La prima caratteristica che mi sento di svelare – ha detto Van den Abeele – è che la crono degli uomini sarà per la prima volta lunga come quella delle donne, su una distanza di circa 35 chilometri. Faranno esattamente lo stesso percorso. Avremo partenze e arrivi dalla spiaggia, con un percorso contro il tempo piatto e simile a questo delle Fiandre. La gara su strada dei professionisti invece avrà un lungo giro iniziale che contiene una salita pedalabile. Il circuito invece sarà tecnico e non del tutto pianeggiante, ma comunque più agevole di quello sui cui si correrà qui in Belgio».

Più Matthews che Ewan

Mondiale per velocisti, insomma? Verrebbe scontato pensare a un percorso disegnato per Caleb Ewan, ma qui è stato Stu Taggart a riprendere la parole.

«Sarà un percorso veloce – ha detto – ma non per velocisti. Più che a Caleb Ewan, che comunque potrebbe trovarcisi bene, penserei piuttosto di corridori come Michael Matthews».

Singolare coincidenza, dato che proprio Matthews nel 2010 vinse la corsa degli under 23 ai mondiali di Geelong, che su strada vennero vinti da Thor Hushovd. Furono i primi mondiali di Paolo Bettini sull’ammiraglia azzurra, a pochi mesi dalla morte di Ballerini. Betto si raccomandò più volte con Pozzato di prendere in testa l’ultima curva di quella corsa caratterizzata dagli scatti di Nibali e Visconti. Ma Pippo la prese troppo indietro. E nonostante una rimonta eccezionale, segno che avesse probabilmente le migliori gambe del lotto, conquistò “solo” il quarto posto.

Lappartient e Van den Abeele presenti all’incontro per parlare del percorso e dei criteri di scelta
Lappartient e Van den Abeele presenti all’incontro per parlare del percorso e dei criteri di scelta

Buono per noi

«Sarà una grandissima festa – ha concluso Stu Taggart – e metterete alla prova la nostra ospitalità. Abbiamo sviluppato il miglior percorso possibile, ma siamo certi di poter offrire una piattaforma di accoglienza per voi tutti indimenticabile. Abbiamo avuto paura di non poterlo fare, ma le vaccinazioni procedono forte e anche se finora il mio Paese è stato restio ad aprire le frontiere per impedire il contagio, per il prossimo settembre troverete tutte le porte aperte».

Cos’altro dire, avendo peraltro in casa uomini veloci come Viviani, Nizzolo, Colbrelli, Trentin, Cimolai e Modolo? Grazie per la presentazione, mister Taggart, ci vedremo certamente l’anno prossimo.

La storia di Jai Hindley, ragazzino all’antica

19.02.2021
6 min
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Il ragazzino Jai Hindley, che al Giro ha picchiato come un fabbro, ha concluso presto la sua permanenza in Australia e si è trasferito in Europa rinunciando al ritorno a casa per Natale. Debutto previsto alla Parigi-Nizza. Inutile dire che questa volta non si tratta del ritorno di un giovane promettente, ma del giovane promettente che ha perso il Giro d’Italia nella crono di Milano, cedendo per appena 39 secondi. Le attese saranno superiori e con le attese aumenterà anche la pressione. A ben vedere il gioco comincia adesso e si capirà se le meraviglie dello scorso anno poggiavano su solide fondamenta o se si sia trattato di exploit dovuti a vari fattori ambientali.

Al ritiro di dicembre del Team DSM, nato sulla base del Team Sunweb
Al ritiro di dicembre del Team DSM, nato sulla base del Team Sunweb

Zero pressione

La sua fortuna è che certe pressioni inizieranno semmai qui da noi, dato che a Perth dove vive, la risonanza del Giro è stata abbastanza esigua.

«L’unico segnale per pensare che qualcuno nei media australiani fosse interessato al Giro – ha raccontato suo padre Gordon a Ride Media – c’è stato quando abbiamo ricevuto una telefonata dalla Abc appena prima dell’ultima tappa. Hanno chiesto se potevano fare un servizio e una chiacchierata su Jai, su quali fossero i suoi risultati e da dove venisse. Invece il giornale di qui, il West Australian, non ci ha nemmeno contattato per chiedere qualcosa su di lui. Poi, quando mi hanno effettivamente chiamato, il loro giornalista mi ha chiesto se potevo aiutarlo perché lui non sapeva davvero niente di ciclismo».

