I ricordi che la maggior parte della gente ha di Stefano Garzelli sono legati direttamente o indirettamente a Marco Pantani, ma ci sono scene come quella della cronoscalata del Sestriere al Giro, o le fughe in maglia verde qualche anno dopo sulle Alpi che sono tutte sue e non te le puoi scordare.
Stefano, 47 anni, oggi fa parte della squadra Rai che segue il ciclismo. E’ un commentatore tecnico, mai banale. E di questo suo non essere banale ce ne aveva parlato qualche tempo fa Roberto Amadio, quando ci disse che con la sua intelligenza il “Garzo” aveva capito che non poteva più vincere le corse tappe. E la prese bene questa cosa, nonostante il varesino fosse stato il primo a firmare per quella Liquigas che sarebbe diventata poi un “dream team” e per cui doveva far bene proprio nei grandi Giri.
Stefano, partiamo da qui… E’ vero quel che ha detto Amadio?
Vero! Sia che firmai per primo, sia che mi accorsi di non poter più vincere un grande Giro. L’ho capito quando dopo metà dei grandi Giri, appunto, mi staccavo da dieci corridori. Fare 8° o 9° non portava nulla: né a me, né alla squadra.
E infatti Amadio disse che poi vincesti quasi subito la Tre Valli Varesine e altre corse di un giorno…
Sì, quelle e anche le corse a tappe più brevi, come la Tirreno. La Tre Valli per un corridore varesino è un risultato importante, ne ho vinte due, ma vinsi anche il Gp Francoforte, sfiorai San Sebastian e Liegi, vinsi diverse tappe al Giro. Sapete, a San Sebastian ancora ci penso un po’: persi da Florencio per una volata non perfetta…
Che età avevi quando decisi per la svolta verso le corse di un giorno?
Avevo 32 anni.
E questa scelta ti ha bruciato dentro o è stato un percorso naturale?
Chi è nato per le corse a tappe fa fatica ad uscire da questa mentalità. E anche nei Giri successivi l’idea era quella comunque di tener duro. E infatti poi era la squadra che mi mandava fuori classifica per cercare di vincere le tappe. La testa voleva tenere, ma poi arrivava la tappa che saltavi. A quel punto correvi giorno per giorno.
Quando hai sentito di essere stato al top della tua carriera?
Io credo di avere avuto due momenti importanti: quello della Mercatone Uno e quello della seconda parte di carriera. Lo dico sempre: con la Mercatone sono stato all’università. Sei in squadra con Pantani, hai tutti gli occhi puntati addosso. Sai che devi mettere da parte le tue ambizioni, però vedi come si lavora per il leader, come si gestisce la squadra, impari a convivere con le pressioni. Tutto quello che ho imparato l’ho appreso lì. Ed è stato, credo, il segreto che mi ha fatto correre fino a 40 anni.
C’è qualche corridore in cui oggi ti rivedi?
Nessuno. Io ero un corridore completo: ho vinto i Giri e le corse di un giorno. Direi Alaphilippe, però nelle corse a tappe ancora non ha vinto. E’ difficile trovare uno scalatore da grandi Giri che sia anche molto veloce.
E secondo te perché?
Senza dubbio perché oggi il ciclismo è più specializzato. Ai miei tempi, almeno all’inizio, non c’era il potenziometro, si andava e si lasciava molto spazio all’istinto. In più le squadre avevano 18-20 corridori e ognuno aveva più occasioni. Ora è tutto pianificato. Vediamo la Ineos Grenadiers: tutti pensano ad arrivare al 100% a quello specifico appuntamento.
Un’altro aspetto dell’intervista con Amadio che ci ha incuriosito riguarda Formolo. Il tuo ex team manager ha detto che si aspettava qualcosa di più da Davide nelle corse a tappe e che potrebbe però far bene in quelle di un giorno. Che ne dice Garzelli?
