Per Strand Hagenes e Zoe Backstedt, le vittorie ai mondiali di Leuven, per come sono arrivate, sono foriere di grandi speranze, ma quante volte avere vinto il titolo iridato junior ha poi portato realmente fortuna? Analizzando gli albi d’oro si scoprono storie molto interessanti. Non sempre emergere in età così giovane porti poi a una grande carriera. L’esempio di Alessandro Ballan, del quale abbiamo recentemente parlato, è solo uno dei casi di campioni scopertisi tali nel tempo, grazie alla propria costanza e soprattutto alla pazienza di chi li ha gestiti.
Mondiali juniores, via nel 1975
I mondiali juniores presero il via nel 1975 e subito a emergere fu un nome di un certo peso: Roberto Visentini, grande talento italiano delle corse a tappe, vincitore di un Giro d’Italia ma che aveva davvero tutto per imprimere il suo marchio su un’epoca, visto come andava a cronometro ma anche in salita. Dal 1975 al 2021, considerando naturalmente l’edizione persa lo scorso anno a causa del Covid, ci sono state quindi 46 edizioni. Solo in due casi il biennio fra gli juniores è stato coronato da due titoli iridati e in entrambe le occasioni a riuscirci sono stati ciclisti italiani.
Il primo a realizzare la doppietta è stato Giuseppe Palumbo, nel 1992 e 1993. Sul corridore siracusano e un futuro luminoso erano tutti pronti a scommettere. Alla fine ha vissuto per 12 anni fra i professionisti, con 3 vittorie in tutto e una carriera vissuta soprattutto sulla partecipazione a cinque Giri d’Italia, senza però acuti. Tornando al biennio da junior, allora il ciclismo italiano dominava: nel 1992 Palumbo batté Pasquale Santoro, professionista per un paio d’anni, mentre terzo fu il compianto belga Frank Vandenbroucke, protagonista di tante classiche.
Italia padrona
Nel 1993 terzo giunse Michele Rezzani, che ha fatto maggior fortuna nelle gran fondo. Il culmine si raggiunse nel 1997, con Valentino China davanti a Ivan Basso e Rinaldo Nocentini: paradossalmente l’iridato ha vissuto una fugace esperienza fra i pro’, gli altri hanno invece scritto pagine importanti, soprattutto Basso.
Ben diverso il discorso per Diego Ulissi, anche lui capace della magica doppietta nel 2006 e 2007. Ancora oggi il portacolori della Uae Team Emirates è un protagonista fra classiche e brevi corse a tappe. Nel complesso l’Italia comanda il medagliere alla stragrande, con 30 medaglie fra cui 11 ori per 9 atleti. Non tutti loro, come si è visto, hanno però potuto esplodere fra i pro’. Damiano Cunego iniziò nel 1999 la sua grande carriera. Altri come Roberto Ciampi (1980), Gianluca Tarocco (1988), Crescenzo D’Amore (1997) non hanno avuto la stessa fortuna. Marco Serpellini, iridato nel 1990, è rimasto per 12 stagioni tra i pro’, cogliendo 9 vittorie e partecipando anche ai mondiali pro’ di Verona del 1999.
Il primo squillo di Lemond
Allarghiamo però il discorso: chi è davvero riuscito, fra i campioni del mondo juniores, a imprimere il proprio marchio anche da grande? In definitiva sono solamente 8, considerando vittorie in grandi giri oppure classiche di peso.
Detto di Visentini e Cunego, pochi ad esempio ricordano un ragazzino con la maglia a stelle e strisce che vinse nel 1979. Si chiamava Greg LeMond e avrebbe cambiato la cultura ciclistica americana per sempre con i suoi trionfi al Tour de France.
L’America chiama, l’Unione Sovietica risponde, nel 1987 con Pavel Tonkov, che poi con la nazionalità russa conquisterà un Giro d’Italia e sarà uno dei grandi rivali di Marco Pantani. Dobbiamo poi saltare al nuovo secolo: nel 2004 il titolo va a Roman Kreuziger, ancora oggi in carovana e con tanti successi al suo attivo tra cui un’Amstel Gold Race; nel 2009 Jasper Stuyven, l’ultimo Mister Sanremo; nel 2012 Matej Mohoric, esponente di punta dell’ondata slovena (capace quell’anno di precedere un velocista in erba come Caleb Ewan). L’anno dopo altra accoppiata di spicco con Mathieu Van Der Poel davanti a Mads Pedersen (un oro perso ma si rifarà tra i grandi…). Infine nel 2018 l’esplosione della galassia Evenepoel (nella foto d’apertura) che sta rivoluzionando il ciclismo dalle fondamenta.
Fra le donne porta bene…
Già, ma per le donne? Qui il discorso cambia un po’. I mondiali juniores iniziarono nel 1987, quindi più tardi con una vincitrice di lusso come Catherine Marsal, la francese che avrebbe rappresentato l’antitesi dell’infinita Jeannie Longo. Spesso, negli anni a seguire, sono arrivati successi di atlete che poi si sarebbero confermate fra le “adulte” dalle tedesche Ina-Yoko Teutenberg e Hanka Kupfernagel alla lituana Diana Ziliute, dalla britannica Nicole Cooke (due vittorie nel 2000 e 2001) a Marianne Vos che dall’oro conquistato nel 2004 non ha smesso più, dalla francese Pauline Ferrand Prevot iridata quasi in ogni disciplina ciclistica a Elisa Balsamo, “bimba d’oro” nel 2016 e fra le elite 5 anni dopo.
Anche qui il medagliere è guidato dall’Italia con 20 medaglie di cui 5 ori. Anche restringendo il panorama dall’arcobaleno all’azzurro, si scopre che chi vince fra le junior poi avrà il suo spazio quasi sempre.
E’ accaduto così con Alessandra D’Ettorre, prima nel 1996, poi campionessa d’Europa U23 e stella della pista quando ancora doveva iniziare il cammino della ripresa. E’ accaduto con Elena Pirrone, prima nel 2017 e che la sua carriera se la sta costruendo con pazienza e fiducia. Eleonora Patuzzo, prima nel 2007, ha corso fino al 2011 approdando anche alla Bepink prima di appendere la bici al chiodo e dedicarsi agli studi. Rossella Callovi, vincitrice nel 2009, ha corso fino al 2015. D’altronde, per spiegare ancor meglio il concetto, basta guardare questo podio: prima Marianne Vos, seconda Marta Bastianelli, terza Ellen Van Dijck: non è una gara della stagione appena conclusa, ma l’ordine d’arrivo dei mondiali junior 2004…