Meris in Olanda alla TDT-Unibet: tra ambizioni, lavoro e social

10.12.2024
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La voce che Sergio Meris fosse in procinto di firmare con la Unibet-Tietema-Rockets ci era arrivata sotto l’ombra dello striscione di partenza al Giro di Lombardia, nella sua Bergamo. I ragazzi della MBH Bank-Colpack-Ballan giravano per le strade incuriositi e alla fine, parlando del più e del meno, era uscita la notizia. Lo scalatore bergamasco, al suo primo anno da elite, ha raccolto l’interesse della squadra olandese. Si sono parlati, hanno visto insieme il progetto di crescita, che riguarda entrambi, e hanno proseguito spediti.

Meris ora si trova in Spagna, vicino a Calpe, e insieme ai nuovi compagni sta già gettando le basi della sua prima stagione da professionista. 

«Siamo partiti presto – racconta dall’hotel – il 2 dicembre. Venerdì scorso abbiamo eseguito i primi test e siamo lanciati verso il 2025. Tra un paio di giorni torneremo a casa, per poi ritornare qui in Spagna a gennaio, dall’8 al 20, per rifinire la preparazione. Ho già messo insieme parecchie uscite e sto imparando a conoscere i miei compagni. Nella prossima stagione saremo in 25, ci sono alcuni nuovi innesti, anche se lo zoccolo duro è confermato».

Alla Coppi & Bartali i primi contatti con il team olandese, poi proseguiti attraverso i social
Alla Coppi & Bartali i primi contatti con il team olandese, poi proseguiti attraverso i social

I primi contatti

Sergio Meris ha già visto come funziona il mondo Tietema, con un’organizzazione differente e uno stampo giovane. Nel mese di agosto era andato in Olanda per parlare con la squadra, capire quali erano i progetti del team e che cosa prevedevano per la sua crescita. 

«Sono stato ad Amsterdam – spiega Meris – per parlare con Julia Soek, la Sports Director. Mi ha spiegato quali sono gli obiettivi del team a medio e lungo termine. Poi mi ha parlato di quello che si aspettano dai corridori. Da esterno anche io facevo fatica a realizzare cosa stessero facendo e in quale direzione, ma una volta visto da dentro è stato tutto più chiaro».

La TDT-Unibet Cycling Team nel 2024 ha ampliato il suo bagaglio di corse, arrivando a correre in due gare WT
La TDT-Unibet Cycling Team nel 2024 ha ampliato il suo bagaglio di corse, arrivando a correre in due gare WT
Raccontaci…

La voglia di affermarsi è tanta e gli investimenti non mancano, a partire dalla bicicletta e dal kit per gli allenamenti. Dopo il breve incontro estivo ero tornato a novembre per prendere il materiale e iniziare a provarlo. 

Com’è nato il contatto?

Alla Coppi e Bartali, nella tappa di Brisighella, abbiamo parlato un po’ e poi mi hanno seguito sui social. Ho curiosato sul loro profilo, la loro storia e il modo di fare mi hanno intrigato. Fanno tanti contenuti tra videomaker e fotografi, siamo sempre circondati. La squadra punta molto sull’immagine e sul mondo dei social.

L’uso dei social contribuisce a creare un clima sereno e divertito in squadra
L’uso dei social contribuisce a creare un clima sereno e divertito in squadra
In questi giorni a Calpe cosa hai visto?

La squadra e lo staff sono molto sul pezzo, c’è un costante scambio di idee con la volontà di migliorare giorno dopo giorno. Nonostante ci siano tanti ragazzi che arrivano da parti diverse dell’Europa mi sono sentito subito accolto. C’è fiducia in me, come in ognuno dei ragazzi presenti. Fin dal primo giorno di ritiro abbiamo parlato di come migliorare e su che punti crescere. Il personale è preparato e l’ambiente sereno, la situazione giusta per tirare fuori il meglio. 

Alle quattro vittorie stagionali si affianca la maglia di miglior scalatore all’Arctic Race of Norway, con un premio speciale
Alle quattro vittorie stagionali si affianca la maglia di miglior scalatore all’Arctic Race of Norway, con un premio speciale
Che ambizioni vedi nel team?

Il loro obiettivo è quello di partecipare al Tour de France, non è facile visto che si tratta della corsa più importante al mondo. I passi sono però ponderati, con scelte mirate e fatte in progressione. Già nel 2024 hanno preso la licenza per diventare una professional e hanno preso parte alla Amstel Gold Race e al Renewi Tour, due gare del circuito WorldTour.

Quali sono i passi per arrivare al massimo livello del ciclismo?

Affiancare a tutto il lavoro dell’immagine anche i risultati. Nel 2024 ci sono riusciti in parte e nel prossimo anno gli investimenti sono stati fatti per portare punti e corridori. L’arrivo di Carboni è un esempio, sono contento di averlo perché per me è un riferimento con il quale confrontarmi. Lo staff lavora con serenità, anche ora che si avvicina il momento di iniziare la stagione non manca la tranquillità. Un ambiente sereno aiuta a concentrarsi al 100 per cento sulla bici.

Tra WorldTour e abbandoni, un quadro d’insieme sui giovani azzurri

10.12.2024
5 min
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Le statistiche dicono molto, a proposito dello stato di salute di un movimento sportivo. Si parla tanto della crisi del ciclismo italiano, proviamo ad andare a fondo al discorso affrontando il tema della produzione di talenti a livello giovanile. Per capirlo abbiamo bisogno di uno specchio, costituito in questo caso dalle convocazioni degli azzurri per europei e mondiali fra juniores e under 23, tenendo in considerazione anche i risultati.

Dainese primo agli europei 2019, inizio di una carriera ancora in piena ascesa
Dainese primo agli europei 2019, inizio di una carriera ancora in piena ascesa

Armata azzurra: 73 in 5 anni

Che fine hanno fatto tutti quei ragazzi? Perché parliamo di un numero imponente, considerando che abbiamo preso in esame solo un quadriennio, quello tra il 2019 e il 2023 (non la stagione appena conclusa perché con presenze di juniores ancora al primo anno, in fase di formazione anche puntando al salto diretto della categoria successiva). Ebbene, nei 4 anni in questione (il che significa 5 manifestazioni europee e 4 mondiali visto che nel 2020 si organizzò in extremis solo la rassegna per gli elite) sono stati ben 73 i ragazzi che hanno vestito l’azzurro.

Partiamo dai risultati. Che si tratti di una generazione ricca di talento lo si desume da quanto è stato portato a casa dagli azzurri. In sede mondiale possiamo vantare 5 medaglie di cui ben 4 d’oro: i titoli mondiali di Tiberi (crono junior 2019), Battistella (strada U23 2019), Baroncini (strada U23 2021) e Lorenzo Milesi (crono U23 2023) più l’argento di Alessio Martinelli da junior nel 2019. A ciò vanno aggiunte 15 presenze complessive in Top 10.

Mondiali 2019, Tiberi vince la crono junior e si rivela al mondo. Ora è leader alla Bahrain Victorious
Mondiali 2019, Tiberi vince la crono junior e si rivela al mondo. Ora è leader alla Bahrain Victorious

I 20 ragazzi italiani nel WT

Agli europei ci sono 2 titoli (con Andrea Piccolo nella crono juniores e Alberto Dainese su strada U23 entrambi nel 2019), 4 medaglie e ben 26 presenze fra i primi 10. Numeri che dicono di una qualità molto alta.

Ma che fine hanno fatto tutti questi ragazzi? Il primo dato che emerge è che su 73 nomi presi in esame, ce ne sono ben 20 che sono approdati in squadre WorldTour, pari al 27,4 per cento. Significa che i principali team hanno investito su quei talenti, trovando risposte concrete. Parliamo di giovani che si sono già affermati come leader e elementi di punta anche al massimo livello, basti pensare a Jonathan Milan per le volate o a Andrea Tiberi come uomo da classifica nei grandi giri. Ma anche di gente in via di costruzione, come lo stesso Baroncini frenato da troppi infortuni ma che ormai sta imboccando la luce in fondo al tunnel.Oppure pensiamo a Pellizzari che trova spazio in una corazzata come la Red Bull – Bora Hansgrohe.

