Realini cede 30″ ma lei aspetta la doppia scalata del Blockhaus

09.07.2024
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Il Giro d’Italia Women ha incontrato oggi, nella terza tappa, il primo arrivo in salita, conquistato da Niamh Fisher-Black. L’atleta della SD Worx ha anticipato la compagna di squadra Lotte Kopecky e la francese Juliette Labous. Le pendenze della salita di Toano non sono le preferite da Realini che ha pagato 36 secondi dalla vincitrice e 30 secondi da Longo Borghini e Kopecky.

«Sicuramente – spiega la scalatrice della Lidl-Trekquest’anno il Giro non permette di abbassare molto la guardia. La tappa di ieri è stata abbastanza tranquilla, ma già da oggi era importante farsi trovare pronte e tenere le antenne dritte. Tutte le atlete volevano provare a mettere fatica e minuti nelle gambe delle avversarie. Il caldo ha giocato un ruolo importante nell’economia della corsa. Il ritmo è stato elevate per tutta la salita, con Mavi Garcia che ha messo in fila il gruppo. Nel finale ho aiutato la Longo Borghini a chiudere sui vari attacchi, l’ho accompagnata fino all’ultimo chilometro nel quale Elisa ha seguito bene Kopecky difendendo la maglia rosa».

Realini si era detta soddisfatta dopo la crono di Brescia dove aveva perso 1′ 08″ da Longo Borghini
Realini si era detta soddisfatta dopo la crono di Brescia dove aveva perso 1′ 08″ da Longo Borghini

Primi passi

Intanto Gaia Realini aveva sbloccato le gambe con la cronometro di Brescia, chiusa in 25ª posizione a un minuto e otto secondi dalla compagna Elisa Longo Borghini. Una prova positiva visto il percorso e la lunghezza di 15,7 chilometri. La prestazione era da considerare comunque positiva

«La cronometro – spiega Realini – non era la mia giornata, comunque è una cosa che fa parte delle gare e me la sono goduta fino in fondo. Sono riuscita a difendermi nonostante la prova impegnativa e le sensazioni sono state abbastanza positive. Sapevo che avrei perso qualcosa ma ero concentrata a fare il mio, senza guardare troppo alle altre».

Nella tappa di oggi con arrivo a Toano Realini ha perso 29″ dalla compagna di squadra e attuale maglia rosa
La maglia rosa oggi, dopo il primo arrivo in salita, è rimasta saldamente in mano a Elisa Longo Borghini

Sulle strade amiche

La tappa regina di questo Giro d’Italia Women sarà però a casa di Realini, in Abruzzo, sulle rampe del Blockhaus. Prima con la scalata di Passo Lanciano, nel secondo passaggio, quello finale, si arriverà fino in cima. Una frazione con pendenze sempre, o quasi, a doppia cifra.

Il distacco accumulato da Realini in classifica generale dopo tre tappe è di un minuto e 37 secondi. L’abruzzese rimane una delle favorite per la tappa con arrivo in cima al Blockhaus viste anche le pendenze quasi proibitive. Lo scotto pagato nei confronti delle rivali potrebbe aprire le porte per un attacco della Realini proprio sulle rampe di casa.

«Conoscere la salita – spiega – farà un altro effetto. Avere in testa anche i minimi particolari sarà utile, per sapere dove attaccare o dove magari si potrà respirare. Anche se credo che quest’ultima opzione sarà impossibile, però proverò a giocarmela al meglio. Scalare due volte quella salita farà male non solo alle gambe ma anche alla testa, perché è una salita molto dura ed esposta tutta al sole. Quindi siamo sicuri che se ci sarà grande sofferenza al primo passaggio anche il secondo non sarà facile». 

Realini sul Blockhaus ci sale tutti i giorni, qui in foto era il 2021 e correva per la Isolmant-Premac
Realini sul Blockhaus ci sale tutti i giorni, qui in foto era il 2021 e correva per la Isolmant-Premac

Gambe e testa

Entriamo però nel dettaglio di questa salita che potrebbe decidere la classifica finale, quali sono i punti in cui si può tirare il fiato? Quali, invece, dove sarà bene farsi trovare pronti?

«E’ una salita – racconta ancora Realini – che è costantemente al 9 per cento, i primi chilometri saranno anche al 12, 14 per cento. Punti dove poter respirare ce ne saranno davvero pochi, diciamo che quando dal 12 si passa al’8 per cento si fa un respiro di sollievo. Attaccare lo si potrà fare solamente ascoltando le gambe, dove diranno loro si potrà pensare di aumentare il ritmo. Non c’è da sottovalutare il primo passaggio, anche se si scollinerà a Passo Lanciano e non si arriva in cima. Farla forte subito potrà portare già ad una buona selezione, ma si dovranno fare i conti con le energie rimaste visto che è nella parte finale del Giro. Si tratta di una salita da meno di un’ora, quella di Passo Lanciano, mentre al secondo passaggio si arriverà fino in cima quindi staremo nell’ordine dell’ora. Quei chilometri in più che si faranno nel finale potrebbero giocare brutti scherzi sia alle gambe che alla testa. Quella tappa sarà anche una questione di nervi».

Due tricolori già in bacheca. La scelta di Finn era stata giusta…

09.07.2024
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I campionati italiani juniores di Casella non potevano avere conclusione migliore per la gente locale, visto che a conquistare la maglia tricolore è stato il classico “enfant du pays”, quel Lorenzo Finn che sta riscrivendo con le sue azioni tutta la geografia del ciclismo giovanile italico. Primo italiano ad aver scelto un team straniero già da junior, entrando nella multinazionale del Grenke Auto Eder, con i suoi risultati – in particolare la doppietta tricolore crono-gara in linea – ha dimostrato che l’occhio di Christian Schrot, il suo diesse, era stato lungo…

Il podio di Casella, con Finn fra Proietti Gagliardoni, a 2’38” e Zanutta, a 3’01” (foto organizzatori)
Il podio di Casella, con Finn fra Proietti Gagliardoni, a 2’38” e Zanutta, a 3’01” (foto organizzatori)

E’ pur vero che Finn correva in casa e questo ha rappresentato un bel vantaggio: «Quel percorso lo conosco bene, si passa davvero vicino casa mia. Sapevo che la prima parte era pianeggiante e ci si giocava tutto nella seconda. Serviva grande attenzione e pianificare dove attaccare e così ho fatto. In discesa c’era un punto dove si tornava a salire e lì ho attaccato».

La particolarità è che a quel punto è diventata un’altra corsa, con te contro il gruppo e tu che continuavi a guadagnare, come solo i grandi campioni sanno fare…

Sapevo che le grandi difficoltà della corsa erano finite, bisognava solamente spingere forte, soprattutto in pianura e io contro il tempo me la cavo bene anche se non è la mia specialità. Poi avevo anche le informazioni dalla moto, sapevo che il vantaggio andava crescendo e questo mi ha dato ulteriore forza. Io per natura sono e resto uno scalatore, ma mi difendo bene in ogni situazione. Preferivo però arrivare da solo, non rischiare una volata, questo lo ammetto…

Finn ha corso poco quest’anno, anche a causa della caduta all’Eroica, ora vuole rifarsi d’estate
Finn ha corso poco quest’anno, anche a causa della caduta all’Eroica, ora vuole rifarsi d’estate
E’ chiaro che queste tue vittorie fanno spiccare la tua appartenenza, l’essere l’unico italiano in un team estero. Ci sono davvero tante differenze?

