La Sicilia è un buon posto per allenarsi e riflettere, pensa Scartezzini dalla sua stanza d’hotel a Noto. Il quartetto dell’inseguimento è volato giù dal 7 dicembre e rimarrà fino a domani, poi si sposterà a Formia per gli ultimi quattro giorni di lavoro prima di Natale.
«Stiamo facendo prevalentemente strada – dice il veronese, che nella foto di apertura è con Federico Morini – ma solo ieri siamo andati in velodromo per provare un po’ di partenze. Era pieno di bambini venuti a vederci e a girare in pista. Come quando arriva in paese la Juventus. E’ un altro mondo. Caldo, percorsi pedalabili. Siamo sempre in maglietta e pantaloncini. Eravamo già venuti a Noto per un solo giorno l’anno scorso durante un raduno sull’Etna, ma in questa fase l’altura non serve».
Agli ordini di Marco Villa, in questo angolo incantato d’Italia più a sud dell’Africa, ci sono Scartezzini, appunto, più Bertazzo, Lamon, Simion (fresco di firma con la Giotti Palomar), Plebani, Pinazzi, Gidas Umbri e Tommaso Nencini. Come dire lo zoccolo duro dell’inseguimento a squadre, più qualche giovane e senza i due o tre nomi da aggiungere in vista di Tokyo: Consonni, Ganna, Milan e Viviani.
Cominciate a essere in tanti…
Si è visto al mondiale. Siamo un gruppo forte con esigenze diverse. Noi che siamo qua abbiamo corso poco e abbiamo bisogno di fare allenamenti di sostanza, mentre Viviani, Ganna e Consonni tutto sommato hanno avuto una stagione frenetica ma quasi normale. E comunque non è più come una volta, la differenza tra stradisti e pistard si sta facendo più netta.
Che cosa intendi?
Io ormai faccio quasi solo pista. In allenamento non serve che faccia chissà quali dislivelli, come se dovessi prepararmi per una gara a tappe. Mi sto concentrando molto più sulla forza rispetto a un tempo, che mi agevola per le partenze. Debutterò in Argentina alla Vuelta San Juan, ma sarà per avvicinarmi meglio al calendario della pista. Siamo tanti per quattro posti, prima o poi saremo scelti sulla base dei tempi che saremo in grado di fare.
Quindi la prima sfida è interna?
Prima dell’europeo mi sentivo davvero in palla e non tutti fra noi andavano allo stesso modo. Se il Covid non ci avesse decimato, durante gli allenamenti ci sarebbe stata la selezione. Poi magari stavo lo stesso a casa perché altri andavano meglio, ma l’importante era sapere di aver fatto tutto il massimo.
Non ti dà fastidio pensare che probabilmente alla fine arriveranno gli altri quattro dalla strada e tanto lavoro sarà vanificato?
No, per due motivi distinti. Il primo è che le Olimpiadi sono una cosa immensa, ma l’anno prossimo ci sono anche gli europei, i mondiali e un calendario molto ricco. Il secondo è che davanti a un atleta capace di fare tempi migliori, hai poco da restarci male. Certo, sportivamente rosichi. Siamo cresciuti insieme nello stesso gruppo, è brutto che qualcuno parta e qualcuno no. Però è lo sport. Non ne conosco tanti di fenomeni, ma noi ne abbiamo un bel concentrato. E se di colpo arriva uno come Milan, che dopo un solo anno in pista fa certi tempi, posso solo togliermi il cappello.
Le Olimpiadi, dicevi…
Per la prima volta sono alla nostra portata. Prima le vedevamo come irraggiungibili. A Londra ci andò Viviani e fece anche bene. A Rio arrivammo quasi per caso. Intorno a noi erano tutti serissimi, noi sembravamo superficiali. Ma adesso che siamo nella situazione per cui la medaglia è alla nostra portata, vogliamo esserci a tutti i costi. Sarà una sfida anche fra noi, altrimenti sarebbe troppo facile, ma non sarà certo l’esclusione a chiudere la mia carriera. Sono nelle Fiamme Azzurre. Mi hanno preso per la pista e posso lavorare sereno. Se salto Tokyo, c’è Parigi quando avrò 32 anni. Non sono un atleta tanto sfruttato. Sto facendo molta meno strada, perché ho individuato la mia dimensione. Non serve sfinirsi sulle salite per fare qualche risultato di là e poi spremersi per tirare fuori qualcosa su pista. Una volta che ho capito questo, ho cominciato a cambiar pelle.
Che cosa significa?
Nel 2019 pesavo circa 62 chili, ma agli europei mi ero sentito spesso in debito di forza. Così sono andato da una nutrizionista. Le ho spiegato che volevo privilegiare l’aspetto della forza, per la durata delle prove che devo fare. Da allora ho messo su circa 10 chili di massa magra. Adesso ho più forza, ma ammetto che inizialmente mangiare così tanto mi faceva quasi star male.
Mangiare e basta?
Mangiare, ma non a caso. E palestra. Da quando ho cominciato, mangio 500 grammi di alimenti pesati a crudo, nel senso che quando poi vengono cotti, con l’aggiunta dell’acqua il peso aumenta. E poi ho lavorato sul tronco, perché in partenza certi sforzi di gambe si ripercuotono sulla schiena. In sostanza sono alto 1,83 e ora peso 72 chili con la mezza idea di arrivare a 75. Non sono più un passista scalatore, ma se osserviamo lo sviluppo degli stradisti ci si accorge che gli scalatori da 58 chili stanno scomparendo e quelli che fanno classifica sono tutti intorno ai 70 chili. Perché con l’avvento delle compact, più del peso conta la potenza. Se sul Mortirolo riesci a demoltiplicare i rapporti fino a trovare la cadenza che ti fa esprimere al meglio i tuoi watt, non serve essere leggerissimi come quando avevi soltanto il 25.