Matteo Scalco, uno dei tanti giovani che Reverberi ha preso sotto la sua ala protettrice
Matteo Scalco, uno dei tanti giovani che Reverberi ha preso sotto la sua ala protettrice

Non tutti possono essere campioni…

Ci sono poi quelli che in proiezione dovrebbero seguire la stessa strada, visto che sono ben 10 i corridori dal passato fra gli azzurri e dal presente nei devo team delle squadre WT. Un tragitto preferenziale verso il grande ciclismo che va allargandosi sempre più e che lascia ben sperare, soprattutto unendo questo numero a un altro, gli 11 neoprofessionisti che approdano al mondo principale fra WorldTour e Professional. Con tutti i suoi problemi, il ciclismo italiano continua a produrre talenti, poi starà a ognuno di loro ritagliarsi lo spazio giusto.

E’ forse quello il cammino più difficile: convincere i direttori sportivi delle proprie capacità, delle proprie ambizioni corroborandole con prestazioni e risultati. Non tutti ci riescono, c’è anche chi legittimamente si ritaglia un posto come gregario e si specializza, ma fa sempre parte di quel percorso di maturazione ciclistica che segue ogni corridore. Non sono certo tutti Pogacar.

Lorenzo Balestra, quel 5° posto agli europei 2020 sembrava l’inizio di qualcosa di grande
Lorenzo Balestra, quel 5° posto agli europei 2020 sembrava l’inizio di qualcosa di grande

Ritirati: numero elevato

C’è però un rovescio della medaglia. Abbiamo parlato di chi ce l’ha fatta, poi abbiamo tanti corridori che militano nelle nostre squadre Professional (e per fortuna che ci sono) con la VF Group – Bardiani che sembra la strada preferenziale, visto che nelle sue fila transitano ben 6 nomi. Ma anche Polti – Kometa, Toscana Factory Team e la purtroppo dismessa Zalf hanno dato un forte contributo. Ma c’è anche chi non ce l’ha fatta…

Considerando che facciamo riferimento a un lasso di tempo molto recente e a corridori molto giovani, nel pieno della loro attività, colpisce il fatto che ben 11 di essi dopo aver vestito i panni azzurri abbiano già mollato, si siano ritirati anzitempo. Corridori anche promettenti, come Lorenzo Balestra, quinto agli europei 2020 e già fuori dal giro due anni dopo, oppure Andrea Debiasi, in nazionale agli europei 2023 e ritiratosi dopo appena un anno. Impressionante il dato relativo agli europei juniores 2019: in nazionale c’erano Andrea Piccolo che chiuse 5°, Edoardo Zambanini anche lui in Top 10, poi Yuri Brioni, Davide Cattelan, Francesco Della Lunga e Tomas Trainini. Di loro troviamo in attività solamente Zambanini e Della Lunga, sempreché quest’ultimo trovi un approdo dopo la chiusura della Hopplà Petroli.

Una parabola brevissima quella di Andrea Debiasi, azzurro nel 2023 e ritirato quest’anno
Una parabola brevissima quella di Andrea Debiasi, azzurro nel 2023 e ritirato quest’anno

Dati su cui ragionare

Che cosa significa tutto ciò? Che le strade per approdare al ciclismo professionistico sono sempre più strette, a maggior ragione per i nostri che non hanno un team WT di riferimento e che si trovano a navigare in acque sempre più agitate dove i team vanno diradandosi. Sono dati sui quali sarebbero in primis Federazione e Lega a dover ragionare, perché vedere tanti ragazzi che avevano un talento tale da meritarsi l’azzurro e che poi mollano così presto non trovando sostegni è un brutto segnale.

De Marchi fa la sfinge: ultimo inverno da corridore?

10.12.2024
6 min
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ALTEA (Spagna) – «Voglio darmi una scadenza – dice De Marchi – non arrivare a ottobre l’anno prossimo e annunciare che smetterò di correre. Se, come immagino, sarò al Giro d’Italia, che è l’obiettivo della primavera, voglio sapere che potrebbe essere l’ultimo. Se deciderò di smettere, lo dirò prima della partenza. Credo che sarebbe il modo migliore per viverlo davvero a fondo».

Si parla al futuro e anche un po’ al condizionale. De Marchi ha la faccia di chi aveva un gran bisogno di tornare al lavoro. Sembra in forma, ma sull’argomento oppone le mani, come per dire: lascia stare! Qua nessuno ti regala niente e non puoi lasciare niente indietro. C’è il peso da mettere a posto, anche se il blu della tuta sfina, perché aver finito la stagione al gancio non ha aiutato a tenerlo a bada. Il mare riempie l’orizzonte dietro le chiome dei pini, per uno scenario che conosciamo alla perfezione. Certe volte ti sembra quasi di essere a casa, perché sono gli stessi posti che frequenti ogni anno e da anni.

«Ci stiamo pensando – prosegue – anche perché c’è una serie di cosette messe vicino che mi hanno costretto a riflettere. Non ho voluto prendere una decisione adesso, nel mezzo dell’inverno e lontano dalle corse e dalla squadra, per cui magari avrei avuto solo una visione. Però è una domanda che mi sto facendo e piano piano sto cercando di arrivare a una risposta. Se dovessi ascoltare il cuore o la mente, andrei avanti per sempre. Ma ci sono i segnali che il fisico ti manda e la mente può arrivare fino a un certo punto, ma non può portare indietro il tempo. I vent’anni non torneranno».

Richiesto dalla stampa internazionale, De Marchi si è raccontato anche in inglese
Richiesto dalla stampa internazionale, De Marchi si è raccontato anche in inglese

La vittoria in primavera

Il 2024 del Rosso di Buja è stato un anno strano. In primavera è tornato alla vittoria (una tappa al Tour of the Alps), come non gli capitava dal 2021. Il Giro d’Italia lo ha visto a un ottimo livello e infatti ne è uscito con un buon sapore in bocca. E’ stato quando ha insistito per fare la Vuelta che la stagione ha preso la piega che non si aspettava e che lo ha turbato.

«Visto il trend positivo della primavera – dice – credevo di fare quello che mi è sempre venuto meglio, cioè i Grandi Giri. Solo che mi sono preparato un po’ di corsa e nella prima settimana sono stato condizionato da un virus. L’ho superato a fatica anche a causa di quel caldo pazzesco e non riuscire a essere quello che sono sempre stato, quindi uno che prende la fuga e sempre nel vivo della corsa, mi ha acceso la lampadina. Forse il mio cruccio è non essere pronto o capace di cambiare ruolo. Una volta che ammetti questo, puoi anche decidere di non arrivare allo sfinimento. Questa è un’altra cosa che mi preme molto. Non vorrei continuare solo perché ho trovato un contratto e smettere dopo un anno di troppo. Per fortuna qui ho un interlocutore con cui si può parlare. Si tratta di tirare le somme e prendere una decisione».

Tour of the Alps 2024, De Marchi torna a vincere: non accadeva dalla fine del 2021: 924 giorni
Tour of the Alps 2024, De Marchi torna a vincere: non accadeva dalla fine del 2021: 924 giorni

Uno spiraglio di sole

Tutto un altro parlare rispetto a quando la Israel Premier Tech aveva deciso di non confermarlo, lasciandolo nel mezzo di una velata disperazione. E’ più accettabile smettere quando si decide di averne avuto abbastanza, piuttosto che essere costretto a farlo. L’arrivo alla Jayco-AlUla ha aperto una nuova pagina della sua storia.