L’anno del rugby

Gordon Hindley non è australiano, ma arrivò laggiù da Manchester nel 1989. A dirla tutta, il vero appassionato di ciclismo è sempre stato lui, con un passato da corridore. Fu lui a mettere in bici il piccolo Jai portandolo in pista e fu lui a rischiare l’infarto quando per un anno suo figlio mise via la bici e decise di dedicarsi al rugby. Non ne aveva la stazza, ma fu giusta l’intuizione di sua madre Robyn di lasciargli provare qualcosa di diverso per mettere alla prova la passione per il ciclismo. Infatti, dopo aver apprezzato il cameratismo fra rugbisti, il piccolo Hindley riprese la bici.

Rosa effimera

Jai Hindley ha indossato la maglia rosa per appena 15,7 chilometri: quelli dell’ultima crono. Infatti l’ha conquistata a Sestriere, nel giorno in cui l’ha persa il compagno Kelderman. Sulla gestione del Giro da parte del Team Sunweb si potrebbe parlare a lungo. Probabilmente l’australiano avrebbe potuto prendere vantaggio sin dal giorno ai Laghi di Cancano, magari provando anche a staccare Tao Geoghegan Hart.

Sul divano

«Fisicamente – ha raccontato a Cyclingnews – mi sentivo ancora abbastanza bene nell’ultima settimana, fino a Sestriere. Penso che a travolgermi sia stato più che altro più il lato mentale. E’ qualcosa che non avevo mai passato, davvero. Mi ha colpito come una tonnellata di mattoni in quell’ultima settimana. E quando sono tornato a casa a Girona, è stato semplicemente bello sedermi sul divano e sprofondare senza dover fare nulla. Ma ora penso che sia importante fare un passo indietro, non lasciarsi risucchiare troppo e godersi davvero il momento. Sembra un cliché, ma non capita tutti i giorni di indossare la maglia rosa, anche se solo per 15 chilometri. E’ stato un momento che mi ha cambiato la vita».

A Sestriere Kelderman perde la maglia e Hindley, che lo consola, la conquista
Prende la rosa a Sestriere dalle spalle di Kelderman

Pista a 7 anni

Crescendo con un padre come il suo, è inevitabile che per tutta la vita abbia inseguito quello che il Giro d’Italia del 2020 gli ha messo nel piatto. Essere al centro delle operazioni. Lottare con i migliori sulle salite. Fronteggiare le interviste. E anche sostenere gli sguardi di chi non lo conosceva, se lo è ritrovato fra i piedi e poi lo ha visto vincere ai Laghi di Cancano, pensandolo uscito dal nulla. Senza immaginare che la sua strada fosse iniziata davvero da tanto lontano.

«Lo abbiamo portato al velodromo di Midland quando aveva sette anni – racconta ancora suo padre – dove avevano costruito un programma per lo sviluppo dei bambini in pista, che all’epoca era gestito da un allenatore chiamato Rick Lee. Quando poi lui è partito per andare a lavorare in America, io sono diventato un allenatore accreditato, passando per il sistema di coaching australiano. In cuor mio sapevo che avrebbe perso il Giro nella crono, ma concedere solo 39 secondi a Geoghegan Hart, che è più grande e potente di lui, è stato un bel risultato. Sono anche sicuro che con il tempo Jai migliorerà nelle crono, ha cominciato a farlo ogni anno da quando è arrivato in questa squadra».

Maglia rosa presa a Sestriere e indossata da Hindley soltanto nei 15,7 chilometri dell’ultima crono
I ragazzino in rosa sul podio di Sestriere

All’antica

Sarà questo miscuglio di vecchio stile inglese e gli insegnamenti appresi in Italia con Umbertone che hanno dato a Hindley un approccio con le corse forse all’antica, che però gli ha permesso di giocarsi il Giro a testa alta.

«Non è vero che sono uscito dagli U23 e ho iniziato a vincere immediatamente – dice – sono cresciuto di qualche passo ogni anno. Nel 2018 ho lavorato sodo e senza riflettori. Nel 2019 sono venuti i primi piazzamenti. Penso che la nostra squadra sia davvero brava a far maturare anche i ragazzi che non vincono tutto al loro primo anno da professionisti. Quando corro non voglio conoscere la potenza o il battito cardiaco. Se guardi in basso e vedi che stai già facendo numeri altissimi, quando qualcuno attacca pensi di non avere margine per seguirlo. Personalmente, preferisco correre vecchio stile e andare avanti con le sensazioni».