Tour, cade il tabù. Un Milan gigante nell’analisi dello “zio” Elia

12.07.2025
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Sono le 17,16 quando Jonathan Milan taglia il traguardo di Laval e fa l’inchino per celebrare la vittoria. Nello stesso istante, sul suo letto di Livigno Elia Viviani fa un salto come se avesse vinto lui. La terza volata del Tour parla italiano e arresta il conto dell’astinenza. Dopo Nibali a Val Thorens nel 2019, ecco il Toro di Buja in questa città anche carina ma in mezzo al nulla, fra Rennes e Le Mans.

«Secondo me – dice Elia – oggi tutto il gruppo aveva bisogno di una calmata. C’è stata la fuga dei due TotalEnergies, ma non era una volata semplice. Comunque la strada tirava in su, ho visto un bel po’ di gambe “craccare”. Ne servivano tante per vincere, non era uno sprint di posizione. E Johnny ha fatto vedere che le gambe le aveva perché ha fatto un bellissimo lavoro. Consonni e Stuyven lo hanno aiutato, però negli ultimi 700 metri si è destreggiato da solo. Non è stata la volata servita su un vassoio, non l’hanno portato ai 100 metri. Ho visto un Johnny che l’ha voluta, se l’è cercata, anche dando una spallata al corridore della Israel. Un segnale di maturità. Nel momento in cui si è alzato in piedi per partire, s’è riseduto perché ha visto che era lungo ed è ripartito al momento giusto. E’ una volata che incorona Johnny come sprinter».

Dopo i campionati italiani, Viviani è salito a Livigno, lavorando per Polonia e Vuelta
Dopo i campionati italiani, Viviani è salito a Livigno, lavorando per Polonia e Vuelta

Lo sprint ritardato

Sono le 17,35 quando Jonathan Milan arriva nella zona delle flash interviews. E’ frastornato e felice, fatica quasi a trovare le parole, ma quando parla appare maturo come un condottiero navigato. Se ci pensi, pur avendo appena 24 anni, è un campione olimpico e mondiale su pista, ha vinto volate da tutte le parti. Milan sulla bici ha smesso di essere ragazzino già da un pezzo.

«Penso di non aver ancora capito – dice – che cosa abbiamo fatto. Arrivare con alcune aspettative e sogni da portare a casa e riuscirci sono due cose diverse. Ero fiducioso perché nella volata precedente ci siamo arrivati vicini (secondo dietro Merlier nella terza tappa, ndr). Sapevamo di essere partiti troppo presto, ma oggi eravamo davvero concentrati. I miei ragazzi hanno fatto un lavoro straordinario. E’ stato un finale davvero stressante, non me l’aspettavo. Abbiamo rimontato nell’ultimo chilometro e mezzo, poi ho dovuto aspettare il più a lungo possibile. Ce lo meritiamo, il livello è alto. Vincere con questa maglia verde sulle spalle significa molto per me e penso anche per tutto il mio Paese».

Milan ha atteso prima di lanciarsi, quando ha capito di essere ancora lungo. Poi non ha concesso scampo
Milan ha atteso prima di lanciarsi, quando ha capito di essere ancora lungo. Poi non ha concesso scampo

La fiducia in Milan

Sono le 17,45 e Viviani va avanti. Oggi si è goduto il giorno di riposo. Prima ha seguito il Giro Women in cui sta correndo sua moglie Elena Cecchini, nel giorno dell’impresa di Elisa Longo Borghini. Poi è passato al Tour e all’osservazione tecnica di un finale che tanto lineare non è stato.

«Non erano in tanti come al solito – osserva – mancava anche Theuns. Probabilmente, come pure la Alpecin, hanno speso gli uomini nella parte precedente che era parecchio caotica. Consonni è stato bravo a tornare e dare un ultimo aiuto, visto era già indietro di 2-3 posizioni. Hanno lavorato bene perché non hanno mai perso fiducia nelle capacità di Johnny. Non si sono chiesti nulla, hanno continuato nel loro cammino. Non sarebbe stato giusto avere mancanza di fiducia, ma è ovvio che ci fosse rammarico per la prima tappa con la maglia gialla in palio. Ho avuto anch’io l’occasione di fare un Tour che si apriva con una volata e ha vinto quello che nessuno si aspettava. La squadra è tra le due migliori al mondo, Guercilena ha fatto un lavoro super. Mi ricorda lo spirito della Quick Step quando c’ero io. Jonny sente la pressione di dover fare bene perché Pedersen ha dominato il Giro e lo rifarà alla Vuelta. E’ un sistema che sta girando bene».

Milan è benvoluto da tutti i compagni: merito anche e soprattutto della sua educazione
Milan è benvoluto da tutti i compagni: merito anche e soprattutto della sua educazione

La commozione di Consonni

Sono le 17,50 e Consonni ha lo sguardo commosso e stralunato. Il suo lavoro, come quello di Lamon nel quartetto, è spesso oscuro. Ma se qualcosa non va, spesso si punta il dito. Perché lo ha lanciato male, perché non c’era, perché la gente punta il dito soprattutto quando non capisce.

«Quando metti tanto lavoro in quello che fai e poi arriva – dice – anche se si tratta solo di una corsa di bici, è veramente una soddisfazione incredibile. Avevamo un po’ di amaro in bocca dopo il primo sprint, però oggi abbiamo tirato fuori gli attributi. Nella terza tappa mi sono fatto prendere dall’emozione, oggi siamo stati davvero una squadra. Mi sembra di tornare nel mio quartetto, che se uno non riesce a fare il suo lavoro, c’è sempre un altro pronto a rimpiazzarlo affinché da fuori non si veda nulla. Oggi è stato un finale incredibilmente caotico, ma sapevamo che Johnny su certe volate di gamba è davvero imbattibile».

Il ruolo di Consonni rischia di essere sottovalutato, per questo Viviani ha acceso i riflettori
Il ruolo di Consonni rischia di essere sottovalutato, per questo Viviani ha acceso i riflettori

Lo “zio” Elia e i suoi nipoti

Intano sono le 18. Lo “zio” Elia vede i nipotini vincere ed ha il tono partecipe e orgoglioso. La sua analisi continua e si attacca proprio alle parole di Consonni, perché è facile esaltare Milan senza vedere ciò che accade nella sua ombra gigantesca.

«Cerco sempre anche di valorizzare quello che fa “Simo” – dice – è facile dire che Johnny è stato grande, perché è così. Ma Simone è uno che poteva fare risultato, invece ha deciso di sacrificarsi per gli altri e si è rimboccato le maniche. Ero qua in altura con lui prima dell’italiano, perché è venuto a fare una settimana in più rispetto al ritiro della squadra. Era concentrato come e più di un leader, quindi è ovvio che mi piaccia valorizzare il lavoro che fa. E’ bello vederli amalgamati. Come ho detto il giorno dopo che hanno vinto l’oro olimpico a Tokyo, quella medaglia li legherà per sempre. Sono come fratelli, quindi è normale che vederli vincere mi faccia felice. Oltre al fatto che l’Italia ne aveva davvero bisogno. E poi motiva anche me. Spengo la tivù e dico che voglio farlo anche io. E mentre parliamo sento le notifiche dei mille messaggi sulle nostre chat e scommetto che i primi a scrivere sono i ragazzi dello staff, perché la famiglia è composta anche da loro».

La Lidl-Trek oggi era tutta per Milan: Quinn Simmons ha fatto la sua parte in testa al gruppo
La Lidl-Trek oggi era tutta per Milan: Quinn Simmons ha fatto la sua parte in testa al gruppo

Pogacar e la verde

Sono le 18,09, la conferenza stampa serve a ripetere quel che ha detto alle flash e poi nella zona mista. Gli chiedono se il treno abbia lavorato bene o male e lui ripete quel che ci aveva detto prima che il Tour partisse, sulla capacità di scambiare i ruoli. Ma per il resto, niente di nuovo: forse ha davvero ragione Quinn Simmons sulla ripetitività delle domande dopo gli arrivi.

«Abbiamo imparato dagli errori – dice Milan – e aspettavamo con ansia la tappa, non vedevamo l’ora. Ci siamo meritati la vittoria, per cui ora ce la godremo, ma pensando che domani potremmo rifarlo ancora.  E poi c’è la maglia verde. Pogacar può essere un vero rivale, ma penso che avrò altre occasioni per fare punti. Cercherò di farne più possibili, e poi vedremo a Parigi come andrà a finire. La maglia verde è un obiettivo per la mia squadra, ma vivrò tappa per tappa». 