«Lo step che sono riuscito a fare già nel 2023 ritornando del vivo della corsa – dice – mi rende orgoglioso. Solo che devi fare i conti con questo tipo di ciclismo, diverso da quello di dieci anni fa in cui un uomo come Tosatto è stato di grande supporto fino ai 40 anni. Adesso è difficile da immaginare, quindi vediamo. Sto cercando di non focalizzarmi solo sul ricordo della Vuelta e delle ultime gare in Italia, quando ero davvero cotto. Meglio pensare alla vittoria, che ha significato un sacco perché è stato come dare un senso al nuovo corso iniziato con il nuovo contratto in questa squadra. A Brent Copeland sono sempre stato molto molto riconoscente perché ha portato uno spiraglio di sole nel disastro totale. La vittoria è stata la conseguenza di aver trovato un ambiente sano, in cui anche io che venivo da un certo tipo di esperienza e con la mia storia sulle spalle, mi sono sentito valorizzato. E’ stata una bellissima chiusura del cerchio, anche se la Vuelta a quel modo mi ha tolto il buon sapore dalla bocca».

Alessandro De Marchi, classe 1986, compirà 39 anni il 19 maggio
Alessandro De Marchi, classe 1986, compirà 39 anni il 19 maggio

Il bello del ciclismo

E’ il guaio di chi è abituato a pensare e sa farlo nella giusta direzione. Se in più senti il passare del tempo e sei di te stesso il giudice più severo, allora è impossibile ignorare i segnali. Il ciclismo ha mille pretese, ma forse inferiori rispetto agli standard che un professionista come De Marchi vorrebbe per sé.

«Mi hanno detto che quest’anno – dice – solo pochi hanno vinto e io ci sono riuscito. Devo trovare l’equilibrio. Io ho sempre avuto voglia di migliorare, ma probabilmente il ciclismo adesso ha una marcia in più. E’ ancora bello e mi piace perché nell’essenza è rimasto lo stesso. Devi essere preciso, puntare a tirare fuori il massimo, ma è come se si fossero aggiunte nuove sfide alle solite sfide. Vado orgoglioso della Vuelta che ho fatto, perché non era da tutti risollevarsi. Aver accettato che non potevo stare in prima fila, mi ha permesso di aiutare i ragazzi che invece avevano le gambe. E’ stato particolare perché ho usato tantissimo la radio. Li ho aiutati a dosare le forze e a non sparare tutto per entrare nella fuga o all’interno della fuga stessa. E’ stato Piva a suggerirmelo e sono stato i suoi occhi in corsa. Perché dalla macchina non vedi niente, invece avere uno nel gruppo che riesce a intervenire in tempo reale può fare una grande differenza».

Prima settimana durissima, poi la Vuelta di De Marchi ha cambiato faccia
Prima settimana durissima, poi la Vuelta di De Marchi ha cambiato faccia

Un’idea per il futuro

Come un direttore sportivo, ma in corsa. Scherzando gli diciamo che proprio per questo non lo lasceranno smettere, ma nell’osservarlo sembra quasi che l’idea gli vada a genio e abbia individuato il modo per farne parte, sia pure con abiti diversi.

«Dare certi suggerimenti dall’ammiraglia – dice – sarebbe più difficile perché sei completamente cieco. Il modo per essere incisivi è il lavoro dietro le quinte. Una fase molto importante è far funzionare il debrief. Sta diventando uno dei momenti più importanti per fare il riassunto della giornata, avere bene chiaro quali sono stati gli errori e quali sono state le cose fatte bene. Perché ormai in macchina non si sa niente e con la gara sempre più veloce, la difficoltà aumenta. Anche per questo credo che Piva alla Vuelta abbia spinto molto su di me. Avevano me che parlavo e avevano radio corsa, quindi più cose messe insieme. Però ammetto che diventare direttore sportivo è una cosa che mi piacerebbe e su cui sto riflettendo. Non so quando sarà, ma non aspetterò troppo per prendere una decisione».

La pista riparte e Scartezzini è pronto come traghettatore

09.12.2024
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Michele Scartezzini è un fiume in piena. Sa bene che il 2025 sarà importante per lui, che sulla sua esperienza Marco Villa fa affidamento per ricostruire tutta l’impalcatura che dovrà sorreggere la nuova nazionale su pista, quella priva per il momento delle sue stelle Ganna e Milan e di tutti coloro che privilegeranno la strada. Fino al 2027, anno d’inizio delle qualificazioni olimpiche, sarà un work in progress dove i vecchi saranno i traghettatori per le forze nuove. Ma Michele ha qualche boccone amaro da mandar giù, legato all’ultima stagione.

Il veneto insieme a Consonni nella madison degli ultimi europei, chiusa al 9° posto
Il veneto insieme a Consonni nella madison degli ultimi europei, chiusa al 9° posto

«Un bilancio? E’ un discorso lungo da affrontare. E’ un anno nel quale ho lavorato tanto e sono rimasto con un pugno di mosche in mano, non ho ottenuto nulla. Tutto è cominciato con gli europei d’inizio stagione. Mi ero preparato bene e mi sentivo di conseguenza, ma i risultati non sono arrivati. I valori erano diversi da quelli che mi aspettavo e nelle gare a me deputate sentivo le gambe pesanti, avevo evidentemente sbagliato i lavori necessari».

A quel punto anche le ultime speranze per poter essere preso in considerazione per Parigi sono venute meno…

Non che ne avessi tante prima. Con quel regolamento penoso… Già per Tokyo era stato complicato, ma hanno tolto pure un altro posto, limitando a 5 quelli disponibili per chi aveva il quartetto. C’era Viviani che ambiva a entrare per l’omnium, non avevo possibilità. Se nel quadriennio avessi vinto sempre medaglie nella madison avrei potuto accampare pretese, ero sì tra i migliori specialisti, ma certamente non infallibile. Mi ero messo il cuore in pace e mi sono concentrato sui mondiali.

Insieme al compaesano Viviani, un dialogo continuo per raffrontare valori e sensazioni
Insieme al compaesano Viviani, un dialogo continuo per raffrontare valori e sensazioni
C’era tanto da aspettare…

Sì, ma non ho mai mollato. Devo dire grazie alle Fiamme Azzurre, che mi hanno dato supporto, come anche a Masotti, Bragato, Contri, insomma a tutto lo staff azzurro che non mi facevano mai mancare una parola di conforto. Sanno che ci sono sempre stato sin dal 2009. Mi sono dedicato alla preparazione della rassegna iridata facendo una vita quasi monacale, lavorando con dedizione. Ogni tanto mi confrontavo con Viviani e mi diceva che avevo valori davvero notevoli, anche superiori ai suoi e ciò mi dava fiducia. Io lavoravo per la corsa a punti iridata, sapendo che se fossi andato bene lì allora potevo vedere se mi veniva offerta una chance per la madison.

E poi?

Sono stato alla grande fino al giorno prima della gara, poi, quando è venuto il momento, mi sono sentito bloccato, come se non fossi padrone di me. Quel giorno nulla è andato come volevo e per me è stata una mazzata tremenda. Sono uscito dal velodromo, andavo in giro per la città cercando di ragionare, di capire, avevo bisogno di stare solo. Ho anche pensato di mollare tutto. Mi avevano visto che andavo forte, ma quando ho fallito sono stati pochi coloro che mi sono stati vicino, era come se non esistessi più.

Scartezzini nella corsa a punti iridata, che ha rappresentato per lui una grande delusione
Scartezzini nella corsa a punti iridata, che ha rappresentato per lui una grande delusione
Che cosa ti ha spinto a tenere duro?

Tre giorni dopo la fine dei mondiali, avevo una gara con la Arvedi. Non volevo andarci, ma poi ho riflettuto, avevo preso un impegno e dovevo portarlo a termine. Mentre andavo, è squillato il telefono: era Sercu, mi chiamava per invitarmi alla 6 Giorni di Gand, voleva mettermi al fianco di uno dei giovani in maggiore ascesa, dicendomi che aveva bisogno di un uomo d’esperienza al fianco. Quell’invito è stato la sferzata di energia di cui avevo bisogno e sono ripartito da lì.