Cambia molto l’impostazione, è come essere già inquadrato in un team professionistico pur essendo ancora uno junior. Ma senza vivere le pressioni che ha un professionista. Abbiamo il supporto di uno staff estremamente qualificato e sempre in contatto con la casa madre (la Bora Hansgrohe, ndr) e soprattutto la disponibilità di materiale appartenente alla prima squadra. Diciamo che è un’impostazione un po’ più vicina a quella di un lavoro di quanto si potrebbe avere in qualsiasi altro team, tenendo però sempre presente che siamo ancora ragazzi che studiano.

Com’è stata questa prima parte della tua esperienza?

Positiva anche se sfortunata, l’infortunio all’Eroica è pesato. Ho però recuperato la condizione in fretta e questo è importante soprattutto considerando tutto quel che ci attende, a cominciare dall’Ain Bugey Valromey Tour dove ci saranno tutti i migliori della categoria a cominciare dall’iridato Withen Philipsen.

Lorenzo Finn è approdato al Grenke Team Auto Eder quest’anno, primo italiano in un team junior estero
Lorenzo Finn è approdato al Grenke Team Auto Eder quest’anno, primo italiano in un team junior estero
L’impressione è che il team tedesco, anche sull’onda dei tuoi risultati (considerando che il campionato italiano si correva per rappresentative regionali) creda molto nelle tue capacità, ossia ti consideri un potenziale leader.

E’ politica del team cercare di far brillare tutti. E’ una vera multinazionale, prendono gli elementi di spicco in varie nazioni per farli maturare, ognuno poi ha le sue possibilità. Si è visto ad esempio quando abbiamo corso in Italia, con più corridori che centravano la Top 10. Siamo tutti elementi leader, ma corriamo per la squadra, è la corsa stessa che dice volta per volta su chi si dovrà puntare.

E questo è un vantaggio rispetto ad avere il team che corre con una gerarchia definita?

Sì, perché la concorrenza interna aiuta a motivarti. Se ti ritrovi davanti con compagni di squadra è sempre meglio che dover correre da solo. La competizione interna è un indubbio aiuto, l’importante però è che tutti alla fine lavoriamo per un obiettivo comune che è vedere la nostra maglia sfrecciare per prima, chiunque la indossi.

Vincitore del titolo italiano a cronometro, il ligure è un corridore ideale per le corse a tappe
Vincitore del titolo italiano a cronometro, il ligure è un corridore ideale per le corse a tappe
E’ cambiata la tua preparazione rispetto allo scorso anno?

Molto, ma non solo perché è cambiata la mano. Sono cresciuto, anzi fisicamente sto ancora crescendo, le gambe sono maggiormente sviluppate. Christian ci segue con molta attenzione, raffronta ogni singolo allenamento. I lavori sono commisurati alla nostra età, perché i risultati sono sì importanti, ma dobbiamo seguire un giusto trend di crescita. Per questo so che queste sono semplici tappe verso obiettivi più importanti per gli anni futuri.

Considerando le tue caratteristiche, il percorso del mondiale di Zurigo diventa a questo punto un obiettivo?

Sicuramente. Sono andato a vederlo due settimane fa, è molto bello, con salite non lunghe ma che non danno respiro, si correrà sempre a tutta e ci sarà grande selezione. Io spero davvero di far bene su quel tracciato mentre credo che quello della cronometro non sia invece molto adatto, è quasi tutto pianeggiante, su quel percorso Philipsen penso che avrà vita facile.

Lorenzo ha già puntato i mondiali di Zurigo, su un percorso adatto alle sue caratteristiche
Lorenzo ha già puntato i mondiali di Zurigo, su un percorso adatto alle sue caratteristiche
Tu hai vinto il titolo italiano in linea, ma pensi di essere più tagliato per le corse a tappe, visto che vai forte sia in salita che a cronometro?

Io penso di sì, che quello sia il mio approdo ideale considerando anche che finora ho mostrato buone doti di recupero. Anche al Lunigiana lo scorso anno sono andato sempre più forte col passare dei giorni. Teniamo conto che le corse a tappe juniores non sono paragonabili a quelle delle categorie superiori, ma il mio destino dovrebbe essere quello.

Pedivelle più corte: secondo FSA l’onda è già partita

09.07.2024
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I professionisti aprono la strada e il mercato si mette a ruota. La difficoltà semmai è prendere la fuga giusta, ma quando a dettare il passo ci sono riferimenti come Pogacar, la direzione è obbligata. La tendenza a ridurre a lunghezza delle pedivelle ha nello sloveno uno degli sponsor di maggior convinzione, anche se probabilmente fra i big è stato Evenepoel a ridurre le leve già un paio di anni fa. Si pensò che fosse legato alla statura invece, come ha da poco confermato Alessandro Colò, è la nuova frontiera della biomeccanica. Ed è per questo che i tecnici di FSA-Vision si sono dovuti rimboccare le maniche e intensificare le lavorazioni su leve di lunghezza inferiore, come racconta Edoardo Girardi, quattro anni da professionista alle spalle, in questi primi giorni di Tour de France (in apertura foto FSA).

«Stiamo avendo una richiesta abbastanza importante di accorciare le pedivelle – spiega – perché ci sono sempre più corridori e squadre che sponsorizziamo orientati in questo modo. E adesso sembra che la stessa richiesta stia arrivando già anche a livello aftermarket. Diciamo ancora in modo timido, però sta arrivando. Fra le squadre invece è una tendenza quasi… prepotente. Fino a due anni fa, prevedevamo una cinquantina di braccetti di pedivelle da 165 per coprire tutti i team, la proiezione per l’anno prossimo è già di 300 pezzi. Non siamo noi in primo battuta a fare i test, ma raccogliamo il loro feedback tecnico. E il parere è univoco. C’è un miglioramento dell’efficienza meccanica della pedalata. Il muscolo lavora con un travel non nella massima estensione e questo permette di risparmiare energie, con un vantaggio misurabile in termini di watt».

Questo incide sulla biomeccanica più in generale ovviamente?

Assolutamente, non si riduce al mettere soltanto una pedivella più corta. Sicuramente c’è un lavoro con il biomeccanico, in cui si stravolgono le regole del gioco. Se si guarda anche l’arretramento della sella, in questi ultimi anni sono tutti a zero e anzi addirittura qualcuno è positivo, con la sella in avanti. E’ un insieme che si sta assestando in modo diverso. I manubri sono più stretti e gli attacchi si sono allungati, perché portando più avanti il bacino, hanno la necessità di allungarsi in avanti. Cambia tutta la posizione, cambia il dislivello fra sella e manubrio. Con la pedivella più corta, posso alzare la sella. Sono cose soggettive, ovviamente, ma a quanto ci dicono la variazione di altezza di sella non coincide con la misura della nuova pedivella. Si resta più bassi e questo pare che porti a una migliore efficienza.

Si tratta di riduzioni drastiche o graduali?