La classifica a punti resta un obiettivo da vivere molto alla giornata
La classifica a punti resta un obiettivo da vivere molto alla giornata

Un leader che sa dire grazie

Sono le 18,15 quando salutiamo Viviani. Il tempo di farci spiegare il rientro al Polonia e poi alla Vuelta e la chiusura la dedichiamo a Milan, che nello stesso tempo sarà stato portato all’antidoping e poi finalmente riprenderà la via del pullman.

«Uno così – dice Viviani – non spacca le squadre, non se la tira. E’ giovane, ma con dei sani principi ed è… cazzuto su quello che vuole. Mi immagino che anche quando hanno sbagliato le prime due volate, avrà avuto il suo sfogo, ma poi si è concentrato sull’occasione successiva. Ha carattere. A volte sbotta, però è un giovane di sani principi, è educato e sa benissimo che per vincere gli sprint ha bisogno degli altri. E’ un leader che gratifica chi lavora per lui. Alla fine, la Lidl-Trek che mette a tirare Quinn Simmons già dà un segnale di che qualità ci sia in squadra. E al Tour sono tutti per Milan».

Longo e la UAE Adq fanno l’impresa e ribaltano il Giro

12.07.2025
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MONTE NERONE – Gli altoparlanti del traguardo sparano “Abracadabra” di Lady Gaga, la formula magica per eccellenza, mentre sul maxischermo del podio vanno in onda le immagini degli ultimi chilometri della tanto attesa settima tappa. Proprio in quegli attimi la magia viene confezionata da Longo Borghini, che grazie ad un lavoro magistrale di Persico, decide di ribaltare il Giro Women e andarsi a prendere la maglia rosa.

Il via odierno da Fermignano: poi 150 km verso Monte Nerone, la tappa più dura del Giro
Il via odierno da Fermignano: poi 150 km verso Monte Nerone, la tappa più dura del Giro

Scatta la trappola

A poco più di 20 chilometri dalla fine, in un tratto apparentemente facile in falsopiano, le due atlete della UAE Team ADQ allungano in maniera decisa portandosi dietro Lippert. Davanti a tutte in fuga c’è Van Anrooij, che per diverso tempo resta leader virtuale della generale. Nel gruppo inseguitore dove ci sono tutte le altre donne di classifica, Reusser e la sua Movistar non riescono a chiudere sulle contrattaccanti. Anzi, vanno in tilt perché non sanno più cosa fare per salvare la propria capitana.

Ai meno 11 finisce il lavoro di una encomiabile Persico. Lippert cede qualche metro dopo sotto l’incedere di una scatenata Longo. Che mangia secondi davanti a Van Anrooij e ne guadagna dietro su Reusser, nel frattempo rimasta isolata e in balia degli attacchi delle altre. Infatti Gigante rompe gli indugi dimostrando che in salita fa un altro sport rispetto a tutte. La australiana della AG Insurance Soudal riprende e supera Longo Borghini che intanto aveva raggiunto e staccato Van Anrooij. Gigante bissa il successo di Pianezze e Longo Borghini firma l’impresa sfilando la maglia rosa a Reusser, che chiude quarta. L’emozione di pubblico e atlete si avverte sulla pelle e forse tutti noi restiamo appassionati al ciclismo per giornate così.

Capolavoro tattico

Quello messo in atto da Persico e Longo Borghini è un’opera d’arte di tattica e coraggio con pochi eguali. Lo diciamo senza fare polemica e sapendo magari di trovare pareri contrari: se un capolavoro simile lo avesse realizzato un uomo probabilmente avremmo titoloni e se ne parlerebbe per tanto tempo. Invece il ciclismo in generale dovrebbe rendere maggior merito alle donne che compiono azioni del genere. Stravolgere il Giro in questo modo è una cosa che poteva fare solo una con la tempra di Longo Borghini.

«Ho fatto casino come sempre – racconta Elisa con addosso la maglia rosa, mentre fuori dal tendone la attendono la mamma Giudina e il nipote Cristian che domani compie 11 anni – non era una mossa pianificata, perché l’idea iniziale era di stare sulle ruote e fare un attacco secco a tre chilometri dalla fine. Però ci siamo trovate davanti alla fine della discesa e così ho detto a Silvia di tirare forte per iniziare l’ultima salita con un ventina di secondi di vantaggio».

Grazie alle compagne

Longo Borghini parla in autonomia come sempre, non c’è bisogno di imbeccarla più di tanto per ripensare a ciò che ha appena fatto.

«Devo questa giornata – confessa con grande emozione – alle mie compagne, perché abbiamo costruito questo Giro e questa sinergia di squadra con mesi e mesi di preparazione, di ritiri e di giornate storte su e giù per le Dolomiti. A volte abbiamo sognato e a volte ci siamo scoraggiate, ma non abbiamo mai mollato per l’obiettivo che avevamo in testa. Oggi lo abbiamo raggiunto. Domani a Imola sarà un’ultima tappa molto dura. Dobbiamo tenere la maglia rosa, sappiamo dove siamo, terremo i piedi ben saldi e cercheremo di difenderci col cuore».

Dopo aver visto sfilarsi Persico, Longo Borghini ha affrontato il Nerone a testa bassa e con tutto il cuore possibile
Dopo aver visto sfilarsi Persico, Longo Borghini ha affrontato il Nerone a testa bassa e con tutto il cuore possibile

Forza mentale

La differenza in bici la fanno le gambe, ma anche la testa con le proprie motivazioni. Stamattina avevamo visto una Longo Borghini serena, che compariva nel video alle spalle di Persico mentre la bergamasca era intervistata. Oppure il saluto e il sorriso che ci ha fatto dieci metri dopo la partenza.

«Oggi nella mia testa – prosegue – c’era l’intenzione di staccarle tutte. Sapevo che solo Gigante poteva venire a prendermi. Mi sono anche un po’ arrabbiata quando mi ha passato, ma non potevo farci nulla. Lei è stata molto più forte. Le faccio i miei più sinceri complimenti perché ha dimostrato di essere la scalatrice più forte in questo momento.

«Negli ultimi 4 chilometri mi sono concentrata solo su quello che avevo davanti. E poi, ripeto, continuavo a pensare che dovevo farlo per le mie compagne. Perché anche oggi hanno fatto avanti e indietro all’ammiraglia per portarmi da bere. Oppure a quanto hanno tirato ieri in una tappa che non è andata come volevamo o ancora alla tappa dei ventagli di Monselice».

Reusser in lacrime dopo aver perso la maglia rosa. Cerca di consolarla “Sebas” Unzue, manager Movistar
Reusser in lacrime dopo aver perso la maglia rosa. Cerca di consolarla “Sebas” Unzue, manager Movistar

Essere Longo Borghini

Indipendentemente da tutto, questa settima tappa del Giro Women ha toccato le corde di tutti e tutte. Reusser appena tagliata la linea d’arrivo si è seduta stravolta sotto il palco delle premiazioni, sfogando fatica e frustrazione in un pianto tanto nervoso quanto liberatorio, ricevendo l’affetto di colleghe, staff e pubblico. La svizzera della Movistar poteva cedere solo ad una persona come Longo Borghini.

«C’è gente – ci risponde Elisa – che dice che tutto parte con i sogni, mentre per me i sogni sono stupidate. Bisogna avere gambe, cervello, testa dura come marmo e crederci sempre, oltre ad una buona preparazione alle spalle. Altrimenti non si va da nessuna parte. Poi ci sono volte in cui devi seguire ciò che ti dice l’istinto, come oggi».

Ieri Reusser aveva detto di non aver contrattaccato Longo Borghini perché la radio non funzionava e non voleva chiudere sulla compagna Lippert. E se invece la ex maglia rosa stesse bluffando, coprendo una condizione in calo ed Elisa se ne fosse accorta? «Onestamente non lo so – risponde – però penso che Marlen sia un corridore di grande classe oltre ad essere una persona molto intelligente. Credo abbia fatto solo una mossa giusta, come avrei fatto anch’io».

«Vi ringrazio per tutta la considerazione che mi riservate – dice facendo riferimento alla visibilità che dovrebbe avere dopo oggi – ma non so mai cosa rispondere. Io provo grande stima nei confronti dei colleghi maschi e spero che loro provino la stessa stima per me. Sì, forse mi avrebbero dato più spazio se fossi un uomo, ma io sono Elisa Longo Borghini, donna e contenta di esserlo».