Il fallimento di Ballerup è stato più un problema mentale?

Sicuramente, mi sono messo troppa pressione addosso. Era il mio 13° mondiale, al quale puntavano tutti coloro che alle Olimpiadi non erano stati, ma anche coloro che volevano confermare i risultati di Parigi. Io di solito quando sto bene lo faccio vedere, volevo spaccare il mondo. I valori erano dalla mia parte, avevo fatto test sui 20’ e vedevo numeri che non avevo mai fatto prima e che sapevo non erano accessibili a molti dei miei rivali. La gara a punti è lunga, non è come il quartetto. Probabilmente c’è stato un particolare tecnico che ha influito.

Per il veronese l’invito a Gand è stato fondamentale per ritrovare motivazioni (foto organizzatori)
Per il veronese l’invito a Gand è stato fondamentale per ritrovare motivazioni (foto organizzatori)
Quale?

Ho messo un dente più duro dietro e su pista è un abisso. L’agilità non paga più, anche su pista, nelle prove endurance si va di forza. Io erano due mesi che mi ero abituato a quella cadenza, ma alla fine è stata una scelta che non ha pagato.

Ora siamo a un bivio, con i big che si sono tirati fuori per il prossimo biennio e c’è una nazionale da rifondare. Villa conta su di te…

A me non piace questo discorso degli atleti che si tirano fuori, intanto perché so che non è così, tanto è vero che Pippo (Ganna, ndr) spesso mi chiama per andare a Montichiari e lavorare con lui. Se parti con un progetto legato ai giovani, bisogna anche mettere in conto che, quando i vari Ganna e Milan si rifaranno avanti avranno di fronte un team collaudato, chi dice che troveranno posto, che sarà utile rompere meccanismi collaudati? Sarebbe egoista pretendere il posto solo in base al nome…

Michele insieme al francese Clement Petit, suo compagno a Gand, bronzo ai mondiali nello scratch
Michele insieme al francese Clement Petit, suo compagno a Gand, bronzo ai mondiali nello scratch
Introdurre giovani però non è facile…

No, dipende molto da quanti sacrifici saranno disposti a fare, quanto investiranno sulla pista. Per quel che ho visto hanno tanta voglia di fare. A proposito mi viene in mente un piccolo aneddoto su Sierra: si è trovato a fare la sua prima madison assoluta con me, alla Nations Cup di Hong Kong. E’ stata la più veloce degli ultimi anni, era sconvolto alla fine, voleva mollare. Gli ho detto che per essere un esordio era stato particolarmente sfortunato.

Villa ha detto di confidare molto su voi “vecchi”: tu, Lamon…

Noi siamo pronti grazie anche al supporto dei corpi militari che a differenza dei club non ci danno vincoli. Anche Boscaro ora è entrato, anche lui sarà fondamentale nella gestione. Noi siamo a disposizione per aiutarli, sappiamo che ci sono molti ragazzi validi, che nelle categorie giovanili hanno vinto tutto e fatto record, ma a livello elite cambia tutto: distanze diverse, avversari molto forti e soprattutto esperti. Si deve crescere con calma e non buttarsi giù alle prime delusioni e difficoltà. Un ragazzo davvero forte ad esempio è Stella, mi è piaciuto subito anche perché è uno che ascolta molto. Noi comunque ci siamo, per rilanciare il settore, per aiutare i giovani, ma anche noi “vecchi” penso che abbiamo ancora qualcosa da dire.

Entriamo nel corso Accpi con Crescioli: lezioni, curiosità e aneddoti

09.12.2024
5 min
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Il corso dedicato ai corridori neo professionisti dell’Accpi che si è tenuto a Milano il 29 novembre era volto a introdurre i ragazzi nelle dinamiche del ciclismo, vissuto anche come un lavoro. Tra i diversi atleti che hanno partecipato c’era Ludovico Crescioli, il toscano che dalla prossima stagione correrà con la Polti-Kometa (dall’1 gennaio la squadra prenderà il nome di Polti-VisitMalta). 

«Siamo arrivati oggi in Spagna per il primo ritiro della stagione – racconta Crescioli – a Oliva, dove la squadra si raduna da qualche anno. Sono già stato a Malta qualche settimana fa con il team e ho avuto modo di conoscere qualcuno. Ora avrò modo di testare i vari materiali, vedere la bici e introdurmi pienamente in questo mondo».

Il corso Accpi 2024 si è tenuto il 29 novembre scorso
Il corso Accpi 2024 si è tenuto il 29 novembre scorso

Una giornata in classe

Negli anni la giornata dedicata ai neo professionisti ha visto un ribasso notevole dell’età media, tanti ragazzi arrivano direttamente dalla categoria juniores. E’ chiaro che in un ciclismo sempre più giovane il corso tenuto dall’Accpi diventi sempre più importante. Diventare professionisti non vuol dire correre gare di primo livello e avere materiale tecnico di alta gamma, ma è un vero e proprio lavoro, con diritti e doveri. Prima di entrare nel vortice è bene sapere cosa si trova al centro del ciclone. 

«E’ stata una giornata intera iniziata – dice Crescioli – alle 9,00 e terminata alle 17,00. Un buon corso nel quale ci hanno spiegato il mondo del professionismo. A partire dai controlli antidoping, per passare poi ai contratti e al loro funzionamento. C’è stato anche un intervento di Elisabetta Borgia, psicologa dello sport che lavora con la Federazione».

E’ intervenuta anche Elisabetta Borgia la quale ha spiegato come affrontare le sfide derivanti da questo salto di categoria
E’ intervenuta anche Elisabetta Borgia la quale ha spiegato come affrontare le sfide derivanti da questo salto di categoria
Partiamo dall’antidoping?

Ci hanno spiegato in che modo si tiene la reperibilità attraverso l’applicazione che fornisce la WADA. Ad esempio c’è una fascia di un’ora, che bisogna garantire ogni giorno, nella quale devi essere sempre reperibile. In poche parole devi farti trovare a casa, o dove alloggi in quel momento. Ogni spostamento deve essere segnalato, perché la WADA deve sapere dove dormi e in che posto sei. 

Si fa tramite cellulare?

Sì, il che rende tutto più semplice. Anche se questa è la parte più delicata del lavoro, perché non si può sbagliare di una virgola. L’applicazione ha un calendario che noi atleti dobbiamo completare di trimestre in trimestre. Ad esempio: ora i mesi che andranno da gennaio a fine marzo devono essere riempiti con i dati richiesti entro il 15 dicembre. Io so che dal 10 al 20 dicembre sono in ritiro a Oliva, quindi ho segnalato già la mia posizione per quel periodo. Chiaro che le cose possono cambiare, ma la WADA chiede comunque un preavviso. 

Cristian Salvato presidente dell’Accpi ha spiegato diritti e doveri del corridore derivanti dai contratti firmati
Cristian Salvato presidente dell’Accpi ha spiegato diritti e doveri del corridore derivanti dai contratti firmati
Come inizia questo controllo?

Ti arriva una mail che richiede di iscriversi. A me è arrivata a fine settembre, quindi era un mesetto che la utilizzavo. Però durante il corso mi sono tolto tutti i dubbi. 

Poi è intervenuta Elisabetta Borgia, giusto?

Ha parlato con noi per una mezz’ora abbondante ed è stato un intervento molto utile. Ci ha dato delle dritte su come affrontare questo grande passo

C’è stato anche spazio per parlare di sicurezza sulle strade
C’è stato anche spazio per parlare di sicurezza sulle strade
Tipo?

Ha detto di crearsi delle giuste aspettative, alla nostra portata, e di cercare una progressione graduale. Al corso c’erano tanti giovani, praticamente eravamo tutti under 23. Il mondo del ciclismo da questo punto di vista sta cambiando, e per fare in modo che ognuno trovi la propria dimensione serve avere il giusto approccio mentale. Il rischio è di cadere in loop negativi e di vivere questo sport come un peso. Poi però siamo passati anche alle cose pratiche.