Anche questo è molto soggettivo. C’è chi passa da 172,5 a 170, si abitua e prosegue. E chi invece fa subito il passaggio da 172,5 a 165 o addirittura a 160. Per consentire di avere la giusta gradualità e per individuare misure che possano accontentare tutti, abbiamo in gamma anche le pedivelle da 167,5. Ci sono da parecchio, ma fino allo scorso anno nessuno ce le aveva mai chieste. L’anno scorso qualche squadra ha iniziato volendo fare delle prove sulle bici da crono e adesso sta diventando, non dico uno standard, ma una misura comune. Per questo pensiamo che le 160 e soprattutto le 165 possano diventare un trend forte.

Con la possibilità illimitata di fare test, ormai è abbastanza immediato valutare se la scelta dia buoni frutti…

Infatti ormai tutti sono in grado di valutare e comparare l’efficienza della pedalata, anche solo con un allenamento. Se faccio sempre le ripetute sulla stessa salita, è un attimo per un atleta di alto livello, che è sempre tirato con una corda di violino, capire se c’è un miglioramento e se il miglioramento è meccanico.

Da FSA segnalano l’aumento di richieste di guarniture con pedivelle più corte da parte dei team sponsorizzati
Da FSA segnalano l’aumento di richieste di guarniture con pedivelle più corte da parte dei team sponsorizzati
Quanto incide l’emulazione rispetto a quello che fanno i campioni?

E’ fondamentale. Sicuramente adesso è sotto gli occhi di tutti perché Pogacar le ha utilizzate in diverse corse ed è come uno spot in prima serata su un canale televisivo. Tutti aprono gli occhi. E anche se non è solo questo ad avergli permesso certi risultati, se uno del suo calibro fa una scelta del genere, vuol dire che qualcosa di oggettivo c’è per forza. Quindi tanti, incuriositi, ci provano e si buttano. Sarebbe diverso se lo vedessero in altri corridori, che magari hanno fatto la stessa scelta da anni, però sono lontani dalla luce dei riflettori. Noi da parte nostra indaghiamo e ci stiamo rendendo conto che questo orientamento tecnico stia portando davvero a dei miglioramenti. Per cui sappiamo che il mercato a breve prenderà la stessa direzione.

Dal punto di vista della produzione cambia qualcosa?

Cambia nel senso che abbiamo dovuto introdurre una misura di pedivella più corta, perché non basta semplicemente spostare l’inserto in alluminio nella pedivella in carbonio. Intervieni proprio sulla lunghezza del braccio, anche perché questo ti dà anche un vantaggio in curva. Il braccio più corto significa che puoi continuare a pedalare anche quando sei in piega, puoi giocarti 5 millimetri in meno. Può sembrare poco, invece significa un angolo importante. E a questi livelli non perdere la pedalata in discesa può fare la differenza.

Si può parlare anche di risparmio di peso?

C’è del materiale in meno, ma non è quello il motivo di maggior interesse, anche se è innegabile che fra una 172,5 e una 165 la differenza ci sia.

Una pedivella più corta di 5-7 millimetri permette di pedalare anche quando si è in piega
Una pedivella più corta di 5-7 millimetri permette di pedalare anche quando si è in piega (immagine FSA)
Hai parlato di nuova misura.

Avremo una 155 e il bello è che ce la chiedono anche atleti di grossa taglia, che vogliono estremizzare il gesto della pedalata corta. Resta ovviamente una misura più votata al ciclismo femminile o anche magari anche alle categorie giovanili, ma è singolare che ce la chiedano anche corridori di altezza medio/alta. E’ una tendenza generale che vediamo con le nostre squadre, ma sondando il terreno anche team che montano materiali di altri brand ci confermano che questo è l’orientamento più o meno marcato, sicuramente un trend forte.

I rapporti però non cambiano?

Avendo a disposizione diversi mezzi per fare analisi e approfondimenti, vediamo che mantenendo la stessa rapportatura, quindi senza intervenire sulle corone, le velocità in gruppo aumentano. Evidentemente riduci il braccio di leva, però cambiando posizione e tutto il resto riesci comunque ad esprimere una potenza superiore. Oppure mantieni lo stesso output a livello di potenza, compensi con la cadenza. Aumentando di qualche pedalata la frequenza, probabilmente esprimono la stessa potenza con qualche battito in meno. Ed è lì che fanno la differenza. Vanno alla stessa velocità di prima, tenendo però qualcosina in più da giocarsi nel finale. Oppure, al contrario, possono spendere di più al momento di fare selezione.

Le vostre squadre al Tour hanno ridotto la lunghezza delle pedivelle?

Abbiamo Bahrain, Ef Education e Israel e tutti hanno ridotto la misura delle pedivelle. Non so dirvi ora quali corridori abbiano deciso di provare, perché le squadre chiedono un tot di pedivelle e poi sono loro a gestire queste prove. Ogni corridore ha 3-4 bici e di volta in volta fanno qualche test. Quando poi alla fine la squadra ci fa i suoi report, abbiamo modo di approfondire con i casi singoli.

Derek Gee pedala più basso grazie alle pedivelle, mantenendo potenza con superiore frequenza
Derek Gee pedala più basso grazie alle pedivelle, mantenendo potenza con superiore frequenza
Credi che tutto questo arriverà anche sul mercato?

In parte sta già accadendo, sia pure a livello di aftermarket. Se poi ci sarà un cambiamento vero di abitudini lo scopriremo se domani un costruttore sceglierà di fare il primo montaggio con pedivelle da 179 o 165 piuttosto delle classiche 172,5. Questo significherebbe che lo standard delle misure è cambiato, come è successo con i manubri, che di serie ormai vengono montati più stretti e con attacchi mediamente più lunghi.

La lotta psicologica contro Tadej. Ma lui è una roccia

09.07.2024
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Come di consueto nei grandi Giri i giorni di riposo diventano i giorni delle conferenza stampa. E ieri ad Orleans, nel cuore della Francia, è sembrata andare in scena una sorta di sequel della frazione degli sterrati. Sono intervenuti tutti e tre i protagonisti: Tadej Pogacar, Jonas Vingegaard e Remco Evenepoel. Che in modo più o meno diretto si sono risposti l’un con l’altro.

Vingegaard ha mandato a dire ad Evenepoel che il suo non collaborare non era mancanza “di palle”, ma d’intelligenza tattica. Remco dal canto suo si è ricreduto da una parte, dicendo che è stato un peccato che il danese non abbiano insistito, ma ha aggiunto anche che avrebbero potuto guadagnare 3′-4′ se Jonas avesse contribuito all’azione.

E’ da Bologna che Pogacar, Vingegaard ed Evenepoel stanno dominando il Tour
E’ da Bologna che Pogacar, Vingegaard ed Evenepoel (che s’intravede in primo piano) stanno dominando il Tour

Parla Tadej

E poi c’è lui, sua maestà Tadej Pogacar. E’ sua la conferenza stampa più attesa. Pogi ha affrontato la giornata di riposo con grande tranquillità a quanto sembra. La sgambata, il caffè con i compagni… e uno stuolo di giornalisti e fotografi al seguito.

«Sono abbastanza contento – ha detto l’asso della UAE Emirates – di come sia andata sin qui. L’anno scorso dovevo colmare il gap in questo momento. Al massimo sono arrivato a 9” dalla maglia gialla, adesso ne ho 33” di vantaggio su Remco. Non è troppo. Ma stanno arrivando le grandi battaglie e anche Jonas e Primoz (Roglic, ndr) sono vicini e i distacchi faranno presto a cambiare con le tappe che ci aspettano, specie dalla quindicesima in poi».

