Ormai il tema legato agli juniores è “il” dibattito di questo periodo. L’epilogo dell’Europeo con le dichiarazioni al vetriolo di De Candido è stato solo l’ultima goccia di un tema che era sul tavolo e che anzi su queste pagine avevamo sottolineato in tempi non sospetti, quasi presagendo quel che stava per avvenire. Ne abbiamo parlato con molti diesse, ma come la pensano i responsabili di categoria in seno ai comitati regionali?
Le rappresentative regionali juniores hanno due sole occasioni per essere selezionate: Campionati Italiani e Giro della Lunigiana e sicuramente, tastando il polso nell’ambiente, è un po’ poco. Molte società sarebbero anche disponibili per un’attività più corposa, sempre nel segno del dialogo: «Una volta si avevano più occasioni – sottolinea Salvatore Balestriere responsabile della Campania – dal 2019 c’è stato un regresso, un po’ per il Covid, ma anche per la mancanza di occasioni. Noi facciamo un incontro iniziale con tutte le società per tracciare un programma condiviso, che coinvolge le principali prove del calendario».
Con Evenepoel è cambiato tutto
«Noi abbiamo insistito e ottenuto una trasferta anche alla Strade Bianche – gli fa eco Christian Murro per il Friuli – siamo una regione piccola. Questo ci aiuta nel trovare maggiori occasioni d’incontro, in sintonia con il responsabile della pista Buttazzoni».
«Seguendo tutte le corse in Toscana posso mantenere forti legami – afferma Alessio Lazzeri – e siamo riusciti a fare un paio di uscite prima dei tricolori, ma resta comunque poco in base a quel che si potrebbe fare. Ad esempio stiamo pensando a uno stage invernale per juniores, tra gennaio e febbraio con una decina di elementi ai quali far fare anche pista e offroad, per verificare anche le loro capacità a 360°».
Molti sono nell’ambiente juniores da anni, eppure la sempre più precoce ricerca del massimo risultato ha messo spalle al muro molti tecnici.
«Abbiamo a che fare con team gestiti come quelli dei professionisti – dice Stefano Vitellozzi delle Marche non senza rammarico – così ti ritrovi team che vanno continuamente in ritiro a Livigno. D’altronde non è un tema solo italiano, all’estero ragionano così e vincono e quindi molti vogliono fare lo stesso. Evenepoel ha cambiato tutto, i team cercano il campione in erba, che vince subito. Risultato? Da un momento all’altro il ragazzino che gareggiava con i pari età si ritrova a fare il Laigueglia con i big. Giusto? Sbagliato? Lo dirà il tempo…».
E se gli Under 23 sparissero?
«Non è solo il caso di Evenepoel – ribatte Lazzeri – quando ti trovi un ragazzo di 24 anni che ha già due Tour, nessuno pensa che quello stesso ragazzo già a 18 anni aveva un patrimonio atletico fuori del comune, si cerca lo stesso. Oggi il ciclismo è uno sport a parte, dove si vuole tutto e subito. Anche nel calcio i migliori talenti juniores fanno la loro gavetta nelle serie minori, qui invece non si attende. Poco importa che a 25 anni saranno corridori spremuti, ce ne saranno altri al loro posto. Andrebbe anche bene, se si considerasse chi matura dopo e magari vincerà a 28 anni e oltre. A questi invece non si dà tempo e si rischia di farli smettere prima».
Stefano Sartori, responsabile per il Trentino, è anche più pessimista: «Di questo passo la categoria U23 andrà a sparire e tanti ragazzi lasceranno e penseranno a trovarsi un lavoro quando invece avrebbero chance per fare bene per un po’ d’anni e mettere da parte qualcosa. Noi parliamo degli juniores, ma a livello inferiore la situazione è ancora più grave, trovi allievi che fanno 6 allenamenti settimanali quando una decina di anni fa si arrivava a 3. Se non vinci da allievo già fatichi a trovare posto in un team junior e così via. Bisognerebbe darsi tutti una ridimensionata…».
La difficile coesistenza con lo studio
Qualcuno però mette in evidenza un aspetto spesso dimenticato: parliamo di ragazzi ancora in età scolare.
«Io infatti dico da tempo che servirebbe un anno in più per la categoria – riprende Balestrieri – perché molti sono alle prese con la Maturità, le gare coincidono con un momento importante nella loro crescita. La Fci ai migliori consente una permanenza suppletiva, ma io sono dell’avviso che servirebbe qualcosa di strutturale, concordato con gli enti internazionali, perché la concomitanza dell’attività con la scuola non è da tutti “digerita” senza problemi».
Un altro aspetto sottolineato da molti è che bisogna avere a che fare con molte figure che fino a pochissimi anni fa non c’erano: «il ruolo dei diesse è sminuito – lamenta Aldo Delle Cese del Lazio – molti ragazzi hanno preparatore, dietologo e questo fa sì che il tecnico non sia più seguito perché agiscono in proprio. Io poi penso che andrebbe imposta la permanenza fra gli U23 almeno per un paio d’anni, perché questa continua caccia al talento porta troppi ragazzi a saltare la categoria approdando in un mondo che non conoscono, senza i mezzi adeguati, spesso anche senza il talento adeguato».
L’importanza del “mestiere”
Un concetto ripreso da Murro, sulla base della sua esperienza da pro: «Ci troviamo ragazzi che hanno la metodologia, gli strumenti, ma la vita fra i professionisti è fatta di tante altre cose. Non si insegna più il “mestiere”, manca quella gavetta che avevi tra i dilettanti e che potrebbe ancora esistere fra gli U23, l’imparare quelle sottigliezze che solo il tempo può darti e che saranno decisive per sopravvivere. Per questo penso che sarebbe importante avere qualche occasione in più per lavorare con i ragazzi come rappresentativa, provare a insegnare loro cos’è davvero il mestiere».
E’ un sistema che può cambiare? Forse, ma bisogna tenere conto anche del mondo nel quale viviamo, come sottolinea Balestriere: «I ragazzi guardano sui social le esperienze degli altri e alzano la propria asticella, trovano su Strava i riferimenti di questo e quel campione, questo e quel percorso e si adeguano. Io non mi sento di condannarli, c’è un condizionamento mediatico che non lascia scampo».