Le fasi della corsa?

Marco Velo ci ha spiegato come ci si comporta in gara e ci ha insegnato come si riconosce la figura del giudice di corsa. E da chi è composta la giuria. Erroneamente pensiamo che tutti siano dei giudici, ma non è così. Insomma è diventato tutto più professionale, d’altronde ora questo è il nostro lavoro. Infine ha fatto un piccolo intervento anche Paolo Bettini.

Infine Paolo Bettini ha raccontato la sua esperienza personale, una bella lezione di vita
Infine Paolo Bettini ha raccontato la sua esperienza personale, una bella lezione di vita
Cosa vi ha detto?

CI ha raccontato la sua esperienza da neo professionista, erano altri tempi ma l’andamento è simile. Poi ha parlato della sua carriera, di come è diventato un corridore e di quando è passato professionista. E’ stata una bella lezione di vita, spontanea.

EDITORIALE / Cosa va a fare Pidcock alla Q36.5?

09.12.2024
6 min
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MIRALBONS (Spagna) – Un punto imprecisato lungo la AP-7 che corre lungo il sud della Spagna. Una sosta per scrivere questo editoriale, sulla strada verso Calpe e dei primi ritiri di stagione. Come ha scritto Emiliano Neri nel nostro gruppo ristretto (del team è parte preziosa anche Luciano Crestani), con questo viaggio inizia il nuovo anno. Mancano 30 chilometri al traguardo, ma è meglio fermarsi per tempo e finire il lavoro con calma. Il titolo ci frulla da qualche chilometro per la testa: cosa va a fare Pidcock alla Q36.5?

Uscendo da Valencia, poco dopo l’aeroporto, un immenso cumulo di auto infangate ci ricorda quello che è accaduto da queste parti poco più di un mese fa. Nei media non se ne parla da tempo, come del terremoto del Centro Italia, ma questo non significa che le ferite siano sanate e dimenticate. Proprio no.

Dalla Sardegna arrivano i messaggi di Filippo Lorenzon, che ieri avrebbe dovuto raccontarci una gara di cross e si è trovato invece nel bel mezzo della bufera di vento che ha portato all’annullamento della gara. Oggi è al lavoro per bici.STYLE, l’ultimo nato, poi tornerà a casa. Qui si comincia invece nel pomeriggio con la Jayco-AlUla, in attesa dell’incontro con Pogacar programmato per domani.

Usciti dall’aeroporto di Valencia, cumuli di terra e una montagna di auto ricordano la Dana
Usciti dall’aeroporto di Valencia, cumuli di terra e una montagna di auto ricordano la Dana

Il cross e Pidcock alla Q36.5

Ci sono due pensieri che si accavallano nella mente mentre si guida verso Calpe. Uno è il sincero dispiacere per il danno subito dall’amico Luca Massa, che per organizzare la Coppa del mondo di cross a Is Arutas ha messo in secondo piano ogni altro aspetto della sua vita e ora è lì a contare le perdite.

Un altro è il passaggio di Pidcock alla Q36.5 Pro Cycling, che ci ha dato tanto da ragionare. Sono due aspetti slegati, distanti fra loro anni luce, per cui forse il solo link potrebbe essere il fatto che il britannico corre anche nel cross. Eppure, sotto questo sole accecante, con le curve che si infilano fra le montagne e il mare sulla sinistra, i puntini si uniscono e compongono un quadro.

Nino Schurter, un’Olimpiade e 10 mondiali, è da sempre un atleta Scott: Pidcock userà invece bici Pinarello
Nino Schurter, un’Olimpiade e 10 mondiali, è da sempre un atleta Scott: Pidcock userà invece bici Pinarello

Schurter non c’entra

La notizia che Pidcock sarebbe andato alla Q36.5 girava da mesi. Era convinzione comune che il ritiro di Nino Schurter dalla mountain bike avesse spinto Scott ad accaparrarsi l’astro nascente, l’unico in grado di tenere testa nel palmares al gigante svizzero. Con due Olimpiadi e tre mondiali, l’associazione veniva facile. Quando poi Schurter ci ha ripensato, la pista svizzera sembrava essersi raffreddata, fino all’annuncio di pochi giorni fa e quello odierno di Pinarello da cui si è capito che il motore dell’operazione non è Scott.

Si dice infatti che Pidcock sarebbe da tempo il pallino di Ivan Glasenberg, proprietario di Pinarello come pure azionista di Q36.5 e alla fine avrebbe garantito lui per il contratto milionario (si parla di 8 milioni all’anno) del campione. Tom era il corridore più pagato della Ineos, bravo lui e bravo il suo procuratore, per cui forse di là non avranno lottato troppo per trattenerlo. A questo punto però, l’uomo del bar che c’è in ciascuno di noi, è portato a chiedersi: cosa troverà Pidcock nella nuova squadra che non poteva avere alla Ineos Grenadiers?

Ivan Glasenberg, classe 1957, è un magnate sudafricano, super appassionato di ciclismo (foto Bloomberg)
Ivan Glasenberg, classe 1957, è un magnate sudafricano, super appassionato di ciclismo (foto Bloomberg)

Il mercato delle bici

Andiamo al contrario: partiamo da quello che non troverà. Di certo l’ossessione del Tour, che gli si è cucita addosso da quando vinse il Giro d’Italia U23 del 2021 e si decise che sarebbe stato l’erede di Froome. A Pidcock le corse a tappe di tre settimane non piacciono, non le regge e forse trova noioso anche prepararle. Alla Q36.5, che da quando è nata non è stata ancora invitata in un Grande Giro, il problema probabilmente almeno nell’immediato non si porrà.

Sfortunatamente per lui però non potrà dare per scontati neppure gli inviti per le classiche del Nord che più gli piacciono. Si può sperare che gli organizzatori belgi avranno un occhio di riguardo, allo steso modo in cui l’arrivo di Alaphilippe potrebbe aprire alla Tudor le porte del Tour, ma non ci sono certezze.

E in che modo la Q36.5 si sta attrezzando per sostenerlo? Nelle sue dichiarazioni, Tom appare molto contento per l’opportunità di lavorare con dei nuovi materiali, anche se in un comunicato appena uscito, Pinarello fa sapere che il britannico continuerà a usare le sue bici per il fuoristrada.

Anche il mercato delle bici infatti è in subbuglio. Si sussurra, ma è da confermare, che Scott avrebbe rinunciato al Team DSM Firmenich per concentrarsi sulla Q36.5 e al suo posto in Olanda già dal 2025 potrebbe sbarcare Lapierre, uscita dalla FDJ Suez in cui Specialized ha seguito Demi Vollering.

Il vento ha provocato l’annullamento della Coppa del mondo di cross in Sardegna: i danni sono ingenti
Il vento ha provocato l’annullamento della Coppa del mondo di cross in Sardegna: i danni sono ingenti

I diritti dei più piccoli

E’ tutto un ribollire di soldi, del resto si chiama mercato e così deve essere. Tuttavia, pensando a Luca Massa e alla sua Crazy Wheels che ha organizzato il cross in Sardegna (avendo alle spalle Flanders Classics e PPEvents), viene da chiedersi se in questo mondo così assetato di euro ci sia ancora posto per i piccoli. E’ un discorso che si estende ai team giovanili e sale fino ai vertici del movimento, coinvolgendo chiaramente anche gli organizzatori. E’ notizia delle ultime settimane che la Zalf Fior non ripartirà, che la Hopplà corra lo stesso rischio, così come rischierebbe lo stop la Work Service fra gli juniores (speriamo di no).