Sguardo rilassato, capello moderatamente spettinato… la semplicità e la naturalezza di questo gigante sono tutte qui.

Semplicità che resta intatta anche quando, inevitabili, arrivano le domande su Vingegaard.

«Io e Remco – ha detto Tadej – volevamo vincere verso Troyes, Jonas no. L’ho visto molto concentrato su di me. Quando si muoveva Remco, Jonas non si preoccupava. Penso che abbia un po’ paura. Vedremo come andranno le cose nelle tappe di montagna».

E poi la risposta delle risposte: «Se sento la sua pressione psicologica? Se provano a battermi mentalmente non ci riescono», ha tuonato laconico Pogacar con quella naturalezza di cui dicevamo, ma con una determinazione da far paura. Erano gli stessi occhi della mix zone dopo Valloire. Gli occhi di chi non è appagato.

«Gli altri stanno lottando anche per se stessi. Corrono contro di me. Ci sono abituato. Non mi fa male, io devo solo essere quello che posso essere».

Tadej Pogacar e a ruota Jonas Vingegaard: il film di questo Tour
Tadej Pogacar e a ruota Jonas Vingegaard: il film di questo Tour

Il piano di Vingegaard

Come ha scritto anche il nostro direttore domenica sera dopo la frazione di Troyes: “Pogacar attento, la trappola di Vingegaard è già scattata”, si parla di questo piano. Piano che lo stesso danese più volte ha menzionato. Un piano già iniziato probabilmente. Ed è quello dell’attesa. Attesa delle tappe giuste e di una condizione che, come ha ribadito lo stesso Vingegaard, va in crescendo.

«L’anno scorso i Visma erano fiduciosi per il finale – ha detto Pogacar – adesso stanno giocando la stessa carta. Puntano tutto sull’ultima settimana. La cosa non mi disturba. Ma quest’anno sono più fiducioso anche io. Ho la maglia gialla, di cui sono contento, e se tutto andrà come dovrebbe andare avrò buone gambe anche nella terza settimana e nelle ultime tre tappe in particolare». Le ultime tre tappe, quelle che dovrebbero far scattare il piano di Vingegaard e della Visma – Lease a Bike.

«Non sono affatto stupito della sua condizione- ha proseguito lo sloveno riferendosi a Vingegaard – Quando ho saputo che sarebbe venuto al Tour, mi era chiaro che sarebbe stato ben preparato. Poi ho capito dalla seconda tappa che era prontissimo. Abbiamo scalato il San Luca più veloce della storia, abbattendo il record di ben 20”. E Jonas ha resistito bene. Lui è molto concentrato e questo si vede quando siamo in gruppo».

Pogacar ed Evenepoel, tra i due sembra esserci un bel feeling
Pogacar ed Evenepoel, tra i due sembra esserci un bel feeling

Voglia di montagna

Più volte Pogacar ha parlato dell’attesa e della voglia di affrontare le montagne. Davvero sembra si diverta quando corre, nonostante le pressioni. Per esempio ha detto che parla spesso con Remco e che si sta divertendo a gareggiare con lui in questo Tour de France.

Come per il Giro d’Italia e come per gli altri Tour de France, qualcuno gli imputa che sta sprecando troppe energie. Ma è anche vero che sin qui l’unico scatto davvero “forzato” è stato proprio quello di Troyes. Ci stava che a Bologna volesse testare il grande rivale, che da parte sua oggettivamente poteva non essere al top in una frazione che richiedeva esplosività e che da tanto tempo non gareggiava. Tanto è vero che quando Tadej ha visto che Vingegaard era lì, non ha insistito fino alla fine. Ma a quel punto sapeva con chi aveva davvero a che fare. 

«Non ho visto tutte le prossime tappe – ha concluso Pogacar – ma conosco alcune delle salite che ci aspettano sui Pirenei. Pavel Sivakov vive lì e non vede l’ora di scalare il Plateau de Beille. E lo stesso Adam Yates. Anche io non vedo l’ora che arrivino i Pirenei, mi hanno sempre fatto bene. Si preannuncia un fine settimana davvero scoppiettante».

Dopo il 55, ecco il 38: il segreto dell’agilità di Pogacar

08.07.2024
3 min
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Sulla bici di Pogacar, assieme alla corona da 55 richiesta lo scorso anno per contrastare il 54×10 di Vingegaard, gira un ingranaggio interno da 38 denti. Una guarnitura 55-38 che permette allo sloveno di essere veloce nelle discese e agile come gli piace in salita. Eppure, tanto è semplice scriverlo, per quanto è difficile da mettere in atto.

La realizzazione delle due corone avviene ugualmente nelle officine di Carbon-Ti che al UAE Team Emirates fornisce anche dischi per freni (leggeri oppure aerodinamici), guarnitura monocorona per la crono e la doppia guarnitura a 4 bracci per la bici da strada.

«La lavorazione non cambia – spiega Marco Monticone – la progettazione per il 38 da abbinare al 55 è completamente nuova. Il know how di partenza è lo stesso, ma il prodotto è completamente nuovo. Le macchina al CNC sono state riprogrammate e anche in tempi rapidi, dato che la richiesta del 38 è arrivata abbastanza all’improvviso e di recente».

La proposta di Chiesa

Chiunque si sia divertito a riassortire la propria guarnitura sa che non tutti gli abbinamenti sono compatibili e certo il salto di 17 denti fra il 38 e il 55 è un bell’ostacolo da superare.

«Infatti il succo del discorso – prosegue Monticone – è far funzionare il 38 con il 55 e per questo c’è stato un grandissimo lavoro. Il deragliatore Shimano in uso alla UAE Emirates è progettato per il 54-40: se si vuole fare qualcosa di diverso, bisogna che il deragliatore continui a lavorare bene. Ci abbiamo lavorato e alla fine siamo riusciti a prototiparlo. L’idea di partenza era di usarla per i Grandi Giri nelle tappe di montagna, in modo che Pogacar possa mantenere il suo ritmo di 90-95 pedalate al minuto. Eppure quando Alberto Chiesa ce l’ha proposto (parla del capo meccanico del team, ndr), abbiamo pensato che fosse una follia».

Pogacar ha ricevuto il 38 nei giorni della Liegi ed ha subito voluto usarla, vincendo
Pogacar ha ricevuto il 38 nei giorni della Liegi ed ha subito voluto usarla, vincendo

Debutto alla Liegi

Eppure la sfida era stimolante e nei computer dei progettisti di Carbon-Ti le varie ipotesi hanno cominciato a prendere forma. Hanno fatto vari test, fino a vedere uno spiraglio.

«L’abbiamo costruita – sorride Monticone – e gliel’abbiamo consegnata. Pogacar ha chiesto di montarla e poi, come fa di solito, l’ha usata in gara. Nel 2023 gli avevamo fornito le guarniture in carbonio e lui le usò come prima volta per vincerci il Giro delle Fiandre. Non credevamo che l’avrebbe usata, invece alla Liegi ha fatto un test per sua iniziativa. Ha visto che funziona e da allora non l’ha più tolta. E adesso tutti la vogliono».