Sdrammatizzazione

Tutta l’essenza della 33enne di Ornavasso esce quando chiudiamo la conferenza. Ci ha fatto emozionare, ma se la conosciamo un po’ sappiamo anche che durante la scalata finale abbia fatto pensieri ironici. E ci ride sopra riavvolgendo il nastro della tappa.

«A 4 chilometri dal traguardo – chiude Longo Borghini – quando ero nel massimo sforzo, ho pensato che se mi avessero fatto il test del lattato, tanto caro a Slongo (sorride, ndr), la macchinetta sarebbe esplosa. Penso anche ai paesi attraversati: Piano, Pianello. Cioè, mi stavate prendendo in giro? Ma oggi vorrei ringraziare soprattutto quel tifoso che in salita mi ha urlato “Vai Elisona”. Sono letteralmente scoppiata a ridere».

Come si fa a non tifare per una come Longo Borghini, che se non ci fosse bisognerebbe inventarla. Intanto oggi si inventata l’impresa al Giro e domani a Imola correrà per confermarla. Il suo vantaggio su Marlen Reusser è ora di 22 secondi.

Fughe del Tour, è sparita la fantasia: la lezione di De Marchi

12.07.2025
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«Quest’anno è capitato che abbiamo fatto andar via un corridore per 80 chilometri da solo – dice De Marchi – e che nessuno lo abbia seguito. Insomma, il gruppo è fatto da 180 corridori e la maggior parte non ha grandi occasioni. Ci sarebbero molte più possibilità di quelle che vengono veramente sfruttate, invece ci si limita alle tappe più scontate. E questo comporta che in quei 5-6 giorni tutto il mondo voglia andare in fuga e ti ritrovi con gruppi di 30 corridori pieni di seconde linee che potrebbero tranquillamente essere leader e sono lì a giocarsi la tappa».

Le fughe del Tour sono state l’ispirazione per un interessante confronto con il friulano della Jayco-AlUla, che sulle grandi cavalcate ha costruito i momenti più belli della carriera. La sua ultima partecipazione alla Grande Boucle risale al 2020 ed è del 2014 il numero rosso ricevuto sul podio di Parigi. Giovedì Ben Healy ha conquistato la prima tappa che sia sfuggita al gruppo (foto di apertura). Sono serviti quasi 100 chilometri per portare via il gruppo decisivo, poi è stato tutto un fatto di scelta di tempo e gambe. Una fuga andata via di forza, come ormai accade sempre più spesso. Quella di ieri verso il Mur de Bretagne è stata invece neutralizzata dal gruppo dei migliori, che ancora una volta hanno scelto di fare la corsa.

Sul podio dei Campi Elisi al Tour del 2014, quello di Nibali, De Marchi conquista il premio della combattività
Sul podio dei Campi Elisi al Tour del 2014, quello di Nibali, De Marchi conquista il premio della combattività
E’ così difficile andare in fuga al Tour?

E’ sempre stato difficile, ma forse adesso le occasioni sono ancora meno: l’offerta è diminuita e la richiesta è aumentata. A parte quei pochi che curano la classifica e che a volte puntano anche sulle briciole, adesso si gioca il tutto per tutto solo in alcune giornate. E’ un’altra storia.

Perché?

Perché prima i corridori di classifica pensavano alla classifica. Capitava quello che si buttava, ricordo Contador che ogni tanto faceva qualche attacco. Ma erano episodi sporadici, che non stravolgevano la corsa. Così ad andare in fuga eravamo solo noi seconde linee, tra virgolette, mentre adesso ti rendi conto che nelle fughe c’è dentro veramente di tutto. Guardate il gruppo da cui ha vinto Healy e dentro c’erano fior di campioni (con Healy c’erano, fra gli altri, Simmons, il vincitore del Giro Yates, Van der Poel, Storer, ndr). Giornate come quella diventano delle gare di un giorno all’interno di una gara tappe. Giovedì ci hanno messo 100 e passa chilometri a far partire la fuga. E’ come l’approccio a uno sprint, perché la minestra è la stessa ed è uguale anche il modo di affrontare il percorso.

Al Giro d’Italia è più facile?

In realtà si sta uniformando tutto. Ovviamente al Tour c’è qualcosa in più, ma era lo stesso 15 anni fa. Al Tour è sempre andato chiunque avesse l’un per 100 in più di condizione, motivazione e voglia. E questo, moltiplicato per 200, crea l’effetto Tour de France. Però la sostanza non cambia, anche al Giro quest’anno le fughe andavano così. Un’altra cosa che è cambiata parecchio è che le fughe sono molto più numerose, è difficile trovarne una di 5-6 corridori

La fuga di giovedì verso Vire Normandie è andata via di forza dopo quasi 100 km. Qui Simmons e Healy
La fuga di giovedì verso Vire Normandie è andata via di forza dopo quasi 100 km. Qui Simmons e Healy
Che cosa cambia?

E’ una gestione completamente diversa. Replichi nella fuga la gara che di solito faresti in gruppo. Diventa una questione non solo di gambe, ma di strategia, necessità di leggere la corsa e i movimenti degli altri. Per me è sempre stato meglio andare in fughe meno numerose. Magari essere in tanti ti permette di arrivare più avanti, ma se il gruppo è grosso, c’è anche meno accordo. Giovedì, Healy ha scelto il momento giusto e poi le cose hanno avuto il solito svolgimento.

Quale?

Si crea il gap. Chi è davanti va alla stessa velocità di chi è dietro, che non ha più le forze per chiudere. Si congelano i distacchi, a meno che uno non salti per aria, cosa sempre più rara da vedere. Quindi alla fine diventa fondamentale fare la prima mossa e prendere subito vantaggio. Poi non ti prendono più.

Quanta concentrazione serve per prendere la fuga?

Tantissima, al punto che nei momenti topici nemmeno senti il baccano del pubblico. Devi tenere tutto sotto controllo. E’ super impegnativo, niente di diverso da un finale di gara, dalla preparazione di una volata. Con la tattica fai la differenza, perché un conto è fare due ore e mezza a tutta, altra cosa è mettersi nelle prime posizioni senza mai affondare, stare coperti e ritrovarsi ugualmente in fuga avendo speso un quarto rispetto agli altri. Quella è una cosa che cambia tanto e che una volta si faceva di più. Invece vedo gente che vuole andare in fuga solo di gambe. Si sa che al dato chilometro c’è lo strappo o la strada stretta, si aspetta solo quello e vanno via di forza, raramente d’astuzia o esperienza.

Sono così mediamente giovani che l’esperienza non possono averla.

Forse è vero, ma secondo me dipende dal fatto che le gambe sono diventate lo spartiacque. Quando hai un certo tipo di livello e di gambe, puoi fare il doppio delle cose di chi quelle gambe non le ha. Nove volte su dieci, ci riesci. E’ cambiata molto anche la voglia di rischiare e sorprendere il gruppo in giornate che sulla carta non sono adatte alle fughe. Se si prevede che finirà in volata, nessuno ci prova. Mi dispiace che sia così, vuol dire che non c’è poi tanta fantasia, non c’è tutta questa libertà.

Si fa solo quello che può riuscire?

Ricordo delle tappe da volata, con la fuga che riusciva quasi a farcela o addirittura ce la faceva e metteva in scacco tutti quanti. Al Delfinato del 2019, nella quinta tappa ero in fuga anch’io. Tutti aspettavano la volata, però siamo arrivati all’ultimo chilometro che ancora non ci avevano preso. Ce la siamo giocata fino in fondo, ma sono cose che succedono sempre meno. Vi anticipo: non darei la colpa alla radio, anche se in qualche misura incide. La verità è che secondo me nell’animo dei corridori di quest’epoca manca un po’ di spirito di iniziativa. Se il corridore vuole, ha la libertà di muoversi come vuole.

Quanto è importante saper leggere le dinamiche del gruppo?