Quanti anni ha Formolo, 28 giusto? Il ciclismo è cambiato. Oggi se a 23-24 anni non ha vinto un grande Giro o non sei stato lì per farlo è difficile che tu possa avere quelle capacità in futuro. E non è solo per una questione fisica, ma anche di stress per lottare tre settimane. E Davide non si è mai giocato un grande Giro sin qui. Però dico che può far bene nelle corse di un giorno. Ha già fatto secondo alla Liegi. Fossi in lui penserei anche ad una Tirreno-Adriatico che dura una settimana e non comporta grandi stress. Andrei a caccia della maglia della montagna verde o a pois. E’ un corridore che a me piace tanto.
Che consigli daresti al Formolo corridore da corse di un giorno, per la preparazione o dal punto di vista tattico?
Per quel che riguarda la preparazione non sono io la persona giusta, ci sono allenatori che sanno il fatto loro. Dal punto di vista tattico forse gli direi di osare di più, di essere meno attendista, di rischiare anche di perdere se necessario. Ora che è in una squadra importante deve ritagliarsi gli spazi.
In effetti la UAE, è diventato un super team. Formolo rischia di dover restare “incastrato” nel treno della salita per Pogacar…
Magari sono in tanti e avrà spazio in corse differenti. Bisogna vedere il calendario. Fossi in lui punterei al Giro, sempre in ottica tappe. E per questo non dico che deve uscire di classifica per forza. Spesso quella arriva in modo inaspettato, magari entra nella fuga giusta, si trova davanti e poi si gioca il Giro. Bisogna sempre ambire alla classifica e se poi salti ti giochi le tappe, altrimenti sei tu che decidi di uscire. Certo, poi mi rendo conto che oggi certe indicazioni sono molto difficili da mettere in atto. Sono i team a decidere e i corridori hanno meno potere. Magari ci sta che alla squadra vada bene il 7° posto e al corridore no, ma quelli sono gli ordini. E’ un ciclismo molto economico. Ai miei tempi mi prendevo io il rischio, anche di sbagliare.
E hai mai sbagliato?
Sì, sì! Ricordo la tappa di Bormio 2000 al Giro del 2004, quello di Cunego. Non andavo fortissimo quell’anno e così quel giorno mi misi in testa di capovolgere il Giro (Dna “pantaniano”, ndr) e attaccai sul Gavia… ma all’inizio del Gavia! Mi ripresero ai piedi della salita finale. Se fossi rimasto a ruota avrei vinto la tappa. Non contento, il giorno dopo riprovai. C’erano da fare Mortirolo, Vivione e Presolana, scattai sul Mortirlo e vinsi… Però erano decisioni che venivano dal corridore e questo oggi manca. E’ la spontaneità dell’atleta in un mondo molto “quadrato”.
Che ricordi! Una delle tue fughe storiche fu quella verso Gardeccia, al Giro del 2011…
Ecco, vuoi l’errore? Quello!
Vai spara!
A parte che credo quella sia stata la tappa più dura della storia: quasi 240 chilometri con quasi 7.000 metri di dislivello. Ricordo che nel tendone dove ci stavamo cambiando entrò Contador e mi disse: «Es el dia mas duro de mi vida», il giorno più duro della mia vita. Io impiegai 7 ore e 28′ il gruppetto 8 ore 10′. Venendo all’errore, prendo la fuga buona con dentro molti bravi corridori tra cui Sastre e Nieve. Sul Passo Giau, Hoogerland va in fuga e mi manda all’aria i piani. Gli vado dietro e lo stacco. Sul Fedaia spendo molto e nel finale prendo una “balla”… e mi passa Nieve. Questa ancora mi brucia! Almeno però conquistai la maglia verde!
Corridori come Garzelli restano nel cuore. Attaccanti eleganti, potenti… campioni che poi ti ritrovavi anche alle classiche sia in primavera che d’estate da San Sebastian alle premondiali. Eh sì, perché poi magari volevano anche andare ai mondiali. Speriamo che Formolo possa percorrere le sue orme. Il fisico e la tenacia a Roccia non mancano…