EDITORIALE / La sicurezza è un obiettivo, ma si agisca sulle cause

08.07.2024
6 min
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Ieri mattina il Tour de France si è fermato per rendere omaggio ad André Drege, scomparso in seguito a una caduta al Tour of Austria (in apertura la squadre del norvegese – Team Coop-Repsol – schierata al via dell’ultima tappa annullata). La statistica dei corridori morti in gara è un elenco impietoso di lapidi che fortunatamente negli ultimi anni si è andato assottigliando. Infatti, sebbene le immagini, i social e l’emotività che scatenano facciano sembrare che ci troviamo al centro di una strage, la situazione della sicurezza oggi è molto migliore rispetto a un tempo.

Scossi dall’emotività della giovane morte norvegese, negli ultimi giorni siamo tutti a chiederci che cosa si possa fare per cambiare il corso di questo destino. Si ipotizza di dotare i corridori di airbag o altre soluzioni tecniche. Se arriveranno, quando arriveranno e non stravolgeranno la pratica sportiva, saranno ben accette.

Non ci sono notizie sulla dinamica della caduta di Drege, ma si parla di problemi alla ruota posteriore. Aveva 25 anni
Non ci sono notizie sulla dinamica della caduta di Drege, ma si parla di problemi alla ruota posteriore. Aveva 25 anni

La chiarezza di Bettiol

Intervistato ieri su Rai 2 da Silvano Ploner alla partenza della nona tappa del Tour, Alberto Bettiol ha usato parole amare, ma di grandissimo buon senso.

«Purtroppo questo è uno sport pericoloso – ha detto il campione italiano – e dispiace tantissimo. Sono delle disgrazie, c’è poco da dire. Sul discorso sicurezza, lo dico sempre che fra gli sport non estremi, il ciclismo è il più estremo. Alla fine rischiamo la vita tutti i giorni, rischiamo la vita in allenamento e in gara. Io paradossalmente mi sento molto più sicuro al Tour de France che in allenamento, sinceramente, per la quantità di dottori, di ambulanze sempre al seguito, telecamere ovunque. Quindi in teoria in gara siamo abbastanza sicuri.

«Penso che in Austria sia stata una fatalità. Da quello che si è sentito, è andato dritto in una curva ed è accaduto rovinosamente. Cioè, cosa vuoi fare? Alla fine il ciclismo è questo, è duro da accettare, però non vedo quali siano gli accorgimenti che possiamo prendere. Non è che possiamo togliere le discese nel ciclismo, bisogna stare attenti. Non era in un gruppo, era da solo nella discesa del Grossglockner. Sono fatalità».

Serse Coppi, a sinistra, fratello di Fausto: morì al Giro del Piemonte del 1951 (foto CapoVelo)
Serse Coppi, a sinistra, fratello di Fausto: morì al Giro del Piemonte del 1951 (foto CapoVelo)

25 dal 1948 ad oggi

Nel solo 1904, quando si correva più in pista che su strada, morirono sette corridori in velodromo. Su strada persero un fratello i due grandissimi del ciclismo italiano. Giulio Bartali morì nella Targa Chiari del 1936, gara regionale toscana. Serse Coppi morì al Giro del Piemonte del 1951. Dal dopoguerra ad oggi, sono 60 i corridori che ci hanno lasciato per cadute, investimenti, arresti cardiaci o malori di ogni genere avuti in corsa. E’ una statistica che raggruppa anche dilettanti e corridori della mountain bike, altri rimasti vittime di cadute e altri di malori per ogni genere di motivo.

Restando in ambito professionistico, dal 1948 ad oggi, gli atleti scomparsi in gara per caduta o incidente sono 25. Nomi come Coppi, Fantini, Santisteban, Ravasio, Casartelli, Sanroma, Kivilev, Weylandt, Demoitie, Lambrecht, Mader e il recentissimo Drege suscitano ricordi in ognuno di noi. Ebbene, i numeri dicono che la mortalità dei professionisti in gara è di un corridore ogni tre anni. In proporzione muoiono molti più ciclisti in allenamento o nella vita quotidiana (197 nel 2023). Quello sì sarebbe un fronte cui dedicarsi con grande ardore, ma ciò non toglie la necessità di operarsi per la sicurezza di chi corre.

La morte di Senna diede forte impulso alla revisione di aspetti tecnici in F1 sul tema sicurezza (foto Getty Images)
La morte di Senna diede forte impulso alla revisione di aspetti tecnici in F1 sul tema sicurezza (foto Getty Images)

La sicurezza della Formula Uno

Una riflessione va fatta, affinché non sembri che si voglia guardare dall’altra parte. La Formula Uno negli anni è intervenuta in modo drastico sulle normative tecniche. I fattori di rischio sono stati ridotti, con una netta accelerazione dopo la morte di Senna quanto a dispositivi di protezione e sicurezza. Ma già prima erano state eliminate le minigonne. Eliminato l’effetto suolo. Fatti interventi sulla misura delle gomme, sui propulsori e sulla misura delle ali. Chiaramente, essendo uno sport che si svolge in circuito, è stato possibile intervenire anche sui percorsi. In più i piloti sono stati dotati di dispositivi di sicurezza personali che non devono certo trasportare con la forza delle loro gambe. Sarebbe curioso uno studio che metta in relazione la velocità e l’esposizione fisica al rischio di un pilota così protetto rispetto a un ciclista.

Nel ciclismo servì la morte di Kivilev nel 2003 per imporre l’uso del casco, ma poco si può fare sui percorsi. E’ impossibile eliminare discese e curve, anche se la nascita di SafeR dovrebbe servire proprio per valutare le scelte troppo incaute. Si possono scegliere le strade con più attenzione. Si possono evitare i passaggi inutilmente pericolosi. Ma come immaginare di eliminare la discesa del Galibier in cui Pogacar e Pidcock nel 2022 dipinsero quelle traiettorie al limite? Non si può snaturare lo sport. E non si può neppure pretendere di correre in autostrada, se le statali sono strette per le velocità attuali. E forse il tema è proprio questo: le velocità attuali, le strade di sempre e il loro rapporto con la sicurezza degli atleti.

Questa la discesa capolavoro di Pidcock dal Galibier nel 2022
Questa la discesa capolavoro di Pidcock dal Galibier nel 2022

Intervenire sui materiali

Le case produttrici spingono verso performance pazzesche, ma come recita lo slogan: la potenza senza il controllo è nulla. Allora, non potendo arrestare la fisiologia degli atleti, si può forse intervenire sulle biciclette? Tutti i corridori di ieri che abbiano usato una bici da gara attuale concordano col fatto che sia estremamente più facile guadagnare velocità, da chiedersi come facessero ai loro tempi ad andare ugualmente forte. Avevano telai in acciaio e geometrie meno estreme, ma per questo più stabili (guarda caso, come Pidcock!). I cerchi bassi e gomme più strette. Oggi che abbiamo conoscenze e materiali che potrebbero rendere più sicura la guida estrema, forse dovremmo renderci conto che trasformare le biciclette in missili da gara in alcuni frangenti compromette la sicurezza del corridore.

Le strade negli anni sono rimaste le stesse, le velocità sono aumentate a dismisura: è chiaro che le criticità aumentino. E allora perché ad esempio nei tapponi alpini non vietare l’uso di ruote ad alto profilo, mantenendo però le gomme più larghe e i freni a disco? Oppure, mantenendo le ruote alte, perché non rendere obbligatorio il passaggio a gomme da 32 con cui aumenta la superficie di contatto con l’asfalto? Se è stato possibile costringere le case automobilistiche a ridisegnare le Formula Uno, quali argomenti potrebbero opporre le aziende che producono “semplici” bici?