Nelle scorse settimane, Luca Guercilena aveva posto una domanda cui cercheremo presto di dare una risposta. Se si parla di salary o budget cap per le squadre, perché non fare lo stesso con gli organizzatori? Perché non immaginare una lega in cui si condividano gli utili, in modo che i piccoli abbiano altre (provvidenziali) entrate? Perché ASO ed RCS possono drenare risorse dal territorio nel nome della loro storia? E perché invece i piccoli organizzatori come quello sardo, la stessa PPEvents e la SC Alfredo Binda della Tre Valli Varesine, rischiano di non ripartire per gli effetti di una calamità naturale? Perché i giganti non dovrebbero versare parte dei diritti televisivi o degli sponsor che rastrellano in virtù della loro forza, dato che lo stesso viene chiesto ai team WorldTour?

Cominciamo fra poco il nostro tour con De Marchi, qui alla Vuelta con la moglie Anna e i due figli
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Destinazione Calpe

Sono i pensieri di un giorno di sole in questo primo viaggio che lancia il 2025. Chi governa il ciclismo sta lasciando correre da troppi anni e, come la tempesta di Valencia e quella che ieri ha fermato il cross in Sardegna, la marea rischia di spazzare via quel che trova sulla sua strada. Se non si mette mano al sistema, il ciclismo agonistico rischia di subire danni incalcolabili. La scomparsa delle società giovanili fa calare la probabilità che nascano campioni: è un semplice dato numerico, niente di misterioso.

Chissà che non sia il gigante Red Bull, nel momento in cui capirà l’andazzo, a portare la sua esperienza di altri settori e suggerire un cambiamento di rotta. Ad andare avanti come si è sempre fatto, la storia insegna, non si va più da nessuna parte. Perciò adesso pubblichiamo questo articolo e poi ci rimettiamo sulla strada. Nonostante tutto, l’incontro con i corridori resta uno dei momenti più magici del mestiere.

Nuova Colnago Y1Rs, design azzardato e unico? Vediamo perché

09.12.2024
8 min
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CAMBIAGO – Colnago V4Rs rimane la bici tuttofare dell’azienda e del Team UAE-Emirates, ma per le gare più veloci era necessario sviluppare una bici specifica: la Y1Rs nasce da questo concetto. La prima bicicletta che prende forma anche grazie alla collaborazione tra il Politecnico di Milano e la Khalifa University di Abu Dhabi.

Che piaccia oppure no la nuova aero di Colnago pone un altro tassello all’evoluzione del concetto performance della bici. Un ciclismo sempre più veloce, estremo e dove il mezzo tecnico fa la differenza.

Politecnico di Milano, sempre più un riferimento per il ciclismo (foto Colnago)
Politecnico di Milano, sempre più un riferimento per il ciclismo (foto Colnago)

Y1Rs, al passo coi tempi

Il progetto Y1Rs si sviluppa considerando lo scenario attuale. Competizioni con punte di velocità e medie orarie che aumentano, anche in salita e le lunghe fughe sono all’ordine del giorno. La vittoria allo sprint è questione di millimetri.

Gli specialisti delle prove contro il tempo sono atleti competitivi anche in salita (e viceversa). Le regole UCI sono cambiate, soprattutto in merito al design e alle geometrie. Ognuno di questi fattori gioca un ruolo fondamentale e di primaria importanza nello sviluppo delle biciclette.

Filippo Galli con una delle primissime stampe 3D del nuovo telaio
Filippo Galli con una delle primissime stampe 3D del nuovo telaio

Parola all’ingegnere

Per entrare ancor più nello specifico, abbiamo chiesto a Filippo Galli, Project Ingeneering Colnago che negli ultimi 2 anni ha vissuto da vicino l’evoluzione della bici, tra la Lombardia e Abu Dhabi.

«Le regole UCI attuali, definite nel 2022 e comunque in costante evoluzione – spiega – permettono di posizionare il reggisella in un punto qualsiasi dell’orizzontale, a patto che i due profilati siano uniti. Ovvio che si tratta di rendere la bici funzionale e nel nostro caso si è puntato sull’aerodinamica, con un concetto di comfort non banale.

«Aerodinamica: in fase prototipale – prosegue Galli – abbiamo inserito 70 sensori di pressione per valutare la pressione e l’impatto dell’aria sulle tubazioni e anche sul manubrio ad ali di gabbiano. Questo sarà disponibile in due larghezze diverse, ognuna con un flare di circa 6°.

«Comfort: la Y1Rs presenta uno sloping molto contenuto, soluzione che permette di sfruttare a pieno la deformazione controllata del punto di raccordo della zona con disegno ad Y. La deformazione è ottenuta grazie al layup del carbonio, non è inserito nessun accessorio meccanico. Significa – conclude Galli – che abbiamo una bici rigidissima nella sezione più bassa e con un grado di comfort del tutto paragonabile alla V4Rs nel comparto più alto».

Modelli CFD e pianeta terra

La stragrande maggioranza delle attuali biciclette, super performanti a prescindere, nascono anche grazie alle valutazioni e analisi derivanti dai modelli CFD. Questi sono una sorta di semplificazione dell’aerodinamica, con dati che però si discostano dall’impiego reale (talvolta lo scostamento supera anche il 30%).

Colnago, proprio grazie alle due Università (Politecnico e Khalifa) ha messo a punto un modello CFD più accurato e attendibile. Significa che il margine negativo che si può creare tra la galleria del vento e l’utilizzo reale su strada è stato ridotto in maniera drastica. In aggiunta: l’ambiente “virtuale” spesso non considera e/o ha difficoltà a considerare le condizioni di vento laterale una volta su strada (al di fuori del wind tunnel). Lo sviluppo della Y1Rs ha tenuto conto anche di questo fattore. La Y1Rs è diversa dalla V4Rs, diversissima dalla C68.

L’obliquo vicinissimo alla ruota
L’obliquo vicinissimo alla ruota

I cinque punti chiave

La zona del reggisella segue un design chiamato Defy. Il profilato obliquo curvo ed il comparto dello sterzo con l’integrazione “a baionetta” della forcella. L’integrazione ed il posizionamento dei portaborraccia. Il manubrio Colnago CC.Y1 specifico per la Y1Rs. Le geometrie.

La zona del regggisella e sottostante ad essa è di sicuro uno dei punti che crea maggiore interesse. E’ una sorta di doppia Y (normale ed inversa) che pur non sacrificando la rigidità verticale aumenta il potere dissipante. Le vibrazioni che arrivano dal basso sono “spalmate” su una superficie maggiore. La zona di unione delle due Y, l’incavo tra l’orizzontale ed il piantone offre una flessione controllata.

Manubrio integrato CC.Y1

Il manubrio si innesta direttamente alla base superiore del tubo sterzo. Si possono inserire degli spessori (fino a 2 centimetri) dedicati tra attacco manubrio e battuta superiore dello sterzo. Questo ha obbligato anche ad una rivisitazione del concetto di serie sterzo (che è CeramicSpeed SLT). Il manubrio è in carbonio e rispetto al tradizionale CC.01 (quello in dotazione standard alla V4Rs) ha ridotto del 19% la superficie di impatto frontale.

Obliquo. Le forme di questo obliquo sono la risposta al quesito che chiede se è più performante un tubo vicino alla ruota o meno. L’obliquo della Colnago Y1Rs è molto vicino nella parte bassa e mediana. Nelle forme e nelle svasature del profilato rientra anche il posizionamento dei portaborraccia (disegnato per le borracce rotonde tradizionali), studiato per minimizzare le turbolenze negative. In caso di utilizzo della trasmissione Shimano con la batteria, quest’ultima è posizionata nell’obliquo sotto il portaborraccia. E’ una richiesta che arriva dal team mirata a facilitare l’estrazione in caso di necessità.

