Per salire al piano di sopra spesso, nel ciclismo, serve una rampa di lancio. Questa è la metafora che potrebbe rappresentare la stagione di Andrea Pietrobon, passista-scalatore classe ’99 del Cycling Team Friuli, in vista del suo eventuale passaggio tra i professionisti la prossima stagione. E’ lui che ha corso il recente Giro di Romagna con i gradi di capitano (con un terzo posto di tappa e il settimo nella classifica generale) raccogliendo l’eredità lasciata, cronologicamente, da Giovanni Aleotti, Jonathan Milan, Davide e Mattia Bais, Nicola Venchiarutti, Matteo Fabbro e Alessandro De Marchi. Tutti talenti, ora tra i big, cresciuti ed usciti dal serbatoio del CTF.
Renzo Boscolo, team manager della formazione Continental che ha sede ad Udine, ci descrive il ragazzo nato a Pieve di Cadore non prima di specificare che «abbiamo in squadra altri corridori interessanti che, una volta completata la propria maturazione, come ad esempio Gabriele Petrelli, potrebbero far comodo ai team professionistici».
Renzo, partiamo dalle ultime prestazioni di Pietrobon.
Ha disputato un buon Giro di Romagna, nel quale ha fatto un po’ le prove generali da nostro leader per il Giro d’Italia U23. In realtà ha pagato oltre misura la giornata storta vissuta nella frazione con arrivo in salita a San Leo, dove ha preso più di un minuto da Ayuso. Finora ha fatto gare concrete che vanno oltre i risultati.
Quali?
Aveva già dato ottimi segnali sia al Trofeo Piva che al Belvedere, nonostante avesse ottenuto solo due ottavi posto.
Cosa manca ora a Pietrobon?
Andrea sta crescendo bene, sia di condizione, sia come atleta e anche a crono ha fatto buone prove. Non è veloce e non so se migliorerà a dovere il suo spunto. Già l’anno scorso si era messo in evidenza in Romania al Sibiu Tour e al Tour di Slovacchia dove c’erano anche tante formazioni WorldTour, ma deve trovare più continuità.
Si può migliorare?
Ci stiamo lavorando. Poi se sarà un corridore adatto alle gare a tappe lo vedremo proprio al Giro baby.
Il resto della stagione che programmi prevede?
Farà un periodo in altura prima della corsa rosa di giugno, poi calendario internazionale più o meno come l’anno scorso, dove dovrà confrontarsi con i professionisti. E la speranza per lui è che possa andare al Tour de l’Avenir o guadagnarsi una convocazione azzurra.
Visto che avete sfornato tanti corridori negli ultimi anni, il passaggio di Andrea al cosiddetto piano superiore a che punto è? C’è già qualcosa in ballo?
A fine anno sarà maturo per il salto. Dipende solo da lui perché deve dimostrare il suo valore anche se sostengo che non sempre il corridore che va forte sia poi giusto per i professionisti.
Che cosa significa?
Ogni ragazzo ha la sua storia, qualcuno deve adattarsi alla squadra in cui andrà o viceversa, qualche formazione deve adattarsi in base al ragazzo che prende. In ogni caso fa parte della scuderia dell’agenzia di Raimondo Scimone e il futuro è nelle mani del suo procuratore, che gestisce già altri nostri ex come Aleotti, Fabbro e De Marchi.
A proposito, la lista dei vostri prodotti made in Ctf è sempre lunga. Come fate a sceglierli, in base a quali criteri?
In pratica facciamo dei casting. Battuta a parte, manteniamo viva una filiera già dagli allievi con alcune società e il legame si rafforza con gli junior, in particolare con l’Uc Pordenone e il Team Bannia, con cui abbiamo una collaborazione, ma teniamo sotto controllo anche tanti altri. Ma c’è altro…
Che cosa?
Negli ultimi anni abbiamo selezionato i nostri ragazzi attraverso il CTF Talent, ovvero un ritrovo a fine stagione in cui facciamo fare tre giorni nella nostra foresteria, dove creiamo il team-building. Al termine di questo periodo vediamo chi è più adatto alle nostre esigenze e chi gradisce venire con noi. Anzi, in merito ai nostri ex ragazzi ci terrei ad aggiungere un’ultima cosa che non riguarda alcun aspetto tecnico.
Prego Renzo, spiegaci pure.
Mi vorrei collegare all’argomento sicurezza che anche voi state trattando a più riprese. Lo sapete, qui in Friuli siamo stati tutti toccati dalla tragedia della povera Silvia Piccini e appena ho saputo dell’incidente ho scritto a Fabbro e De Marchi che erano impegnati al Tour of the Alps per informarli. Ho chiesto loro che facessero sentire la propria voce, assieme ai loro colleghi, in corsa, nelle interviste e attraverso i vari canali social per sostenere Silvia (inizialmente è stata trasportata in ospedale in fin di vita, ndr) e per sensibilizzare il rispetto verso i ciclisti. Qualche giorno dopo purtroppo è morta, ma non dobbiamo mollare la presa perché questa situazione è davvero grave.