Alla partenza della tappa di ieri, tutto lo sgomento sul volto del norvegese Kristoff
Alla partenza della tappa di ieri, tutto lo sgomento sul volto del norvegese Kristoff

Non è a nostro avviso mettendo uno zaino con l’airbag che si risolve il problema della sicurezza, ma sia benvenuto se non peserà due chili e sarà compatibile con il semplice pedalare. E visto che non è possibile intervenire sul buon senso dei corridori e la loro capacità di rallentare, allora forse può avere un senso ridurre i dispositivi grazie ai quali la velocità si moltiplica. Tutto ciò detto, scordiamoci che uno sport che si disputa su due ruote possa diventare stabile o esente da pericoli. Battersi perché lo diventi significa cambiare la sua natura.

P.S. La causa della caduta di Drege potrebbe essere in una foratura e l’impiego di un sistema di ruote su cui ci sono più dubbi che certezze. Se così fosse, sarebbe confermato il fatto che il progresso non può avvenire a spese dei corridori. E l’incidente in questo caso sarebbe colposo e non fatale.

La seconda chance di Raccani, tornato a fare ciò che ama

08.07.2024
5 min
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Per certi versi la vittoria di Simone Raccani al Giro del Veneto è stata una delle principali sorprese di questo scorcio di stagione. Perché rilancia il nome di un corridore che pur essendo ancora molto giovane (ha solo 23 anni) ha già vissuto una totale altalena di emozioni su due ruote, tanto da essere uscito da questo mondo per poi rientrarci. Cosa decisamente non comune.

Il podio dell’ultima tappa del Giro del Veneto, con Raccani fra Piras e Roganti (Photors)
Il podio dell’ultima tappa del Giro del Veneto, con Raccani fra Piras e Roganti (Photors)

Un successo il suo che cambia molto le prospettive: «Ci voleva davvero, spero di continuare su questa strada anche perché adesso la stagione propone molte gare a me adatte, con arrivi in salita e ci arrivo con la gamba buona, quella che ti capita non così spesso. Il mio obiettivo ora è il Giro del Friuli dove voglio fare classifica e ripetere l’exploit del Veneto, ma chiaramente in un contesto internazionale decisamente più qualificato».

Com’è arrivata la vittoria nella corsa a tappe?

E’ stata una prova molto particolare, con le prime due tappe annullate per maltempo. Nella terza sono andato un po’ in crisi allo scollinamento per poi riagganciare i primi, ma non ne avevo per giocarmi la vittoria. Ero comunque tra i primi e per com’era andata la giornata era già abbastanza. Sapevo che tutto si sarebbe giocato nella tappa conclusiva su una salita che conosco bene, dove avevo già vinto nel 2019 da junior. All’inizio c’è stata subito selezione, a 7 chilometri dal traguardo eravamo rimasti in pochi, i migliori, quelli in lotta per la classifica.

La vittoria a Schio è stata decisiva per la conquista del Giro del Veneto
La vittoria a Schio è stata decisiva per la conquista del Giro del Veneto
E poi?

Io sapevo quali erano i punti duri, dove fare la differenza. Con me sono rimasti Masciarelli e Meris che aveva la maglia di leader, ma a 4 chilometri dal traguardo su un altro punto duro li ho staccati e a quel punto è diventata una sfida contro il tempo, dovevo ribaltare la classifica. Tra l’altro questa vittoria è anche una sorta di ringraziamento mio per la squadra che ha la sede vicino, a Castelfranco, in una tappa è venuto anche il patron ad assistere.

Sei molto legato a lui?

Non potrebbe essere altrimenti. E’ stato proprio Egidio Fior che di sua iniziativa mi è venuto a cercare l’inverno scorso, convincendomi a rimettermi in gioco. Io avevo mollato a settembre chiudendo con la Eolo Kometa, ma non era stato per dissidi o altro. Ho passato un brutto periodo, non c’ero più con la testa, avevo deluso le aspettative che tutti avevano quand’ero passato junior ma che avevo soprattutto io. Non saprei neanche dire perché, c’entra la brutta caduta del GP Industria e Artigianato, ma difficile ripresa, ma non saprei trovare una vera spiegazione. E’ solo che le cose non erano andate come speravo.

Nel 2019 Raccani aveva vinto il titolo regionale junior, precedendo Alessio e De Pretto (Photors)
Nel 2019 Raccani aveva vinto il titolo regionale junior, precedendo Alessio e De Pretto (Photors)
Fior ha trovato le parole giuste?

Sì, mi ha spinto a rimettermi in gioco. Mi sono preso un paio di settimane per riflettere, per capire se potevo davvero onorare un simile impegno perché quando ti arriva una seconda possibilità, sai che non puoi sprecarla, anche perché era stata una sua iniziativa che meritava rispetto. Non è stato semplice, i primi mesi sono stati durissimi, ho fatto davvero tanta fatica, ma ho trovato un supporto eccezionale nella squadra. Se mi sono rimesso in sesto è stato anche grazie a loro.

E’ stato più difficile fisicamente o mentalmente?

Forse a livello di testa. Non correvo da mesi, le prime gare sono state davvero pesanti, non è facile ritrovare il ritmo gara. Oltretutto io sono ormai Elite, ho superato il limite di età e il calendario non propone così tanti eventi per quelli come me non potendo fare le gare regionali. C’è stata anche l’occasione di affrontare i pro’, al Giro d’Abruzzo e non ero andato neanche malaccio, anche se ancora non ero io. Poi al Giro della Provincia di Biella è arrivato il podio che è stato un bel segnale, la vittoria al Memorial Tortoli, altri piazzamenti. Dove correvo riuscivo ad emergere.

La sua condizione era apparsa in crescendo già al Memorial Tortoli, vinto di forza
La sua condizione era apparsa in crescendo già al Memorial Tortoli, vinto di forza
A questo punto che cosa ti proponi?

E’ difficile trovare un obiettivo specifico. Io voglio onorare al meglio questa seconda chance, ovunque si corra, a qualsiasi livello, poi si vedrà. Con la squadra non ci siamo presi alcun impegno per la prossima stagione, qualsiasi cosa me la dovrò meritare con i risultati.

C’è chi ti segue a livello di contratti?

Sì, la GL Promotion e devo dire loro grazie perché non mi hanno abbandonato, anche dopo il mio ritiro, pur sapendo che li avevo messi in difficoltà e che non avevo tenuto fede alle aspettative. Chiunque avrebbe mollato, loro no, hanno continuato a credere in me, nelle mie qualità e li ringrazio per questo.

Raccani è tornato a correre quest’anno nelle file della Zalf, che ha creduto in lui (Photors)
Raccani è tornato a correre quest’anno nelle file della Zalf, che ha creduto in lui (Photors)
Evidentemente, vista la tua vittoria, è stata la scelta giusta…

Anche perché rispetto a quando sono passato U23, è evidente che il livello si è alzato. Vincere a questi livelli fa ben sperare, ora devo solo continuare su questa strada. Quel che conta è che ho ritrovato la motivazione, posso ancora fare bene.