Una interessante prospettiva del carro e nel “nodo” sella
Una interessante prospettiva del carro e nel “nodo” sella

Non in ultimo le geometrie

Geometrie. Il naturale confronto con la V4Rs. I due angoli di riferimento del telaio Y1Rs, quello dello sterzo e del piantone hanno una verticalità maggiore. La soluzione è voluta in modo da configurarsi al meglio con posizioni più raccolte degli atleti. Il rapporto tra reach e stack è stato aumentato, sempre rispetto ai valori della V4Rs. Significa posizioni in sella più aggressive e protese in avanti.

A parità di taglia la Y1Rs ha la sella più avanzata, rispetto alla V4Rs. Il rake della forcella è personalizzato per ogni singola taglia. Da considerare che il trail complessivo considera ottimale l’utilizzo di pneumatici da 28 millimetri di sezione (i test sono stati eseguiti con gomme da 28 e cerchi con canale interno da 25 millimetri). L’unico valore comune a tutte le taglie è la lunghezza del carro posteriore, 40,8 centimetri. Le taglie disponibili della Y1Rs sono 5: xs e small, medium, large e xl.

Gli altri dettagli della Y1Rs

La scatola del movimento centrale ha le sedi filettate per le calotte esterne BSA. La larghezza è di 68 millimetri. Non aumenta la rigidità già altissima del comparto inferiore. Il supporto del deragliatore è mobile e supporta corone fino a 56 denti. L’ancoraggio del bilanciere posteriore del cambio è di natura UDH. La Y1Rs supporta pneumatici con una larghezza massima da 32 millimetri. Il reggisella è disponibile con due arretramenti, zero e 1,5 centimetri. Un altro dettaglio da sottolineare sono le sedi dei perni passanti. Integrate e perfettamente in linea all’asimmetria del carro quelle posteriori, quasi arretrate e nascoste dalla forcella (asimmetrica) quelle anteriori.

Perché? L’asimmetria che riguarda la Colnago Y1Rs è strutturale e non solo design. Inoltre le sedi anteriori del perno passante, così concepite, permettono di mantenere un profilo lineare della forcella, eliminando la svasatura della pinza del freno. La Y1Rs non è un monoscocca, ma si basa su cinque blocchi principali uniti tra loro. Il telaio e la forcella (grezzi) hanno un valore alla bilancia dichiarato di 965 e 450 grammi (taglia media). A parità di montaggio e misura, ha un peso di 300 grammi superiore, se messa a confronto con la V4Rs.

Configurazioni e prezzi

Cinque allestimenti previsti, tutti al top e un kit telaio. Il più costoso porta in dote il pacchetto Campagnolo SuperRecord Wireless con le ruote Bora Ultra WTO, con un listino di 16500 euro.

Tre i montaggi con Shimano Dura Ace, dove la variabile è legata alle ruote. Enve SES 4.5, Dura-Ace C50 e e Vision 45, rispettivamente a 16.200, 15.000 e 13.200 euro. Il quinto prevede lo Sram Red, le ruote Vision 45 ed ha un listino di 12.300 euro. Il frame-kit è proposto a 6.710 euro.

Colnago

Quanto vale Carlos Rodriguez? Il punto sullo spagnolo

09.12.2024
4 min
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Carlos Rodríguez ha chiuso la stagione 2024 con emozioni contrastanti. Se da un lato ha dimostrato di avere il talento necessario per competere ai massimi livelli, dall’altro è stato protagonista di un’annata costellata di alti e bassi. Rodríguez è considerato, giustamente, uno dei giovani più promettenti del ciclismo spagnolo, ma la strada per affermarsi tra i grandi non è mai facile, anche quando sembra che tutto stia procedendo per il meglio.

Pensiamoci un attimo: nel 2023 lo avevamo visto chiudere al quinto posto al Tour, con tanto di tappone di montagna in tasca. Quest’anno si pensava che dovesse essere l’esplosione definitiva. Carlos Sastre addirittura lo vedeva sul podio. E invece…

Tour 2023: Carlos Rodriguez stacca tutti sul Joux Plane e vince a Morzine davanti a Vingegaard e Pogacar
Tour 2023: Carlos Rodriguez stacca tutti sul Joux Plane e vince a Morzine davanti a Vingegaard e Pogacar

Alti e bassi 2024

La stagione 2024 di Carlos Rodríguez è stata caratterizzata da alternanza di momenti di splendore e difficoltà. È iniziata alla grande, con una vittoria alla classifica generale del Romandia, che aveva alimentato le aspettative. Una conferma delle sue qualità è arrivata anche al Criterium du Dauphiné, dove ha conquistato il quarto posto e una tappa, dimostrando che il viatico verso la Grande Boucle era ideale e prometteva grandi cose. In particolare, nel finale della tappa vinta, ha fatto tremare nientemeno che Primoz Roglic, un segnale evidente delle sue ambizioni.

Tuttavia, le cose non sono andate allo stesso modo al Tour de France, dove Rodríguez non è mai riuscito a inserirsi nella lotta per le posizioni di vertice. Ha fatto fatica in tante occasioni, a quel punto non ha potuto che correre di rimessa… con l’obiettivo di non saltare.

Che poi detta così sembra stata una debacle, in realtà Rodriguez è entrato, e benone, nella top ten. E’ che ha stupito non averlo visto mai aggressivo o fare un tentativo, quando invece l’anno prima più di qualche volta era stato “sfacciato” tra i super big.

Nonostante tutto la Ineos resta una corazzata con uomini di grande qualità, a partire aìda Castrovejo (il primo della fila)
Nonostante tutto la Ineos resta una corazzata con uomini di grande qualità, a partire aìda Castrovejo (il primo della fila)

Con la Ineos…

Le voci in Spagna non sono mancate: doveva restare alla Ineos o cercare fortuna altrove? Okay, ma dove? Se fosse andato, ammesso ce ne fosse stato interesse, in squadre in questo momento più forti avrebbe rischiato di dover fare il gregario, senza la possibilità di disputare una corsa in piena libertà. Alla Ineos, benché in fase transitoria, Carlos può contare su una struttura solida e su una squadra con esperienza nelle grandi corse. Il team inglese continua ad avere tutte le carte in regola per far crescere un giovane talento come lui.

Per Rodríguez, restare alla Ineos rappresenta la scelta migliore. Sinora la squadra non gli ha mai fatto pesare troppo la pressione di essere il leader assoluto, ma la situazione in tal senso è destinata a cambiare. La filosofia del team è chiara: prima o poi, chi indossa il ruolo di capitano di quel gruppo deve assumersi la responsabilità di portare la squadra verso la vittoria. La vera sfida per Rodríguez sarà proprio quella di saper gestire questa responsabilità e sopportare il peso di diventare il leader per davvero.

Un aspetto positivo per lui è l’arrivo di un corridore esperto come Bob Jungels. Il lussemburghese è stato a sua volta un giovane rampante prima di diventare un gregario al servizio di altri capitani. Senza dimenticare che gente come Puccio, Castrovejo o Fraile, spagnoli come lui, di consigli ne possono dare in quantità.

Carlos (a destra) e i suoi compagni allenamento nel primo ritiro stagionale (foto @cyclingimages)
Carlos (a destra) e i suoi compagni allenamento nel primo ritiro stagionale (foto @cyclingimages)

Verso il 2025

Nonostante le difficoltà, il 2024 di Rodriguez non va certo gettato alle ortiche. Ottenere risultati di spessore non è mai facile, nemmeno per chi è già ai vertici. Quest’anno hanno faticato persino Evenepoel e Vingegaard! E lo stesso discorso vale per Juan Ayuso, eterno rivale di Rodríguez, anche lui non ha brillato più di tanto in questa stagione. Il fatto che Carlos alla prima esperienza sui due grandi Giri in stagione, sia riuscito a concludere sia il Tour che la Vuelta nei primi dieci, dimostra che la sua crescita continua. Settimo al Tour e decimo alla Vuelta, piazzamenti che dicono di una grande solidità.