Devi sapere come sono andate le giornate precedenti, se ad esempio c’è già stata una fuga, se qualcuno l’ha provata e non l’ha presa. Devi tenerlo in considerazione, devi conoscere gli eventuali rumors. Al Delfinato di quest’anno, si sapeva che la EF Education volesse andare in fuga, ma non ci erano ancora riusciti. Finché a un certo punto, mi pare nella quinta tappa, alla partenza si sono schierati tutti davanti e alla fine hanno messo Baudin nella fuga. Ci sono movimenti da leggere nei primi chilometri. Vedi la squadra che all’inizio chiude perché attende un tratto in salita più adatto al suo scalatore. Però sono finezze cui pochi fanno attenzione. Molti sono concentrati sullo sforzo, sul fatto di avere nelle gambe la botta al posto giusto e nel momento giusto. Invece ci sono anche altri aspetti da valutare.

La fuga di ieri verso Mur de Bretagne non è stata fatta allontanare: i più forti volevano la tappa
La fuga di ieri verso Mur de Bretagne non è stata fatta allontanare: i più forti volevano la tappa
Ad esempio?

Ad esempio il punto in cui attaccare oppure come farlo in base al vento. Alla Boucle de la Mayenne, la corsa che ho fatto prima del Delfinato, un giorno c’era terreno tutto su e giù, che alla fine vai velocissimo. C’era gente che scattava in cima agli strappi, anzi in discesa. Seguirli e mettersi a ruota era la cosa più semplice. Oppure capita che ci sia vento contro e la gente attacchi dalle prime file, con altri che gli prendono la ruota e si vede che non vai da nessuna parte. Sarebbe meglio arrivare da dietro lanciati e magari far partire un compagno e poi attaccare in prima persona. Sono cose che si vedono raramente.

Cosa pensi quando passi davanti al tuo numero rosso?

Mi ricorda che c’è stato un periodo in cui avevo anch’io la cartucciera piena e non avevo paura di sparare e tentare. Il momento della giovinezza, ma anche di quando hai un sacco di fiducia e voglia di provarci.

Il tempo è volato. Alessandro è appena rientrato dall’Alto Adige con la famiglia ed è in partenza verso l’Austria per fare altura con la squadra. L’ultimo anno della sua carriera entra nella seconda parte e i programmi sono ancora da farsi. Durante lo scorso inverno, con ottima scelta di tempo, il Rosso di Buja ha fatto e superato il corso per diventare direttore sportivo e si sta guardando intorno per capire cosa fare da grande. Sarebbe davvero utile avere in ammiraglia qualcuno capace di insegnare certi concetti e certi movimenti.

Tommaso Cingolani: il tricolore allievi e la passione per la bici

12.07.2025
5 min
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Tommaso Cingolani è il nuovo campione italiano della categoria allievi su strada, titolo inseguito da un po’ di tempo e conquistato a Gorizia con un ottimo lavoro di squadra e una volata che ha consacrato il tutto. Il giovane talento originario di Senigallia del Zero24 Cycling Team è abituato a vincere, lo fa con regolarità sia su strada che nel fuoristrada. Tuttavia dice che il successo di Gorizia era un po’ inaspettato e in qualche modo “maledetto” visto che un titolo tricolore su strada lo inseguiva da qualche tempo (in apertura foto Leonardo Quagliani). 

«Domenica correrò a Fano – ci dice subito – e indosserò per la prima volta la maglia di campione italiano su strada. Sono un pochino emozionato all’idea. Sinceramente non mi aspettavo di vincere la corsa in linea perché la gara che assegna il tricolore è sempre particolare, si corre in tanti e non è facile gestire i diversi momenti di gara. Inoltre anche l’anno scorso ero tra i favoriti ma un problema meccanico mi ha messo fuorigioco. Non che a Gorizia siano mancati dei piccoli “intoppi” ma nulla che ci ha impedito di vincere».

Tommaso Cingolani corre con lo Zero24 Cycling Team (foto Leonardo Quagliani)
Tommaso Cingolani corre con lo Zero24 Cycling Team (foto Leonardo Quagliani)

Lavoro di squadra

Riconosce il lavoro dei compagni Tommaso Cingolani, e sa che senza di loro avrebbe fatto più fatica a vincere. I ragazzi della rappresentativa marchigiana hanno corso bene e ce lo dice lui stesso.

«Nel finale eravamo in tre su quindici – racconta – e ci siamo mossi al meglio per arrivare allo sprint. All’inizio, dopo appena cinque chilometri di gara, mi sono toccato con un avversario e mi si è rotto un raggio. Sono rimasto calmo, una volta capito che la bici non aveva nulla e che non avrei dovuto cambiarla ho proseguito sereno».

Tommaso Cingolani ha vinto anche il titolo tricolore allievi a Follonica a inizio 2025 (foto Leonardo Quagliani)
Tommaso Cingolani ha vinto anche il titolo tricolore allievi a Follonica a inizio 2025 (foto Leonardo Quagliani)
Non è il primo titolo italiano che vinci.

Vero. Ho vinto anche il tricolore nel ciclocross e a cronometro (qualche giorno prima della prova in linea, sempre a Gorizia, ndr). Avevo corso anche la prova in mountain bike una settimana prima, a fine giugno, ma non era una gara semplice.

Alterni tutte le discipline: strada, ciclocross, mountain bike e cronometro, come fai?

Il ciclocross si corre durante l’inverno quindi è semplice da gestire, finita la stagione su strada mi concentro su quello. Mentre riuscire a trovare il giusto equilibrio tra strada e mtb non è facile, le stagioni si sovrappongono. Infatti il campionato italiano mtb non è stato semplice, non usando spesso la bici facevo più fatica nelle parti tecniche. 

Per Tommaso Cingolani il ciclocross è una passione e un grande divertimento (foto Leonardo Quagliani)
Per Tommaso Cingolani il ciclocross è una passione e un grande divertimento (foto Leonardo Quagliani)
Un grande amore per la bici, da dove arriva?

Mio padre ha corso nelle categorie giovanili e anche lui correva in tutte e tre le discipline. Ora ha un negozio di bici in provincia di Ancona (Cingolani Bike Shop, ndr). Mi ha trasmesso questa passione che mi piace portare avanti, almeno finché mi sarà possibile. Sicuramente il ciclocross continuerò a farlo, mi piace molto perché le gare sono corte, esplosive e parecchio divertenti. Ho iniziato quando ero esordiente primo anno. 

Come riesci a coordinare tutte queste attività con la scuola?

Grazie al progetto studente-atleta ho modo di programmare le interrogazioni e le verifiche. Sto studiando all’Istituto Tecnico di Senigallia, indirizzo turistico-sportivo. L’ho scelto perché ci sono diverse ore di educazione motoria e studio due lingue: inglese e spagnolo. Ora il programma prevede l’inserimento di una terza lingua e dovrò decidere tra tedesco e francese. 

Il giovane marchigiano corre anche in mtb (foto Leonardo Quagliani)
Il giovane marchigiano corre anche in mtb (foto Leonardo Quagliani)
Hai scelto la squadra per il prossimo anno?

Io e altri tre miei compagni del Zero24 Cycling Team, mio fratello gemello Filippo, Gianmarco Paolinelli ed Edoardo Fiorini andremo a correre con il team Ecotek. Cercavamo una squadra dove andare a correre tutti e quattro perché ci troviamo bene insieme ed essere nella stessa squadra anche da juniores ci permette di allenarci a casa. 

Scelta presa da voi in autonomia?

Ci ha aiutato la squadra (Zero24 Cycling Team, ndr) e ne ho parlato con il mio procuratore. Dall’inizio di questa stagione sono con i Carera, mi hanno contattato loro e visto come sta andando il ciclismo mi è sembrata una buona scelta per il futuro. 

Tommaso Cingolani passerà juniores con il team Ecotek (foto Leonardo Quagliani)
Tommaso Cingolani passerà juniores con il team Ecotek (foto Leonardo Quagliani)
Curioso di provare la nuova categoria?

Sì. Grazie al Team Ecotek correremo tutte le gare più importanti del calendario italiano e probabilmente anche qualcosa all’estero. Ora però rimango concentrato sui prossimi impegno, a partire dalla gara di domenica a Fano e quelli con la nazionale. Dal 19 al 27 luglio parteciperò alle Olimpiadi Giovanili in Macedonia, correrò sia nella prova in linea che in quella a cronometro. 

A proposito, tra tutte le discipline stavamo dimenticando la cronometro, quando hai iniziato?

Ho fatto la prima gara la scorsa stagione quando ero allievo primo anno. Non andò benissimo ma i miglioramenti sono arrivati subito e così ho iniziato a prendere sul serio anche questa disciplina. Infatti se dovessi dire chi sono i corridori che mi piacciono e che ammiro dico: Van Der Poel perché fa strada, ciclocross e mtb. E poi c’è Evenepoel per la cronometro.

