Quando venne fuori che la Androni Giocattoli-Sidermec non era stata invitata al Giro d’Italia e Giovanni Ellena fornì il suo commento, Gianni Savio insorse perché avrebbe preteso dal suo direttore sportivo dichiarazioni più dure e si mise a parlare di «infamia sportiva». Ellena non avrebbe mai usato simili parole e forse aveva capito che se anche lo avesse fatto (contro una scelta purtroppo legittima) non avrebbe cambiato il corso degli eventi. Giovanni pensò a gestire i suoi ragazzi e non fu facile. I corridori si erano guardati in faccia e si erano resi conto di quel che era accaduto, non era compito loro e tantomeno del direttore sportivo scagliarsi contro gli organizzatori del Giro d’Italia. Sarebbe stato persino più facile usare parole di fuoco che mettere la faccia e spiegare ai corridori in che modo sarebbero ripartiti.
«Non ci sono stati conflitti interni – racconta – ma ho avuto un conflitto con me stesso. Lo abbiamo saputo come una sorpresa il 10 febbraio alla vigilia del ritiro. Quindi mi sono trovato ad Alassio, dove eravamo in ritiro, a dovermi confrontare con 35 persone. Non c’era Gianni (Savio, ndr) perché è arrivato dopo, quindi ero io il riferimento per tutti su questa valanga che ci aveva investito. Uscivamo da Caporetto, bisognava organizzare la truppa e ripartire. In quel momento ricordo di aver pensato: “Io credo di lavorare bene, nei miei limiti. Credo anche di comportarmi bene. Le decisioni che sono state prese magari non erano giuste, però erano legali. Se non ci hanno preso, forse sbaglio qualcosa nel mio lavoro. Non puoi trasmettere una grossa energia in quei momenti lì. Però dopo due giorni Caporetto l’avevamo dimenticata e avevamo iniziato a organizzarci sull’altra sponda del Piave».
Poco fumo
Giovanni è della classe 1966 ed è stato corridore. La sensazione, parlandoci, è che ogni cosa abbia dovuto guadagnarsela e abbia perciò costruito la sua storia senza troppo fumo intorno. Ogni sua parola è improntata alla concretezza. Ed è una persona troppo garbata per lasciarsi andare a dichiarazioni che farebbero a cazzotti col suo modo di essere.
«Abbiamo saputo che avrebbero riaperto le porte del Giro – dice – come quando le chiusero. Esattamente quando lo hanno saputo tutti. Nessuna anticipazione. C’era stata qualche supposizione, qualche ragionamento. La terza wild card era diretta a una squadra italiana, se dovevano inserirne un’altra, toccava a noi. Ma potevano anche decidere di rimanere a 22 e ci sarebbe stato poco da protestare. Quando è venuto fuori il problema della Vini Zabù, ho pensato che per noi ci fosse una possibilità. Non tanto quando è uscita la notizia di De Bonis, ma quando sono venute fuori le altre. Ho pensato che le cose non sarebbero state così facili per loro.
«Non voglio fare il giudice perché non lo sono, ma la situazione non era chiara e facile da gestire. E ho pensato: “E’ difficile che facciano il Giro. Poi se metteranno un’altra squadra, sarà Rcs a decidere”. Senza il Giro? Sarei andato a fare tutte le corse all’estero. Non mi piango addosso. Il Giro d’Italia è una corsa che amo. Ma il mio lavoro è seguire le corse e i ragazzi. Per cui se non fossi stato sul fronte occidentale, sarei andato sul fronte orientale».
Cambio di piani
Che cosa significa doversi reinventare un Giro è motivo di curiosità, anche se magari i materiali sono quelli a prescindere e semmai ci sarà stato da riprogrammare gli uomini.
«Vi dico la verità – prosegue – come squadra siamo sempre stati strutturati per fare il Giro. Da ottobre si ragionava in quel senso. Si è trattato solo di cambiare obiettivi. A maggio abbiamo sempre fatto doppia attività, questa volta abbiamo semplicemente dovuto dire di no all’organizzatore del Tro-Bro-Leon. Anche se semplice non è stato affatto. Lui ha capito, perché in passato siamo andati là a vincere con Vendrame. Non sarebbe stato rispettoso presentarsi con corridori non all’altezza.
«Al Giro punteremo sui giovani, ormai è la nostra dimensione. Santiago Umba è veramente un ragazzino. Non è detto che lo porteremo, sarebbe un azzardo, ma di certo avremo una squadra giovane. Tesfatsion per me è dentro al 100 per cento. Cepeda è un altro sicuro. Sepulveda non è giovanissimo, ma ci sarà. Ravanelli è sicuro, stiamo valutando Chirico. Purtroppo Mattia Bais non ci sarà per problemi di salute, non è al 100 per cento. E poi valutiamo un altro giovane che potrebbe essere inserito, come Venchiarutti, che sta bene. Ha corso un buon Turchia, poi è andato in Serbia. Vediamo come si comporta, però è uno dei papabili.
Il gruppo c’è
E così, terminato il Tour of the Alps, gli uomini dell’Androni Giocattoli torneranno a casa per fare le valigie. I meccanici faranno l’inventario del magazzino, i massaggiatori riforniranno le loro borse. Ma resta strano conoscere il proprio calendario con questi tempi così stretti.
«Tocchiamo un punto dolente – dice Ellena – e non è solo per il Giro d’Italia, ma per tutte le corse. Non è possibile che siamo nel 2021 e facendo il paragone con il calcio, non sai ancora dove giocherai domenica prossima e in quale campionato. Questa è una cosa di cui si sta discutendo da anni. Dal punto di vista dell’impostazione del calendario però, è andata bene così. Abbiamo inserito il Turchia e partecipato al Tour of the Alps, due corse che ben si prestavano per costruire il Giro d’Italia. Per cui abbiamo fatto lo stesso avvicinamento che avremmo fatto a cose normali.
«Quando lo abbiamo saputo, i gruppi Whatsapp sono esplosi, quello del personale e quello degli atleti. Io mi immedesimo nei ragazzi. Certi sapevano che difficilmente sarebbe stato il loro Giro, per caratteristiche, perché in squadra sono appena arrivati o perché non sono andati abbastanza bene, eppure erano tutti felici. Il gruppo c’è. Il Giro è importante per un discorso di visibilità, ma fa parte della storia italiana. E il fatto di farne parte è davvero un bel pensiero».