Il San Luca di Marangoni, una bolgia gialla e chiassosa

08.07.2024
4 min
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La seconda tappa del Tour De France, con la doppia ascesa al San Luca sul finale, fin dalla presentazione è stata sicuramente la più attesa delle tre frazioni italiane. Vuoi per la durezza dello strappo, vuoi per i portici monumentali che lo accompagnano per tutta la sua lunghezza, vuoi per la storia che si porta dietro. Dall’epica cronoscalata di Magni con il tubolare tra i denti fino alle più recenti sfide tra i big al Giro dell’Emilia. Oramai da mesi, quindi, un’infinità di appassionati si era data appuntamento lì, quel giorno. Tra loro c’era anche Alan Marangoni, ex professionista e ora volto di GCN Italia.

Alan è rimasto tutta la giornata in quella bolgia di tifo, passione, rumori e colori che abbiamo visto tutti in televisione. Ci siamo fatti raccontare da lui l’atmosfera che ha vissuto aspettando per ore, assieme a migliaia di persone, lo storico passaggio del Tour De France su una delle più celebri salite italiane.

Alan Marangoni, la compagna Lisa e il pubblico del San Luca
Alan Marangoni, la compagna Lisa e il pubblico del San Luca
Alan, intanto ti chiediamo in quale punto della salita ti sei piazzato per vedere il doppio passaggio dei corridori.

Io ero a tre quarti del drittone che c’è dopo la curva delle Orfanelle, un punto in cui spesso si fa la differenza e i corridori si vedono molto bene. Pogacar invece stavolta è scattato un po’ dopo, approfittando della fine del rettilineo dove la strada spiana leggermente.

Come ti è sembrato il San Luca “francese” rispetto ai passaggi al Giro d’Italia e dell’Emilia?

La cosa che ho notato subito è stata la densità, in senso proprio fisico, del pubblico. Al Giro dell’Emilia anche, ovviamente, c’è sempre parecchia gente, ma il giorno del Tour era tutto ad un altro livello. Dietro le transenne c’erano ovunque file e file di persone assiepate una dietro l’altra, incredibile. E poi soprattutto il rumore. Non avete idea della quantità di casino che c’era, impossibile da capire guardando dalla tv… Secondo me perché tanti erano lì anche solo per essere presenti all’evento, per poter dire in futuro dire “Io c’ero” e passare una giornata di festa e sport.

Il pubblico non entra dietro le transenne: alcuni sono sulla strada
Il pubblico non entra dietro le transenne: alcuni sono sulla strada
Dovessi quantificare, a spanne, quanta gente c’era in più rispetto alle altre volte in cui ci sei stato?

Bella domanda, ci ho pensato anch’io. Quello che ho visto per certo è che all’Emilia nella prima parte della salita onestamente non c’è molta gente. Tutti di solito si piazzano nella seconda metà, quella più dura e spettacolare. Al Tour invece era tutto pieno, “murato di gente” già dai primi metri dopo l’Arco del Meloncello. Direi che forse c’era il doppio della gente rispetto al Giro dell’Emilia.

Per quanto riguarda invece il tipo di pubblico hai notato delle differenze?

Sicuramente ho visto molti più stranieri. Belgi, colombiani, francesi, sloveni, come è normale che sia in una manifestazione del calibro del Tour, che quando arriva moltiplica tutto, anche le nazionalità.

Marangoni in bici sul San Luca: per tre volte nello stesso giorno
Marangoni in bici sul San Luca: per tre volte nello stesso giorno
Ci racconti qualche nota di colore che ti ha colpito?

Per il nostro canale abbiamo fatto un esperimento, cioè salire sul San Luca tre ore prima del passaggio della corsa per registrare un video lasciando solo i suoni ambientali, senza commento. Beh, quando sono passato sulla curva delle Orfanelle c’era una quantità di tifo, rumore, casino generale che quasi mi faceva cadere per terra. Pazzesco, quasi mai ho visto una cosa del genere. E la cosa bella era che non c’era una tifoseria particolare, come invece a volte capita al Tour e al Giro, con le varie fazioni. Quel giorno tutti incitavano tutti, in continuazione. Poi ho notato anche un’altra differenza, rispetto all’Emilia…

Cioè?

Il flusso continuo di gente che saliva in bici. Per ore e ore fino a che non hanno bloccato la strada, è stata una processione senza fine di persone in bici. Di tutti i tipi: dalla mamma con la bici elettrica con i bambini, al papà che trainava con una corda il figlio, fino ovviamente agli amatori. Ma quelli che facevano scattare l’ovazione generale erano i bambini piccoli che salivano da soli, lì c’era proprio un tifo da stadio.

La vista dal drone dà l’idea della distribuzione di pubblico sul San Luca
La vista dal drone dà l’idea della distribuzione di pubblico sul San Luca
Quindi nonostante il caldo l’attesa dei corridori non è stata troppo lunga e faticosa.

Per niente, anzi. Ero lì fin dal mattino e, anche se in effetti il clima non era dei più miti e c’era appunto tantissima gente, quelle ore sono passate molto velocemente. Perché davvero quel giorno è stata una festa continua, per la città, per l’Italia, per tutti i tifosi di ciclismo.

Pogacar attento, la trappola di Vingegaard è già scattata

07.07.2024
7 min
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Quando pochi giorni fa Jonas Vingegaard ha detto di avere un piano cui si atterrà come lo scorso anno, ci è venuto il sospetto che il piano sia pressoché lo stesso. Far sfogare Pogacar e poi staccarlo nel finale. Perché ciò accada, occorre che lo sloveno cali e il danese cresca. Entrambi i fattori sono motivo di curiosità. Pogacar potrebbe calare, avendo corso (e vinto) il Giro. Il fatto che Vingegaard cresca è avvalorato dalle sue parole, d’altra parte è sconfessato da ciò che accadde lo scorso anno a Pogacar. Tadej si spense, per quel che disse, non avendo avuto il tempo per allenarsi a dovere dopo la frattura dello scafoide: perché mai dovrebbe averlo avuto Jonas dopo un incidente ben più grave?

Pogacar: «Una tappa divertente»

Frattanto, in attesa di capire quale sia il piano di Vingegaard, anche oggi il Tour ci ha regalato una tappa effervescente, ma anche da decifrare. I tratti di strada bianca hanno prodotto spettacolo e costretto a inseguire chi, come Roglic, si è fatto pescare nelle retrovie quando il settore numero due ha costretto parecchi corridori a mettere piede a terra. Al contempo hanno messo le ali a chi, come Pogacar, si esalta laddove la sfida diventa estrema.

La maglia gialla ha fatto capire subito di non aver bisogno della squadra. Ha prima attaccato in un tratto in discesa. Poi ha allungato il gruppo. E alla fine ha agganciato Evenepoel nel suo tentativo di attacco e con lui (e Vingegaard) si è riportato sulla fuga. Essendo per i fuggitivi una presenza evidentemente sgradita, i tre si sono rialzati. E quando tutto sembrava essersi calmato e che Pogacar avesse accettato di correre da maglia gialla, il suo ulteriore attacco ha costretto Laporte e Jorgenson a inseguire per chiudere il buco. Vingegaard avrà preso paura? Pogacar alla fine avrà vantaggi da questa operazione, dato che domani tutti potranno riposare, oppure i fuochi d’artificio si sommeranno nelle sue gambe?