Aurelien Paret-Peintre vuole lasciare il segno in montagna

12.07.2025
4 min
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Aurelien Paret-Peintre è uno dei personaggi francesi più amati e attesi di questo Tour de France. Noi lo abbiamo incontrato nella Maison Van Rysel  di Lille. Nelle prime frazioni, ogni volta che i team salivano sul palco prima delle tappe, lui e il fratello Valentin, ricevevano un applauso forte, intenso… ben più alto della media.

Prime tappe in cui c’era, e c’è, tensione. Soprattutto per la squadra di Aurelien, che partiva “da casa”, in qualche modo. La Decathlon-Ag2R è equipaggiata con bici Van Rysel e Van Rysel è di Lille, sede del Grand Depart. Guarda caso, in fiammingo “Van Rysel” è la traduzione di Lille.

Aurelien Paret-Peintre (classe 1996) sta affrontando il suo settimo grande Giro (foto Instagram)
Aurelien Paret-Peintre (classe 1996) sta affrontando il suo settimo grande Giro (foto Instagram)

Non solo gli Yates

«E’ sempre bello essere al via del Tour. Il fervore di alcune partenze all’estero è enorme – ha detto Aurelien – ma qui in Francia è diverso. Correre con mio fratello? Di certo è un’occasione particolare e privilegiata che capita a ben pochi corridori. Spesso parliamo, discutiamo, anche la sera per telefono ci scriviamo, come è successo al Delfinato. Sono contento di fare questo Tour con lui, anche se non siamo più nella stessa squadra. Spero però che entrambi arriveremo a Parigi».

Aurelien ha aggiunto che tra di loro si parla anche di tattiche, si discute della corsa. Chissà se lo stesso fanno i fratelli Yates: loro sì che sono rivali per davvero, visto che Adam sostiene la causa di Pogacar e Simon quella di Vingegaard.

Aurelien Paret-Peintre (in maglia azzurra) punta deciso alle tappe di montagna
Aurelien Paret-Peintre (in maglia azzurra) punta deciso alle tappe di montagna

Obiettivo montagna

Ma se gli altri due sono votati alla causa totale del loro leader, e crediamo sarà così anche per il fratello Valentin, la questione è un po’ diversa per Aurelien. Lui potrebbe essere chiamato a un duplice ruolo: attaccante, ma anche supporto per Felix Gall, che lo scorso anno ha chiuso la Grande Boucle al 14° posto, vincendo una tappa. E quest’anno punta senza mezzi termini a una top ten nella generale.

«Io – riprende Aurelien – credo che alla fine ci saranno 4-5 tappe in cui arriverà la fuga, e sono ottimista, visto l’andamento degli ultimi anni. Noi dobbiamo essere bravi ad arrivarci. Questo è il primo obiettivo, per me e per la squadra.

«Neppure Gall può lottare per i primi tre posti della generale, almeno quest’anno: bisogna essere realisti. Con quei corridori è del tutto impossibile. Per questo dico: concentriamoci sulle vittorie di tappa e su quelle di montagna in particolare. In questi primi giorni così nervosi ci vedrete poco. Per me – ricordiamo che Aurelien Paret-Peintre è uno scalatore – sarà difficile nelle prime tappe, sia mentalmente che fisicamente.

«Sono soddisfatto della mia forma e della mia preparazione. Finora è andato tutto bene. Il Dauphinée mi ha fatto bene, è stato molto duro, ma mi ha fatto progredire. A Sierra Nevada ci siamo allenati bene, anche se le temperature erano abbastanza alte anche lì, circa 36-37°C… Ci siamo già abituati al caldo che troveremo! Ma in generale abbiamo curato moltissimi aspetti, dopo quel 2023. Dallo scorso anno tante cose sono cambiate riguardo alla performance: materiali, alimentazione, attenzione ai dettagli…».

Giro d’Italia 2023: Aurelien sfreccia a Lago Laceno
Giro d’Italia 2023: Aurelien sfreccia a Lago Laceno

Dal Giro al Tour

Parlando con un giornalista italiano, in qualche modo emerge il discorso del Giro d’Italia. E Aurelien ammette di avere un buon feeling con il nostro Paese e la nostra corsa.

«Quella che – dice lui – mi ha dato la notorietà. L’atmosfera è diversa, le due corse sono completamente diverse. Ho un buon attaccamento al Giro, anche prima della mia vittoria in grande Giro. Mi piace l’ambiente della corsa italiana. Ma il Tour per noi francesi è come il Santo Graal, è sopra il Giro in termini di notorietà. Sarebbe davvero un sogno lasciare un segno anche qui. Sono contento di essere venuto al Tour, ne ho fatti solo due nella mia vita finora. E sono contento perché vedo che sono con i grandi. Sono dietro, ma non sono troppo lontano da loro».

Infine una piccola annotazione. Il savoiardo aveva detto che nelle prime dieci tappe avrebbe sofferto. In parte è vero. Ma va annotato anche il settimo posto a Boulogne-sur-Mer e il dodicesimo a Rouen: tappe molto dure, in cui si è vista un’importante selezione. «Significa che sto bene», ha sentenziato Aurelien.

Pogacar vince, Almeida la scampa e Gianetti omaggia Hinault

11.07.2025
6 min
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«Possiamo anche aspettare», così aveva detto Mauro Gianetti questa mattina al via dalla splendida Saint-Malo. E tutto sommato la vittoria numero 101 del suo Tadej Pogacar è arrivata, per dirla in gergo calcistico, di rimessa… per certi versi. Controllo, azione nel punto giusto, volata, braccia al cielo. Minima spesa, massima resa.

La corsa fila via veloce. Una classica fuga: cinque atleti, ma dietro non lasciano troppo spazio. I velocisti si staccano dopo aver racimolato gli ultimi punti rimasti al traguardo volante. E bravo il nostro Jonathan Milan a fare la formichina. E’ così che si porta quella maglia a Parigi, anche se oggi l’ha persa e indovinate chi l’ha presa? Però da domani iniziano delle frazioni veloci e ci auguriamo che il friulano possa riprendersi lo scettro.

Sul Mur de Bretagne grande controllo. Remco guida. Tadej ha un occhio avanti e uno dietro e Vingegaard francobolla la ruota dello sloveno

Pogacar anche sul Mur

Per la sesta volta il Tour de France arriva su questo strappo già iconico. Vincere quassù è quasi una semiclassica. E se si presenta l’occasione, perché non sfruttarla?

Ancora oggi, un po’ come ieri verso Vire, a mettere i bastoni tra le ruote ai progetti difensivi della UAE Team Emirates è stata la Visma-Lease a Bike. Forse oggi davvero la UAE non era troppo interessata alla tappa, o meglio, a non lasciare andare via fughe troppo numerose. Forse Pogacar avrebbe lasciato ancora la maglia a Mathieu Van der Poel. E invece eccola rimbalzargli addosso.

La squadra di Jonas Vingegaard ha ridotto forte il gap a quel punto. Tim Wellens (sempre più un gigante) e Jhonatan Narvaez lo hanno portato davanti nello strappo finale. A quel punto Pogacar non ha speso una goccia di energia in più del necessario per evitare che altri si prendessero tappa e abbuoni. Ha fatto tirare Remco Evenepoel… pensate un po’.

Almeida, che dolore

Ma in tutto questo c’è un neo per la UAE Team Emirates e Tadej Pogacar: la caduta di Joao Almeida. Una caduta, tra l’altro, non troppo chiara. Una delle bici a bordo strada era senza copertone e, al momento dell’innesco del capitombolo, frontalmente si nota una fuoriuscita di aria e liquido. Bisogna capire se la copertura è stallonata per l’impatto o se al contrario questa stessa ha innescato il tutto.

Fatto sta che a pagarne le spese sono stati uomini di classifica importanti. Parliamo di Santiago Buitrago e soprattutto di Joao Almeida, che sembrava aver riportato la frattura del polso.

E non a caso sull’arrivo, appena saputo il tutto, Pogacar non era affatto contento. Era piuttosto preoccupato per Almeida e perché il rischio di perdere un gregario tanto importante non è cosa da poco. Si è visto in questi giorni quanto il portoghese abbia fatto la differenza.