Piuttosto si potrebbe rivedere il suo calendario. Ipotizzare gare che possano permettergli di tornare a essere esplosivo come nel 2023. Analizzando la sua stagione infatti si nota che ha corso appena due gare di un giorno: su 76 giorni di gara figurano solo la Clasica de Jaén e il Mondiale come prove uniche. Tra l’altro la prima e l’ultima in assoluto. Forse un calendario più equilibrato, con qualche gara a tappe in meno e qualche classica di un giorno in più, pensiamo alla Liegi-Bastogne-Liegi o al Lombardia, potrebbero essere occasioni importanti, anche dal punto di vista tecnico e atletico.

La strada è ancora lunga, ma il talento c’è e questo è quel che conta. Intanto il 2025 per Carlos e la Ineos è già iniziato, visto che proprio qualche giorno fa era lui a guidare i compagni sotto la pioggia nel primo raduno della stagione.

Is Arutas, vince il vento. Gara addio, arrivederci Sardegna

08.12.2024
7 min
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CABRAS – Quello che si prospettava nelle ore precedenti alla fine è diventato realtà. La gara di Coppa del mondo di Cabras Is Arutas è stata annullata a causa del forte vento. Un vento teso, costante, rude… Le onde erano altissime e le loro goccioline venivano trasportate a distanza di decine e decine di metri. In pratica era come se piovesse, cosa che comunque a scroscioni si è ripetuta per tutta la giornata.

Noi stessi, stamattina, quando siamo arrivati sul posto di gara, abbiamo provato a scendere sulla spiaggia e non si riusciva letteralmente a stare in piedi. Anche i video che abbiamo girato per i social erano tutti tremolanti. E’ bastato aprire lo sportello (con difficoltà) per che capire che sarebbe stata dura. Molto dura.

Raffiche a 80 all’ora

Filippo Pozzato ci aveva detto che era difficile stare in piedi sulla collinetta a bordo mare. La situazione è apparsa subito complicata e, tanto per cambiare, quando le cose non devono andare per il verso giusto, c’è stato persino un incendio nel quartier generale della gara.

Fortunatamente, però, non ci sono stati grossi problemi né danni alle strutture. Era impossibile dare il via a un evento agonistico così importante, ma non solo importante: il vento era veramente tagliente, forte, teso e non mollava mai. E quando rinforzava, le folate ti sbattevano letteralmente a terra. Si stima abbiano superato anche gli 80 all’ora.

Le onde di questa mattina a Is Arutas
Le onde di questa mattina a Is Arutas

Atleti compatti

Abbiamo parlato anche con Eva Lechner, che è stata un po’ la nostra portavoce per quanto riguarda gli atleti. Tutti erano dispiaciuti, ma compatti nel dire che non avrebbero preso parte a questa gara.
La sicurezza veniva meno soprattutto nel lungo tratto rettilineo che costeggiava la spiaggia, quello più vicino al mare. Era impossibile stare in piedi, e anche nei tratti successivi la situazione non migliorava di molto.

«Oggettivamente – ha detto Eva Lechner dall’alto della sua esperienza – non si poteva correre con queste condizioni. Mi era già successo di gare annullate per il forte vento, persino in Belgio, ma credetemi non era così potente.

«Noi italiani eravamo tutti nello stesso hotel e parlavamo proprio di questo stamattina, già prima di venire al campo gara. La nostra giornata è stata, fino all’annullamento della gara, esattamente come se avessimo dovuto correre: sveglia, colazione, e tutto il resto. Poi, una volta arrivati, abbiamo parlato anche con gli altri atleti e tutti eravamo concordi sul fatto che non fosse possibile gareggiare. Tra l’altro, non siamo alla fine della stagione, rischiare di più non aveva senso. E poi, comunque, davvero non c’erano le condizioni».

I media belgi, accorsi in massa in Sardegna, hanno preso i microfoni e, più o meno tutti, hanno detto le stesse cose di Eva Lechner. Il via vai dei commenti è cominciato. «Penso – ha detto Michael Vanthourenhout – che la cancellazione sia stata l’unica opzione giusta. Non importa quanto sia difficile per gli organizzatori, e dispiace per loro, ma non si riusciva a tenere dritta la bici. Tra l’altro, c’è una bella differenza tra pochi chilometri nell’entroterra e qui sulla costa».

Ora per ora

Facciamo dunque una breve cronistoria. Già alla vigilia di ieri le previsioni non erano positive.
Si sapeva di questo forte vento. Stamattina, addirittura, le mappe del vento mostravano il lato occidentale della Sardegna, cioè quello su cui ci troviamo, colorato di viola scuro, a indicare la situazione più forte, più tesa, più pericolosa. Questo aveva allertato atleti, organizzatori e anche l’UCI.

Stamattina ci siamo svegliati con la notizia dell’incendio nel quartier generale, ma alla fine questo non si è rivelato un grande problema, né strettamente collegato all’evento.


Già prima delle 9 era chiaro e ufficiale che non si sarebbero disputate le prove del mattino. Poi si è atteso fino alle 12, entro le quali l’UCI avrebbe redatto il comunicato ufficiale. Comunicato che è arrivato puntuale alle 11,26, in cui l’UCI spiegava che, a causa del forte vento, non c’erano le condizioni per disputare la gara.
Dopo l’annuncio, gli atleti hanno cominciato a restituire i chip ricevuti il giorno prima. E a mano a mano hanno iniziato a tornare a casa.

Filippo Pozzato (classe 1981) di PP Events
Filippo Pozzato (classe 1981) di PP Events

Parla Pozzato

Abbiamo parlato anche con Filippo Pozzato di PP Events, organizzatore insieme a Flanders Classics, a Crazy Wheels e al Comune di Cabras, di questa terza tappa della Coppa del mondo nella splendida Is Arutas.

Filippo, com’è andata?

Come mi dicevano le persone del posto, questo è stato il secondo giorno di tutto l’anno che accade una cosa del genere. Siamo stati un po’ sfortunati. Dispiace, perché comunque Crazy Wheels, l’organizzatore locale, il Comune di Cabras e la Regione Sardegna hanno messo tutto l’impegno possibile. Un impegno anche economico. Un ringraziamento in particolare va a loro, ma soprattutto ai volontari che anche questa mattina erano già al lavoro per sistemare il percorso. C’erano 100 persone che hanno dato il massimo per rimetterlo a posto.

Cosa è successo alla fine?

Dopo aver visionato più stazioni meteo, abbiamo cercato di capire se ci fosse qualche speranza che il vento smettesse. Ci hanno detto che forse sarebbe calato un po’ solo dopo le 16, il che rendeva tutto impossibile, soprattutto da un punto di vista televisivo: il problema principale era la produzione.

E farla magari domani?

Noi eravamo anche disponibili a cambiare gli orari e magari anche a farla domani, ma purtroppo non è stato possibile. Ci sono questioni logistiche, soprattutto per la televisione, che aveva già programmato tutto da mesi. Anzi, oggi è un danno per tutti: nei palinsesti di tante televisioni non andrà in onda questo evento, quindi tutte le emittenti che avevano i diritti per trasmettere rimarranno con un buco. È un peccato per tutti. In più anche il rientro di mezzi e personale non sarebbe stato facile da rivedere.

In questa decisione avete parlato anche con gli atleti?

Sì, sì e una cosa bella, io guardo sempre il bicchiere mezzo pieno, è che in questi ultimi anno c’è un bel confronto fra le parti in causa: organizzatori, UCI, atleti. I corridori erano dispiaciuti ma era impossibile gareggiare. Li abbiamo ascoltati eccome. Io stesso stamattina alle 6,30 ero qui. In spiaggia, a piedi, il vento ti spostava facilmente. Ma ripeto: decisione giusta. Impossibile correre.

C’è la possibilità di riprovare in futuro?

Sì, sicuramente. Abbiamo un contratto di due anni con tutti gli enti coinvolti, quindi l’anno prossimo saremo di nuovo qui. Speriamo solo di avere una bella giornata, per poter far vedere a tutti la bellezza che la Sardegna ha da offrire.