«Una tappa divertente – dice Pogacar – non mi aspettavo che sullo sterrato ci fosse così tanta ghiaia. C’erano davvero tantissime pietre e sabbia, quindi è stato difficile e anche divertente passarci sopra. La prossima volta farei il giro nella direzione opposta, in modo da avere vento a favore fino al traguardo. Io ho guardato Remco, lui ha guardato me. Ci siamo detti che saremmo potuti andare fino all’arrivo, ma non ha funzionato. Ho avuto delle grandi gambe nella tappa più difficile sinora di questo Tour. Mi sono sentito davvero bene e non vedo l’ora che con la prossima settimana sui Pirenei inizieremo le vere montagne. La prossima crono ci sarà solo alla fine, sono super felice che le cose vadano così, ho fiducia. Abbiamo una buona squadra, ho buone gambe, mi sento bene e sì, mi sto divertendo»

Oggi è stato chiaro che la Visma ha corso da squadra per rintuzzare gli attacchi di Pogacar
Oggi è stato chiaro che la Visma ha corso da squadra per rintuzzare gli attacchi di Pogacar

Turgis: «Una tappa leggendaria»

La vittoria di giornata è andata ad Anthony Turgis, francese di 30 anni della Total Energies, con poche vittorie e tanti piazzamenti, come quello dietro Mohoric nella Sanremo del 2022 o quello dietro Can der Poel a Waregem nel 2019. Le mani nei capelli dopo l’arrivo danno la dimensione dello stupore di un corridore che nel finale ha avuto la freddezza giusta.

«E’ pazzesco – dice – sono anni che corro il Tour de France, questo è il mio settimo, con l’obiettivo di vincere una tappa. Avevo vinto a tutti i livelli, mi mancava una corsa WorldTour e ora arriva una tappa al Tour de France, una tappa leggendaria. Abbiamo avuto una giornata molto importante. Ho visto formarsi il gruppo di testa e non mi sono arreso nonostante ci fosse gente più forte di me. Sapevo che Jasper Stuyven avrebbe attaccato nel finale. Volevo che gli altri mi portassero il più avanti possibile. Era una questione di chi interpretava il gioco nel modo più intelligente. Ma è davvero difficile essere in testa al Tour de France. Questa vittoria è fantastica per la squadra. Siamo venuti per una vittoria di tappa e l’abbiamo ottenuta».

Evenepoel: «Una tappa da capire»

Remco Evenepoel sta correndo come se i Tour de France nelle sue gambe siano già tanti. In realtà il debuttante belga attinge a piene mani dal suo grande talento e su questo percorso era venuto per due volte, scoprendo anche qualche sorpresina. A detta del suo direttore sportivo Lodewyk infatti, gli ultimi sei settori sono stati resi più scorrevoli rispetto ai sopralluoghi effettuati. Ma poco cambia: quando a 70 chilometri dall’arrivo ha attaccato come sulla Redoute, Remco non ha mostrato alcun timore reverenziale.

«La giornata è andata bene – spiega non ho sofferto molto e mi sentivo bene sullo sterrato. Sapevo che Tadej avrebbe attaccato e sono riuscito a rimanere con lui quasi tutto il tempo. C’è stata solo una volta in cui mi sono trovato in una brutta posizione e penso che i miei compagni di squadra non siano stati abbastanza aggressivi da riportarmi in testa al gruppo. Sono rimasto sorpreso, ma la cosa si è risolta subito.

«Peccato che quando eravamo in tre, Vingegaard non abbia voluto collaborare per aumentare il vantaggio. Avevamo la possibilità di tornare sul gruppo di testa e giocarci la tappa, ma rispetto la tattica della Visma: hanno scelto di giocare in difesa. Qualunque cosa accada, mi adatto alla situazione. Prima della partenza, avrei accettato di buon grado di ritrovarmi con questa classifica nel giorno di riposo. Quello che d’ora in avanti verrà in più, sarà tanto di guadagnato. Ora mi concentrerò sulla difesa di questo posto».

Primi segni di vita per Van der Poel: il campione del mondo segue il suo cammino di crescita verso Parigi
Primi segni di vita per Van der Poel: il campione del mondo segue il suo cammino di crescita verso Parigi

Vingegaard: «Una tappa inutile»

Jonas Vingegaard ha corso buona parte della tappa con la bici numero 7 di Tratnik, il cui compito dichiarato dalla partenza era proprio quello di stare vicino al capitano e cedergli la sua Cervélo in caso di foratura. Per questo, quando il cambio ruota Shimano si è affrettato per cambiargli la ruota, lo slovacco li ha lasciati andare via. Voleva la sua bici di scorta, non avendo ormai più velleità di arrivare al traguardo con quelli davanti.

«Sono molto sollevato – dice Vingegaard – dal fatto di essere arrivato sano e salvo al traguardo, senza perdere altro tempo e con solo due forature. Una quando sono salito sulla bici di Jan e poi, a dire il vero, ho anche forato negli ultimi tre chilometri, ma ho potuto finire la tappa sulla bici. Penso di dover ringraziare tutti i miei compagni di squadra, sono andati molto bene oggi. Tratnik mi ha dato la bici ed era perfetta. Il cambio è stato rapidissimo, non sono nemmeno finito nella scia delle ammiraglie. Il resto dei ragazzi mi ha tenuto davanti per tutto il tempo. Sono entrato in ogni settore in prima posizione e l’ultima volta mi hanno aiutato a inseguire Pogacar quando da solo non ce l’avrei fatta. Dopo questa tappa, sono in grande debito con loro. 

«E’ stata proprio una giornata molto stressante – ammette il vincitore degli ultimi due Tour – non nascondo che fossi preoccupato. Non penso che abbiamo bisogno di percorsi così. Vanno bene per la Strade Bianche, ma quella è un’altra corsa. Credo sia stato un rischio inutile, che ha favorito Pogacar più di me. E’ stato il più forte e su questi percorsi è favorito più di me. Lo vedevo più sciolto e soprattutto un corridore con il mio peso su certe strade non è a suo agio. Il tratto in cui ha attaccato probabilmente era il settore più sconnesso e ho rischiato anche di cadere, non controllavo bene la bici. E’ stato bene avere dei compagni intorno. In quel momento non c’erano né Roglic né Evenepoel, ma l’obiettivo non era guadagnare, solo salvarsi e allora è stato meglio riprendere Tadej e poi aspettare».

Pericolo scampato per Vingegaard che continua la sua lenta risalita
Pericolo scampato per Vingegaard che continua la sua lenta risalita

E quando gli viene chiesto come mai sorrida di più quest’anno e sembri più rilassato, Vingegaard risponde come pure Roglic lo scorso anno al rientro dalla caduta della Vuelta. «Forse dopo l’incidente – dice – ho capito cos’è la vita. Ho capito di cosa si tratta e ho capito che riguarda più la famiglia che il ciclismo. Quindi penso che in un certo senso sento meno pressione e mi diverto un po’ di più».

Pogacar arriva al riposo con la maglia gialla e un bel gruzzoletto di vantaggio. Eppure la sensazione guardando Vingegaard è che oggi il vincitore della corsa sia stato lui. Vedremo nei prossimi giorni in cosa consista il suo famoso piano…