«Per me la giornata è andata alla perfezione – ha detto Pogacar – esattamente come avevamo programmato. La squadra ha fatto un lavoro fantastico. Abbiamo dovuto dedicare molta energia al raffreddamento del corpo, perché faceva molto caldo. E’ stata una tappa veloce e dura. I ragazzi mi hanno lasciato ai piedi della salita. E normalmente, anche Joao sarebbe stato lì, ma è caduto e spero che stia bene. Che dire: sono di nuovo in giallo. Spero che ora avremo due giornate un po’ più facili».

Pogacar torna in giallo. Ora guida con 54″ su Remco e 1’11” su Vingegaard
Pogacar torna in giallo. Ora guida con 54″ su Remco e 1’11” su Vingegaard

I valore dei gregari

Con il ruzzolone e i ritiri di oggi si torna a parlare di cadute. Mattia Cattaneo si è ritirato, sembrerebbe a causa dei postumi della caduta subita nella quarta tappa. Il primo gregario di Remco ha tenuto duro per un paio di giorni, ma oggi è stato costretto ad alzare bandiera bianca.

«Sì – ha detto Evenepoel – Mattia è la mia guardia del corpo abituale e si è ritirato. Era uno dei ragazzi con cui avevo ancora degli impegni. Mi mancherà sicuramente, ma tutto sommato, il suo stop è stata la decisione giusta. Aveva mal di testa e non si sentiva bene, quindi è meglio così. Queste sono le corse».

E anche Pogacar si è espresso su Almeida. «Giornata perfetta? Se Joao sta bene, allora è una giornata perfetta. Se non sta bene, questa vittoria è per lui».

Insomma anche i grandissimi si preoccupano senza i loro uomini più fidati. Badate che questa tappa potrebbe avere un peso specifico nell’economia del Tour de France. Se Almeida non dovesse farcela la Visma avrebbe un vantaggio non da poco. Mentre Remco è davvero solo.

Si arrivava a casa dell’immenso Hinault: quanti omaggi lungo la strada per l’ultimo vincitore francese del Tour
Si arrivava a casa dell’immenso Hinault: quanti omaggi lungo la strada per l’ultimo vincitore francese del Tour

L’analisi di Gianetti

Avevamo aperto l’articolo con le parole di Mauro Gianetti, CEO della UAE Team Emirates, e con le sue parole lo chiudiamo.

«La prima cosa – ci dice Gianetti – è che Joao sta bene, diciamo così. Ha delle abrasioni, ha un’infrazione a una costola, ma i raggi X hanno escluso fratture. Certo, ha preso una bella botta e sbattere sull’asfalto a 60 all’ora non è mai bello. Ma poteva andare peggio. Pertanto, se la notte andrà bene, domattina dovrebbe partire regolarmente».

Poi si passa alla tattica. Pogacar sembrava quasi disinteressato al successo e, tutto sommato, se ci fosse stato Mathieu Van der Poel a vincere non gli sarebbe dispiaciuto. Forse…

«Disinteressati direi di no – riprende Gianetti – abbiamo provato a giocarci la tappa. Certo, l’importante era non finire la squadra per controllare la corsa. Fortunatamente all’inizio anche Van der Poel e la Alpecin-Deceuninck ci credevano e abbiamo collaborato. Ma occhio però, perché anche se Mathieu e Tadej sono amici, non gli avrebbe lasciato la tappa. Anche perché Vingegaard e Remco erano in agguato. Insomma, Tadej non si sarebbe tirato indietro. Domani e dopodomani ci saranno due giornate semplici, in cui magari si riesce a non spendere troppo».

«E poi – fa una pausa Mauro – alla fine vincere sul Mur-de-Bretagne è qualcosa di iconico. Avete visto quanta gente c’era? Senza contare che siamo a casa del grandissimo Bernard Hinault, e anche questo conta. E’ un omaggio a questo gigante».

«Alleanza trasversale con la Alpecin? Se ieri Van der Poel avesse preso la maglia con 2 minuti magari ci avrebbe aiutato di più, però così non è stato. E alla fine neanche puoi fare troppi calcoli. Oggi se non avessimo vinto noi, l’avrebbe fatto Vingegaard. E sinceramente, meglio stare davanti che dietro».

Gianetti si gode i suoi ragazzi. Parla di un gruppo coeso, di un bell’ambiente: «Li vedo uniti. Sono amici prima ancora che corridori. Tutti hanno ben chiaro l’obiettivo. Penso proprio ad Almeida, che l’altro giorno avrebbe anche potuto vincere, ma si è messo a disposizione. Ha giocato per Pogacar».

Giro Women: vince Lippert, tra Reusser e Longo finisce pari

11.07.2025
6 min
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ORCIANO DI PESARO – Sesta tappa del Giro Women un anno dopo, stessa scena, stessa gioia. Sul traguardo di Terre Roveresche, Liane Lippert trionfa nello sprint a due su Pauliena Rooijakkers ritrovando l’affermazione personale a distanza di dodici mesi dall’ultima volta. Fra Longo Borghini e Reusser finisce invece in pareggio.

L’anno scorso la 27enne tedesca della Movistar aveva conquistato a Chieti il suo unico successo stagionale, poi non era più riuscita ad alzare le braccia al cielo. E per lei, che vanta già una tappa al Tour Femmes, un argento europeo e il quarto posto allo scorso mondiale, era sembrato strano. Evidentemente però le strade italiane portano bene a Lippert, come dichiarato da lei in conferenza stampa.

Vittoria cercata

Terza all’arrivo ha chiuso Van Anrooij al termine di una giornata particolarmente sentita da tutte le donne di classifica. L’azione decisiva è partita relativamente tardi per mano di un terzetto di atlete quando mancavano poco più di 30 chilometri alla fine. In quel momento Lippert ha capito che doveva entrarci per provare a mettere il sigillo vincente.

«Sono felicissima – racconta sorridente Liane – perché è stata una giornata fantastica. La squadra mi ha dato il via libera e volevo ripagare il loro supporto. Questa tappa era molto simile a quella che ho vinto l’anno scorso e quindi ho pensato che fosse una buona idea provarci di nuovo. Mi sentivo benissimo, ho voluto entrare in fuga e ho colto l’occasione. Da domani però, torno al servizio di Marlen (Reusser, la maglia rosa, ndr) perché è la tappa decisiva e vogliamo vincere il Giro. Poi eventualmente potrò pensare anche all’ultima tappa di Imola, dove al mondiale 2020 ho fatto quinta e che ha un percorso adatto a me».

Tempo da recuperare

Se Rooijakkers ha potuto sfruttare al massimo la fuga, lo deve tanto alla sua compagna Sara Casasola. Proprio alla partenza da Bellaria, la 25enne della Fenix-Deceuninck ci aveva anticipato come avesse fatto un circolino rosso alla tappa odierna. Un po’ per sé ed un po’, se fosse servito, per la sua capitana. Attenzione ora alla olandese, l’anno scorso rispettivamente quarta al Giro e terza al Tour, che può diventare una cliente scomoda nella lotta alla maglia rosa.

«Diciamo che è stata una giornata intensa – ci dice Casasola al traguardo dopo essersi dissetata e complimentata con Rooijakkers – fin dalla prima salita dove ci sono stati attacchi e contrattacchi. Ho provato più volte ad entrarci, ma non è andato via niente perché siamo andate davvero veloci. Ad un certo punto, ho accelerato un po’ allungando. Con me è venuta Labous e assieme abbiamo ripreso Spratt. Dopo che ci ha ripreso Lippert, dalla radio mi hanno urlato che Pauliena aveva dato gas in salita e che stava rientrando. Mi sono messa a ruota delle altre, ho recuperato poi ho tirato forte fino all’ultima salita per lei. Ha guadagnato più di 1’20” nella generale ed ora è quarta».

«Dobbiamo completare l’opera nelle ultime due tappe – conclude la ragazza di San Daniele del Friuli – Pauliena sta bene e giorno dopo giorno va sempre più forte. Purtroppo a Monselice abbiamo perso del tempo, ma credo che domani sul Monte Nerone sia la sua tappa. Siamo molto fiduciosi. Personalmente spero di avere buone gambe anche nelle prossime due giornate, però sarò pronta ancora a lavorare per lei. Per il momento sono molto contenta del mio Giro. Era la prima volta che facevo la preparazione in altura (a La Plagne, ndr). Prima di partire avevo buone sensazioni e speravo di stare bene. Per fortuna è ancora così».

