Probabilmente se l’ultimo Giro fosse andato come si aspettava, Gavazzi sarebbe a casa a costruirsi un’altra vita. Invece qualcosa non ha funzionato e al momento di tirare le somme, il valtellinese si è trovato con le tasche ancora piene e fermarsi sarebbe stato uno spreco. Così ha convinto Basso a prolungargli il contratto, scrivendo però anche la data del fine carriera: 31 dicembre 2023.
«Sarà sicuramente l’ultimo anno – sorride – avevo deciso che fino al Giro d’Italia non ci avrei pensato, poi avrei tirato le somme con calma. Ma appunto non mi è piaciuto come è andato e visto che qua ci sto proprio bene, ho deciso di continuare. Ci sono tanti giovani e mi stimolano più loro che le mie stesse prestazioni. E’ importante aiutarli a crescere, vederli in allenamento, condividere momenti insieme. In questi 2-3 anni è stato un ruolo che ho apprezzato parecchio, probabilmente il motivo principale per cui continuo».
La prima volta che ci incontrammo, Francesco aveva 21 anni e correva con la Unidelta-GLS di Bruno Leali. Era il 2005 e osservandolo mentre parla, sul suo viso si possono leggere le storie di una vita in bicicletta, passata per alti e bassi lungo strade non sempre scorrevoli.
Smetterai per restare nell’ambiente?
Non credo a un futuro da direttore sportivo. Mi piace il mio lavoro, però è stressante dal punto di vista dei viaggi e la vita fuori casa. Ho due bambini e probabilmente quando smetterò, cercherò un lavoro vicino casa. Di tanto in tanto mi farò vedere per salutare gli amici, ma il lavoro di direttore sportivo non fa per me. Anche se probabilmente ci sarei anche portato.
Come ti trovi in questo ciclismo così veloce?
Sembra una frase fatta, ma negli ultimi anni è cambiato radicalmente, con la nuova generazione di fenomeni e il loro modo di correre. Interpretare la corsa è difficile e diventa sempre più imprevedibile. A vederlo da fuori, sarà anche bello, ma capire cosa succede è sempre più difficile. I giovani devono dimostrare quanto valgono e come loro anche uno che ha 38 anni. Voglio far vedere che non sono qua per rubare il posto a uno che ha 22-23 anni, ma per fare un altro anno ad alto livello.
E’ un mondo così stressante?
Il ciclismo di quando sono passato io, aveva una misura più umana. Era meno stressante, c’era meno ansia, si andava meno alla ricerca del pelo nell’uovo. Per questo secondo me sarà sempre più difficile fare carriere lunghe. E’ importante far capire ai più giovani che nonostante tutto, lo si può vivere in modo diverso. E’ certamente un lavoro, ma anche quello che ti piace fare. Sono ragazzi fortunati. Se sei forte, guadagni molto più dei tuoi coetanei che sono a casa, lavorano e studiano. Il ciclismo è difficile, fai sacrifici e magari a volte fatichi a vederne il bello, ma è sbagliato farlo diventare un’esasperazione.
Altrimenti?
Non te lo godi più. Fai due o tre anni al vertice, poi basta un intoppo e diventa tutto difficile. Prendiamo per esempio Dumoulin, il primo che mi viene in mente. Sono casi che 10 anni fa non succedevano praticamente mai. Uno come Tom avrebbe fatto la sua carriera, invece man mano che si va avanti, ci saranno sempre più corridori che smettono di colpo. Perché se di testa non sei fortissimo, prima o poi si inceppa qualcosa. E’ un lavoro impegnativo, ragazzi, però quando al Giro d’Italia fai una tappa di 5 ore, a casa ne faresti 8 in fabbrica e non è la stessa cosa. Ci sono i tifosi, ci sono tante attenzioni. Bisogna prendere i lati positivi per allentare la tensione che altrimenti ti opprime.
Pensi mai a come sarà senza i tifosi e il resto?
Ci penso sì, per quello non ho smesso (ride, ndr). Sicuramente sarà un’altra vita, ma per il carattere che ho probabilmente non ne risentirò troppo. Non sono mai stato uno cui piace stare al centro dell’attenzione, sono abbastanza coi piedi per terra e non mi dispiace pensare a una vita… normale. Ho sempre fatto questo, lo sognavo da bambino, è ovvio che tante cose mi mancheranno.
Che cosa ti ha dato il ciclismo?
Tanti amici e la preparazione per prendere la vita in un modo che altrimenti per me sarebbe stato difficile. Ad esempio, qualche tempo fa mi sono separato. Eppure sono andato avanti, con un’altra testa probabilmente lo avrei subìto molto di più. A 21 anni ero fuori casa, in ritiro a Brescia. Mi ha fatto crescere, mi ha fatto diventare forte. Mi ha insegnato tanti valori e a volte, pur nel mio piccolo, mi ha fatto sentire importante. Mi ha dato tanto e sono contento di quello che ho fatto finora.
Perché il Giro d’Italia non ti è piaciuto?
Mi aspettavo di andare più forte, mi aspettavo che tutti raccogliessimo qualcosa in più. Penso che la squadra sia uscita con l’amaro in bocca. E per come sto fisicamente e mentalmente, penso di poterne fare un altro all’altezza. Sia per aiutare i compagni, sia per ritagliarmi uno spazio tutto mio, se c’è proprio la giornata di grazia, e mettere la ciliegina sulla torta e sulla carriera.
E’ stato difficile chiudere la porta sul WorldTour, dopo 8 anni fra Lampre e Astana?
Ci sono treni che passano e in fondo la carriera sta nel salire su quello giusto. Io devo comunque ringraziare Savio, perché nonostante non fossi nel WorldTour, ho sempre fatto un bel calendario, con il Giro e la Tirreno. Essere nel WorldTour è bello, però ad esempio io ho passato l’ultimo anno in Astana: dovevo fare il Giro e non l’ho fatto e così con Tour e Vuelta. E’ bello, però se non trovi il tuo ruolo, è difficile gestire il calendario. E’ ovvio che certe gare come il Fiandre e la Liegi mancano. Le vedi in tivù e ti dici che vorresti essere lì, ma a parte questo si riesce a stare bene lo stesso. E ho visto che anche se sei vecchietto, qualcosa la tiri fuori.