Longo Borghini temeva la giornata odierna e preferiva non far rientrare Rooijakkers in classifica
Longo Borghini temeva la giornata odierna e preferiva non far rientrare Rooijakkers in classifica

Reusser vs Longo e non solo

Proprio come l’anno scorso, si arriva alla 7ª e penultima tappa con una situazione avvincente e di assoluta incertezza. Un anno fa alla vigilia del Blockhaus, Longo Borghini comandava di 3” su Kopecky (non partita oggi per un problema alla schiena). Quest’anno Reusser viaggia con 16” sulla ossolana della UAE Team ADQ e tutto si deciderà in vetta a Monte Nerone. E quindi che cosa dobbiamo aspettarci?

«Longo Borghini è forte – ammette la maglia rosa Reusser – ed oggi ha attaccato nel tratto più impegnativo a 10 chilometri dalla fine. Ho pensato solo a seguirla. Non ho tentato il contrattacco perché la radio non andava, non sapevo che distanza avevamo da Liane in fuga. Non volevo chiudere sulla mia compagna. E non volevo che una mia azione riportasse dentro Elisa o altre atlete. Forse non sono stata perfetta oggi, ma so che Elisa mi marca molto stretta (dice sorridendo, ndr) e che ci riproverà. Domani è la tappa più dura del Giro con un’ultima salita difficile che ho provato a marzo prima delle Strade Bianche. Nell’ultimo mese ho avuto buone gambe in salita e sono pronta a rafforzare la maglia rosa».

Il UAE Team ADQ lavora nel finale rispettando i propri piani e preparare un attacco di Longo Borghini
Il UAE Team ADQ lavora nel finale rispettando i propri piani e preparare un attacco di Longo Borghini

Dopo il traguardo in casa UAE si notano volti un po’ contratti. L’impressione è che la squadra abbia lavorato tanto senza ottenere il risultato sperato o perso l’attimo per lanciare in fuga qualche atleta (Persico era adatta alla tappa). O ancora che forse si potevano risparmiare energie in vista di domani. E’ un’impressione, appunto, perché Longo Borghini chiarisce la situazione.

«E’ stata una giornata dura – dichiara in zona bus – per il caldo e per il percorso. Sapevamo sarebbe stata così. Penso che la squadra abbia lavorato bene seguendo ciò che avevamo pianificato il giorno prima. Forse non dovevamo lasciare andare Rooijakkers che ha guadagnato tempo e posizioni nella generale, ma questo è ciò che può succedere nelle gare. Mi sentivo bene e la squadra è stata brava. Domani sarà una battaglia tra tutte le donne di classifica e spero di essere in forma».

I 150 chilometri e i 3.850 metri di dislivello tra Fermignano e Monte Nerone saranno i giudici della sfida tra Reusser e Longo Borghini, ma guai a sottovalutare una come Van der Breggen (terza a 1’53”), la stessa Rooijakkers (a 2’02”) o le altre che seguono. Aspettiamoci una giornata da “all-in”.

Q36.5 Unique Pro, tutto quello che serve in una calzatura

11.07.2025
6 min
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Q36.5 Unique Pro è e sarà uno dei riferimenti delle calzature di altissima gamma, super tecniche e dedicate all’ambito professionale/agonistico. La suola full carbon, rigida e sottile trova ispirazione dalle tendenze attuali, alta dietro e ultra contenitiva in tutta la sua lunghezza.

La tomaia è un blend di tessuti e soluzioni che ricordano (in parte) l’altra scarpa top di gamma, ovvero la Dottore Clima, ma soprattutto al lato pratico la Unique Pro è una scarpa che non trova accostamenti nel listino Q36.5. L’abbiamo provata in anteprima ed ecco le nostre considerazioni.

Rispetto ad una scarpa con suola classica? Il piede gode di maggiore stabilità e contenimento
Rispetto ad una scarpa con suola classica? Il piede gode di maggiore stabilità e contenimento

Tecnologia proprietaria Q36.5 tutta italiana

Ci piace, ci piace tantissimo sottolineare uno dei fattori rimarcati da Q36.5 durante il lancio ufficiale della nuova Unique Pro. La scarpa è stata sviluppata mettendo insieme diverse tecnologie di produzione proprietarie e tutte italiane, perché, oltre al resto, non bisogna mai dimenticare che l’arte calzaturiera dell’Italia era e resta un’eccellenza copiata da molti.

Si parte dalla suola, prodotta nel comprensorio calzaturiero di Montebelluna, in Veneto, dove molte scarpe (di marchi differenti) hanno origine. E poi c’è tutto il know-how di Q36.5, che proprio con le nuove Unique Pro raggiunge l’apice in termini di design, performance, materiali ed un fitting che lascia di stucco. Tornando per un attimo alla suola, questa ha uno stack di soli 4,4 millimetri dal punto di battuta sul pedale, significa il valore più basso che il mercato è in grado di offrire oggi e fa collimare resa tecnica e comfort.

Una calzatura complessa e molto leggera

Per gli amanti dei numeri e della super leggerezza, Q36.5 Unique Pro ha un valore alla bilancia (rilevato nella misura 42, senza solette) di soli 220 grammi per calzatura. E’ molto basso, se consideriamo il doppio rotore Boa Li2 in alluminio.

La suola è un vero e proprio contenitore che parte dal tallone, dove si alza in modo importante e si abbassa verso l’avampiede dove è più scaricata, ma piuttosto larga. C’è tanto spazio per il piede ed il movimento delle dita, un fattore che si tramuta anche in un comfort “quasi” inaspettato per una calzatura così tecnica e con una suola impattante. Unique Pro ha la pianta larga, fattore che influisce sulla taglia corretta e sulla possibilità di sfruttare al massimo la calzatura. E’ necessario (fondamentale) tenere ben presente la lunghezza effettiva del piede (dei piedi).

La struttura portante della tomaia è forata, ma al tempo stesso compatta e ricorda la vera pelle. La linguetta è diversa dal solito, perché è un tessuto in mesh che funge come una calza. Si adegua al piede, non si arriccia e segue perfettamente l’azione di chiusura dei rotori. Inoltre, grazie alla sua morbidezza, tende a dissipare la pressione generata (inevitabilmente) dai cavi. Quello superiore è diretto, quello inferiore adotta un incrocio e tutti i punti di snodo sono in tessuto.

Il vantaggio nella spinta arriva dalla calzatura nella sua interezza
Il vantaggio nella spinta arriva dalla calzatura nella sua interezza

I nostri feedback

La nuova Q36.5 Unique Pro è una calzatura estremamente comoda e ultra performante al tempo stesso. Il comfort, quasi inaspettato se il giudizio è condizionato dal solo impatto estetico, è hors categorie, grazie ad una pianta larga, un avampiede ampio e grazie al quasi totale azzeramento dei punti di pressioni interni. E poi c’è la stabilità che si genera ed è parallela ad un contenimento del piede che è altrettanto vantaggioso sotto diversi punti di vista.

Chi proviene da una “calzatura classica” con la suola piatta, deve mettere in conto una fase di adattamento prolungata, per via della suola così alta dietro che, contiene il tallone come poche altre. L’imbottitura interna in questo punto aiuta (non poco), ma è necessario comprendere al meglio una suola che è diversa dagli standard. E’ un blocco unico, non ha flessioni. Chi arriva da una tipologia di scarpa simile (o per lo meno che adotta i medesimi concetti, di design e disegno della suola) è sicuramente avvantaggiato nel “capire” la calzatura e sfruttarne le potenzialità. Il plus è la Unique Pro nella sua totalità, sicuramente costosa, ma ben fatta e curata in ogni dettaglio. Infine lo stack ridotto della suola, un altro argomento che merita di essere snocciolato. 4,4 millimetri è un numero ridotto e traducendo, il piede di avvicina tantissimo all’asse di battuta del pedale.

Non c’è da meravigliarsi se, come nel nostro caso, la sensazione è quella di dover abbassare la sella di un paio di millimetri ed al tempo stesso “sentire” il pedale come poche volte è capitato in precedenza. E poi la Unique Pro è una scarpa che non si scalda e non fa ribollire i piedi.

In conclusione

Unique Pro è una tipologia di calzatura che ha un costo importante: 550 euro di listino. Il prezzo è in linea con questa categoria di prodotti, anzi, di strumenti votati a massimizzare la resa tecnico-atletica e rientra in una fascia “artigianale” Made in Italy. Un semplice dettaglio? A nostro parere no, se consideriamo che in questa stessa categoria rientrano pure calzature prodotte in stock nel far east, belle e performanti senza dubbio, che nei termini di qualità dei materiali, design e fattura, non hanno nulla a che fare con il calzaturiero fatto in casa Italia. Non vogliamo essere campanilisti ad ogni costo, ma ci sembra corretto mettere in evidenza una qualità che può fare realmente la differenza e non una semplice scritta impressa sul carbonio.

Q36.5

GP Capodarco, una storia di famiglia, silenzi e passione

11.07.2025
6 min
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Il prossimo 16 agosto sarà la prima volta in 53 anni che il Gran Premio Capodarco si svolgerà senza Gaetano Gazzoli. Era il 29 maggio quando il vulcanico organizzatore marchigiano ha chiuso gli occhi e due giorni prima se ne era andato anche don Franco Monterubbianesi, che nel 1966 aveva creato la Comunità di Capodarco e nel 1973 assieme alla famiglia Gazzoli diede inizio alla storica corsa per dilettanti. Per la piccola comunità marchigiana il colpo non è stato facile da assorbire. Ma la corsa arriva e ha mille esigenze organizzative. Per cui Adriano Spinozzi e Simone Gazzoli, il figlio di Gaetà, si sono rimboccati le maniche e girano da settimane come trottole.

Spinozzi e Gazzoli sul podio di Capodarco 2013
Spinozzi e Gazzoli sul podio di Capodarco 2013

«La corsa è fatta, andate avanti»

Ciascuno ha il suo lavoro e la famiglia. Eppure non hanno mai pensato di tirarsi indietro, come pure di fermare le moto gialle che da anni li identificano nel servizio di radio corsa che svolgono in ogni angolo d’Italia. Noi li abbiamo intercettati proprio mentre erano in auto in un giro tra i vari sponsor. E dalla conversazione è nato un ritratto inedito di Gazzoli e al contempo la conferma della grande passione che li spinge.

«Sarà dura senza Gaetano – dice Spinozzi – anche se la corsa tecnicamente l’abbiamo sempre fatta noi. Dirò una cosa brutta, ma negli ultimi anni una metà delle squadre che partivano nemmeno sapevano chi fosse Gaetano. Lui però li conosceva tutti, sapeva chi partiva e chi mancava. Pochi giorni prima che morisse, ci ha detto: “La corsa è fatta, ragazzi. Non vi preoccupate, ho chiamato io”. Infatti per quest’anno siamo tutti coperti. Siamo andati dagli sponsor perché la metà non li conoscevamo, dato che faceva tutto lui. Era la sua corsa».

Il GP Capodarco si corre il 16 agosto nella provincia di Fermo
Il GP Capodarco si corre il 16 agosto nella provincia di Fermo

Un padre all’antica

Simone annuisce e conferma. E aggiunge che suo padre non delegava perché non si fidava mai del tutto. Diceva sempre a entrambi che non ne sarebbero stati capaci, anche se poi quando loro non c’erano e parlava con altri, usava altri toni. Un padre all’antica, un capitano burbero e generoso.

«Diceva che Spinozzi è bravo a fare la corsa tecnicamente – prosegue Adriano – mentre Simone non era bravo a parlare con gli sponsor. Io ho 64 anni e frequentavo la sua casa da quando ne avevo 14, 47 anni con Gaetano. Condividevo la vita con lui più che con un padre e per lui ero più di un figlio. Con Simone si scontrava spesso, mentre a me diceva delle cose che a lui non diceva nemmeno. Gli ripeteva anche che non fosse in grado di gestire l’attività del canile di famiglia, mentre Simone la porta avanti da vent’anni e va a gonfie vele. Sta facendo tutto quello che faceva suo padre».

«Venivo a sapere le cose dagli anziani – dice Simone Gazzoli – perché mio padre non mi raccontava nulla, forse perché mi vedeva come un rivale, capito? Bene o male sapevo fare le cose, ma non avevo le sue idee, perché bisogna ammettere che avesse delle idee geniali. Però a me non le confidava, faceva tutto con “Spino”. E io allora ho cominciato a seguire il consiglio di mio nonno, che mi diceva: “Ascolta! Se uno non ti parla e non ti spiega, tu cerca di rubare le cose con gli occhi e con le orecchie”. Così quando vedevo che mio padre parlava al telefono con gli sponsor o con altre persone, io ero lì e sentivo quello che diceva. Lui non mi ha fatto mai esporre, perché era geloso della sua corsa».

Tirreno del 2020, Simone Gazzoli e Adriano Spinozzi
Tirreno del 2020, Simone Gazzoli e Adriano Spinozzi

Il sorriso sotto i baffi

Raccontano che Gaetano sia uscito dall’ospedale che era domenica e sia morto il giovedì successivo. In quei pochi giorni, non c’è stato un solo momento senza che li abbia incitati ad andare avanti. Era sicuro che non si sarebbero fermati e rideva sotto i baffi per l’orgoglio di quel piccolo team cresciuto nella sua ombra.

«Però non te lo diceva mai, perlomeno a me – prosegue Simone – perché ero il figlio. Non mi diceva mai: “Bravo, hai fatto bene!”. Non ti dava mai la soddisfazione, però rideva. Io lo so che sapeva di potersi fidare. Anche adesso, nell’incontrare gli sponsor, siamo venuti a sapere da gente che non conoscevamo che con loro parlava bene di noi. La mia soddisfazione è quando qualcuno mi dice: “Assomigli a tuo padre!”. Io sono di poche parole, sono meno vulcanico e nelle interviste mi blocco, perché sono meno abituato. Però mi ha fatto piacere sentir dire che ragiono come Gaetano, perché da mio padre ho imparato tanto e ora lo sto mettendo in pratica».

Gaetano Gazzoli assieme a Baroncini, poco dopo la vittoria iridata U23 di Leuven
Gaetano Gazzoli assieme a Baroncini, poco dopo la vittoria iridata U23 di Leuven

La moto gialla di “Gaetà”

La moto gialla di Gaetano Gazzoli sarà portata fuori dal garage e per quel solo giorno, il 16 agosto, sarà parcheggiata in piazza in mezzo ai corridori. Finché, conclusa la corsa, tornerà a fare il suo lavoro guidata da qualcun altro. Perché nulla si ferma e la memoria di Gaetano sopravviverà nel lavoro dei suoi ragazzi e nel nome della gara: GP Capodarco-Memorial Gazzoli

«Al momento – riprende Spinozzi – abbiamo parecchie difficoltà. Gaetano è morto un mese e una settimana fa e la corsa è praticamente arrivata. Abbiamo dovuto rifare la società e ricomporre tutti i quadri. Fare le domande per l’accreditamento della corsa. Stiamo correndo come dei pazzi, perché non possiamo delegare più di tanto. Con Simone ci compensiamo, dove non arriva uno, comincia l’altro. Io vado in giro con due cellulari: il mio e quello di Gaetano, in cui cercare le risposte per le domande che non riesco a gestire. Sono stato al Giro d’Italia e Marco Selleri si è proposto di darci una mano con la segreteria, ma quest’anno non sarebbe stato possibile, c’erano tempi troppo stretti per far entrare la segreteria di Extra Giro, per il futuro vedremo. Vediamo, vediamo con le spese. Vediamo tutto. Ora vogliamo fare una bella corsa e ci stiamo organizzando».

L’arrivo solitario al GP di Capodarco 2024 di Filippo D’Aiuto, in maglia General Store
L’arrivo solitario al GP di Capodarco 2024 di Filippo D’Aiuto, in maglia General Store

L’omaggio di Capodarco

Con il Tour de l’Avenir che parte il 23 agosto come ai vecchi tempi, ci sarebbe anche la possibilità di avere al via i migliori under 23 italiani, incluso il campione italiano, sempre che non sia in ritiro con la nazionale. E sempre che la presenza nella stessa nazionale di corridori di devo team e continental non sia di impedimento all’invito dei team di appartenenza.

In attesa di sciogliere gli ultimi nodi, Spinozzi e Simone Gazzoli ci raccontano in che modo Capodarco renderà omaggio a Gaetano. Poi però ci chiedono anche di non dirlo, per non guastare la sorpresa. E siccome si tratta di una iniziativa bellissima, possiamo solo darvi un consiglio. Il 16 agosto venite tutti a Capodarco. E portate con voi una macchina fotografica (anche il telefono andrà bene). Ci sarà una foto da fare, e poi sarà come sempre una corsa fantastica.